Marito minaccia di morte la moglie? Legittimo sequestro armi anche se non usate per minacciare
Con la sentenza n. 21998, la sesta sezione penale della Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo delle armi da caccia, regolarmente ..
Con la sentenza n. 21998, la sesta sezione penale della Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo delle armi da caccia, regolarmente ..
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 07-01-2010) 09-06-2010, n. 21998
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Ravenna, adito da istanza di riesame ex art. 324 c.p.p.,
ha confermato il provvedimento con cui il giudice per le indagini
preliminari di quel Tribunale in data 27.5.2009 ha convalidato, su
richiesta del procedente p.m., il sequestro preventivo di più armi da
sparo e relative munizioni (quattro fucili da caccia, una carabina, una
pistola e quattro canne per fucile da caccia) detenute legittimamente da
P.M., indagato per reati di violazione degli obblighi di assistenza
familiare e di minaccia grave in danno della moglie. Sequestro eseguito
in via di urgenza (art. 321 c.p.p., comma 3-bis) dalla polizia
giudiziaria per fini "cautelativi" a seguito di denuncia-querela
presentata il 9.5.2009 da P.G., moglie separata del P., che riferiva -
tra l'altro - di aver subito intimidazioni dal coniuge, che le aveva
anche puntato contro una delle molte armi in suo possesso, minacciando
di ucciderla ("ti spappolo il cervello" e frasi simili).
Il g.i.p. del Tribunale di Ravenna ha motivato la convalida del sequestro con coeva emissione del decreto di cui all'art. 321 c.p.p.,
comma 1, quanto al fumus commissi delicti, con l'avvenuta iscrizione
nel registro delle notizie di reato del P. e con la sussumibilità della
sua condotta nelle ipotizzate fattispecie criminose e in particolare in
quella di minaccia grave nei confronti della moglie separata, le
evenienze da costei rappresentate radicando altresì il periculum in
mora, idoneo a giustificare la misura cautelare ablativa, allo scopo di
scongiurare il protrarsi delle conseguenze del reato e di prevenirne
possibili ulteriori e più gravi progressioni lesive.
2.
Il Tribunale del riesame di Ravenna ha ritenuto ingiustificati i
rilievi critici espressi dalla difesa dell'indagato, osservando che il
sindacato del giudice del riesame non può investire la concreta
fondatezza dell'accusa, essendo necessariamente limitato alla verifica
dell'astratta sussumibilità dei fatti attribuiti all'indagato in una
determinata ipotesi di reato. Evenienza che ricorre senz'altro nella
vicenda di specie, correlata alla concludenza e coerenza interna dei
dati accusatori delineati dalla consorte del P. con la denuncia-querela,
in cui ha esposto di essere stata vittima di ripetute minacce da parte
del marito inscriventisi negli ormai deteriorati rapporti di coppia
all'origine della separazione coniugale. Di tal che, a fronte della
constatata sussistenza del fumus del reato di minaccia grave
riconducibile ai contegni del P. e del palese pericolo di una loro
possibile prosecuzione con ancor più gravi manifestazioni, non vi è
spazio alcuno, nel giudizio incidentale afferente alla disposta cautela
reale, per spingere l'indagine del riesame ad un improprio riscontro del
merito degli elementi indiziari ex art. 273 c.p.p. volto al
prognostico apprezzamento dell'effettiva responsabilità penale del
prevenuto per il reato di minaccia attribuitogli. Nè i limiti del
giudizio di riesame sull'eseguito sequestro preventivo delle numerose
armi da fuoco detenute dall'indagato possono considerarsi superati a
seguito della denuncia a sua volta presentata dal P. contro la moglie,
con la quale prospetta una diversa e alternativa ricostruzione dei
burrascosi rapporti coniugali imperniata su emergenze di mero fatto,
estranee allo spettro dell'analisi incidentale rimessa ai sensi dell'art. 324 c.p.p. al giudice del riesame.
