Le tute dei netturbini? Deve lavarle l'azienda comunale, altrimenti paga i danni |
Gli indumenti ad alta visibilità servono anche a difendere gli operatori ecologici dalle infezioni: l'obbligo di mantenerli in stato di efficienza non può non ricadere sul datore, ma non si estende a tutti i capi da lavoro forniti ai dipendenti |
(Sezione lavoro, sentenza n. 15202/10; depositata il 23 giugno) |
DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-06-2010, n. 15202
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-06-2010, n. 15202
Svolgimento del processo
1.
Con ricorso depositato il 14.10.03, la Aquilana Società Multiservizi
s.p.a (ASM) ha impugnato la sentenza del tribunale dell'Aquila del 9
maggio - 4 giugno 2003 con la quale è stata condannata a pagare ai 46
dipendenti in epigrafe nominati la somma di L. 864.000 annue a titolo di
risarcimento del danno derivante dalla violazione dell'obbligo di
lavare gli indumenti ad alta visibilità forniti ai dipendenti e ciò per
il periodo intercorrente dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 a quella del febbraio 1999, momento in cui essa aveva provveduto all'istituzione del servizio di lavanderia.
L'appellante
ha dedotto che erroneamente il giudice di primo grado ha individuato
nel novembre 1994 la data di entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. n. 626
che invece sono divenute vincolanti solo il 1. 1.1997. Ha eccepito il
difetto di prova del danno subito dai dipendenti ed ha contestato i
criteri utilizzati dal Tribunale per procedere alla valutazione
equitativa del danno. Ha concluso chiedendo il rigetto della domanda dei
lavoratori o, in subordine, la riduzione dell'ammontare delle somme
liquidate a titolo di risarcimento dei danni.
I
lavoratori si sono costituiti ed hanno chiesto il rigetto dell'appello
principale. Hanno proposto appello incidentale deducendo che l'obbligo
per la società di procedere al lavaggio degli indumenti di lavoro
sussisteva già prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 in forza del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379
e che pertanto la loro domanda di risarcimento danni deve essere
accolta a partire dalla data delle rispettive assunzioni in servizio.
Inoltre
hanno lamentato che ingiustamente il Tribunale ha limitato l'obbligo
datoriale di lavaggio ai soli capi esterni ad alta visibilità e non l'ha
esteso invece a tutti gli indumenti di lavoro forniti dall'Azienda.
Hanno poi lamentato la mancata ammissione della prova testimoniale
articolata in primo grado.
2. La Corte
istruiva la causa acquisendo documentazione e nuovi conteggi e con
sentenza del 13 ottobre - 9 novembre 2005 accoglieva l'appello
principale e l'appello incidentale per quanto di ragione e, in riforma
della sentenza impugnata, incrementava, per ciascuno dei lavoratori,
l'importo della condanna dell'Aquilana Società Multiservizi s.p.a. a
titolo di risarcimento del danno per l'omesso lavaggio degli indumenti.
Confermava
la statuizione sulle spese processuali contenuta nella sentenza di
primo grado e compensava le spese del giudizio d'appello.
4. Avverso questa pronuncia propongono ricorso per cassazione gli originar ricorrenti con due motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata e propone ricorso incidentale con due motivi.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
1.
Il ricorso principale è articolato in due motivi con cui si deduce
vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria (in ordine alla
limitazione --- ritenuta dalla Corte territoriale - dell'obbligo del
datore di lavoro di lavaggio degli indumenti dei lavoratori ai soli
indumenti "esterni" mentre la nozione di "dispositivi di protezione
individuale" - DPI - era da ritenersi più ampia e comprensiva anche di
indumenti "interni") nonchè violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 e D.P.R. n. 303 del 1956, art. 4, lett. c), nonchè del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 40 (per aver la Corte territoriale limitato la nozione di "dispositivi di protezione individuale" agli indumenti esterni).
2.
Il ricorso incidentale è articolato in due motivi con cui si denuncia
la violazione o falsa applicazione, in particolare, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 40 e 43
(sostenendo che la domanda degli originari ricorrenti avrebbe dovuto
essere rigettata quanto meno per il periodo anteriore all'entrata in
vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994), nonchè la violazione degli artt. 2697 e 1226 c.c. (mancando la prova del danno risarcibile).
3.
I giudizi promossi con i due ricorsi, principali ed incidentale, vanno
riuniti avendo ad oggetto la stessa pronuncia impugnata.
4. Il ricorso principale - i cui due motivi possono essere trattati congiuntamente - è infondato.
E'
sufficiente rilevare che costituisce una questio facti
l'identificazione in concreto dei "dispositivi di protezione
individuale"; la motivazione della sentenza impugnata, che li limita
nella specie, tenuto conto delle caratteristiche della prestazione
lavorativa, agli indumenti esterni, è sufficientemente e non
contraddittoriamente motivata.
5. Parimenti infondato è il ricorso incidentale.
5.1.
Quanto al primo motivo deve considerarsi che questa Corte (Cass., sez.
lav., 5 novembre 1998, n. 11139) ha già affermato che l'idoneità degli
indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a
disposizione dei lavoratori - a norma del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994
e ai sensi dell'art. 40, art. 43, commi 3 e 4 di tale Decreto, per il
periodo successivo - deve sussistere non solo nel momento della consegna
degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione
della prestazione lavorativa; le norme suindicate, infatti, finalizzate
alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario
assoluto (art. 32 Cost.), solo nel suddetto modo conseguono il
loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di
prevenire l'insorgenza e il diffondersi d'infezioni; ne consegue che,
essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato
di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro,
quale destinatario dell'obbligo previsto dalle citate disposizioni.
Cfr.
anche Cass., sez. lav., 14 novembre 2005, n. 22929, secondo cui
l'idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve
mettere a disposizione dei lavoratori - a norma del D.P.R. n. 457 del
1955, art. 379 fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994
e ai sensi dell'art. 40, art. 43, commi 3 e 4, di tale Decreto, per il
periodo successivo - deve sussistere non solo nel momento della consegna
degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione
della prestazione lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate
alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario
assoluto (art. 32 Cost.), solo nel suddetto modo conseguono il
loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di
prevenire l'insorgenza e il diffondersi d'infezioni. Ne consegue che,
essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato
di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro,
quale destinatario dell'obbligo previsto dalle citate disposizioni.
In
senso conf. v. anche Cass., sez. lav., 20 maggio 2009, n. 11729, che ha
sottolineato come il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene
all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito,
il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere
censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della
decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto
conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo; ha
quindi confermato la sentenza impugnata che, nel far applicazione del
notorio relativamente alla circostanza che gli indumenti di lavoro
forniti ai dipendenti addetti alle operazioni di raccolta dei rifiuti
abbisognino di lavaggi periodici, aveva condannato il datore di lavoro a
provvedere al lavaggio degli indumenti a sue spese.
5.2.
Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile atteso che la
motivazione sulla quantificazione del danno attiene ad una tipica
valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità perchè
motivata in termini sufficienti e non contraddittori.
6.1 ricorsi, principale ed incidentale, vanno quindi rigettati entrambi.
Sussistono giustificati motivi (soccombenza reciproca) per compensare tra le parli le spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione
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