Nuova pagina 1
Cass. civ. Sez. II, 23-01-2007, n. 1391
|
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PONTORIERI Franco - Presidente
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Consigliere
Dott. TROMBETTA Francesca - Consigliere
Dott. TRECAPELLI Giancarlo - Consigliere
Dott. MALPICA Emilio - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.R.,
F.P., elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA DELLA LIBERTA' 10,
presso lo studio dell'avvocato GEMMA PATERNOSTRO, difesi dall'avvocato
LA BATTAGLIA Antonio, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
TELENORBA
SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore il Presidente del
Consiglio d'Amministrazione ing. M.L., elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10, presso lo studio GHIA, difeso
dall'avvocato NOCCO Giuseppe, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
IMPRESA EDILE D'ALESSANDRO PASQUALE, IMPRESA EDILE GIOVENE GIOVANNI;
- intimati -
avversa La sentenza n. 203/02 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 08/03/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18/10/06 del Consigliere Dott. MALPICA Emilio;
Udito
il P.M. nella persona del Dott. del Sostituto Procuratore, Generale
Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
I
coniugi L.R. e F.P., comproprietari di un immobile sito in (OMISSIS),
alla (OMISSIS), convennero in giudizio la s.p.a. Telenorba, nonchè le
ditte Giovene Giovanni e D'Alessandro Pasquale, rispettivamente quale
appaltatrice dei lavori di escavazione la prima, e appaltatrice dei
lavori di edificazione la seconda, assumendo di aver subito, a seguito
della costruzione dell'edificio di proprietà di Telenorba a confine con
la loro proprietà, danni di varia natura, tra cui lesioni e
infiltrazioni di umidità al proprio immobile, violazioni di distanze
legali, nonchè danni alla salute per diffusione di umidità, di rumori e
di radiazioni elettromagnetiche provenienti dagli impianti e dalle
apparecchiature degli studi radiotelevisivi realizzati. Si costituì in
giudizio la soc. Telenorba eccependo il proprio difetto di
legittimazione passiva in ordine ai lamentati danni all'immobile, perchè
la responsabilità era da imputarsi alle ditte esecutrici dei lavori di
scavo e di edificazione. Negò, tuttavia la sussistenza di ogni altro
danno da violazione di distanze e da diffusione di rumori e di onde
elettromagnetiche, spiegando, altresì, domanda riconvenzionale tesa ad
ottenere l'abbattimento della chiostrina realizzata dagli attori in
difformità della concessione edilizia.
All'esito
dell'istruttoria, nel corso della quale venne espletata anche
consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale di Bari condannò Telenorba
s.p.a. e le ditte Giovene Giovanni e D'Alessandro Pasquale, in solido,
al risarcimento dei danni all'immobile nella misura di L. 31.000.000,
comprensiva delle spese di un doppio trasloco e dell'indennità di
mancato uso dell'appartamento per tre mesi, al risarcimento del danno
biologico di L. 6.000.000 in favore di L.R. e di L. 3.000.000 in favore
di F.P.;
condannò, inoltre,
Telenorba s.p.a. al risarcimento del danno da vedute illegittime in L.
50.000.000, rigettò le altre domande, anche proposte in via
riconvenzionale, e condannò i convenuti al pagamento delle spese
processuali.
Avverso la
sentenza proposero appello i signori L. e F.; Telenorba s.p.a. chiese il
rigetto dell'appello e spiegò appello incidentale sia in ordine alla
condanna al risarcimento del danno per l'esercizio di vedute illegittime
- assumendo che non esistevano le vedute perchè i lastrici solari in
questione erano tutti destinati ad ospitare impianti tecnologici con
accesso solo per operazioni di manutenzione- sia in ordine al rigetto
della domanda riconvenzionale di abbattimento della chiostrina, ed in
ordine alla condanna al pagamento di tutte le spese processuali
nonostante il rigetto di alcune domande degli attori. Anche la ditta
D'Alessandro Pasquale chiese il rigetto dell'appello e spiegò a sua
volta appello incidentale deducendo che doveva rispondere unicamente la
ditta Giovene in ordine ai danni materiali all'immobile dei signori L.-
F. e, conseguentemente, non poteva essa neppure rispondere per il danno
biologico denunciato.
