Equo indennizzo: la competenza è della Corte d’Appello del distretto in cui si è svolta la causa protrattasi irragionevolmente nel tempo.
Una sentenza storica:
la Cassazione, in tema di equo indennizzo, ha stabilito che, per non
congestionare il lavoro della Corte d’Appello di Roma, in tema equo
indennizzo, si dovrà proporre il ricorso presso la stessa Corte
d’Appello in cui si è svolta la causa protrattasi irragionevolmente nel
tempo: è stato questo l’esito della sentenza n. 6306 depositata il 16
marzo 2010. Le Sezioni Unite civili, hanno infatti deciso che per la
localizzazione del giudice presso cui proporre al domanda, si dovrà
assumere a fattore rilevante “la sede del giudice di merito distribuito
sul territorio, sia esso ordinario o speciale, davanti al quale il
giudizio è iniziato; ed al luogo così individuato attribuisce la
funzione di attivare il criterio di collegamento della competenza e di
individuare il giudice competente sulla domanda di equa riparazione, che
è stabilito dall’art. 11 del codice di procedura penale ed è richiamato
nel primo comma dell’art. 3 della legge”. Gli Ermellini hanno infatti
precisato che la sentenza mira a diffondere il contenzioso sull’intero
territorio nazionale invece di concentrare tutto il lavoro di una unica
Corte D’Appello.
COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE - DIRITTI POLITICI E CIVILI - PROCEDIMENTO CIVILE
Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 16-03-2010, n. 6306
Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 16-03-2010, n. 6306
Svolgimento del processo
1. - B.L. ha proposto alla corte d'appello di Perugia una domanda di equa riparazione.
Ciò
per la non ragionevole durata del processo di merito a suo tempo
iniziato davanti al pretore di La Spezia, proseguito in appello e
pendente, alla data della domanda, davanti a questa Corte.
La corte d'appello di Perugia ha dichiarato il proprio difetto di competenza per territorio.
Ha
indicato come giudice competente la corte d'appello di Torino, che a
sua volta ha chiesto il regolamento di ufficio della competenza.
2.
- La prima sezione - in seguito alla discussione dell'istanza in camera
di consiglio - ha rimesso il procedimento al primo presidente, che lo
ha assegnato alle sezioni unite.
Motivi della decisione
1.
- La questione su cui le sezioni unite si debbono pronunciare riguarda
l'interpretazione della norma sulla competenza dettata dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1.
La disposizione è così formulata:
-
“La domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla corte di
appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p.,
a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto
è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il
procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata”. 2. - La
disposizione ha conosciuto sin qui un'interpretazione che ne ha
progressivamente ristretto l'ambito di applicazione ai soli casi di
giudizio presupposto svoltosi davanti ai giudici ordinar, per il resto
dando spazio alle regole processuali di diritto comune (così, tra le
altre, Cass. 5317 del 2008, 4480 del 2006, 11300 del 2004).
Un'ulteriore
contrazione del possibile spazio applicativo la disposizione l'ha
conosciuta a proposito delle domande di equa riparazione a fondamento
delle quali è stato dedotto il ritardo occorso davanti alla Corte di
cassazione, in quanto giudice non localizzato in un distretto (Cass.
20271 e 15842 del 2005).
La competenza ne è risultata attratta alla disciplina comune.
2.1.
- La sezione semplice, appunto in un caso di questo tipo, nel chiedere
che sulle questioni sorte in sede di interpretazione della disposizione
prima richiamata intervenissero le sezioni unite, ha svolto le
considerazioni che seguono.
L'applicabilità delle norme ordinarie di competenza ordinaria va considerata alla luce del principio, secondo il quale la L. n. 89 del 2001, art. 2,
delinea in modo unitario il diritto all'equa riparazione, e
correlativamente l'azione con cui il diritto è fatto valere, senza
autorizzare frazionamenti o scissioni con riferimento a vicende o fasi
del processo.
Pertanto, benchè sia possibile
individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del
processo, si deve sempre procedere ad una valutazione complessiva,
anche quando il processo si è articolato in gradi e fasi e questo può
fare escludere la sussistenza del diritto, qualora il termine di
ragionevole durata di una fase risulti violato, senza però che lo sia
stato quello concernente l'intera durata del processo, nelle due fasi di
merito e di legittimità. Nè va sottaciuto che non rientra nella
disponibilità della parte riferire la propria domanda ad uno solo dei
gradi di giudizio, optando per quello in cui sia stato sforato il limite
interno di ragionevolezza, segmentando a propria discrezione la vicenda
processuale presupposta.
A proposito poi di
una tesi prospettata in dottrina, per cui nel caso in cui la violazione
sia riferibile alle fasi di merito si dovrebbe applicare la norma
speciale, mentre andrebbe applicata quella comune quando l'eccessiva
durata si sia verificata nella fase di legittimità, la sezione ha
osservato che la tesi incontra oltre all'ostacolo costituito dalla
configurazione unitaria del giudizio, quello per cui, per determinare in
concreto la regola di competenza applicabile, sarebbe prima necessario
delibare a quale segmento processuale riferire la violazione del termine
di ragionevole durata.