3. Avverso l'illustrata ordinanza reiettiva dei giudici del riesame ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325 c.p.p.
il P., deducendo violazione di legge e carenza ed illogicità della
motivazione con riguardo ai seguenti profili della regiudicanda
cautelare: 1) insussistenza di dati asseveranti la commissione del reato
di minaccia; 2) assenza o inattualità del pericolo derivante dal
possesso delle armi sottoposte a sequestro preventivo; 3) omesso esame
degli elementi prospettati dalla difesa nel corso dell'udienza camerale
di riesame e assertività delle formule di stile con cui è stata respinta
l'istanza di revoca della misura cautelare.
Con
il ricorso si assume, innanzitutto, che il sequestro delle armi è stato
disposto in base alla sola versione della presunta persona offesa dal
reato di minaccia, senza tener conto del fatto che il narrato della
moglie separata dell'indagato è scandito da assoluta genericità e dalla
mancata indicazione di specifici episodi di minaccia anche con armi, non
localizzabili nello spazio e nel tempo. La denuncia della donna del
9.5.2009, d'altro canto, non fa riferimento a reati che presuppongano
specifico uso di armi da sparo. Sicchè nei fatti difetta il fumus del
reato di minaccia posto a fondamento del sequestro. In secondo luogo non
è acquisito alcun indice che accrediti il pericolo di un uso lesivo
delle armi da sparo da parte dell'indagato, poichè si trascura di
rilevare che, a voler prestar fede alla denuncia della P. che
alluderebbe ad un episodio di minaccia risalente al febbraio 2009, la
donna si è indotta a presentare denuncia quasi tre mesi dopo siffatto
episodio, pur allo stesso non essendone seguiti degli altri, tali da
ipotizzare la supposta pericolosità dell'indagato. Ciò a tacere del
fatto che, essendosi sequestrate le armi di "proprietà" dell'indagato,
costui ben potrebbe - in quanto titolare di licenza di porto di armi -
procurarsene altre (in comodato, a nolo o altrimenti), in guisa che il
sequestro non varrebbe a contrastare il supposto pericolo di
aggravamento delle conseguenze del reato. Il Tribunale del riesame,
infine, non ha preso in considerazione i dati conoscitivi, anche
documentali, rappresentati dall'indagato (motivi aggiunti alla richiesta
di riesame) per descrivere l'inconsistenza delle accuse espresse dalla
moglie del prevenuto, accuse prive di riscontri testimoniali e che -
tuttavia - i giudici del gravame hanno reputato meritevoli di piena
credibilità. 4. Le censure formulate dal ricorrente sono manifestamente
infondate e il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Va premesso, per linearità sistematica, che il ricorso per cassazione previsto dall'art. 325 c.p.p.
è esperibile in relazione a soli vizi di legittimità di violazione di
legge e non anche di carenza o illogicità della motivazione. Laonde non
possono prendersi in esame in questa sede (per loro indeducibilità) i
profili dell'impugnazione incentrati sulla presunta carenza o
contraddittorietà del percorso decisorio tracciato dall'ordinanza del
riesame. Profili per altro in concreto inesistenti, sol che si abbia
riguardo alla completezza e linearità logica dell'analisi dei referenti
della misura cautelare reale caratterizzanti il provvedimento del
Tribunale di Ravenna, fattosi carico di esaminare (diversamente da
quanto si sostiene in ricorso) anche i profili additivi di doglianza del
P., valutandoli inconferenti ai fini dello specifico vaglio incidentale
sulla sussistenza al fumus commissi delicti.
Sotto
questo peculiare aspetto - in uno all'immanente periculum di condotte
dell'imputato protraenti o aggravatrici delle "conseguenze del reato" - i
giudici del riesame di Ravenna hanno puntualmente evidenziato come la
denunciante moglie separata del P. non abbia fatto menzione di un solo
particolare episodio di minaccia con una delle armi possedute dal
marito, ma abbia ricordato il verificarsi di più occasioni in cui il
marito ha assunto siffatti atteggiamenti, sì da legittimare il
configurarsi di un contesto di "minacce reiterate". Emergenze rispetto
alle quali la contraria tesi ricostruttiva dell'indagato, mediata dalla
denuncia presentata contro la moglie, non può rivestire - per la sua
diretta pertinenza all'analisi del merito fattuale della vicenda -
valenze esimenti.
