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mercoledì 14 settembre 2016

Cassazione: Marito minaccia di morte la moglie? Legittimo sequestro armi anche se non usate per minacciare



Marito minaccia di morte la moglie? Legittimo sequestro armi anche se non usate per minacciare
Con la sentenza n. 21998, la sesta sezione penale della Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo delle armi da caccia, regolarmente ..
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 07-01-2010) 09-06-2010, n. 21998
Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Ravenna, adito da istanza di riesame ex art. 324 c.p.p., ha confermato il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale in data 27.5.2009 ha convalidato, su richiesta del procedente p.m., il sequestro preventivo di più armi da sparo e relative munizioni (quattro fucili da caccia, una carabina, una pistola e quattro canne per fucile da caccia) detenute legittimamente da P.M., indagato per reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare e di minaccia grave in danno della moglie. Sequestro eseguito in via di urgenza (art. 321 c.p.p., comma 3-bis) dalla polizia giudiziaria per fini "cautelativi" a seguito di denuncia-querela presentata il 9.5.2009 da P.G., moglie separata del P., che riferiva - tra l'altro - di aver subito intimidazioni dal coniuge, che le aveva anche puntato contro una delle molte armi in suo possesso, minacciando di ucciderla ("ti spappolo il cervello" e frasi simili).
Il g.i.p. del Tribunale di Ravenna ha motivato la convalida del sequestro con coeva emissione del decreto di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1, quanto al fumus commissi delicti, con l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato del P. e con la sussumibilità della sua condotta nelle ipotizzate fattispecie criminose e in particolare in quella di minaccia grave nei confronti della moglie separata, le evenienze da costei rappresentate radicando altresì il periculum in mora, idoneo a giustificare la misura cautelare ablativa, allo scopo di scongiurare il protrarsi delle conseguenze del reato e di prevenirne possibili ulteriori e più gravi progressioni lesive.
2. Il Tribunale del riesame di Ravenna ha ritenuto ingiustificati i rilievi critici espressi dalla difesa dell'indagato, osservando che il sindacato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell'accusa, essendo necessariamente limitato alla verifica dell'astratta sussumibilità dei fatti attribuiti all'indagato in una determinata ipotesi di reato. Evenienza che ricorre senz'altro nella vicenda di specie, correlata alla concludenza e coerenza interna dei dati accusatori delineati dalla consorte del P. con la denuncia-querela, in cui ha esposto di essere stata vittima di ripetute minacce da parte del marito inscriventisi negli ormai deteriorati rapporti di coppia all'origine della separazione coniugale. Di tal che, a fronte della constatata sussistenza del fumus del reato di minaccia grave riconducibile ai contegni del P. e del palese pericolo di una loro possibile prosecuzione con ancor più gravi manifestazioni, non vi è spazio alcuno, nel giudizio incidentale afferente alla disposta cautela reale, per spingere l'indagine del riesame ad un improprio riscontro del merito degli elementi indiziari ex art. 273 c.p.p. volto al prognostico apprezzamento dell'effettiva responsabilità penale del prevenuto per il reato di minaccia attribuitogli. Nè i limiti del giudizio di riesame sull'eseguito sequestro preventivo delle numerose armi da fuoco detenute dall'indagato possono considerarsi superati a seguito della denuncia a sua volta presentata dal P. contro la moglie, con la quale prospetta una diversa e alternativa ricostruzione dei burrascosi rapporti coniugali imperniata su emergenze di mero fatto, estranee allo spettro dell'analisi incidentale rimessa ai sensi dell'art. 324 c.p.p. al giudice del riesame.
3. Avverso l'illustrata ordinanza reiettiva dei giudici del riesame ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325 c.p.p. il P., deducendo violazione di legge e carenza ed illogicità della motivazione con riguardo ai seguenti profili della regiudicanda cautelare: 1) insussistenza di dati asseveranti la commissione del reato di minaccia; 2) assenza o inattualità del pericolo derivante dal possesso delle armi sottoposte a sequestro preventivo; 3) omesso esame degli elementi prospettati dalla difesa nel corso dell'udienza camerale di riesame e assertività delle formule di stile con cui è stata respinta l'istanza di revoca della misura cautelare.
Con il ricorso si assume, innanzitutto, che il sequestro delle armi è stato disposto in base alla sola versione della presunta persona offesa dal reato di minaccia, senza tener conto del fatto che il narrato della moglie separata dell'indagato è scandito da assoluta genericità e dalla mancata indicazione di specifici episodi di minaccia anche con armi, non localizzabili nello spazio e nel tempo. La denuncia della donna del 9.5.2009, d'altro canto, non fa riferimento a reati che presuppongano specifico uso di armi da sparo. Sicchè nei fatti difetta il fumus del reato di minaccia posto a fondamento del sequestro. In secondo luogo non è acquisito alcun indice che accrediti il pericolo di un uso lesivo delle armi da sparo da parte dell'indagato, poichè si trascura di rilevare che, a voler prestar fede alla denuncia della P. che alluderebbe ad un episodio di minaccia risalente al febbraio 2009, la donna si è indotta a presentare denuncia quasi tre mesi dopo siffatto episodio, pur allo stesso non essendone seguiti degli altri, tali da ipotizzare la supposta pericolosità dell'indagato. Ciò a tacere del fatto che, essendosi sequestrate le armi di "proprietà" dell'indagato, costui ben potrebbe - in quanto titolare di licenza di porto di armi - procurarsene altre (in comodato, a nolo o altrimenti), in guisa che il sequestro non varrebbe a contrastare il supposto pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato. Il Tribunale del riesame, infine, non ha preso in considerazione i dati conoscitivi, anche documentali, rappresentati dall'indagato (motivi aggiunti alla richiesta di riesame) per descrivere l'inconsistenza delle accuse espresse dalla moglie del prevenuto, accuse prive di riscontri testimoniali e che - tuttavia - i giudici del gravame hanno reputato meritevoli di piena credibilità. 