All'esito
del giudizio d'appello la Corte di Bari accolse per quanto di ragione
tutti gli appelli proposti, ed in particolare: condannò la soc.
Telenorba e la ditta Giovene al pagamento in solido della somma di L. 21
milioni oltre IVA per danni all'immobile, e della somma di L.
10.000.000 per spese di trasloco e indennità di mancata occupazione
dell'alloggio; condannò tutti i convenuti in solido ( e non solo la soc.
Telenorba) al risarcimento in favore degli attori del danno biologico
liquidato in primo grado; condannò la soc. Telenorba a risarcire agli
attori il danno da veduta illegittima liquidato in L. 20.000.000 ed alla
eliminazione della veduta sulla terrazza "D" nel tratto D-E, mediante
realizzazione di parapetto alto mt. 1,80. Rigettò nel resto le
impugnazioni.
Osservò la Corte -
per quanto ancora rileva in questa sede - che in ordine al risarcimento
dei danni all'immobile, era corretta la valutazione che teneva conto
delle sole opere da farsi al primo piano ed al balcone su via (OMISSIS),
non risultando affatto, negli atti di causa, lesioni o riparazioni in
altri luoghi, come il piano terra e il torrino - scala, indicati
nell'atto di appello, di cui, tuttavia, non era stata fatta denuncia al
momento del sopraluogo del c.t.u., non erano stati segnalati dal
consulente di parte degli appellanti - attori che aveva regolarmente
partecipato a tutti gli atti del c.t.u. senza alcuna riserva, non erano
stati segnalati dal difensore, che nulla aveva eccepito in ordine alla
consulenza nella precisazione delle conclusioni o nella comparsa
conclusionale in primo grado.
Escluse,
inoltre, la corte che fosse necessaria una direzione tecnica
qualificata per la esecuzione di tali lavori, negando il diritto a tale
ulteriore voce di danno.
Quanto
al danno biologico affermò il giudice d'appello che, trattandosi di
aggravamento di una patologia già esistente nelle persone degli
attori-appellanti, come chiaramente poteva evincersi dalla perizia
medico legale in atti, appariva corretta la valutazione a punto
percentuale del primo giudice, per un danno che era solo biologico,
considerata la piccola percentuale di invalidità rilevata, atteso che le
cd. micropermanenti non possono dar luogo ad un risarcimento diverso, e
ciò anche a prescindere dalla considerazione che nessuna prova era
stata offerta di un danno emergente o di un lucro cessante. Aggiunse la
corte di merito che doveva anche considerarsi che nella specie si
trattava di un ritenuto aggravamento di patologia preesistente
ricollegato alla infiltrazione di umidità conseguente alla costruzione
della palazzina Telenorba, certamente circoscritta nel tempo, atteso che
la palazzina Telenorba era stata ultimata nel 1988 ed il consulente
tecnico di ufficio aveva solo accertato, nel 1994, manifestazioni di
umidità pregressa e non in atto, per cui doveva ritenersi che la causa
delle infiltrazioni fosse stata precedentemente eliminata dalla
Telenorba in conseguenza dell'azione possessoria introdotta dalla L.,
con ricorso del 3.2.90, e definita con sentenza del Pretore di
Rutigliano, in data 11.2.92, con la quale era stato confermato il
provvedimento provvisorio 23.5.90 che aveva ordinato l'esecuzione di
opere idonee ad eliminare le infiltrazioni, opere che erano state
eseguite.
