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martedì 7 maggio 2013

Cassazione: Duplicare Cd è reato anche se non sussiste lo scopo di lucro




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Duplicare Cd è reato anche se non sussiste lo scopo di lucro
I
giudici di piazza Cavour fanno chiarezza su alcuni reati prima e dopo
la riforma della Legge sul diritto d'autore. Ora la previsione dello
"scopo di profitto" estende la punibilità




Cass. pen. Sez. III,
(ud. 22-11-2006) 09-01-2007, n. 149


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA
PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITALONE
Claudio - Presidente

Dott. PETTI Ciro - Consigliere

Dott. TARDINO
Vincenzo Luigi - Consigliere

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria -
Consigliere

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere

ha pronunciato la
seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Avv. Blengino Carlo,
difensore di fiducia di R.E., n. a (OMISSIS), e da F.C., n. a
(OMISSIS);

avverso la sentenza in data 29.3.2005 della Corte di
Appello di Torino, con la quale, in parziale riforma di quella del
Tribunale di Torino in data 28.2.2002, vennero condannati il R. alla
pena di mesi tre, giorni dieci di reclusione ed Euro 320,00 di multa,
ed il F. alla pena mesi uno, giorni venti di reclusione ed Euro 300,00
multa, pene detentive sostituite con quelle pecuniarie corrispondenti
per entrambi, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti
civili S.I.A.E e F.A.P.A.V., quali colpevoli dei reati: a) e d) di cui
alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis; b) di cui alla L. n. 633 del
1941, art. 171 ter, lett. a) e b), unificati sotto il vincolo della
continuazione.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo
Maria Lombardi;

Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore
Generale Dott. Izzo Gioacchino, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi;

Udito per la parte civile F.A.P.A.V. l'Avv. Paolo Tosoni, in
sostituzione dell'Avv. Giuseppe Alamia, che ha concluso per il rigetto
dei ricorsi;

Udito il difensore del R., Avv. Blengino Carlo, che ha
concluso per l'accoglimento del ricorso;

Udito il difensore del F.,
Avv. Lombardo Domenico che ha concluso per raccoglimento del ricorso.


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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con la sentenza
impugnata la Corte di Appello di Torino ha confermato la pronuncia di
colpevolezza di R.E. e F.C. in ordine ai reati: a) e d) di cui alla L.
n. 633 del 1941, art. 171 bis; b) di cui alla L. n. 633 del 1941, art.
171 ter, lett. a) e b), loro ascritti per avere, a fine di lucro,
duplicato abusivamente, utilizzando un computer configurato come server
FTP, e distribuito programmi per elaboratore illecitamente duplicati,
giochi per psx, video CD (capo A); per avere, a fine di lucro,
abusivamente duplicato su supporto informatico opere cinematografiche,
mettendole poi a disposizione sul server FTP, dal quale potevano essere
scaricate da utenti abilitati all'accesso tramite un codice
identificativo e relativa password a fronte del conferimento di
materiali informatici sul predetto server FTP (capo B), nonchè il R.
per avere detenuto a scopo commerciale programmi destinati a consentire
o facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione applicati a
programmi per elaboratore (capo D).

I giudici di merito hanno
accertato io punto di fatto che gli imputati avevano creato, gestito e
curato la manutenzione di un sito FTP mediante un computer esistente
presso l'associazione studentesca del Politecnico di Torino, sul quale
venivano scaricati (download) programmi tutelati dalle norme sul
diritto d'autore. Successivamente tali programmi potevano essere
prelevati da determinati utenti che avevano accesso al server in cambio
del conferimento a loro volta di materiale informatico, nonchè il solo
R. per avere detenuto presso la sua abitazione programmi destinati a
consentire o facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione
applicati ai programmi per elaboratore.

