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martedì 9 luglio 2013

Cassazione: Scatta il peculato per il dipendente del Comune che "riciclava" le marche da bollo staccate dagli atti No alla tesi che ipotizza la sola truffa in danno del privato: l'appropriazione contestata non riguarda solo i valori asportati dalle pratiche ma anche e soprattutto le somme versate all'imputato dagli utenti





Scatta il peculato per il dipendente del Comune che "riciclava" le marche da bollo staccate dagli atti
No alla tesi che ipotizza la sola
truffa in danno del privato: l'appropriazione contestata non riguarda
solo i valori asportati dalle pratiche ma anche e soprattutto le somme
versate all'imputato dagli utenti
 (Sezione sesta, sentenza n.
30154/07; depositata il 24 luglio)
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 12-06-
2007) 24-07-2007, n. 30154


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo -
Presidente

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. MILO Nicola -
Consigliere

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere

Dott. DI CASOLA Carlo
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso
proposto da:

1) B.G., n. a (OMISSIS);

2) C.G., n. a (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 21 marzo 2005 della Corte di appello di
Milano;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e i ricorsi;

Udita in
Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giovanni
Conti;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per
l'annullamento con rinvio in punto di attenuante ex art. 62 c.p., n. 4
quanto al B. e rigetto nel resto; rigetto del ricorso del C.;

Udito
per la parte civile Comune di Milano il difensore avvocato Francesco
Pirocchi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.


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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 20
maggio 2004, il Tribunale di Milano, riconosciute le attenuanti
generiche, condannava B. G. alla pena di anni due e mesi sei di
reclusione e C.G. alla pena di anni due e mesi tre di reclusione, oltre
alle pene accessorie e al risarcimento dei danni in favore della parte
civile Comune di Milano, in quanto responsabili:

il B., del reato di
cui agli artt. 81 cpv. e 314 c.p., perchè, nella sua qualità di agente
di polizia municipale del Comune di Milano, applicato presso il Settore
Concessioni ed Autorizzazioni Edilizia, addetto all'accettazione delle
"dichiarazioni d'inizio attività" e delle "richieste di autorizzazioni
edilizie per l'esecuzione di piccole opere", e quindi pubblico
ufficiale, avendo per ragioni del suo ufficio la disponibilità delle
pratiche già definite e conservate presso l'archivio del settore
d'appartenenza, sulle quali erano state applicate marche da bollo da L.
20.000 cadauna, diritti di segreteria da L. 50.000 cadauna e marche per
il rimborso spese da L. 650 cadauna, se ne appropriava, asportandole e
privandole dalle predette pratiche, riutilizzandole e apponendole sui
moduli delle istanze presentate dai richiedenti presso gli sportelli
dei suddetti uffici, per un ammontare complessivo di L. 23.646.000 (in
(OMISSIS), accertato il 5 aprile 2001);

il C., del reato di cui agli
artt. 81 cpv. e 314 c.p., perchè, nella sua qualità di agente di
polizia municipale del Comune di Milano, applicato presso il Settore
Concessioni ed Autorizzazioni Edilizia, addetto all'accettazione delle
"dichiarazioni d'inizio attività" e delle "richieste di autorizzazioni
edilizie per l'esecuzione di piccole opere", e quindi pubblico
ufficiale, avendo per ragioni del suo ufficio la disponibilità delle
pratiche già definite e conservate presso l'archivio del settore
d'appartenenza, sulle quali erano state applicate marche da bollo da L.
20.000 cadauna, diritti di segreteria da L. 50.000 cadauna e marche per
il rimborso spese da L. 650 cadauna, se ne appropriava, asportandole e
privandole dalle predette pratiche, riutilizzandole e apponendole sui
moduli delle istanze presentate dai richiedenti presso gli sportelli
dei suddetti uffici, per un ammontare complessivo di L. 2.443.900 (in
(OMISSIS), accertato il 5 aprile 2001).

Con la sentenza in epigrafe la
Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, appellata da entrambi gli imputati, riconosciuta quanto al C.
l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, riduceva la pena allo
stesso inflitta in anni due di reclusione, concedendo inoltre allo
stesso entrambi i benefici di legge e confermando nel resto l'appellata
sentenza.

Osservava la Corte milanese che sulla base di risultanze
documentali e testimoniali doveva ritenersi provata la condotta
ascritta agli imputati, che erano stati visti più volte fornire agli
utenti marche da bollo che avrebbero dovuto essere invece acquistate in
rivendite esterne ovvero in un apposito ufficio posto al piano
superiore, e che avevano sicuramente riciclato marche già utilizzate,
asportate da altre pratiche, come riscontrato in alcuni casi dai
colleghi di ufficio e come comunque risultava dalle rispettive sigle di
annullo da loro apposte sulle marche.

Poteva essere concessa
l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4 al solo C., in relazione al
modesto importo complessivo delle marche riutilizzate.

Ricorrono per
cassazione entrambi gli imputati.

Il B. deduce personalmente:

1.
Difetto di motivazione circa la prova dell'elemento oggettivo del
peculato.

La Corte territoriale non ha risposto ai rilievi contenuti
nell'atto di appello.

Si era osservato che nessuno dei colleghi di
ufficio dell'imputato aveva ricondotto ad esso la condotta contestata.

L'unico dato che emergeva dalle risultanze dibattimentali è che il B.
aveva talvolta fornito marche da bollo nuove a coloro che presentavano
le pratiche allo sportello.

Nulla conduceva a individuare nel B. il
responsabile del riutilizzo di marche prelevate da precedenti pratiche.

2. Erronea qualificazione giuridica del fatto.

Le marche già
annullate, di cui si afferma il riutilizzo, non avevano alcun valore
economico, rappresentando solo il già avvenuto pagamento della imposta
di bollo da altri fatto.