4. Le censure formulate dal ricorrente sono manifestamente infondate e il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Va premesso, per linearità sistematica, che il ricorso per cassazione previsto dall'art. 325 c.p.p. è esperibile in relazione a soli vizi di legittimità di violazione di legge e non anche di carenza o illogicità della motivazione. Laonde non possono prendersi in esame in questa sede (per loro indeducibilità) i profili dell'impugnazione incentrati sulla presunta carenza o contraddittorietà del percorso decisorio tracciato dall'ordinanza del riesame. Profili per altro in concreto inesistenti, sol che si abbia riguardo alla completezza e linearità logica dell'analisi dei referenti della misura cautelare reale caratterizzanti il provvedimento del Tribunale di Ravenna, fattosi carico di esaminare (diversamente da quanto si sostiene in ricorso) anche i profili additivi di doglianza del P., valutandoli inconferenti ai fini dello specifico vaglio incidentale sulla sussistenza al fumus commissi delicti.
Sotto questo peculiare aspetto - in uno all'immanente periculum di condotte dell'imputato protraenti o aggravatrici delle "conseguenze del reato" - i giudici del riesame di Ravenna hanno puntualmente evidenziato come la denunciante moglie separata del P. non abbia fatto menzione di un solo particolare episodio di minaccia con una delle armi possedute dal marito, ma abbia ricordato il verificarsi di più occasioni in cui il marito ha assunto siffatti atteggiamenti, sì da legittimare il configurarsi di un contesto di "minacce reiterate". Emergenze rispetto alle quali la contraria tesi ricostruttiva dell'indagato, mediata dalla denuncia presentata contro la moglie, non può rivestire - per la sua diretta pertinenza all'analisi del merito fattuale della vicenda - valenze esimenti.
In vero il ricorrente suppone che la sede del riesame e - in seguito - l'odierna sede di legittimità integrino lo spazio processuale nel cui ambito possa sottoporsi a scrutinio l'effettiva sussistenza del reato ipotizzato dall'accusa nei confronti del destinatario del sequestro e non già la sola sua concreta e attuale prefigurazione. Il controllo di natura per dir così ontologica - a prescindere dall'immanente fluidità dell'accusa, essendosi in fase di indagini preliminari in corso di svolgimento - non può che essere demandato alla piena cognizione del giudice di merito (e non al giudice del riesame della misura e, tanto meno, al giudice di legittimità). In altri termini il ricorrente raffigura doglianze che trascendono l'area valutativa propria della fase procedimentale, trasponendo in questa sede questioni (inerenti alla storicità del reato delineato dal p.m. nei suoi confronti) che possono e debbono essere proposte nella sede della piena cognizione di merito e che nell'odierno giudizio peccano di genericità o esorbitanza rispetto al reale thema decidendum.
In questa prospettiva il giudice del riesame non è chiamato ad effettuare un meticoloso riscontro della coincidenza o correlazione tra i fatti-reato attribuiti e le concrete risultanze accusatorie, ma soltanto a registrare l'astratta corrispondenza al a ipotesi di imputazione del p.m., allo stato della fase processuale delle evenienze emerse o accertate fino a quel momento. Nel che consiste la verifica dell'esistenza del fumus de reato e la sua relazione con le esigenze di cautela reale (pericolo di ulteriori esiti dannosi scaturenti dalla disponibilità dei beni sequestrati), non potendosi ovviamente dar luogo ad una sorta di surrettizio processo al processo (procedimento) ancora in fase evolutiva (cfr.: Cass. Sez. 6, 4.2.1993 n. 316, Francesconi, rv. 193854; Cass. S.U. 23.2.2000 n. 7, Mariano, rv. 215840; Cass. S.U., 17.12.2003 n. 920/04, Mantella, rv. 226492).
Se le illustrate notazioni valgono a sgombrare il campo dall'infondata doglianza di ordine generale del ricorrente (inesistenza dei presupposti cautelari per difetto del fumus del reato ascrittogli), avuto riguardo alla corretta disamina compiutane - in conformità agli stabili indirizzi della giurisprudenza di legittimità - dal Tribunale di Ravenna è agevole constatare che analogo giudizio di completezza e di corretto vaglio giuridico deve esprimersi per il tema sotteso al complementare periculum in mora valutato dall'impugnata ordinanza. In tale dinamica la tesi del ricorrente della possibilità di attingere altre armi da sparo diverse da quelle in sequestro è tesi che, come suoi dirsi, prova troppo. Nel senso che (impregiudicate eventuali ulteriori iniziative dell'ufficio giudiziario inquirente incidenti anche su siffatta potenzialità) essa tesi non varrebbe giammai a vanificare l'intrinseca pericolosità delle armi in proprietà del P., dal momento che la pericolosità legittimante, ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 1, il sequestro preventivo si ragguaglia alla concreta e attuale possibilità che gli oggetti sottratti all'uso dell'avente diritto possano acquisire una funzione strumentale per protrarre o aggravare gli effetti del reato contestato ovvero a favorirne la commissione di altri, omologhi o non a quello per cui si procede (Cass. Sez. 3, 23.1.2009 n. 11769, Trulli, rv. 239250).
Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che si reputa equo fissare in misura di Euro mille.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

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