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martedì 9 luglio 2013

Cassazione: Il dipendente sospeso dal servizio e poi assolto ha cinque anni di tempo per chiedere l'indennizzo No alla natura risarcitoria, va affermata quella retributiva: si applica il termine di prescrizione ex articolo 2948 cc, a partire dal passaggio in giudicato della sentenza penale di proscioglimento




Il dipendente sospeso dal servizio e poi assolto ha cinque anni di tempo per chiedere l'indennizzo
No alla natura risarcitoria, va
affermata quella retributiva: si applica il termine di prescrizione ex
articolo 2948 cc, a partire dal passaggio in giudicato della sentenza
penale di proscioglimento

Cass. civ. Sez. lavoro, 23-10-2007, n.
22238


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:

Dott. CICIRETTI Stefano - Presidente

Dott. CUOCO Pietro -
Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. DE MATTEIS
Aldo - rel. Consigliere

Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere

ha
pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ATAC S.P.
A., (già A.T.A.C.), in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE MURA PORTUENSI 33, presso
lo studio dell'avvocato CAPPELLA LUCIANO, che lo rappresenta e difende,
giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

R.V., elettivamente
domiciliato in ROMA VIALE ERITREA 9, presso lo studio dell'avvocato
PICICHE' GERARDO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 6547/03 della Corte
d'Appello di ROMA, depositata il 01/12/03 R.G.N. 1786/01;

udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/07 dal
Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;

udito l'Avvocato CAPPELLA LUCIANO;

udito l'Avvocato PICICHE' GERARDO;

udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso
per l'accoglimento per quanto di ragione.


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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
L'Atac s.p.a. ha sospeso
il proprio dipendente sig. R.V. dal servizio e dalla retribuzione con
decorrenza 9.12.1981 perchè in corso a suo carico un procedimento
disciplinare di destituzione per aver svolto attività extraziendale
durante la malattia, con diritto alla corresponsione dell'assegno
alimentare di cui al R.D. n. 148 del 1931, all. A. Il giudizio penale
relativo ai fatti contestati si è concluso con sentenza del giudice
istruttore, che ha dichiarato non doversi procedere per insussistenza
del fatto a carico di vari imputati fra i quali l'odierno appellante,
passata in giudicato il 6 maggio 1988.

A seguito del proscioglimento
il R. ha adito una prima volta il giudice del lavoro di Roma con
ricorso introduttivo del giudizio notificato il 6 novembre 1990,
dichiarato nullo con sentenza del 13 luglio 1992, passata in giudicato.
Con successivo ricorso notificato il 29 maggio 1998, il R. ha
riproposto la stessa domanda di pagamento dell'indennizzo per il
periodo di illegittima sospensione previsto dal R.D. n. 148 del 1931,
art. 46.

Il giudice del lavoro di Roma ha accolto la domanda e
condannato l'Atac a pagare al R. L. 25.309.882, oltre interessi dal 6
maggio 1998, a titolo di indennizzo per il periodo 9 dicembre 1981/10
giugno 1984 in cui era stato sospeso dal servizio.

L'appello dell'Atac
è stato respinto dalla Corte d'Appello di Roma con sentenza 30
gennaio/1 dicembre 2003 n. 6547. Il giudice d'appello ha rilevato che
il R.D. n. 148 del 1931, art. 46, comma 3, all. A, prevede che la
"sospensione dura finchè sia cessata o risolta la causa che la motivò"
ed il successivo comma 6 prevede il diritto all'indennizzo qualora
l'agente sia stato assolto per non aver commesso il fatto, per
insussistenza del reato o perchè il fatto non costituisce reato.

Quanto alla eccezione di prescrizione sollevata dall'Atac, sotto il
profilo che l'indennizzo in questione avrebbe natura retributiva e non
risarcitoria (ciò ai fini dell'applicazione della prescrizione
quinquennale, anzichè di quella decennale, ritenuta dal primo giudice),
il giudice d'appello ha ritenuto la questione irrilevante, avuto
riguardo al termine iniziale della decorrenza della prescrizione
medesima che deve essere necessariamente collegato al passaggio in
giudicato della sentenza penale (avvenuto il 6 maggio 1988) ed al
successivo ricorso introduttivo del giudizio civile di 1 grado
notificato il 6.11.1990 e poi dichiarato nullo con sentenza del 13
luglio 1992, con domanda riproposta nel presente giudizio.

