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martedì 7 maggio 2013

Cassazione: produzione di emissioni elettromagnetiche risarcimento danni




Nuova pagina 1
Cass. civ. Sez. II, 23-01-2007, n. 1391
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PONTORIERI Franco - Presidente
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Consigliere
Dott. TROMBETTA Francesca - Consigliere
Dott. TRECAPELLI Giancarlo - Consigliere
Dott. MALPICA Emilio - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.R., F.P., elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA DELLA LIBERTA' 10, presso lo studio dell'avvocato GEMMA PATERNOSTRO, difesi dall'avvocato LA BATTAGLIA Antonio, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
TELENORBA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore il Presidente del Consiglio d'Amministrazione ing. M.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10, presso lo studio GHIA, difeso dall'avvocato NOCCO Giuseppe, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
IMPRESA EDILE D'ALESSANDRO PASQUALE, IMPRESA EDILE GIOVENE GIOVANNI;
- intimati -
avversa La sentenza n. 203/02 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 08/03/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18/10/06 del Consigliere Dott. MALPICA Emilio;
Udito il P.M. nella persona del Dott. del Sostituto Procuratore, Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

I coniugi L.R. e F.P., comproprietari di un immobile sito in (OMISSIS), alla (OMISSIS), convennero in giudizio la s.p.a. Telenorba, nonchè le ditte Giovene Giovanni e D'Alessandro Pasquale, rispettivamente quale appaltatrice dei lavori di escavazione la prima, e appaltatrice dei lavori di edificazione la seconda, assumendo di aver subito, a seguito della costruzione dell'edificio di proprietà di Telenorba a confine con la loro proprietà, danni di varia natura, tra cui lesioni e infiltrazioni di umidità al proprio immobile, violazioni di distanze legali, nonchè danni alla salute per diffusione di umidità, di rumori e di radiazioni elettromagnetiche provenienti dagli impianti e dalle apparecchiature degli studi radiotelevisivi realizzati. Si costituì in giudizio la soc. Telenorba eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine ai lamentati danni all'immobile, perchè la responsabilità era da imputarsi alle ditte esecutrici dei lavori di scavo e di edificazione. Negò, tuttavia la sussistenza di ogni altro danno da violazione di distanze e da diffusione di rumori e di onde elettromagnetiche, spiegando, altresì, domanda riconvenzionale tesa ad ottenere l'abbattimento della chiostrina realizzata dagli attori in difformità della concessione edilizia.
All'esito dell'istruttoria, nel corso della quale venne espletata anche consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale di Bari condannò Telenorba s.p.a. e le ditte Giovene Giovanni e D'Alessandro Pasquale, in solido, al risarcimento dei danni all'immobile nella misura di L. 31.000.000, comprensiva delle spese di un doppio trasloco e dell'indennità di mancato uso dell'appartamento per tre mesi, al risarcimento del danno biologico di L. 6.000.000 in favore di L.R. e di L. 3.000.000 in favore di F.P.;
condannò, inoltre, Telenorba s.p.a. al risarcimento del danno da vedute illegittime in L. 50.000.000, rigettò le altre domande, anche proposte in via riconvenzionale, e condannò i convenuti al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza proposero appello i signori L. e F.; Telenorba s.p.a. chiese il rigetto dell'appello e spiegò appello incidentale sia in ordine alla condanna al risarcimento del danno per l'esercizio di vedute illegittime - assumendo che non esistevano le vedute perchè i lastrici solari in questione erano tutti destinati ad ospitare impianti tecnologici con accesso solo per operazioni di manutenzione- sia in ordine al rigetto della domanda riconvenzionale di abbattimento della chiostrina, ed in ordine alla condanna al pagamento di tutte le spese processuali nonostante il rigetto di alcune domande degli attori. Anche la ditta D'Alessandro Pasquale chiese il rigetto dell'appello e spiegò a sua volta appello incidentale deducendo che doveva rispondere unicamente la ditta Giovene in ordine ai danni materiali all'immobile dei signori L.- F. e, conseguentemente, non poteva essa neppure rispondere per il danno biologico denunciato.