La sezione ha concluso
osservando che il carattere unitario del giudizio e la valorizzazione
del luogo di conclusione del medesimo (in relazione ad una delle sue
fasi), anche ai fini della identificazione del giudice competente per
territorio a conoscere della domanda, potrebbero realizzare una
sostanziale alterazione del criterio stabilito nell'art. 3, comma 1,
della legge, tenuto conto del numero non infrequente di processi che si
svolgono in tutte le fasi.
3. - Le sezioni
unite ritengono che della disposizione sia da accogliere una
interpretazione, che non incompatibile con il suo dato letterale, ne
coglie le ragioni ed al tempo stesso assicura una uniforme applicazione
della norma per tutta l'area del contenzioso originato dalla L. n. 89 del 2001.
Interpretazione,
quella che si accoglie, che considera in modo unitario il giudizio
presupposto nel quale si è determinato il superamento della durata
ragionevole; assume a fattore rilevante della sua localizzazione la sede
del giudice di merito distribuito sul territorio, sia esso ordinario o
speciale, davanti al quale il giudizio è iniziato; ed al luogo così
individuato attribuisce la funzione di attivare il criterio di
collegamento della competenza e di individuazione del giudice competente
sulla domanda di equa riparazione, che è stabilito dall'art. 11 c.p.p., ed è richiamato nell'art. 3, comma 1, della legge.
4.1.
- Diversamente da quanto pure si è ritenuto in precedenza, tutto ciò
non può trovare ostacolo sul piano lessicale nel fatto che la
disposizione faccia uso di un termine (distretto), che è proprio della
distribuzione sul territorio delle corti di appello.
Ciò
che ha costituito argomento per restringerne l'ambito di applicazione
ai soli casi in cui il giudizio presupposto si svolga davanti al giudice
ordinario e d'altra parte ha favorito la formazione d'una
giurisprudenza volta ad escludere che l'art. 3, comma 1, della legge si
applichi al caso che il segmento di giudizio presupposto dedotto a
fondamento della domanda si sia svolto davanti a questa Corte.
E'
agevole osservare che il termine distretto appartiene alla descrizione
del criterio di collegamento, che il legislatore importa dalla
disposizione processuale penale e che la sua valenza di delimitare un
certo ambito territoriale può funzionare in modo identico, quale che sia
l'ufficio giudiziario davanti al quale il giudizio presupposto è
iniziato e l'ordine giudiziario cui appartiene, perchè dell'ufficio
giudiziario viene in rilievo la sede e non l'ambito territoriale di
competenza.
4.2. - E' agevole ancora osservare
che, quando si è trattato di disciplinare la legittimazione passiva
rispetto alla domanda di equa riparazione, il legislatore ha previsto
una serie di distinzioni, appuntando la legittimazione sulle
amministrazioni governative di riferimento per gli aspetti organizzativi
delle diverse giurisdizioni (art. 3, comma 3, della legge).
E
non è allora giustificato ipotizzare che un legislatore il quale affida
ad una legge destinata a regolare gli effetti del fenomeno della durata
non ragionevole del processo, quale che sia il giudice davanti al quale
si svolge, abbia espresso la volontà di statuire una diversità di
disciplina della competenza mediante l'impiego della parola “distretto”
anzichè con una specifica disposizione intesa a far salva l'applicazione
della norma processuale civile.
4.3. - Il dilatarsi del contenzioso innescato dalla L. n. 89 del 2001,
che fa ricadere sul bilancio dello Stato un onere sempre più gravoso a
causa del perdurare del fenomeno della eccessiva durata del processo, in
diverso modo comune alle varie giurisdizioni, rende a questo punto
ragionevole l'interpretazione qui accolta, che i giudici ordinari che
debbono deciderne non sia prossimi a quelli speciali davanti ai quali il
ritardo si manifesta e consente di ritenere superate le considerazione
svolte nella sentenza 17 luglio 2007 n. 287, dove la Corte
costituzionale ha ritenuto non fondate le preoccupazioni, che invece
danno ragione del perchè la norma speciale debba applicarsi al posto di
quelle ordinarie.
4.4. - L'interpretazione
accolta favorisce poi la diffusione del contenzioso sull'intero sistema
delle corti di appello, anzichè una sua elevata concentrazione su quella
di Roma, resa possibile dal fatto di avervi sede gli organi di vertice
dei diversi ordini giudiziari, ordinario e speciale.
5.
- La decisione sul regolamento di ufficio chiesto dalla Corte di
appello di Torino è che la competenza a decidere sulla domanda le
spetti.
P.Q.M.
La
Corte dichiara la competenza della Corte di appello di Torino ed
assegna per la riassunzione davanti alla stessa il termine di 90 giorni
dalla comunicazione della presente ordinanza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2010
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