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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Sezione Prima Ter - ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul
ricorso n. 15284/2001, proposto da ...OMISSIS.... ...OMISSIS....
...OMISSIS...., rappresentato e difeso inizialmente dall’avv. Filippo
Maria Airaudo e poi dall’avv. Francesco Saulle, presso lo studio del
secondo elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Medaglie d’Oro n.
157;
contro
il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato;
per l'annullamento
del decreto di destituzione 6 agosto 2001 del Capo della Polizia;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti depositati dall’Amministrazione;
Vista l’ordinanza 24 gennaio 2002 n. 617, di rigetto della domanda di sospensiva;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Udito
alla pubblica udienza dell’8 marzo 2007 il magistrato relatore Luigi
Tosti e uditi altresì l’avv. Saulle per il ricorrente e l’avvocato
dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
FATTO
Con
ricorso depositato in data 22 dicembre 2001 il Sig. ...OMISSIS...., già
ispettore della Polizia di Stato, chiede l’annullamento del decreto 6
agosto 2001, con il quale il Capo della Polizia gli ha inflitto la
sanzione disciplinare della destituzione dal servizio a decorrere dal 16
novembre 1997, su proposta del Consiglio provinciale di disciplina
presso la Questura di Catania.
Premette
in fatto il ricorrente di essere stato coinvolto con altre persone in
una vicenda giudiziaria che si è conclusa, nei suoi confronti, con
sentenza del Tribunale di Rimini di assoluzione dal reato di favoreggiamento della prostituzione.
Il
conseguente procedimento disciplinare veniva avviato con atto di
contestazione di addebiti del 12 marzo 2001, e concluso con l’avversato
decreto espulsivo, del quale si chiede l’annullamento per i seguenti
motivi:
Violazione
e falsa applicazione dell’art. 19 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737.
Eccesso di potere per violazione del diritto di difesa.
L’atto
di contestazione degli addebiti è viziato per genericità ed
indeterminatezza, in quanto descrittivo dei fatti esaminati dal giudice
penale senza tenere conto del proscioglimento del dipendente.
Eccesso
di potere per contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, riferita ad eventi non contestati in modo specifico.
Violazione
e falsa applicazione dell’art. 653 C.P.P. Eccesso di potere per
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La
sanzione, in violazione del principio enunciato dall’articolo 653 CPP, è
stata determinata dall’addebito di presunte colpe (sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione) ritenute insussistenti nella sede penale.
Eccesso
di potere per travisamento ed errata interpretazione del fatto (in
relazione all’addebito di avere commissionato e seguito i lavori di
ristrutturazione di un immobile di proprietà della moglie da adibire ad
attività illecite).
Violazione
dell’art. 653 C.P.P Violazione dell’art. 3 della Costituzione. Difetto
assoluto di istruttoria. Ingiustizia manifesta.
In
presenza di sentenza penale di assoluzione l’Amministrazione doveva
svolgere propri, autonomi accertamenti sui fatti addebitati.
Violazione
e falsa applicazione degli artt. da 1 a 7 del D.P.R. 26 ottobre 1981 n.
737, Difetto di correlazione tra addebiti e sanzione. Violazione degli
artt. 3 e 97 della Costituzione. Eccesso di potere per abnormità
dell’iter istruttorio. Difetto assoluto di motivazione.
Il
funzionario istruttore, nell’atto di contestazione, ha illegittimamente
preannunciato la sanzione da infliggere. Nel successivo iter del
procedimento l’Amministrazione ha sostanzialmente stravolto i contenuti
di una sentenza di assoluzione, dalla quale non emergeva alcun elemento
di colpevolezza.
Violazione
e falsa applicazione dell’art. 21 ultimo comma del D.P.R. n. 737. in
quanto il decreto espulsivo è stato notificato oltre il termine di
legge.
Alla
Camera di Consiglio del 24 gennaio 2002 questa Sezione respingeva la
domanda di sospensiva; il relativo appello è stato respinto (IV Sezione
n. 2430/2002).