All'esito del giudizio d'appello la Corte di Bari accolse per quanto di ragione tutti gli appelli proposti, ed in particolare: condannò la soc. Telenorba e la ditta Giovene al pagamento in solido della somma di L. 21 milioni oltre IVA per danni all'immobile, e della somma di L. 10.000.000 per spese di trasloco e indennità di mancata occupazione dell'alloggio; condannò tutti i convenuti in solido ( e non solo la soc. Telenorba) al risarcimento in favore degli attori del danno biologico liquidato in primo grado; condannò la soc. Telenorba a risarcire agli attori il danno da veduta illegittima liquidato in L. 20.000.000 ed alla eliminazione della veduta sulla terrazza "D" nel tratto D-E, mediante realizzazione di parapetto alto mt. 1,80. Rigettò nel resto le impugnazioni.
Osservò la Corte - per quanto ancora rileva in questa sede - che in ordine al risarcimento dei danni all'immobile, era corretta la valutazione che teneva conto delle sole opere da farsi al primo piano ed al balcone su via (OMISSIS), non risultando affatto, negli atti di causa, lesioni o riparazioni in altri luoghi, come il piano terra e il torrino - scala, indicati nell'atto di appello, di cui, tuttavia, non era stata fatta denuncia al momento del sopraluogo del c.t.u., non erano stati segnalati dal consulente di parte degli appellanti - attori che aveva regolarmente partecipato a tutti gli atti del c.t.u. senza alcuna riserva, non erano stati segnalati dal difensore, che nulla aveva eccepito in ordine alla consulenza nella precisazione delle conclusioni o nella comparsa conclusionale in primo grado.
Escluse, inoltre, la corte che fosse necessaria una direzione tecnica qualificata per la esecuzione di tali lavori, negando il diritto a tale ulteriore voce di danno.
Quanto al danno biologico affermò il giudice d'appello che, trattandosi di aggravamento di una patologia già esistente nelle persone degli attori-appellanti, come chiaramente poteva evincersi dalla perizia medico legale in atti, appariva corretta la valutazione a punto percentuale del primo giudice, per un danno che era solo biologico, considerata la piccola percentuale di invalidità rilevata, atteso che le cd. micropermanenti non possono dar luogo ad un risarcimento diverso, e ciò anche a prescindere dalla considerazione che nessuna prova era stata offerta di un danno emergente o di un lucro cessante. Aggiunse la corte di merito che doveva anche considerarsi che nella specie si trattava di un ritenuto aggravamento di patologia preesistente ricollegato alla infiltrazione di umidità conseguente alla costruzione della palazzina Telenorba, certamente circoscritta nel tempo, atteso che la palazzina Telenorba era stata ultimata nel 1988 ed il consulente tecnico di ufficio aveva solo accertato, nel 1994, manifestazioni di umidità pregressa e non in atto, per cui doveva ritenersi che la causa delle infiltrazioni fosse stata precedentemente eliminata dalla Telenorba in conseguenza dell'azione possessoria introdotta dalla L., con ricorso del 3.2.90, e definita con sentenza del Pretore di Rutigliano, in data 11.2.92, con la quale era stato confermato il provvedimento provvisorio 23.5.90 che aveva ordinato l'esecuzione di opere idonee ad eliminare le infiltrazioni, opere che erano state eseguite.
Per quanto riguarda la questione del ripristino delle distanze legali per l'esercizio delle vedute illegittime, rilevò la Corte che dalla terrazza "B" nessun affaccio era possibile in origine, avendo la detta copertura un cordolo perimetrale di delimitazione dell'altezza media di appena 15 cm,, per cui sarebbe pericoloso l'affaccio, e questo non costituirebbe veduta per la impossibilità di una normale inspectio e prospectio nel fondo del vicino mediante un affaccio comodo e non pericoloso; inoltre in corso di causa era stata posta una ringhiera di protezione a circa due metri dal bordo della terrazza che definitivamente aveva eliminato ogni possibilità di veduta sul sottostante fondo del vicino. Quanto al traliccio-antenna, osservò la corte territoriale che nessuna veduta era esercitatile da esso, non destinato ovviamente a tale scopo, trattandosi solo di una struttura di contenimento delle apparecchiature di emissione delle reti radiotelevisive, ed essendo ininfluente la praticabilità necessaria per le loro eventuali opere di manutenzione. Quanto alla terrazza "F" lungo il tratto F-G, essa era delimitata da un muro dello spessore di cm. 20 e dell'altezza di m. 1,75, per cui dalla stessa non era possibile esercitare una normale e comoda veduta sul fondo urbano vicino, di altezza inferiore.