Per quanto riguarda
la questione del ripristino delle distanze legali per l'esercizio delle
vedute illegittime, rilevò la Corte che dalla terrazza "B" nessun
affaccio era possibile in origine, avendo la detta copertura un cordolo
perimetrale di delimitazione dell'altezza media di appena 15 cm,, per
cui sarebbe pericoloso l'affaccio, e questo non costituirebbe veduta per
la impossibilità di una normale inspectio e prospectio nel fondo del
vicino mediante un affaccio comodo e non pericoloso; inoltre in corso di
causa era stata posta una ringhiera di protezione a circa due metri dal
bordo della terrazza che definitivamente aveva eliminato ogni
possibilità di veduta sul sottostante fondo del vicino. Quanto al
traliccio-antenna, osservò la corte territoriale che nessuna veduta era
esercitatile da esso, non destinato ovviamente a tale scopo, trattandosi
solo di una struttura di contenimento delle apparecchiature di
emissione delle reti radiotelevisive, ed essendo ininfluente la
praticabilità necessaria per le loro eventuali opere di manutenzione.
Quanto alla terrazza "F" lungo il tratto F-G, essa era delimitata da un
muro dello spessore di cm. 20 e dell'altezza di m. 1,75, per cui dalla
stessa non era possibile esercitare una normale e comoda veduta sul
fondo urbano vicino, di altezza inferiore.
Per
quanto riguarda, poi, la diversa domanda relativa ad una pretesa
violazione delle distanze di tubazioni, in aderenza al muro di confine
lungo il tratto D-C, poste a mt. 1, ritenne la corte che si trattasse di
domanda inammissibile perchè proposta per la prima volta in appello.
Concluse
la corte che l'unica comoda veduta era quella esercitabile dalla
terrazza D, lungo il tratto D-E, delimitata da un basso cordolo di cm.
15 e da una sovrastante inferriata di m. 1,65 (h. tot. m.
1,80)
che era tuttavia eliminabile con la costruzione di un parapetto
delimitativo della stessa altezza totale o con la posa in opera di
inferriata idonea ad impedire la visione del fondo vicino, essendo
indubbio che in tema di vedute abusive il giudice può imporre specifici
accorgimenti che ostacolino la veduta o che impediscano concretamente
l'esercizio della servitù.
Per
quanto sopra detto, ad avviso della corte doveva non solo disattendersi
ogni doglianza degli appellanti circa la esiguità della liquidazione in
L. 50.000.000 del danno da illegittime vedute per violazione delle
distanze, ma andava al contrario parzialmente accolto l'appello
incidentale proposto dalla Telenorba spa, imponendosi una opportuna
riduzione dell'importo a L. 20.000.000, in considerazione del fatto che
si trattava di una sola veduta, peraltro con impossibilità di affaccio,
da una terrazza il cui uso è limitato alla sola manutenzione di impianti
tecnologici, veduta che doveva ritenersi eliminata con la sentenza, per
la facilità del rimedio imposto.
Quanto
al motivo con cui veniva censurato il rigetto della domanda di condanna
al risarcimento dei danni derivanti dalla diffusione di onde
elettromagnetiche, la Corte territoriale premesse brevi considerazioni
in ordine al problema dei rischi connessi alle radiazioni ed
all'elettrosmog in genere - rilevò che la giurisprudenza che si era
occupata del problema della esistenza di rischi per la salute provocati
da emissioni elettromagnetiche, sia da elettrodotti che da onde a
frequenze diverse dagli ELF, aveva nella maggior parte dei casi
rigettato le domande risarcitorie, allorchè i limiti del D.M. n. 381 del 1998
non erano stati superati, sul presupposto che sussisteva una sorta di
presunzione di non pericolosità per la salute, attesa, anche, la
difficoltà di dimostrare il nesso causale tra la patologia lamentata e
l'azione delle onde. Nella fattispecie, non risultava, ad avviso della
corte, alcun superamento dei limiti fissati alle emissioni di onde
elettromagnetiche, sia nelle misurazioni effettuate nell'ottobre 1994
dall'Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro
