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martedì 7 maggio 2013

Cassazione: Accesso a dati riservati sulla Lan aziendale




Accesso a dati riservati sulla Lan aziendale, è legittimo il
licenziamento
Non costituisce un'attenuante la circostanza che la
"cartella" violata si trovasse in uno spazio condiviso, dato che la sua
segretezza era resa evidente dalla inaccessibilità governata dalle
"policies" di accesso del sistema
 (Sezioni unite civili, sentenza n.
153/07; depositata il 9 gennaio)
Cass. pen. Sez. III, (ud. 22-11-2006)
09-01-2007, n. 153


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITALONE Claudio - Presidente

Dott.
PETTI Ciro - Consigliere

Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere

Dott.
LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G.,
n. il (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 21.12.2004 della Corte di
Appello di Caltanissetta, con la quale, in parziale riforma di quella
del Tribunale di Enna in data 23.11.2000, venne condannato alla pena di
anni cinque e mesi sei di reclusione, oltre alle pene accessorie ed al
risarcimento dei danni in favore della parte civile, quale colpevole
dei reati di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 521 c.p., commi 1 e 2,
art. 61 c.p., n. 11 e art. 572 c.p., unificati sotto il vincolo della
continuazione.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo
Maria Lombardi;

Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore
Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'inammissibilità
del ricorso;

Udito il difensore, Avv. De Sena Plunkett Gennaro, che ha
concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza per
prescrizione.


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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con la sentenza
impugnata la Corte di Appello di Caltanissetta ha confermato la
pronuncia di colpevolezza di S.G. in ordine al reato di cui all'art. 81
cpv. c.p., art. 521 c.p., commi 1 e 2, in relazione all'art. 609 quater
c.p., art. 61 c.p., n. 11 e art. 572 c.p., ascrittigli per avere con
particolare frequenza, per circa otto anni, costretto F.G.C., figlia
della sua convivente S.A., da quando la parte lesa aveva circa dieci
anni, a subire atti di libidine, consistiti nel farsi toccare il pene,
farsi masturbare, nel toccare nelle parti intime la ragazza, e per
averla maltrattata, costringendola a subire i descritti atti sessuali,
nonchè minacciandola ed ingiuriandola.

La sentenza ha rigettato i
motivi di gravame con i quali l'appellante aveva chiesto la
rinnovazione del dibattimento, al fine di esaminare alcuni testi di
riferimento, dedotto la improcedibilità della azione penale in
relazione al reato di cui all'art. 521 c.p. per mancanza di querela,
nonchè la insussistenza dei reati ascrittigli.

Avverso la sentenza ha
proposto ricorso l'imputato, che la denuncia con tre motivi di gravame.

Motivi della decisione
Con il primo mezzo di annullamento il
ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 337
in relazione all'art. 373 c.p.p..

Si deduce che l'esercizio
dell'azione penale ha tratto origine dalle dichiarazioni rese
spontaneamente dalla parte lesa nel 1997 alla Procura della Repubblica
di Palermo per fatti avvenuti tra il 1983 ed il febbraio 1991, senza
che nell'atto fosse stata manifestata dalla denunziante la richiesta di
punizione del colpevole, con la conseguente improcedibilità dell'azione
penale per il reato di cui all'art. 521 c.p..

Si aggiunge che nella
specie non poteva ritenersi operante l'istituto della connessione con
il reato di cui all'art. 572 c.p., non potendo identificarsi tale
istituto con quello della connessione processuale.

Con il secondo
mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata
applicazione degli artt. 572 e 157 c.p..

Si deduce che la sentenza
impugnata ha erroneamente affermato la colpevolezza dell'imputato per
il reato di cui all'art. 572 c.p. sulla base di due elementi di fatto
costituiti da una presunta offesa diretta alla parte lesa e da minacce,
fatti che non costituiscono la condotta sanzionata dalla fattispecie
criminosa di cui si tratta.

Con il terzo mezzo di annullamento il
ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 546
c.p.p., comma 3, art. 125 c.p.p., comma 3, in relazione all'art. 129 c.
p.p., artt. 572 e 157 c.p., nonchè il difetto di motivazione della
sentenza e la violazione dell'art. 158 c.p..

