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mercoledì 14 settembre 2016

Cassazione: Ingiuria in danno di agenti di polizia: quando il contesto legittima l'epiteto "razzista" come un irrefrenabile estrinsecarsi del diritto di critica



Ingiuria in danno di agenti di polizia: quando il contesto legittima l'epiteto "razzista" come un irrefrenabile estrinsecarsi del diritto di critica


INGIURIA E DIFFAMAZIONE   -   PROVA IN GENERE IN MATERIA PENALE
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-04-2010) 26-07-2010, n. 29338
Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza emessa il 9.4.08, il giudice di pace di Firenze ha condannato D.V.C.G. alla pena di Euro 1.000 di multa e al pagamento delle spese processuali, avendolo ritenuto colpevole del reato di ingiuria, aggravata ex art. 61 c.p., n. 10, in danno di agenti di polizia. Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:
1. violazione di legge in riferimento agli artt. 594 e 51 c.p..; vizio di motivazione : il giudice non ha affrontato il tema dell'esimente del diritto di critica in relazione alle espressioni usate dal D.V., dottorando in Storia Contemporanea, da anni impegnato nel dibattito cittadino sulla gestione delle politiche migratorie e di integrazione. L'intervento critico nei confronti dell'operato degli agenti di polizia era giustificato dal clima intimidatorio, caratterizzato dall'uso della forza fisica nei confronti di due persone di cittadinanza nigeriana. Il giudice di pace ha ritenuto inverosimile la narrazione dell'accaduto da parte dell'imputato, con ragionamento apodittico che poggia su assunti, oltre che ipotetici ed indimostrati (la razionalità, correttezza e regolarità dell'agire della polizia giudiziaria), logicamente e giuridicamente abnormi : da un lato sembra affermare che un abuso delle forze dell'ordine non può essere commesso se non in presenza di una valida ragione; dall'altro sembra escludere che possano accadere simili episodi.
Secondo il ricorrente,poi, è stata trascurata l'indubbia rilevanza sociale del contesto in cui si è svolta l'azione. L'intervento del D.V. è stato motivato dall'intento della tutela dei deboli e dalla finalità di porre l'attenzione su metodologie operative che mettono in discussione gli stessi fondamenti di un ordinamento democratico e dei rapporti del singolo con i pubblici poteri. Accertata l'esistenza di abusi o di atteggiamenti comunque vessatori di agenti di polizia nei confronti di persone di nazionalità straniera, l'espressione "razzista" è formalmente contenuta perchè utilizzata come reazione all'atteggiamento discriminatorio che contrasta con i doveri di imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione nei confronti di appartenenti a minoranze etniche.
2. Violazione di legge in riferimento all'art. 594 c.p.; vizio di motivazione : nel dispositivo si legge "responsabile dei reati ascritti", anche se è contestato un solo reato e non si da giustificazione nella motivazione a questo incongruenza.
3. violazione di legge in riferimento al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34: il giudice non ha esaminato la sussistenza o meno dei parametri codificati dalla legge; non è giunto alla declaratoria di improcedibilità, doverosa in presenza dei presupposti sostanziali e procedurali. Di qui la nullità della sentenza.
Il ricorso merita accoglimento.
Il primo giudice, esclusa la rilevanza penale di alcune espressioni pronunciate dal D.V., in quanto di carattere "pittoresco", ha concentrato la sua attenzione sul termine "razzista" e ha confrontato la credibilità delle dichiarazioni delle persone offese e la credibilità di quelle dell'imputato, escludendo la prima senza alcuna concreta e coerente giustificazione. Dal testo della motivazione si ricava che queste dichiarazioni indicano la seguente ricostruzione dell'operato degli agenti di polizia : questi, dopo aver effettuato la rapida identificazione di due cittadini della Nigeria, li hanno trattenuti,senza alcun motivo e quindi illecitamente, limitando così in maniera non corretta la loro libertà personale.
A questa ricostruzione, il giudice non ne ha contrapposto un'altra, indicando in maniera adeguata l'iter logico argomentativo che lo ha condotto a ad accreditarne la prevalente forza di convincimento. Si è,invece, limitato a considerare la narrazione dell'imputato intrinsecamente immeritevole di credito,attribuendole,in maniera esplicita, la qualifica di "inverosimile" e attribuendo, in maniera implicita, alla narrazione delle persone offese la qualifica di "presuntivamente" vera, senza però descriverla e senza un' analitica valutazione, suscettibile di controllo. Il giudice ha cioè affermato che le censure e le critiche all'operato dei querelanti (consistito in una limitazione della libertà dei cittadini stranieri, che per la assenza di giustificazione si caricava di significato intimidatorio e discriminatorio) erano presuntivamente inverosimili per la invincibile presunzione di correttezza accreditatale all'imprecisato operato e alle imprecisate dichiarazioni delle persone offese.
E' nota la prevalente giurisprudenza che, razionalmente, riconosce alle dichiarazioni della persona offesa una credibilità pari a quella riconosciuta alle dichiarazioni degli altri testimoni, senza gravarle di una presunzione di inaffidabilità bisognosa di integrazioni e conferme esterne. Razionalmente è da escludere uno speculare orientamento interpretativo che voglia riconoscere una presunzione di credibilità alle dichiarazioni delle persone offese in generale o di quelle di un particolare tipo, il cui operato sia assistito da una presunzione di correttezza. Non è accettabile un orientamento interpretativo -corollario del precedente - che intenda canonizzare un'anomala regola d'esperienza, secondo cui le critiche e le censure formulate nei confronti dell'operato di persone investite di pubblica autorità sono, indipendentemente da specifiche analisi, presuntivamente inverosimili e incredibili, in base a una valutazione già effettuata con esito negativo dal legislatore e comunque dal diritto vivente.
Questa presunzione che assista testimonianze di un certo tipo non trova riconoscimento nel nostro ordinamento e quindi è doverosa la specifica motivazione del giudice sulla loro credibilità. Questo dovere non è stato rispettato dal giudice di pace di Firenze,la cui sentenza è quindi carente di motivazione in un punto centrale dell'affermazione di responsabilità del D.V.. Non risulta quindi contestato o smentito da risultanze processuali che la sua espressione di critica all'operato degli agenti di polizia - consistente nella non corretta limitazione della libertà di stranieri, già sottoposti con esito positivo agli accertamenti di rito - possa rientrare nel diritto dei cittadini di sottoporre a controllo e a valutazioni negative l'azione dei pubblici funzionali, che appaiano difformi rispetto a norme di legge e ai supremi principi della nostra Costituzione. Queste valutazioni sono di immediata rilevanza sociale, perchè dalla loro formulazione, indenne da reazioni punitive da parte dello Stato, dipende la sussistenza e il consolidarsi della democrazia nel nostro paese.
Il requisito della correttezza formale dell'espressione usata al D.V. si ricava dalla piena ed insostituibile adeguatezza del termine, rispetto al contenuto della sua critica.
Quanto al secondo motivo, è da rilevare che il riferimento ai reati ascritti all'imputato è frutto di mero errore materiale, non sussistendo la possibilità che la condanna per altro reato possa sussistere in assenza di una specifica formulazione dell'imputazione nell'atto decisorio e in assenza di un cenno, anche fugace, nella parte motiva.
Le argomentazioni critiche contenute nel terzo motivo sono del tutto superate dal riconoscimento della fondatezza dei primi motivi.
La sentenza va quindi annullata senza rinvio,perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato.

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