Per quanto riguarda, poi, la diversa domanda relativa ad una pretesa violazione delle distanze di tubazioni, in aderenza al muro di confine lungo il tratto D-C, poste a mt. 1, ritenne la corte che si trattasse di domanda inammissibile perchè proposta per la prima volta in appello.
Concluse la corte che l'unica comoda veduta era quella esercitabile dalla terrazza D, lungo il tratto D-E, delimitata da un basso cordolo di cm. 15 e da una sovrastante inferriata di m. 1,65 (h. tot. m.
1,80) che era tuttavia eliminabile con la costruzione di un parapetto delimitativo della stessa altezza totale o con la posa in opera di inferriata idonea ad impedire la visione del fondo vicino, essendo indubbio che in tema di vedute abusive il giudice può imporre specifici accorgimenti che ostacolino la veduta o che impediscano concretamente l'esercizio della servitù.
Per quanto sopra detto, ad avviso della corte doveva non solo disattendersi ogni doglianza degli appellanti circa la esiguità della liquidazione in L. 50.000.000 del danno da illegittime vedute per violazione delle distanze, ma andava al contrario parzialmente accolto l'appello incidentale proposto dalla Telenorba spa, imponendosi una opportuna riduzione dell'importo a L. 20.000.000, in considerazione del fatto che si trattava di una sola veduta, peraltro con impossibilità di affaccio, da una terrazza il cui uso è limitato alla sola manutenzione di impianti tecnologici, veduta che doveva ritenersi eliminata con la sentenza, per la facilità del rimedio imposto.
Quanto al motivo con cui veniva censurato il rigetto della domanda di condanna al risarcimento dei danni derivanti dalla diffusione di onde elettromagnetiche, la Corte territoriale premesse brevi considerazioni in ordine al problema dei rischi connessi alle radiazioni ed all'elettrosmog in genere - rilevò che la giurisprudenza che si era occupata del problema della esistenza di rischi per la salute provocati da emissioni elettromagnetiche, sia da elettrodotti che da onde a frequenze diverse dagli ELF, aveva nella maggior parte dei casi rigettato le domande risarcitorie, allorchè i limiti del D.M. n. 381 del 1998 non erano stati superati, sul presupposto che sussisteva una sorta di presunzione di non pericolosità per la salute, attesa, anche, la difficoltà di dimostrare il nesso causale tra la patologia lamentata e l'azione delle onde. Nella fattispecie, non risultava, ad avviso della corte, alcun superamento dei limiti fissati alle emissioni di onde elettromagnetiche, sia nelle misurazioni effettuate nell'ottobre 1994 dall'Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (ISPESL), su richiesta della USL (OMISSIS) di Conversano, sia nelle misurazioni effettuate dal Centro di Ricerca per l'inquinamento elettromagnetico Radionica, su richiesta del Comune di Conversano, nel marzo 1999, nelle quali il valore medio più alto riscontrato nella modalità che più si avvicina alla realtà (quella, cioè, di picco veloce), era di 2.1 V/m, di quasi due terzi inferiore al limite di 6 V/m di cui al Decreto Ronchi del 1998, per cui non vi era una presunzione di pericolosità generica della detta emissione. Non vi era, inoltre, a dire della corte di merito, alcuna dimostrazione della sussistenza di fatti che potessero essere inquadrati nella categoria del ed. danno esistenziale, nè della esistenza di un danno biologico dipendente dalle emissioni elettromagnetiche, escluso espressamente dal perito medico-legale, che aveva riconosciuto solo l'aggravamento di una patologia preesistente spondiloartrosica per un soggiorno in ambiente malsano per umidità, non potendo essere presa in considerazione, in particolare per quanto evidenziato dai consulenti tecnici d'ufficio, l'indagine epidemio-logica depositata in atti dagli attori, effettuata su un campione di cittadini residenti nella zona interessata, dalla quale era desumibile una alterazione del fenotipo linfocitario di sedici volontari, perchè prettamente sperimentale, priva di riscontri effettivi e di concreto fondamento scientifico.