La sentenza ha rigettato i
motivi di gravame con i quali il F. aveva dedotto la propria estraneità
ai fatti ed entrambi gli imputati la non configurabilità delle
fattispecie criminose di cui alla contestazione prima della riforma di
cui alla L. 18 agosto 2000, n. 248 e successive modificazioni. La
sentenza su tale ultimo punto, in sintesi, ha affermato che le
operazioni descritte integrano le ipotesi delittuose di cui ai capi di
imputazione, pur nella previsione normativa antecedente alla legge di
riforma citata, osservando che l'attività posta in essere dagli
imputati implica necessariamente la duplicazione dei programmi ed altri
files relativi ad opere musicali o cinematografiche protetti dal
diritto d'autore e che lo scambio del materiale informatico integra
l'ipotesi della duplicazione del predetto materiale a fine di lucro
richiesta per la configurabilità delle fattispecie criminose di cui
alla contestazione, nella loro formulazione normativa antecedente alla
riforma.

Si è osservato sul punto, in relazione alle differenze,
terminologiche adoperate dalla legge di riforma ("scopo di profitto"
invece di "scopo di lucro" - "detenzione per scopo commerciale o
imprenditoriale" invece di "detenzione per scopo commerciale"), che le
stesse si configurano quale interpretazione autentica del legislatore,
finalizzata a superare le questioni interpretative correlate ad ipotesi
di vantaggio non immediatamente patrimoniale;

interpretazione che non
ha ampliato l'ambito della punibilità delle fattispecie delittuose
precedenti.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso il difensore
del R. ed il F. di persona, che la denunciano per violazione di legge.

Motivi della decisione
Con un unico motivo di gravame la difesa del R.
denuncia la violazione ed errata applicazione della L. n. 633 del 1941,
artt. 171 bis e 171 ter nel testo vigente all'epoca dei fatti ed in
relazione alle modifiche apportate a detti articoli dalla L. 18 agosto
2000, n. 248, dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68, dal D.L. 22 marzo 2004,
n. 72, convertito in L. n. 128 del 2004, e dal D.L. 31 gennaio 2005, n.
7, convertito con modificazioni dalla L. n. 43 del 2005.

Si deduce, in
sintesi, che l'interpretazione delle norme incriminatrici effettuata
dalla Corte territoriale viola i principi della tipicità e della
tassatività delle fattispecie criminose di cui alle disposizioni
citate.

Si osserva in proposito, sempre in sintesi, che le differenze
terminologiche adoperate dal legislatore nelle varie formulazioni della
L. n. 633 del 1941, artt. 171 bis e 171 ter non sono esclusivamente
finalizzate ad assicurare una sempre più adeguata tutela del diritto
d'autore, dettata dalla necessità di determinare la rispondenza del
quadro normativo al progresso tecnologico, bensì anche dalla finalità
di contemperare le predette esigenze di tutela con quella di garantire
la circolazione delle opere dell'ingegno, quale strumento di progresso
sociale e culturale.

Si deduce, quindi, che le differenze
terminologiche adoperate nel testo legislativo tra "scopo di lucro" e
"scopo di profitto", peraltro generalmente connesse alla necessità di
adeguare la legislazione nazionale al Trattato dell'OMPI sul diritto
d'autore ed alle direttive comunitarie ad esso correlate, sono
conseguenza del diverso approccio del legislatore alla indicata
esigenza di contemperare contrapposti interessi, di cui costituiscono
evidente espressione le modificazioni subite in breve arco di tempo
dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter con riferimento all'elemento
soggettivo del reato, la cui soglia di punibilità è stata da ultimo
nuovamente innalzata al perseguimento di un fine di lucro da parte
dell'autore della violazione.

Si deduce, quindi, con specifico
riferimento alla pronuncia impugnata che i giudici di merito hanno
erroneamente attribuito all'imputato una attività di duplicazione dei
programmi e di opere dello ingegno protette dalla legge sul diritto
d'autore, poichè la duplicazione in effetti avveniva ad opera dei
soggetti che si collegavano con il sito FTP e da esso in piena
autonomia prelevavano i files e nello stesso ne scaricavano altri. Si
aggiunge che, in ogni caso, doveva essere esclusa l'esistenza di un
fine di lucro da parte del R., non potendosene ravvisare gli estremi
nella mera attività di scambio dei files posta in essere; che la
condotta dell'imputato, quanto meno con riferimento alle opere musicali
e cinematografiche, potrebbe ritenersi solo attualmente sanzionata
dall'art. 171 ter, comma 1, lett. a bis), aggiunto dal D.L. n. 72 del
2004, convertito in L. n. 128 del 2004; che, anche con riferimento al
programma detenuto dall'imputato nella propria abitazione, doveva
escludersi la detenzione a fini commerciali e lucrativi dello stesso,
scopo in ordine al quale, peraltro, nulla è stato affermato dai giudici
di merito.