Si potrebbe ipotizzare al più il reato di cui
all'art. 640 c.p. in danno del privato, posto che questi acquista un
bollo già utilizzato credendolo nuovo, senza di fatto assolvere al
dovere tributario.

In ogni caso, la sentenza impugnata non ha affatto
motivato circa la subordinata richiesta di riconoscimento
dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4.

Il difensore del C.,
avv. Francesco Mobilio, deduce la inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale e la mancanza o illogicità della motivazione,
rilevando:

La Corte territoriale non ha risposto ai rilievi contenuti
nell'atto di appello con i quali si rimarcava che nulla indicava chi
fra i due imputati, e in che misura, avesse riutilizzato le marche
prelevate da precedenti pratiche.

Una sola volta il C., fu sorpreso
mentre utilizzava una marca riciclata.

Un numero indeterminato di
persone addette all'ufficio, compresi i lavoratori interinali, avevano
accesso alle pratiche di ufficio.

In ogni caso la marca di cui il C.
si sarebbe appropriato non aveva alcun valore, proprio perchè era stata
annullata.

Era al più ipotizzabile il reato di truffa in danno del
privato.

Motivi della decisione
1. Le doglianze in punto di
affermazione della responsabilità penale degli imputati appaiono
infondate.

La prova della commissione dei fatti contestati è stata
esattamente e inequivocabilmente desunta dal fatto che le pratiche su
cui erano state apposte le marche "riciclate" erano accompagnate dalla
sigla dei predetti imputati, che sul punto non hanno svolto alcuna
contraria deduzione. inoltre, a completamento di tale evidenza
probatoria, di per sè risolutiva, è stato accertato attraverso varie
testimonianze che i due imputati, in contrasto con le regole
organizzative dell'ufficio, fornivano solitamente essi stessi agli
utenti le marche da apporre sulle pratiche, che invece avrebbero dovuto
essere acquistate nell'apposito ufficio posto al piano superiore o in
rivendite esterne; e che il C. aveva in alcune occasioni sicuramente
utilizzato marche palesemente usate, mentre il B. aveva una volta
applicato una marca servendosi della colla, anzichè del tampone ad
acqua.

Sussiste in jure il delitto contestato in relazione
all'appropriazione delle marche prelevate da altre pratiche. in primo
luogo, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato,
proprio in relazione ad analoghe fattispecie, che il peculato può avere
ad oggetto cose che, pur non avendo valore intrinseco, possono
acquistare o riacquistare rilevanza economica per la utilizzazione che
ne faccia l'agente (v. per tutte Sez. 6, 25 ottobre 1989, Mocini; Id.,
31 ottobre 1986, Vacca).

Ma soprattutto, va osservato che le marche
sottratte da precedenti pratiche avevano un preciso e concreto valore
per la pubblica amministrazione, costituito dalla loro efficacia
documentativa della regolarità fiscale delle pratiche, che, private di
esse, producevano un evidente disordine amministrativo-contabile.

Inoltre, l'appropriazione contestata non riguarda soltanto le marche,
ma anche e soprattutto le somme versate agli imputati dagli utenti, le
quali ne costituivano il controvalore, e che, a tale titolo, divenivano
immediatamente di pertinenza della pubblica amministrazione.

E' vero
che gli utenti, tratti in errore in tal modo dagli imputati, non
assolvevano il loro dovere tributario, ma questa notazione non esclude
affatto la sussistenza del peculato, ma solo rendeva prospettabile, in
concorso formale con esso, l'ulteriore reato di truffa in danno dei
privati, che però non è stato contestato.

2. Va invece accolto la
doglianza del B. relativa al mancato riconoscimento dell'attenuante di
cui all'art. 62 c.p., n. 4, che è stata negata sulla base della
considerazione dell'importo complessivo delle somme percepite in
relazione a ciascun fatto appropriativo.

Al riguardo va affermato, che
trattandosi di più fatti in continuazione, la sussistenza dei
presupposti dell'attenuante in questione va valutata con riferimento al
danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato (v. per tutte
sez. 3, 21 ottobre 1993, Lamanna).

La sentenza impugnata va pertanto
annullata limitatamente a tale punto, riguardante esclusivamente
l'imputato B., con conseguente rinvio ad altra sezione della Corte di
appello di Milano.

3. Al rigetto del ricorso del C. consegue, a norma
dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

4. Gli imputati vanno condannati in solido alla
rifusione delle spese del presente grado in favore della parte civile
Comune di Milano, che si liquidano, in relazione alla natura e valore
della causa, in Euro 1.906,00, di cui Euro 1.800,00 per onorari, oltre
IVA e CPA come per legge.

E' il caso di precisare che detta
statuizione di condanna investe anche il B., dovendosi ribadire che il
parziale accoglimento del ricorso dell'imputato non elimina
l'affermazione di responsabilità, sicchè, se impedisce la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, non è di ostacolo alla
condanna del medesimo al pagamento delle spese sostenute dalla parte
civile nel giudizio di impugnazione (v. Sez. 3, 19 ottobre 1993,
Micheletti;

Sez. 4, 24 ottobre 1990, Galbusera).

P.Q.M.
Annulla nei
confronti di B.G. la sentenza impugnata limitatamente al diniego
dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4 e rinvia per nuovo
giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano;
rigetta il ricorso nel resto.

Rigetta il ricorso di C.G. e lo condanna
al pagamento delle spese processuali.

Condanna inoltre i ricorrenti,
in solido, alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio,
che liquida nella complessiva somma di Euro 1.906,00, di cui Euro
1.800,00 per onorari, oltre IVA e CPA, in favore della parte civile
Comune di Milano.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2007.

Depositato
in Cancelleria il 24 luglio 2007



 

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