(ISPESL), su richiesta della USL (OMISSIS) di Conversano, sia nelle
misurazioni effettuate dal Centro di Ricerca per l'inquinamento
elettromagnetico Radionica, su richiesta del Comune di Conversano, nel
marzo 1999, nelle quali il valore medio più alto riscontrato nella
modalità che più si avvicina alla realtà (quella, cioè, di picco
veloce), era di 2.1 V/m, di quasi due terzi inferiore al limite di 6 V/m
di cui al Decreto Ronchi del 1998, per cui non vi era una presunzione
di pericolosità generica della detta emissione. Non vi era, inoltre, a
dire della corte di merito, alcuna dimostrazione della sussistenza di
fatti che potessero essere inquadrati nella categoria del ed. danno
esistenziale, nè della esistenza di un danno biologico dipendente dalle
emissioni elettromagnetiche, escluso espressamente dal perito
medico-legale, che aveva riconosciuto solo l'aggravamento di una
patologia preesistente spondiloartrosica per un soggiorno in ambiente
malsano per umidità, non potendo essere presa in considerazione, in
particolare per quanto evidenziato dai consulenti tecnici d'ufficio,
l'indagine epidemio-logica depositata in atti dagli attori, effettuata
su un campione di cittadini residenti nella zona interessata, dalla
quale era desumibile una alterazione del fenotipo linfocitario di sedici
volontari, perchè prettamente sperimentale, priva di riscontri
effettivi e di concreto fondamento scientifico.
Escluse,
infine, la corte d'appello la ricorrenza di un danno morale come
conseguenza di un fatto illecito astrattamente inquadrabile in una
ipotesi di reato, osservando che secondo la giurisprudenza di
legittimità il fenomeno dell'inquinamento provocato da onde
elettromagnetiche sarebbe astrattamente riconducibile alla previsione dell'art. 674 c.p.,
ma ciò solo laddove i valori del campo elettromagnetico superino i
limiti indicati dalla normativa vigente in materia, il che non era
avvenuto nel caso di specie.
Per
la cassazione della sentenza propongono ricorso L.C. R. e F.P.; resiste
con controricorso la soc. Telenorba. Non hanno svolto difese gli altri
intimati.
Motivi della decisione
Con
il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 112 e
115 c.p.c., avendo il giudice d'appello immotivatamente omesso di
statuire sulla richiesta liquidazione dei danni ad altre parti
dell'immobile (primo piano e chiostrina - scale), non rilevando che
nella domanda introduttiva era stato chiesto il risarcimento dei danni
per lesioni "all'intero immobile" e che tale domanda era supportata
dalla consulenza di parte - allegata al fascicolo- che tali danni
illustrava e della quale il tribunale e la corte avrebbero dovuto tener
conto, non essendo stata neppure mai contestata dalla controparte.
Il motivo è infondato.
I
ricorrenti non formulano censure pertinenti alla motivazione addotta
dalla corte territoriale a fondamento del rigetto della domanda
risarcitoria concernente le altre parti dell'immobile. In particolare,
la Corte di merito ha ritenuto che il tribunale avesse correttamente
statuito alla stregua delle risultanze della consulenza tecnica
d'ufficio, che aveva illustrato e descritto i danni liquidati, senza
fare parola di danni ulteriori, dei quali non vi era traccia alcuna
negli atti processuali, nè erano stati indicati dal consulente di parte
in sede di sopralluogo. Le conclusioni peritali - osservò la corte - non
erano state fatte oggetto di rilievo nè in osservazioni tecniche del
consulente di parte, nè in memorie difensive o nella stessa comparsa
conclusionale, sicchè erano state ritenute del tutto pacifiche. Alla
stregua di detta motivazione, deve rilevarsi che, ove la corte di merito
avesse erroneamente letto le ricordate risultanze, ovvero avesse
escluso l'esistenza di rilievi critici e contestazioni che invece erano
stati ritualmente formulati, saremmo in presenza di un vizio revocatorio
che i ricorrenti non possono far valere in questa sede.