Si deduce che la Corte
territoriale avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione del reato di cui
all'art. 572 c.p., essendo maturato il relativo termine, nonchè la
improcedibilità dell'azione penale per il reato di cui all'art. 521 c.
p., non operando la perseguibilità di ufficio in presenza di una causa
di estinzione del reato connesso a quello di atti di libidine.

Si
deduce, infine, che, in ogni caso, con decorrenza dalla data di
cessazione della condotta criminosa (1 febbraio 1991) la prescrizione
di entrambi i reati si è verificata in data 1.2.2006.

La sentenza
impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere i reati
ascritti all'imputato estinti per prescrizione.

Pur tenendo conto
della sospensione del decorso del relativo termine per il periodo di
ventuno giorni, a seguito del rinvio del dibattimento su richiesta
della difesa dall'udienza del 30.11.2004 a quella del 21.12.2004,
infatti, la prescrizione dei reati ascritti all'imputato si è
verificata in data 22.2.2006.

Per completezza di esame deve essere
rilevato che non sussistono cause di inammissibilità del ricorso, non
ravvisandosi in particolare la manifesta infondatezza dei motivi di
gravame.

Tali motivi, peraltro, devono essere esaminati, ai fini della
decisione in ordine alle statuizioni civili della sentenza ai sensi
dell'art. 578 c.p.p..

Orbene, rileva la Corte che i motivi di ricorso
non afferiscono a specifiche censure avverso le predette statuizioni
civili della sentenza e che, in ogni caso, sono infondati, per quanto
riguarda le questioni afferenti alla procedibilità dell'azione penale
per il reato di cui all'art. 521 c.p. ed alla sussistenza del delitto
di maltrattamenti.

E' stato reiteratamente affermato da questa Suprema
Corte in ordine alla prima questione che "Ai fini della perseguibilità
senza querela dei delitti di violenza sessuale, la connessione con un
reato procedibile d'ufficio cui si riferiva l'art. 542 c.p., e si
riferisce oggi l'art. 609 septies c.p. - non si connota in senso
processuale ma in senso materiale, e sussiste ogni qual volta
l'indagine sul delitto perseguibile d'ufficio comporti necessariamente
l'accertamento di quello punibile a querela, cioè debbano essere
investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno
alfine di eseguire l'altro, o ancora l'uno per occultare l'altro od
alfine di conseguire la relativa impunità". (cfr. di recente sez. 3^,
200343139, Vegini, RV 227477).

Esattamente, pertanto, i giudici di
merito hanno affermato la perseguibilità di ufficio del reato di cui
all'art. 521 c.p. in considerazione degli elementi di connessione
esistenti tra gli atti di libidine ed il delitto di maltrattamenti,
stante la parziale identità delle condotte che hanno caratterizzato
entrambe le fattispecie criminose e la finalizzazione di alcuni atti
(minacce), che integrano il delitto di maltrattamenti, ad impedire alla
parte lesa di denunciare le attenzioni sessuali cui veniva sottoposta
dall'imputato, secondo quanto accertato in sentenza.

Va anche rilevato
con riferimento alle deduzioni sul punto della perseguibilità di
ufficio del reato di cui all'art. 521 c.p. che la prescrizione del
delitto di maltrattamenti si è verificata contestualmente a quella del
delitto di atti di libidine, come affermato in sentenza, e, in ogni
caso, "In tema di reati contro la libertà sessuale la dichiarata
estinzione per prescrizione del delitto perseguibile di ufficio non fa
venire meno la procedibilità di quello contestuale punibile a querela
di parte". (sez. 3^, 198614043, Ghelardini, RV 174581; conf. mass n.
153207).

E', infine, infondato il motivo di gravame con il quale viene
censurata l'affermazione della colpevolezza dell'imputato per il
delitto di maltrattamenti.

La sentenza impugnata, invero, risulta
adeguatamente motivata in ordine alla sussistenza anche di tale reato,
essendo stato accertato dai giudici di merito che la condotta
dell'imputato nei confronti della parte lesa, concretatasi in frequenti
costrizioni al compimento di atti sessuali, ingiurie e minacce, è stata
tale da renderle penosa ed alla fine intollerabile la permanenza nel
nucleo familiare di origine.

Devono essere, pertanto, confermate le
statuizioni civili della sentenza.

P.Q.M.
La Corte annulla senza
rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per
prescrizione.

Conferma le statuizioni civili della sentenza stessa.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 22 novembre 2006.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2007
vldmsm


 

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