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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 536/07Reg.Dec.
N.4806 Reg.Ric.
ANNO 2002
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello n. 4806/2002,proposto dal sig. ...OMISSIS....
...OMISSIS.... ...OMISSIS.... rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe
Morero ed elettivamente domiciliato in Roma, via Silla n. 7, presso
l’avv. Pietro Paolo Mennea;
contro
Ministero
dell’Interno in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via
dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliato;
Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
della
sentenza del Tribunale Amministrativo dell’Emilia Romagna, sede di
Bologna, Sezione I, n. 213/2002 in data 31 gennaio 2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato
relatore, per la pubblica udienza del 21 novembre 2006, il Consigliere
Manfredo Atzeni ed uditi, altresì, i legali di parte, come da separato
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con
ricorso al Tribunale Amministrativo per l’Emilia Romagna, Sede di
Bologna, il sig. ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... impugnava
la decisione n. 333-D/38341 in data 22/6/1998 con la quale il Capo della
Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza presso il
Ministero dell’Interno, gli aveva inflitto la sanzione disciplinare
della destituzione, deducendo cinque mezzi di gravame e chiedendo
l’annullamento del provvedimento impugnato.
Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno respinto il ricorso.
Avverso la predetta sentenza interpone appello l’originario ricorrente, contestando gli argomenti posti a fondamento del decisum,
sostenendo l’insufficienza e l’illogicità della motivazione della
sentenza impugnata, riproponendo le censure disattese in primo grado e
chiedendo l’annullamento, previa sospensione, della sentenza appellata.
Con ordinanza n. 2917 in data 9 luglio 2002 è stata accolta l’istanza cautelare.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato chiedendo, con due memorie difensive, il rigetto del ricorso.
All’udienza del 21 novembre 2006 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato, nei sensi di cui avanti.
L’odierno
ricorrente, agente scelto della Polizia di Stato, è stato destituito
dal servizio, in esito al relativo procedimento disciplinare, essendo
stata applicata nei suoi confronti, su richiesta delle parti ai sensi
dell’art. 444 c.p.p., la pena di anni uno e mesi otto di reclusione e £.
800.000 di multa per i reati di truffa, simulazione di reato e falso,
materiale ed ideologico, commessi in concorso con terzi ed in occasioni
connesse alla sua attività nell’ambito della Polizia di Stato con
comportamenti truffaldini in danni di assicurazioni, sulla base di false
denunce di furti di autovetture o di incidenti stradali.
Le
censure dedotte dal ricorrente in primo grado e riproposte in appello,
riassunte alle lettere a) – c) ed e) della sentenza di prime cure, non
sono fondate, mentre devono essere condivise le considerazioni contenute
nella sentenza appellata.
Occorre
solo sottolineare come l’appellante deduca, quale unico concreto
elemento sulla base del quale affermare la sua estraneità quanto meno ad
alcuni dei fatti contestati, il disconoscimento della sua firma su un
modulo di constatazione amichevole di incidente stradale, fondato
esclusivamente sul fatto che la sottoscrizione non reca il secondo nome.
Tale
elemento appare, invero, assolutamente secondario rispetto agli
elementi a carico dell’incolpato, riassunti nella memoria del
funzionario istruttore, le cui risultanze giustamente sono state
giudicate condivisibili nella sentenza di primo grado.
Una
volta confermati i fatti sui quali si basa l’accusa, deve convenirsi
con l’Amministrazione sulla valutazione secondo la quale degli episodi
di truffa e di falso, materiale ed ideologico, commessi da un agente
della Polizia di Stato, in vicende connesse alla sua attività
istituzionale, incrinano pesantemente la fiducia dell’amministrazione
nel senso dell’onore dell’agente, e nella sua capacità di non abusare
della propria posizione in seno all’organizzazione della Pubblica
Sicurezza.
Giustamente, quindi, il comportamento del ricorrente è stato giudicato meritevole di sanzione.
Non
può, invece, essere condiviso l’orientamento dell’amministrazione e
della sentenza appellata in relazione all’individuazione della sanzione
da applicare.
Deve
essere premesso che la Sezione non condivide le argomentazioni del
ricorrente circa l’esistenza del vizio di sviamento di potere,
denunciato affermando l’esistenza di uno spirito persecutorio nei suoi
confronti.
Invero, la gravità dei fatti giustifica ampiamente, e rende anzi doverosa, l’applicazione di una sanzione disciplinare severa.