Escluse, infine, la corte d'appello la ricorrenza di un danno morale come conseguenza di un fatto illecito astrattamente inquadrabile in una ipotesi di reato, osservando che secondo la giurisprudenza di legittimità il fenomeno dell'inquinamento provocato da onde elettromagnetiche sarebbe astrattamente riconducibile alla previsione dell'art. 674 c.p., ma ciò solo laddove i valori del campo elettromagnetico superino i limiti indicati dalla normativa vigente in materia, il che non era avvenuto nel caso di specie.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso L.C. R. e F.P.; resiste con controricorso la soc. Telenorba. Non hanno svolto difese gli altri intimati.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., avendo il giudice d'appello immotivatamente omesso di statuire sulla richiesta liquidazione dei danni ad altre parti dell'immobile (primo piano e chiostrina - scale), non rilevando che nella domanda introduttiva era stato chiesto il risarcimento dei danni per lesioni "all'intero immobile" e che tale domanda era supportata dalla consulenza di parte - allegata al fascicolo- che tali danni illustrava e della quale il tribunale e la corte avrebbero dovuto tener conto, non essendo stata neppure mai contestata dalla controparte.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti non formulano censure pertinenti alla motivazione addotta dalla corte territoriale a fondamento del rigetto della domanda risarcitoria concernente le altre parti dell'immobile. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto che il tribunale avesse correttamente statuito alla stregua delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, che aveva illustrato e descritto i danni liquidati, senza fare parola di danni ulteriori, dei quali non vi era traccia alcuna negli atti processuali, nè erano stati indicati dal consulente di parte in sede di sopralluogo. Le conclusioni peritali - osservò la corte - non erano state fatte oggetto di rilievo nè in osservazioni tecniche del consulente di parte, nè in memorie difensive o nella stessa comparsa conclusionale, sicchè erano state ritenute del tutto pacifiche. Alla stregua di detta motivazione, deve rilevarsi che, ove la corte di merito avesse erroneamente letto le ricordate risultanze, ovvero avesse escluso l'esistenza di rilievi critici e contestazioni che invece erano stati ritualmente formulati, saremmo in presenza di un vizio revocatorio che i ricorrenti non possono far valere in questa sede.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omessa o insufficiente motivazione sul mancato accoglimento della domanda di liquidazione delle spese necessarie per l'esecuzione dei lavori di ripristino.
Assumono i ricorrenti che la corte territoriale non ha tenuto conto delle indicazioni del consulente di parte che, pur riconoscendo trattarsi di "piccoli lavori" aveva sottolineato che era necessario eseguirli con molta cura secondo le avvertenze pubblicate sul bollettino dell'Associazione degli ingegneri ed architetti di Puglia.
Anche detto motivo è infondato, per le stesse ragioni esposte con riferimento alla censura precedente.
La Corte di merito, con motivazione sufficiente, ha ritenuto che, trattandosi di piccole opere edili, non fosse necessario affrontare la spese per la nomina di un direttore dei lavori, essendo sufficiente garanzia le cognizioni in possesso di qualsiasi piccola impresa del settore. I ricorrenti censurano la decisione sulla sola base del parere espresso dal consulente tecnico nella perizia allegata alla domanda giudiziale, ma non precisano se la questione fosse stata posta esplicitamente - al di là della asserita menzione nella relazione peritale di parte- e se fosse stata rimessa al c.t.u. la valutazione della necessità della direzione dei lavori e la quantificazione del relativo costo. In assenza di tali deduzioni esplicite, deve ritenersi corretta la valutazione della corte, che ha ritenuto che la non necessità di un direttore dei lavori potesse essere valutata sulla base della comune esperienza in relazione alla entità e tipologia di opere da eseguire. Ne consegue che la censura mossa si risolve in una questione di fatto, in quanto si pone in discussione la valutazione della entità e difficoltà delle opere da realizzare, effettuata dalla corte territoriale con argomenti adeguati e logici.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 900 e 905 c.c., art. 872 c.c., comma 2, nonchè illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto della controversia.