Con
il secondo motivo i ricorrenti denunciano omessa o insufficiente
motivazione sul mancato accoglimento della domanda di liquidazione delle
spese necessarie per l'esecuzione dei lavori di ripristino.
Assumono
i ricorrenti che la corte territoriale non ha tenuto conto delle
indicazioni del consulente di parte che, pur riconoscendo trattarsi di
"piccoli lavori" aveva sottolineato che era necessario eseguirli con
molta cura secondo le avvertenze pubblicate sul bollettino
dell'Associazione degli ingegneri ed architetti di Puglia.
Anche detto motivo è infondato, per le stesse ragioni esposte con riferimento alla censura precedente.
La
Corte di merito, con motivazione sufficiente, ha ritenuto che,
trattandosi di piccole opere edili, non fosse necessario affrontare la
spese per la nomina di un direttore dei lavori, essendo sufficiente
garanzia le cognizioni in possesso di qualsiasi piccola impresa del
settore. I ricorrenti censurano la decisione sulla sola base del parere
espresso dal consulente tecnico nella perizia allegata alla domanda
giudiziale, ma non precisano se la questione fosse stata posta
esplicitamente - al di là della asserita menzione nella relazione
peritale di parte- e se fosse stata rimessa al c.t.u. la valutazione
della necessità della direzione dei lavori e la quantificazione del
relativo costo. In assenza di tali deduzioni esplicite, deve ritenersi
corretta la valutazione della corte, che ha ritenuto che la non
necessità di un direttore dei lavori potesse essere valutata sulla base
della comune esperienza in relazione alla entità e tipologia di opere da
eseguire. Ne consegue che la censura mossa si risolve in una questione
di fatto, in quanto si pone in discussione la valutazione della entità e
difficoltà delle opere da realizzare, effettuata dalla corte
territoriale con argomenti adeguati e logici.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 900 e 905 c.c., art. 872 c.c., comma 2, nonchè illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto della controversia.
Si
dolgono i ricorrenti della riduzione dell'ammontare del risarcimento
liquidato in primo grado per la illegittima apertura di vedute (in
accoglimento dell'appello incidentale della soc. Telenorba) e per il
rigetto della domanda di ripristino per violazione delle distanze
legali. Sulla prima doglianza assumono che la corte di merito avrebbe
fatto ricorso all'istituto penalistico del ravvedimento operoso per
ridurre l'entità del risarcimento in relazione ad una disponibilità
della stessa a porre rimedio alla veduta con l'adozione degli strumenti
imposti dal tribunale. La Corte avrebbe errato nel ridurre l'ammontare
del risarcimento, in quanto esso si riferiva a tutto il danno patito
dalla apertura sino alla riduzione in pristino, sicchè la eliminazione
della veduta avrebbe solo potuto impedire l'ulteriore aggravamento del
danno, non ridurre in termini monetari il pregiudizio già prodottosi.
Inoltre la corte territoriale avrebbe travisato quanto espresso dal
c.t.u., secondo cui vi era una comoda veduta sul tratto d-e- della
terrazza D, una veduta disagevole sul tratto f-g- della terrazza F e un
affaccio non praticabile sulla terrazza B, pur essendo possibile la
veduta, essendo irrilevante ad anzi favorendola, la posa in opera di una
ringhiera in corso di causa. La contraddittorietà della motivazione
emergerebbe laddove la corte ha affermato la impossibilità di affaccio
sulla terrazza B per la pericolosità, e poi ha ritenuto del tutto
eliminata ogni possibilità di veduta con la posa in opera di una
ringhiera di protezione. Quanto alla veduta dall'antenna- traliccio,
assumono che la veduta praticabile attraverso di essa - riconosciuta dal
c.t.u. - non potrebbe essere condizionata dall'uso più o meno assiduo
dell'installazione, rimanendo inalterati i contenuti sostanziali della
veduta; inoltre quanto alla praticabilità della veduta anche sul tratto
f-g, anche se non agevole per la presenza di un muro alto mt. 1,75,
richiamano giurisprudenza di legittimità che sottolinea il carattere
assoluto della veduta, a prescindere dal danno in concreto che possa
verificarsi in conseguenza della violazione delle norme sulle distanze
nella realizzazione di opere idonee all'inspectio e alla rospectio.