Con un unico motivo di gravame a sua volta il F. denuncia
la violazione ed errata applicazione della L. n. 633 del 1941, artt.
171 bis e 171 ter.

Anche il secondo ricorrente denuncia l'errata
interpretazione dei giudici di merito circa la sussistenza nel caso in
esame del fine di lucro, che deve concretizzarsi nel perseguimento di
un vantaggio economicamente apprezzabile; elemento da escludersi nel
caso in esame in cui è stato accertato che lo scambio di software
avveniva esclusivamente a titolo gratuito, nè era connesso a forme di
pubblicità o ad altra utilità economica che ne potessero trarre i
creatori del sito FTP. I ricorsi sono fondati.

E' opportuno premettere
che appare pienamente condivisibile, con riferimento all'elemento
materiale della fattispecie delittuosa principale, l'affermazione della
impugnata sentenza, secondo la quale le operazioni di "download" sul
server FTP e dallo stesso sui computer delle persone che si collegavano
al sito, implica necessariamente la duplicazione del materiale
informatico e, più in generale, delle opere dell'ingegno protette dal
diritto d'autore oggetto dell'operazione, sicchè sotto il citato
profilo vi è sostanziale coincidenza tra i fatti ascritti agli imputati
e le ipotesi criminose ritenute dai giudici di merito.

La questione
nodale circa l'applicabilità, nel caso in esame, delle fattispecie
criminose di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, introdotto dal
D.Lgs. 29 dicembre 1992, n. 518, art. 10 e art. 171 ter della medesima
legge, introdotto dal D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685, art. 17, nella
loro formulazione antecedente alla Legge di riforma n. 248 del 2000, è,
pertanto, costituita dalla interpretazione del termine "scopo di
lucro", adoperato nel testo delle norme vigenti all'epoca dei fatti,
rispetto all'espressione "scopo di profitto", introdotto dalla legge di
riforma, con la conseguente individuazione del diverso ambito di
applicazione delle fattispecie per effetto delle citate differenze
terminologiche.

In proposito non si palesa certamente condivisibile
l'affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale le diverse
espressioni con le quali il legislatore ha, di volta in volta,
individuato il citato elemento soggettivo del reato costituiscono mera
estrinsecazione di una interpretazione autentica dello stesso concetto,
semplicemente riformulato in termini più esaustivi nella successiva
modificazione della norma per un migliore adeguamento terminologico
della tutela penale alla evoluzione dei fenomeni di violazione del
diritto d'autore.

Contrasta con tale interpretazione il diverso valore
che le predette espressioni assumono nella loro comune accezione e che
il legislatore ha indubbiamente attribuito ad esse, sia nella
utilizzazione in materia di reati contro il patrimonio, al posto di
quella afferente al lucro, al fine di estendere la sfera di
applicabilità della tutela penale, sia con riferimento alle modifiche
legislative che hanno interessato proprio la legge sul diritto
d'autore.

E' stato esattamente evidenziato in proposito dalla difesa
del R. che l'espressione "fini di lucro", contenuta nel testo attuale
della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, è stata dapprima
sostituita con quella "per trame profitto" dal D.L. 22 marzo 2004, n.
72, art. 1, comma 2, convenite con modificazioni dalla L. n. 128 del
2004, e successivamente reinserita al posto di quella "per trarne
profitto" dal D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, art. 3, comma 3 quinquies,
convertito con modificazioni dalla L. n. 43 del 2005.

Orbene, tali
modifiche non possono essere altrimenti interpretate che quale
espressione dello specifico intento del legislatore di modificare la
soglia di punibilità della condotta descritta dalla norma, a seconda
del prevalere di interessi di salvaguardia del diritto d'autore o di
quello contrapposto, afferente alla libera circolazione delle opere
dell'ingegno, incidendo direttamente sulla qualificazione del dolo
specifico richiesto per la configurazione del reato.