Si dolgono i ricorrenti della riduzione dell'ammontare del risarcimento liquidato in primo grado per la illegittima apertura di vedute (in accoglimento dell'appello incidentale della soc. Telenorba) e per il rigetto della domanda di ripristino per violazione delle distanze legali. Sulla prima doglianza assumono che la corte di merito avrebbe fatto ricorso all'istituto penalistico del ravvedimento operoso per ridurre l'entità del risarcimento in relazione ad una disponibilità della stessa a porre rimedio alla veduta con l'adozione degli strumenti imposti dal tribunale. La Corte avrebbe errato nel ridurre l'ammontare del risarcimento, in quanto esso si riferiva a tutto il danno patito dalla apertura sino alla riduzione in pristino, sicchè la eliminazione della veduta avrebbe solo potuto impedire l'ulteriore aggravamento del danno, non ridurre in termini monetari il pregiudizio già prodottosi. Inoltre la corte territoriale avrebbe travisato quanto espresso dal c.t.u., secondo cui vi era una comoda veduta sul tratto d-e- della terrazza D, una veduta disagevole sul tratto f-g- della terrazza F e un affaccio non praticabile sulla terrazza B, pur essendo possibile la veduta, essendo irrilevante ad anzi favorendola, la posa in opera di una ringhiera in corso di causa. La contraddittorietà della motivazione emergerebbe laddove la corte ha affermato la impossibilità di affaccio sulla terrazza B per la pericolosità, e poi ha ritenuto del tutto eliminata ogni possibilità di veduta con la posa in opera di una ringhiera di protezione. Quanto alla veduta dall'antenna- traliccio, assumono che la veduta praticabile attraverso di essa - riconosciuta dal c.t.u. - non potrebbe essere condizionata dall'uso più o meno assiduo dell'installazione, rimanendo inalterati i contenuti sostanziali della veduta; inoltre quanto alla praticabilità della veduta anche sul tratto f-g, anche se non agevole per la presenza di un muro alto mt. 1,75, richiamano giurisprudenza di legittimità che sottolinea il carattere assoluto della veduta, a prescindere dal danno in concreto che possa verificarsi in conseguenza della violazione delle norme sulle distanze nella realizzazione di opere idonee all'inspectio e alla rospectio.
Anche il terzo motivo è infondato.
Per quanto concerne la diminuzione dell'importo liquidato in primo grado a titolo di danno per l'instaurazione di vedute abusive, la corte territoriale ha operato una valutazione equitativa con riferimento alle concrete modalità in cui si sarebbe potuta esplicare la veduta. Il fatto che la illegittimità della veduta non è condizionata al danno che in concreto possa derivarne per il titolare del fondo sul quale essa si esplica, non significa che in tema di risarcimento del danno pregresso (cioè antecedente alla riduzione in pristino) non debba valutarsi la lesione subita nella sua concretezza, e cioè anche in relazione alla maggiore o minore incidenza dell'intromissione nella sfera privata del soggetto passivo, dipendente dalle modalità in cui la veduta era esercitabile. Nella specie, la corte territoriale ha valutato detta incidenza con motivazione adeguata e logica, dando ampiamente conto della scarsa probabilità (per lo stato dei luoghi e la particolare destinazione dei manufatti) che la veduta sia stata effettivamente esercitata. Quanto poi alla eliminazione dell'abuso, la corte territoriale ha ritenuto insussistente, per una delle terrazze, ogni possibilità di praticabile veduta, anche per le opere poste in essere; per altra ha imposto i necessari accorgimenti per impedirla per il futuro, ritenendo che essi fossero idonei allo scopo sulla base di cognizioni di comune esperienza; infine, per quanto riguarda il traliccio, la corte territoriale ha escluso in fatto che si fosse in presenza di una veduta, tenuto conto della funzione esplicata normalmente dalla struttura, quale esclusivo sostegno di apparecchiature elettroniche, giudicando irrilevante la possibilità di veduta da parte di soggetti preposti alla manutenzione nella ipotetica ed episodica occasione di accesso per tale scopo; la valutazione della corte - che ha ritenuto che la struttura non possedesse i requisiti per essere considerata "veduta" alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (tra cui la normale e permanente destinazione a guardare ed affacciarsi nel fondo altrui - Cass. 19.1.1999, n. 450) - valutazione condizionata alla particolarità della struttura accertata tramite consulenza tecnica, non appare sindacabile in questa sede in quanto implicante una diversa riconsiderazione del fatto. Quanto alla pretesa contraddittorietà motivazionale, va osservato che la corte di merito, dopo aver escluso la possibilità di affaccio dalla terrazza B per la pericolosità, ha solo addotto un argomento ulteriore, rilevando che le opere eseguite in corso di causa fugavano ogni possibile dubbio sulla inesistenza della veduta.