L’Amministrazione, in data 22 gennaio 2002, ha depositato un fascicolo di documenti.
Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2007 la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
I
numerosi profili di illegittimità dedotti poggiano tutti in definitiva
sulla presunta insussistenza di elementi di colpevolezza, rilevanti ai
fini disciplinari, ulteriori rispetto agli addebiti dai quali il
ricorrente è stato prosciolto nella sede penale.
La tesi non può essere condivisa.
Non
sussiste, in primo luogo, la denunciata violazione dell’articolo 19 del
D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 per genericità ed indeterminatezza della
contestazione di addebiti, che sarebbe stata mutuata “in maniera
pressoché pedissequa” da fatti e circostanze esaminati dal giudice
penale con la motivazione della sentenza assolutoria.
L’atto
di contestazione appare invece attentamente ed esaurientemente redatto
con l’enunciazione delle condotte rilevanti ai fini disciplinari
(diretto coinvolgimento nelle trattativa per locare la casa di
proprietà della moglie a fini illeciti e nell’effettuazione dei relativi
lavori di ristrutturazione; frequentazione assidua di un pregiudicato).
Le deduzioni del ricorrente quindi non toccano tanto i contenuti
nell’atto di contestazione, quanto piuttosto la valorizzazione dei fatti
ai fini disciplinari.
Con
il secondo motivo è dedotta la mancata corrispondenza delle motivazioni
della sanzione espulsiva con i comportamenti contestati dal funzionario
istruttore, in particolare per quanto riguarda l’avere accompagnato il
suddetto pregiudicato presso una stazione di carabinieri per denunciare
lo smarrimento dei passaporti di alcune nigeriane dedite alla
prostituzione.
La
censura non merita accoglimento, posto che l’atto di contestazione di
addebiti si riferiva, tra l’altro, all’episodio della partecipazione
dell’incolpato alla denuncia di smarrimento dei passaporti da parte di
nigeriane al fine di ottenere indebitamente la regolarizzazione della
loro presenza sul territorio italiano; il comportamento censurato quindi
non rappresenta una novità rispetto alla contestazione, ma costituisce
specificazione della stessa, sulla base degli approfondimenti svolti
nelle fasi successive dell’inchiesta.
Neppure
sussiste la violazione dell’articolo 653 C.P.P. dedotta con il terzo
motivo di ricorso, in quanto la condotta addebitata al ricorrente nella
sede disciplinare non tocca i profili di responsabilità penale per il
quale lo stesso è stato assolto, quanto piuttosto comportamenti ritenuti
decisamente incompatibili con lo status di agente dell’Ordine.
Il
ricorrente non nega di avere accompagnato il Barbato presso la stazione
dei carabinieri di Sant’Arcangelo di Romagna per effettuare le false
denuncie; non nega di avere una assidua frequentazione con quel
soggetto; di essersi interessato della ristrutturazione non autorizzata
di un immobile di proprietà della moglie per adibirlo ad abitazione di
straniere irregolarmente presenti in Italia e dedite ad attività
immorali; di non essersi comunque attivato per impedire che la moglie
convivente si astenesse dall’intrattenere rapporti di affari con
pregiudicati dediti allo sfruttamento della prostituzione.
L’esame
degli atti, pur nella complessità della vicenda, dimostra che i
comportamenti addebitati ben possono giustificare la rimozione dalle
delicate mansioni di ispettore della Polizia di Stato di un dipendente
il quale (al di là del favorevole esito del processo in cui è stato
coinvolto). ha comunque posto in essere contegni non compatibili con
l’esercizio delle funzioni di polizia.
Giova
al riguardo rammentare la consolidata tradizione giurisprudenziale che
affida alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione il giudizio
in ordine alla gravità dei fatti ed alla loro obiettiva incidenza sul
prestigio dell’istituzione cui il dipendente appartiene; siffatta
valutazione, se non palesemente illogica o arbitraria, non può formare
oggetto di sindacato del giudice, al quale non è consentito, in sede di
verifica di legittimità, di sostituire proprie considerazioni a quelle
dell’Autorità amministrativa.
