DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE
Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-02-2013, n. 3290
DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE
Danno
in genere
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. UCCELLA Fulvio - Presidente -
Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere -
Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -
Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere -
Dott. VINCENTI Enzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13753/2007 proposto da:
-
- ricorrente -
contro
-
- intimati -
sul ricorso 16963/2007 proposto da:
-
- ricorrente -
contro
-
- intimati -
avverso la sentenza n. 350/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 06/03/2006, R.G.N. 84/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2012 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l'Avvocato ENRICA FASOLA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso principale, assorbito l'incidentale.
Svolgimento del processo
1. In data 11 gennaio 1989 si verificava ad Alessandria un incidente stradale che vedeva coinvolte la vettura di proprietà di L. A., condotta dal medesimo ed assicurata dalla (Lpd) Assicurazioni s.p.a., e la vettura di proprietà di Ta.
F., dallo stesso condotta ed assicurata dalla Augusta Assicurazioni s.p.a..
Nell'incidente riportava gravissime lesioni T.S., che viaggiava in qualità di trasportato sulla vettura condotta da L.A..
In conseguenza del fatto, il T. citava a giudizio, davanti al Tribunale di Alessandria, L.A. e Ta.Fr., nonchè le rispettive assicurazioni, per ottenere il risarcimento dei danni sofferti.
Si costituivano in giudizio tutti i convenuti, ad eccezione di L.A..
Espletate prove testimoniali e fatta eseguire una c.t.u., il Tribunale 1) dichiarava che l'incidente era da ricondurre a responsabilità concorrente del L. e del Ta., attribuendo due terzi della responsabilità al primo ed il residuo terzo al secondo; 2) condannava i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro 20.477,52 oltre interessi nella somma di Euro 48.779,52 dall'11 gennaio 1989 al 27 maggio 1992, e su Euro 20.477,52 dal 28 maggio 1992 al saldo, con il carico delle spese di giudizio.
2. La sentenza veniva appellata dal T. in via principale e dal Ta. e dalla Augusta Assicurazioni s.p.a. in via incidentale.
La Corte d'appello di Torino, con sentenza del 6 marzo 2006, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava gli originari convenuti al pagamento, in favore di T.S., delle ulteriori somme di Euro 2.000 a titolo di danno da perdita di chance e di Euro 5.000 a titolo di danno morale, con rivalutazione ed interessi; respingeva l'appello incidentale e condannava L., Ta. e le rispettive assicurazioni alla rifusione di un terzo delle spese processuali del grado, compensando i rimanenti due terzi.
Osservava la Corte territoriale - per quanto ancora di interesse in questa sede - che l'appello incidentale era da respingere, dovendosi condividere la decisione del Tribunale circa la concorrente responsabilità del Ta. nella determinazione dell'incidente.
Quanto all'appello principale, la Corte torinese procedeva ad una ripartita analisi delle varie voci di danno individuate dal T., pervenendo alle seguenti conclusioni. In riferimento al danno esistenziale, lo stesso poteva astrattamente essere riconosciuto, ma era rimasto, nella specie, privo di dimostrazione; quanto al danno biologico, la domanda di ulteriore risarcimento doveva essere respinta; quanto al danno morale, poteva essere riconosciuta - in aggiunta alla somma di Euro 10.000 già attribuita dal Tribunale l'ulteriore somma di Euro 5.000, poichè, in considerazione della grave patologia sofferta (rottura dello stomaco da scoppio, con grave peritonite e rottura dell'arteria gastrica), il danno morale andava liquidato nella misura massima, pari al 50 per cento del danno biologico; quanto al danno patrimoniale da invalidità specifica, la Corte respingeva la relativa richiesta risarcitoria in quanto, nonostante l'incidenza nella misura del 25 per cento della capacità lavorativa specifica, tenuto conto del fatto che il T. svolgeva l'attività di impiegato di banca, non c'era nessuna prova di un'effettiva diminuzione del suo reddito in conseguenza del sinistro;
quanto, infine, al danno da perdita di chance, la Corte torinese riconosceva al T. l'ulteriore somma di Euro 2.000, per compensare il fatto che il medesimo - il quale sarebbe stato molto probabilmente assunto come agente di Polizia a partire dal giugno 1989 - aveva invece conseguito il posto di lavoro in banca soltanto nel mese di ottobre 1989, ed era da ritenere provato che la perdita del posto di agente fosse una conseguenza delle assenze rese necessarie a seguito dell'incidente stradale.
3. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Torino propone ricorso principale T.S., con atto affidato a due motivi.