In vero il ricorrente
suppone che la sede del riesame e - in seguito - l'odierna sede di
legittimità integrino lo spazio processuale nel cui ambito possa
sottoporsi a scrutinio l'effettiva sussistenza del reato ipotizzato
dall'accusa nei confronti del destinatario del sequestro e non già la
sola sua concreta e attuale prefigurazione. Il controllo di natura per
dir così ontologica - a prescindere dall'immanente fluidità dell'accusa,
essendosi in fase di indagini preliminari in corso di svolgimento - non
può che essere demandato alla piena cognizione del giudice di merito (e
non al giudice del riesame della misura e, tanto meno, al giudice di
legittimità). In altri termini il ricorrente raffigura doglianze che
trascendono l'area valutativa propria della fase procedimentale,
trasponendo in questa sede questioni (inerenti alla storicità del reato
delineato dal p.m. nei suoi confronti) che possono e debbono essere
proposte nella sede della piena cognizione di merito e che nell'odierno
giudizio peccano di genericità o esorbitanza rispetto al reale thema
decidendum.
In questa prospettiva il giudice
del riesame non è chiamato ad effettuare un meticoloso riscontro della
coincidenza o correlazione tra i fatti-reato attribuiti e le concrete
risultanze accusatorie, ma soltanto a registrare l'astratta
corrispondenza al a ipotesi di imputazione del p.m., allo stato della
fase processuale delle evenienze emerse o accertate fino a quel momento.
Nel che consiste la verifica dell'esistenza del fumus de reato e la sua
relazione con le esigenze di cautela reale (pericolo di ulteriori esiti
dannosi scaturenti dalla disponibilità dei beni sequestrati), non
potendosi ovviamente dar luogo ad una sorta di surrettizio processo al
processo (procedimento) ancora in fase evolutiva (cfr.: Cass. Sez. 6,
4.2.1993 n. 316, Francesconi, rv. 193854; Cass. S.U. 23.2.2000 n. 7,
Mariano, rv. 215840; Cass. S.U., 17.12.2003 n. 920/04, Mantella, rv.
226492).
Se le illustrate notazioni valgono a
sgombrare il campo dall'infondata doglianza di ordine generale del
ricorrente (inesistenza dei presupposti cautelari per difetto del fumus
del reato ascrittogli), avuto riguardo alla corretta disamina compiutane
- in conformità agli stabili indirizzi della giurisprudenza di
legittimità - dal Tribunale di Ravenna è agevole constatare che analogo
giudizio di completezza e di corretto vaglio giuridico deve esprimersi
per il tema sotteso al complementare periculum in mora valutato
dall'impugnata ordinanza. In tale dinamica la tesi del ricorrente della
possibilità di attingere altre armi da sparo diverse da quelle in
sequestro è tesi che, come suoi dirsi, prova troppo. Nel senso che
(impregiudicate eventuali ulteriori iniziative dell'ufficio giudiziario
inquirente incidenti anche su siffatta potenzialità) essa tesi non
varrebbe giammai a vanificare l'intrinseca pericolosità delle armi in
proprietà del P., dal momento che la pericolosità legittimante, ai sensi
dell'art. 321 c.p.p., comma 1, il sequestro preventivo si
ragguaglia alla concreta e attuale possibilità che gli oggetti sottratti
all'uso dell'avente diritto possano acquisire una funzione strumentale
per protrarre o aggravare gli effetti del reato contestato ovvero a
favorirne la commissione di altri, omologhi o non a quello per cui si
procede (Cass. Sez. 3, 23.1.2009 n. 11769, Trulli, rv. 239250).
Alla
declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione segue per legge la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento di una somma alla cassa delle ammende, che si reputa equo
fissare in misura di Euro mille.
P.Q.M.
La
Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro
mille in favore della cassa delle ammende.
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