Anche il terzo motivo è infondato.
Per
quanto concerne la diminuzione dell'importo liquidato in primo grado a
titolo di danno per l'instaurazione di vedute abusive, la corte
territoriale ha operato una valutazione equitativa con riferimento alle
concrete modalità in cui si sarebbe potuta esplicare la veduta. Il fatto
che la illegittimità della veduta non è condizionata al danno che in
concreto possa derivarne per il titolare del fondo sul quale essa si
esplica, non significa che in tema di risarcimento del danno pregresso
(cioè antecedente alla riduzione in pristino) non debba valutarsi la
lesione subita nella sua concretezza, e cioè anche in relazione alla
maggiore o minore incidenza dell'intromissione nella sfera privata del
soggetto passivo, dipendente dalle modalità in cui la veduta era
esercitabile. Nella specie, la corte territoriale ha valutato detta
incidenza con motivazione adeguata e logica, dando ampiamente conto
della scarsa probabilità (per lo stato dei luoghi e la particolare
destinazione dei manufatti) che la veduta sia stata effettivamente
esercitata. Quanto poi alla eliminazione dell'abuso, la corte
territoriale ha ritenuto insussistente, per una delle terrazze, ogni
possibilità di praticabile veduta, anche per le opere poste in essere;
per altra ha imposto i necessari accorgimenti per impedirla per il
futuro, ritenendo che essi fossero idonei allo scopo sulla base di
cognizioni di comune esperienza; infine, per quanto riguarda il
traliccio, la corte territoriale ha escluso in fatto che si fosse in
presenza di una veduta, tenuto conto della funzione esplicata
normalmente dalla struttura, quale esclusivo sostegno di apparecchiature
elettroniche, giudicando irrilevante la possibilità di veduta da parte
di soggetti preposti alla manutenzione nella ipotetica ed episodica
occasione di accesso per tale scopo; la valutazione della corte - che ha
ritenuto che la struttura non possedesse i requisiti per essere
considerata "veduta" alla stregua dei principi affermati dalla
giurisprudenza di legittimità (tra cui la normale e permanente
destinazione a guardare ed affacciarsi nel fondo altrui - Cass.
19.1.1999, n. 450) - valutazione condizionata alla particolarità della
struttura accertata tramite consulenza tecnica, non appare sindacabile
in questa sede in quanto implicante una diversa riconsiderazione del
fatto. Quanto alla pretesa contraddittorietà motivazionale, va osservato
che la corte di merito, dopo aver escluso la possibilità di affaccio
dalla terrazza B per la pericolosità, ha solo addotto un argomento
ulteriore, rilevando che le opere eseguite in corso di causa fugavano
ogni possibile dubbio sulla inesistenza della veduta.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. e art. 872 c.c..
Si dolgono che la corte abbia dichiarato inammissibile la domanda
diretta ad ottenere l'eliminazione di un pluviale posto a distanza non
conforme al dettato dell'art. 872 c.c. perchè proposta per la
prima volta in appello. In proposito affermano i ricorrenti che
l'esistenza del pluviale era stata denunciata sia nella relazione del
c.t.u. che in quella del c.t.p. e in sede di precisazione delle
conclusioni in primo grado era stata formalmente avanzata la domanda.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Premesso
che il carattere di novità della domanda non è escluso dal fatto che si
fosse menzionato il pluviale nella consulenza tecnica d'ufficio o di
parte, e che non appare neppure sufficiente che i ricorrenti affermino
di aver formulato la domanda nelle conclusioni definitive, sia perchè
non riportano il tenore delle conclusioni stesse, sia perchè non
precisano se vi fosse stata acquiescenza della controparte, va comunque
rilevato che la eventuale inesattezza del rilievo della corte di merito
sul carattere di novità della domanda, cosi come censurata, integrerebbe
un vizio revocatorio, perchè si risolverebbe in una erronea lettura
degli atti processuali da parte del giudice d'appello, con conseguente
inammissibilità della censura in questa sede.
Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione artt. 32 Cost., artt. 2043 e 2059 c.c..
Si dolgono del rigetto della domanda di risarcimento per danni
conseguenti alla diffusione elettromagnetica, sulla base del solo
elemento che le emissioni non superavano i limiti fissati dal Decreto n.
391 del 1998. Assumono che la impossibilità di ritenere integrato il
reato di cui all'art. 674 c.p. non esclude la possibilità di
ritenere comunque sussistente una responsabilità di carattere civile, in
quanto il non superamento della soglia preclude la responsabilità
penale ma non quella civile; nel contempo la impossibilità scientifica
di dimostrare il legame eziologico tra esposizione a campi
elettromagnetici e insorgenza di determinate malattie, lungi dal provare
la natura non pregiudizievole di dette immissioni nei limiti minimi
previsti, prova il contrario, e cioè l'impossibilità di escludere detto
danno anche ai valori minimi; il principio di "precauzione" cui si
ispira anche la legislazione in materia, impone in presenza anche di un
pericolo meramente potenziale per la salute umana, una anticipazione
della tutela volta a prevenire l'insorgenza di possibili patologie o di
diffusi stati d'ansia o di stress emotivi per coloro che abitano in
prossimità di sorgenti di onde elettromagnetiche.
La
sentenza, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe pertanto erronea per aver
affermato acriticamente la legittimità delle immissioni per il mancato
superamento dei limiti prefissati dalla legge, senza indagare in
concreto quali siano stati gli effetti pregiudizievoli delle immissioni
sulla salute umana e senza che siano stati condotti esperimenti e
misurazioni al fine di verificare compiutamente l'entità delle
immissioni suddette.
Quanto al rigetto della domanda di risarcimento del danno morale, i ricorrenti invocano la interpretazione evolutiva dell'art. 2059 c.c.
che consente di ritenere risarcibili tutti quei danni non patrimoniali
che si traducono in un pregiudizio esistenziale, nella specie accertato e
provato nelle condizioni di ansia, stress, frustrazione, abbattimento
psicologico, afflizione e menomazione della capacità di relazione
causata ad essi ricorrenti dal dover vivere costantemente a contato con
un'antenna di notevoli dimensioni e nel timore degli effetti dannosi
delle relative emissioni elettromagnetiche. In subordine, prospettano i
ricorrenti che detto tipo di danno avrebbe potuto essere risarcito come
danno esistenziale pacificamente riconducibile alla norma dell'art 2043 c.c.
nella ricostruzione operata dalla più recente giurisprudenza di
legittimità, danno riscontrabile nella indiscutibile menomazione dello
standard di benessere dei ricorrenti, costretti trascorrete le loro
giornate con l'antenna incombente sulla loro abitazione, e liquidabile
in via equitativa.
Il motivo è destituito di fondamento.