In
realtà il ricorrente non sembra cogliere la differenza tra il giudizio
disciplinare e quello penale, e la possibilità che fatti penalmente
irrilevanti abbiano invece un determinante peso sul piano
amministrativo.
Non
sussistono quindi i denunciati vizi di travisamento dei fatti e di
violazione dell’articolo 653 C.P.P. (terzo e quarto motivo) perché le
condotte poste in essere dal ...OMISSIS.... (anche se non sanzionate del
giudice penale per mancanza di sicuri elementi di colpevolezza, ai
sensi dell’articolo 530 secondo comma C.P.P.) hanno determinato
un’evidente frattura nella fiducia dell’Amministrazione di pubblica
sicurezza nei riguardi di un proprio appartenente così giustificando la
scelta di porre fine al rapporto di lavoro.
Deduce
poi il ricorrente che il funzionario istruttore avrebbe
illegittimamente proposto, nella sua relazione, la sanzione da
infiggere.
La
censura è infondata in fatto, essendosi l’istruttore, nella sua
relazione conclusiva, limitato ad esporre l’attività svolta; è infondata
in diritto, perché la norma di garanzia, contenuta nell’articolo 12 del
d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, riguarda il rapporto inoltrato dal
superiore gerarchico (che non deve contenere alcuna proposta in ordine
alla specie ed all’entità della sanzione) e non anche l’attività del
funzionario istruttore (la cui nomina presuppone che il procedimento si
svolga per infliggere una sanzione più grave della deplorazione).
La
giurisprudenza amministrativa ha infatti ripetutamente affermato che
"nell'inchiesta disciplinare, fermo restando che l'istruttore non ha
alcuna competenza in ordine al giudizio di colpevolezza che spetta
invece all'Organo decidente, il criterio di separazione (delle
competenze) non può essere inteso in senso assoluto, essendo specifico
compito del funzionario quello di inquadrare ai fini della contestazione
formale il fatto addebitato nella previsione legale ed essendo
correlativamente sua facoltà quella di formulare in proposito
osservazioni in sede di relazione conclusiva" (Consiglio di Stato, IV
Sezione, 14 aprile 2003 n. 193 e VI Sezione 14 dicembre 2005 n. 7100).
Neppure
può fondatamente ritenersi che nel caso vi sia stato un illegittimo
automatismo tra giudicato penale e sanzione espulsiva, perché gli atti
del procedimento mostrano che gli Organi nello stesso intervenuti hanno
autonomamente valutato la compatibilità delle condotte addebitate
all’incolpato con lo stato di tutore dell’ordine pubblico, tenendo conto
anche delle numerose sanzioni precedentemente riportate
dall’interessato.
Le
censure di eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia attengono
invece al merito della scelta operata dall’Amministrazione, senza
toccare la legittimità del provvedimento espulsivo; le censure stesse,
in realtà, sembrano rivolte ad ottenere da questo giudice una
inammissibile decisione di merito, che si sostituisca alla valutazione
dell’Amministrazione.
Quanto
all’ultimo motivo di ricorso è sufficiente rammentare il costante
orientamento della giurisprudenza, che ravvisa nel superamento del
termine di dieci giorni per la comunicazione al destinatario del decreto
sanzionatorio una mera irregolarità, che non comporta alcun effetto
invalidante del provvedimento (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 27
giugno 2006 n. 10).
Il ricorso deve essere di conseguenza respinto.
Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti..
P.Q.M.
Il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Sezione Prima Ter-
respinge il ricorso proposto come in epigrafe da ...OMISSIS....
...OMISSIS.... ...OMISSIS.....
Compensa interamente le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa
Così deciso a Roma, addì 8 marzo 2007, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Magistrati:Luigi TOSTI Presidente estensore
Salvatore MEZZACAPO Consigliere
Maria Ada RUSSO Primo referendario
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