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. e art. 872 c.c.. Si dolgono che la corte abbia dichiarato inammissibile la domanda diretta ad ottenere l'eliminazione di un pluviale posto a distanza non conforme al dettato dell'art. 872 c.c. perchè proposta per la prima volta in appello. In proposito affermano i ricorrenti che l'esistenza del pluviale era stata denunciata sia nella relazione del c.t.u. che in quella del c.t.p. e in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado era stata formalmente avanzata la domanda.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Premesso che il carattere di novità della domanda non è escluso dal fatto che si fosse menzionato il pluviale nella consulenza tecnica d'ufficio o di parte, e che non appare neppure sufficiente che i ricorrenti affermino di aver formulato la domanda nelle conclusioni definitive, sia perchè non riportano il tenore delle conclusioni stesse, sia perchè non precisano se vi fosse stata acquiescenza della controparte, va comunque rilevato che la eventuale inesattezza del rilievo della corte di merito sul carattere di novità della domanda, cosi come censurata, integrerebbe un vizio revocatorio, perchè si risolverebbe in una erronea lettura degli atti processuali da parte del giudice d'appello, con conseguente inammissibilità della censura in questa sede.
Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione artt. 32 Cost., artt. 2043 e 2059 c.c.. Si dolgono del rigetto della domanda di risarcimento per danni conseguenti alla diffusione elettromagnetica, sulla base del solo elemento che le emissioni non superavano i limiti fissati dal Decreto n. 391 del 1998. Assumono che la impossibilità di ritenere integrato il reato di cui all'art. 674 c.p. non esclude la possibilità di ritenere comunque sussistente una responsabilità di carattere civile, in quanto il non superamento della soglia preclude la responsabilità penale ma non quella civile; nel contempo la impossibilità scientifica di dimostrare il legame eziologico tra esposizione a campi elettromagnetici e insorgenza di determinate malattie, lungi dal provare la natura non pregiudizievole di dette immissioni nei limiti minimi previsti, prova il contrario, e cioè l'impossibilità di escludere detto danno anche ai valori minimi; il principio di "precauzione" cui si ispira anche la legislazione in materia, impone in presenza anche di un pericolo meramente potenziale per la salute umana, una anticipazione della tutela volta a prevenire l'insorgenza di possibili patologie o di diffusi stati d'ansia o di stress emotivi per coloro che abitano in prossimità di sorgenti di onde elettromagnetiche.
La sentenza, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe pertanto erronea per aver affermato acriticamente la legittimità delle immissioni per il mancato superamento dei limiti prefissati dalla legge, senza indagare in concreto quali siano stati gli effetti pregiudizievoli delle immissioni sulla salute umana e senza che siano stati condotti esperimenti e misurazioni al fine di verificare compiutamente l'entità delle immissioni suddette.
Quanto al rigetto della domanda di risarcimento del danno morale, i ricorrenti invocano la interpretazione evolutiva dell'art. 2059 c.c. che consente di ritenere risarcibili tutti quei danni non patrimoniali che si traducono in un pregiudizio esistenziale, nella specie accertato e provato nelle condizioni di ansia, stress, frustrazione, abbattimento psicologico, afflizione e menomazione della capacità di relazione causata ad essi ricorrenti dal dover vivere costantemente a contato con un'antenna di notevoli dimensioni e nel timore degli effetti dannosi delle relative emissioni elettromagnetiche. In subordine, prospettano i ricorrenti che detto tipo di danno avrebbe potuto essere risarcito come danno esistenziale pacificamente riconducibile alla norma dell'art 2043 c.c. nella ricostruzione operata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, danno riscontrabile nella indiscutibile menomazione dello standard di benessere dei ricorrenti, costretti trascorrete le loro giornate con l'antenna incombente sulla loro abitazione, e liquidabile in via equitativa.
Il motivo è destituito di fondamento.