Deve,
invece, essere contestata la logica seguita dall’amministrazione
nell’irrogare al ricorrente la sanzione massima nonostante i fatti che
hanno portato alla condanna ed alla destituzione del ricorrente abbiano
coinvolto altri addetti alla Polizia di Stato, che non hanno subito
analoghe sanzioni.
Ritiene,
infatti, il collegio che il ragionamento in base al quale viene
individuata la sanzione da applicare nei confronti di un dipendente
pubblico, colpevole di illeciti disciplinari, ogni volta in cui la
condotta di quest’ultimo si intreccia con quelle di altri dipendenti
dell’amministrazione debba tenere conto anche necessità di punire
equamente tutti i responsabili, proporzionalmente con le rispettive
colpe.
Nel
caso di specie uno dei dipendenti della Polizia di Stato, pari grado
del ricorrente, giudicato corresponsabile in uno degli episodi per i
quali egli è stato destituito, è stato sospeso dal servizio per sei
mesi.
La
diversità fra le posizioni dei due agenti riscontrata
dall’amministrazione consiste nel fatto che l’agente in questione è
stato condannato per un solo episodio, ed ha riportato una condanna
inferiore (un anno e quattro mesi, anziché un anno ed otto mesi come il
ricorrente; entrambi sono stati poi condannati a pagare £. 800.000 di
multa).
Ritiene
il collegio che una differenza marginale fra i comportamenti ascritti
ai due poliziotti e la differenza ancora più marginale fra le condanne
riportate non giustifichi la sproporzione evidente fra la sospensione
dal servizio a termine, anche se disposta per la durata massima, e
l’espulsione definitiva dal posto di lavoro.
Ulteriore
elemento di illogicità deve poi essere riscontrato in relazione alla
posizione del superiore gerarchico del ricorrente, in favore del quale,
ed anzi dietro sua sollecitazione, sarebbe stato commesso uno dei reati
ascritti al ricorrente.
Il suddetto funzionario non risulta avere subito, allo stato, alcuna sanzione disciplinare.
L’amministrazione
sostiene che ciò è dovuto al fatto che il procedimento penale
riguardante il funzionario in questione non è ancora terminato, in
quanto l’incolpato non ha ritenuto di scegliere la strada del cosiddetto
patteggiamento.
La circostanza è rilevante.
Peraltro,
deve essere osservato anche come a seguito dell’impostazione seguita
dall’amministrazione il ricorrente, che ricopre il grado di agente
scelto, sia stato allontanato definitivamente dal servizio mentre il suo
superiore il quale, nella ricostruzione dell’amministrazione, è
compartecipe ed anzi ispiratore di uno dei comportamenti ascritti al
ricorrente stesso, sia ancora in servizio, a quattordici anni di
distanza dall’epoca dei fatti, ed abbia ottenuto anche degli avanzamenti
di carriera (il fatto, riferito dall’appellante, non è contestato).
Sulla
base di tale circostanze, afferma il collegio che l’amministrazione non
ha seguito un corretto criterio di proporzionalità nel graduare le
sanzioni da applicare nei confronti dei vari soggetti implicati nei
fatti di cui si discute, in relazione alle rispettive responsabilità.
L’appello
deve, in conclusione, essere accolto in parte e, per l’effetto, in
riforma della sentenza di primo grado accolto, nei termini di cui sopra,
il ricorso di primo grado ed annullato il provvedimento impugnato nella
parte in cui, una volta accertata la responsabilità disciplinare
dell’odierno ricorrente, determina la sanzione da applicare nei suoi
confronti, in relazione alle conseguenze della vicenda sul piano
disciplinare per gli altri dipendenti della Polizia di Stato coinvolti,
fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
La
complessità della vicenda e la sola parziale fondatezza dei motivi
d’appello giustifica la compensazione integrale di spese ed onorari del
giudizio.
P.Q.M.
il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie
l’appello e, in riforma della sentenza gravata annulla, nei sensi di cui
in motivazione, il provvedimento impugnato in primo grado.
Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, il 21 novembre 2006 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento
dei Signori:
Giorgio Giovannini Presidente
Sabino Luce Consigliere
Carmine Volpe Consigliere
Gianpiero Paolo Cirillo Consigliere
Manfredo Atzeni Consigliere Est.
Presidente
f.to Giorgio Giovannini
Consigliere Segretario
f.to Manfredo Atzeni f.to Vittorio Zoffoli
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..................12/02/2007...................
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 4806/2002
FF
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