Resiste la (Lpd) SAI s.p.a. con controricorso, contenente un motivo di ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., in quanto aventi ad oggetto la medesima pronuncia.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. e art. 2697 c.c., comma 1, nonchè omessa e insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Osserva il ricorrente che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha omesso di liquidare il danno esistenziale conseguente al sinistro. Sostiene, al riguardo, di aver concretamente dimostrato il proprio desiderio di entrare a far parte della Polizia di Stato, desiderio rimasto frustrato proprio a causa delle menomazioni patite, le quali avevano portato l'Amministrazione, all'esito della visita medica, a ritenerlo inidoneo per tale attività. Precisa, inoltre, che la giurisprudenza riconosce il diritto al risarcimento di siffatto danno a prescindere dalla prova circostanziata del concreto pregiudizio subito.
1.2. Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla nota e fondamentale sentenza delle Sezioni Unite 11 novembre 2008, n. 26972, ha affermato che nel nostro ordinamento non esiste l'autonoma categoria del danno "esistenziale", in quanto, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi che scaturiscono dalla lesione di interessi di rango costituzionale della persona, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore voce di danno si risolverebbe in una non consentita duplicazione risarcitoria; ove, invece, si intendesse includere nella categoria i pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe illegittima, stante la non risarcibilità di simili pregiudizi in base al menzionato art. 2059.
La pronuncia delle Sezioni Unite ha trovato ampia e costante conferma nella giurisprudenza più recente, segnatamente di questa Sezione (v., tra le altre, le sentenze 30 novembre 2011, n. 25575, e 9 marzo 2012, n. 3718); anche l'odierna pronuncia intende dare continuità a tale orientamento, sicchè il motivo di ricorso in esame deve essere rigettato.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2043 c.c. e art. 2697 c.c., comma 1, nonchè omessa e insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Rileva in proposito il ricorrente che la c.t.u. svolta in primo grado ha riconosciuto la diminuzione della sua capacità lavorativa specifica nella misura del 25 per cento. A fronte di tale valutazione, la sentenza impugnata - confermando quella di primo grado - ha riconosciuto un danno assai modesto (Euro 6.937), considerando tale voce "alla stregua di un surplus pari ad un quarto dell'invalidità permanente del 15 per cento effettivamente riconosciuta al T.". Tale criterio non sarebbe convincente, poichè lo stato di invalidità si è tradotto in un insuperabile ostacolo alla progressione in carriera, com'è confermato dal fatto che il ricorrente, dalla data della sua assunzione, ha solo fruito delle promozioni periodiche contrattualmente previste.
2.2. Anche questo motivo non è fondato.
Costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte quella per cui l'accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta l'automatico obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica e, quindi, di produzione di reddito. Detto danno patrimoniale sussiste solo se tale invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica e deve, perciò, essere accertato in concreto; a tal fine, il danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere un'attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo l'infortunio, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali (così, fra le altre, le sentenze 19 febbraio 1998, n. 1764, 20 gennaio 2006, n. 1120, 27 aprile 2010, n. 10074, 24 febbraio 2011, n. 4493). Occorre, in altre parole, la dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio patrimoniale.
Nella specie, al contrario, la Corte d'appello piemontese, con motivazione quanto mai dettagliata e scrupolosa, sorretta da logica impeccabile, ha preso in esame l'intera vicenda relativa al danno subito dal T., pervenendo alla conclusione secondo cui l'accertata diminuzione della capacità Lavorativa del ricorrente non si è tradotta in alcuna perdita di reddito.
La sentenza impugnata ha rilevato, tra l'altro, che "il T. svolge la professione (tradizionalmente considerata come tranquilla, sicura e sedentaria) di impiegato di banca, in qualità di lavoratore dipendente, retribuito anche in caso di assenze per malattia dal servizio", e che "non si è registrato un danno da lucro cessante per la mancata percezione di redditi connessi alla menomazione fisica da cui l'attore è risultato affetto". Il T. ha aggiunto la Corte d'appello - "è in grado di svolgere e svolge la sua professione (...) e palesa solamente stanchezze e malattie che si traducono in assenze dal servizio maggiori rispetto a quelle dei suoi colleghi".
Quanto, poi, ad un presunto danno da pregiudizio alla carriera in conseguenza dei postumi dell'incidente, la Corte d'appello ha dato atto che esso è rimasto del tutto sfornito di prova.
Si tratta, come si vede, di valutazioni bene argomentate e del tutto condivisibili, tanto più che già il Tribunale aveva riconosciuto, con decisione confermata in sede di appello, una maggiorazione del risarcimento del danno biologico nella misura di un quarto proprio in conseguenza della riconosciuta invalidità specifica.
3. Il ricorso principale è, quindi, rigettato.
Da tale esito deriva l'assorbimento di quello incidentale condizionato proposto dalla società di assicurazione (Lpd), risultata vittoriosa, rispetto al quale sussiste carenza di interesse alla decisione (v. ordinanza 10 giugno 2008, n. 15362); il ricorso incidentale, peraltro, aveva ad oggetto proprio la contestazione della riconoscibilità della figura del danno esistenziale.
4. In ossequio al principio della soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, come da dispositivo, in conformità al soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200, di cui 4.000 per compensi, oltre accessori di legge.
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