I ricorrenti censurano la sentenza della corte di merito che non ha riconosciuto loro il risarcimento danno biologico non dimostrato e per il quale, comunque, non sarebbe dimostrato il nesso di causalità con le onde elettromagnetiche emesse dalla stazione trasmittente della controparte. Non si comprende quale principio giuridico dovrebbe autorizzare quella "tutela avanzata" richiesta, cosi intensa da consentire il riconoscimento di un danno del tutto ipotetico. La corte territoriale, con ampie ed esaustive argomentazioni ha spiegato che le misurazioni effettuate in più occasioni hanno dimostrato che le emissioni elettromagnetiche degli impianti in discorso non superano mediamente il limite di cui al D.M. n. 387 del 1998, e tale limite è assistito da una presunzione di non pericolosità; ha inoltre correttamente rilevato la corte di merito che anche l'atteggiamento prudenziale che talvolta ha indotto l'autorità giudiziaria ad emettere inibitorie per il pericolo di danno alla salute, non consentirebbe però il riconoscimento di un risarcimento del danno biologico puramente ipotetico. Nella specie, inoltre, la corte ha rilevato che la stessa esistenza di un danno biologico era stata esclusa dalla perizia medico-legale e che non poteva avere rilevanza- perchè priva di concreto fondamento scientifico - l'indagine epidemiologica depositata dagli attori su un campione di cittadini residenti nella zona interessata, che evidenziava una alterazione del fenotipo linfocitario di sedici volontari. Non hanno pregio, poi, le argomentazioni a sostegno della risarcibilità di un danno esistenziale individuabile nello stato psicologico di insicurezza e timore indotti dalla consapevolezza di essere esposti alle emissioni elettromagnetiche. E' fuori di dubbio, infatti, che la risarcibilità di un tale danno a carico della Telenorba non potrebbe prescindere dall'accertata illiceità del suo comportamento, illiceità, tuttavia, individuabile soltanto nella ipotesi di superamento dei limiti di immissione previsti dalla normativa vigente. Quanto, infine, al disconoscimento del danno morale, ha osservato correttamente la corte che la impossibilità di affermare il supermento dei limiti legali di immissioni elettromagnetiche esclude che possa ipotizzarsi il reato di cui all'art. 674 c.p..
Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano omessa, insufficiente e illogica motivazione su un punto essenziale della controversia, con riferimento alla ritenuta non pericolosità dell'inquinamento elettromagnetico determinato dall'attività della intimata.
Assumono che la corte territoriale ha basato la propria decisione sul dato del mancato superamento dei limiti di legge riscontrato in sede di rilievi effettuati nel 1994 dall'Ispel e del centro Radionica nel marzo 1999, secondo cui il valore era inferiore di 2/3 al limite fissato nel Decreto "Ronchi", senza valutare l'attendibilità tecnico- scientifica delle rilevazioni, atteso che in precedenti rilevamenti era stato accertato un valore di 5,5 V/m quando il valore massimo era di 20 V/m (poi ridotto a 6 nel 1998) e senza tener conto che era improbabile che nel 1999, allorchè erano stati effettuati i rilevamenti del Centro Radionica, i valori fossero diminuiti nonostante l'aumentato numero di ripetitori, anzichè - come è più logico-aumentati, e senza considerare che nella sede stradale ove risiedono essi ricorrenti era stato registrato - sia pure per una frazione limitata di tempo- un valore di 12 V/m.
Anche l'ultimo motivo è infondato.
I ricorrenti introducono questioni di puro merito, adducendo la esistenza di misurazioni del campo elettromagnetico diverse da quelle considerate dalla corte d'appello, senza neppure precisare se dette emergenze fossero state dibattute in giudizio. Per contro il giudice d'appello si è attenuto a rilevamenti effettuati per fini di tutela della salute generale da organismi pubblici, rilevamenti della cui attendibilità scientifica non vi era motivo di dubitare; nè risulta, comunque, che la questione della attendibilità dei rilevamenti sia stata specificamente dibattuta nel giudizio, o che sia stata sollecitata apposita consulenza tecnica (atteso che la c.t.u. della quale era stata chiesta la rinnovazione nelle conclusioni definitive atteneva ai danni e alle vedute). La questione posta si presenta, perciò, nuova e, quindi, inammissibile.
Deve, pertanto, concludersi per il rigetto del ricorso, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese nei confronti della parte costituita, liquidate in Euro 2.100,00, di cui euro 100,00, per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 18 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2007

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