Nè appare molto
conferente, a sostegno della tesi interpretativa sostenuta nella
sentenza impugnata, il riferimento alla pronuncia di questa Suprema
Corte (sez. 3^, 200133896, Furci, RV 220344), che si è occupata della
diversa espressione, "a scopo commerciale", contenuta nella L. n. 633
del 1941, art. 171 bis, precisando che per scopo commerciale non deve
intendersi necessariamente la destinazione alla vendita delle copie non
autorizzate dei programmi per elaboratore, in quanto tale scopo può
configurarsi mediante qualsiasi utilizzazione imprenditoriale del
materiale abusivo.

La citata pronuncia, invero, si riferisce ad un
diverso dato normativo, che afferisce precipuamente alla delimitazione
della materialità della condotta criminosa, con riferimento ad una
specifica categoria di soggetti esercenti attività economica
(imprenditoriale), e non alla individuazione dell'ambito di operatività
della norma penale nel suo riferimento all'elemento soggettivo del
reato, oggetto delle modificazioni che qui interessano.

Non appare,
pertanto, dubbio che le differenti espressioni adoperate dal
legislatore nella diversa formulazione degli artt. 171 bis e ter
abbiano esplicato la funzione di modificare la soglia di punibilità del
medesimo fatto, ampliandola allorchè è stata utilizzata l'espressione
"a scopo di profitto" e restringendola allorchè il fatto è stato
previsto come reato solo se commesso a "fini di lucro" (cfr. sez. 3^,
200133303, Ashour ed altri, RV 219683).

Con tale ultima espressione,
infatti, deve intendersi un fine di guadagno economicamente
apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell'autore del
fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di altro
genere; nè l'incremento patrimoniale può identificarsi con il mero
risparmio di spesa derivante dall'uso di copie non autorizzate di
programmi o altre opere dell'ingegno, al di fuori dello svolgimento di
un'attività economica da parte dell'autore del fatto, anche se di
diversa natura, che connoti l'abuso, come nel caso esaminato dalla
pronuncia citata in precedenza.

Tale interpretazione, peraltro, trova
riscontro nella stessa legge sul diritto d'autore, che, nell'art. 174
ter, come da ultimo modificato dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68, art.
28, non attribuisce rilevanza penale alla duplicazione, riproduzione,
acquisto o noleggio di supporti non conformi alle prescrizioni della
medesima legge a fini meramente personali, allorchè, cioè, a
riproduzione o l'acquisto non concorrano con i reati previsti dall'art.
171 e seg. e non sia destinato all'emissione in commercio di detto
materiale (cfr. sez. un. 20.12.2005 n. 47164, Marino).

Nella ipotesi
esaminata viene, infatti, escluso dall'ambito della fattispecie
criminosa il comportamento dettato dalla mera finalità di un risparmio
di spesa, che indubbiamente deriva dall'acquisto di supporti duplicati
o riprodotti abusivamente.

Va ancora rilevato che la condotta
attribuita agli imputati è attualmente descritta in termini più
puntuali dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, lett. a) bis,
introdotto dal D.L. 22 marzo 2004, n. 72, art. 1, comma 3, convertito
con modificazioni dalla L. n. 128 del 2004, ma sempre con la
delimitazione della soglia di punibilità mediante il riferimento
all'ipotesi che il fatto venga commesso "a fini di lucro".

Passando
quindi all'esame dei fatti di cui alla pronuncia di condanna degli
imputati deve essere escluso, nel caso in esame, che la condotta degli
autori della violazione sia stata determinata da fini di lucro,
emergendo dall'accertamento di merito che gli imputati non avevano
tratto alcun vantaggio economico dalla predisposizione del server FTP,
mentre dalla utilizzazione dello stesso traevano sostanzialmente
profitto, nei sensi sopra precisati, i soli utenti del server medesimo.

Anche con riferimento alla detenzione da parte del R. di un programma
destinato a consentire la rimozione o l'elusione di dispositivi di
protezione di programmi non emerge dall'accertamento di merito la
finalità lucrativa cui sarebbe stata destinata la detenzione e, tanto
meno, un eventuale fine di commercio della stessa.

Gli imputati devono
essere, pertanto, prosciolti dalle imputazioni loro ascritte perchè il
fatto non è previsto dalla legge come reato, con il conseguente
annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

P.Q.M.
La Corte
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è
previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma, nella pubblica
udienza, il 22 novembre 2006.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio
2007

vldmsm
 

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