I
ricorrenti censurano la sentenza della corte di merito che non ha
riconosciuto loro il risarcimento danno biologico non dimostrato e per
il quale, comunque, non sarebbe dimostrato il nesso di causalità con le
onde elettromagnetiche emesse dalla stazione trasmittente della
controparte. Non si comprende quale principio giuridico dovrebbe
autorizzare quella "tutela avanzata" richiesta, cosi intensa da
consentire il riconoscimento di un danno del tutto ipotetico. La corte
territoriale, con ampie ed esaustive argomentazioni ha spiegato che le
misurazioni effettuate in più occasioni hanno dimostrato che le
emissioni elettromagnetiche degli impianti in discorso non superano
mediamente il limite di cui al D.M. n. 387 del 1998, e tale limite è
assistito da una presunzione di non pericolosità; ha inoltre
correttamente rilevato la corte di merito che anche l'atteggiamento
prudenziale che talvolta ha indotto l'autorità giudiziaria ad emettere
inibitorie per il pericolo di danno alla salute, non consentirebbe però
il riconoscimento di un risarcimento del danno biologico puramente
ipotetico. Nella specie, inoltre, la corte ha rilevato che la stessa
esistenza di un danno biologico era stata esclusa dalla perizia
medico-legale e che non poteva avere rilevanza- perchè priva di concreto
fondamento scientifico - l'indagine epidemiologica depositata dagli
attori su un campione di cittadini residenti nella zona interessata, che
evidenziava una alterazione del fenotipo linfocitario di sedici
volontari. Non hanno pregio, poi, le argomentazioni a sostegno della
risarcibilità di un danno esistenziale individuabile nello stato
psicologico di insicurezza e timore indotti dalla consapevolezza di
essere esposti alle emissioni elettromagnetiche. E' fuori di dubbio,
infatti, che la risarcibilità di un tale danno a carico della Telenorba
non potrebbe prescindere dall'accertata illiceità del suo comportamento,
illiceità, tuttavia, individuabile soltanto nella ipotesi di
superamento dei limiti di immissione previsti dalla normativa vigente.
Quanto, infine, al disconoscimento del danno morale, ha osservato
correttamente la corte che la impossibilità di affermare il supermento
dei limiti legali di immissioni elettromagnetiche esclude che possa
ipotizzarsi il reato di cui all'art. 674 c.p..
Con
il sesto motivo i ricorrenti denunciano omessa, insufficiente e
illogica motivazione su un punto essenziale della controversia, con
riferimento alla ritenuta non pericolosità dell'inquinamento
elettromagnetico determinato dall'attività della intimata.
Assumono
che la corte territoriale ha basato la propria decisione sul dato del
mancato superamento dei limiti di legge riscontrato in sede di rilievi
effettuati nel 1994 dall'Ispel e del centro Radionica nel marzo 1999,
secondo cui il valore era inferiore di 2/3 al limite fissato nel Decreto
"Ronchi", senza valutare l'attendibilità tecnico- scientifica delle
rilevazioni, atteso che in precedenti rilevamenti era stato accertato un
valore di 5,5 V/m quando il valore massimo era di 20 V/m (poi ridotto a
6 nel 1998) e senza tener conto che era improbabile che nel 1999,
allorchè erano stati effettuati i rilevamenti del Centro Radionica, i
valori fossero diminuiti nonostante l'aumentato numero di ripetitori,
anzichè - come è più logico-aumentati, e senza considerare che nella
sede stradale ove risiedono essi ricorrenti era stato registrato - sia
pure per una frazione limitata di tempo- un valore di 12 V/m.
Anche l'ultimo motivo è infondato.
I
ricorrenti introducono questioni di puro merito, adducendo la esistenza
di misurazioni del campo elettromagnetico diverse da quelle considerate
dalla corte d'appello, senza neppure precisare se dette emergenze
fossero state dibattute in giudizio. Per contro il giudice d'appello si è
attenuto a rilevamenti effettuati per fini di tutela della salute
generale da organismi pubblici, rilevamenti della cui attendibilità
scientifica non vi era motivo di dubitare; nè risulta, comunque, che la
questione della attendibilità dei rilevamenti sia stata specificamente
dibattuta nel giudizio, o che sia stata sollecitata apposita consulenza
tecnica (atteso che la c.t.u. della quale era stata chiesta la
rinnovazione nelle conclusioni definitive atteneva ai danni e alle
vedute). La questione posta si presenta, perciò, nuova e, quindi,
inammissibile.
Deve, pertanto,
concludersi per il rigetto del ricorso, con condanna dei ricorrenti alla
rifusione delle spese del giudizio, come da dispositivo.
P.Q.M.
La
corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle
spese nei confronti della parte costituita, liquidate in Euro 2.100,00,
di cui euro 100,00, per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 18 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2007
Nessun commento:
Posta un commento