L'appellante sosteneva doversi negare ogni effetto interruttivo in
considerazione della pronunciata nullità. Il giudice d'appello ha
respinto tale tesi, in quanto la domanda giudiziale, a prescindere
dall'esito processuale, costituisce sempre l'esercizio effettivo del
diritto portato in domanda ed interrompe l'inerzia del titolare.

Il
giudice d'appello dichiarava non decorso nemmeno il termine
prescrizionale breve quinquennale.

Avverso tale sentenza ha proposto
ricorso per Cassazione l'Atac, con unico motivo, illustrato da memoria
ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

L'intimato si è costituito con
controricorso, resistendo.

Motivi della decisione
Con unico motivo la
società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa
applicazione del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 46, all. A, art.
2948 c.c..

Ribadita la natura retributiva delle differenze tra
l'assegno corrisposto e la retribuzione piena del periodo, la
ricorrente rileva che tra l'atto interruttivo del 1990 (di cui pur
contesta la valenza interruttiva, trattandosi di un ricorso nullo) ed
il ricorso introduttivo del giudizio del 1998 sono decorsi più dei
cinque anni previsti dall'art. 2948 c.c., n. 4.

Il ricorso è fondato.

Il R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, All. A., art. 46, comma 6, art. 18,
prescrive che nel caso di sospensione disposta per procedimento
disciplinare o per arresto dovuto a cause di servizio, l'agente ha
diritto all'indennizzo di quanto ha perduto per effetto della
sospensione, sempre che sia assolto per non aver commesso il fatto, per
inesistenza di reato o perchè il fatto non costituisce reato.

Nonostante l'uso del termine indennizzo, dovuto a ragioni storiche,
trattasi di differenze retributive soggette alla prescrizione
quinquennale ai sensi dell'art. 2948 c.c., n. 4 (Cass. 3 luglio 2001 n.
9011).

Ciò precisato, appare corretta la tesi della sentenza impugnata
che il termine iniziale della decorrenza della prescrizione debba
essere collegato al passaggio in giudicato della sentenza penale (quale
momento dal quale il diritto poteva essere fatto valere, ai sensi
dell'art. 2935 c.c.), in quanto tale sentenza non costituisce un
ostacolo di mero fatto all'esercizio del diritto (come tale ininfluente
al fine del decorso della prescrizione, come potrebbe essere nel caso
di legge interpretativa o di sentenza della Corte costituzionale: Cass.
19 settembre 2000 n. 12386), ma determina, mediante l'accertamento che
il fatto reato sussiste o non sussiste, la esistenza o meno del diritto
all'indennizzo.

Tale tesi, in parziale contrasto con il precedente
citato (Cass. 9011/2001, che fa decorrere la prescrizione del diritto
all'indennizzo dal provvedimento di sospensione e dalle singole rate di
retribuzione non corrisposta, peraltro in una diversa fattispecie
focalizzata sulla pretesa - negata - della decorrenza dalla data del
pensionamento), comporta che la prescrizione quinquennale relativa ai
ratei di retribuzione per il periodo di sospensione dal 9 dicembre
1981/10 giugno 1984 non sia decorsa alla data del ricorso introduttivo
del giudizio civile di 1 grado notificato il 6.11.1990, e poi
dichiarato nullo con sentenza del 13 luglio 1992. A tale riguardo la
sentenza impugnata è altresì corretta, e conforme alla giurisprudenza
di questa Corte, nella parte in cui afferma, contrariamente a quanto
sostenuto dalla ricorrente, che la domanda giudiziale, pervenuta a
conoscenza di controparte, costituisce esercizio effettivo del diritto
sufficiente a interrompere la prescrizione, quale che sia l'esito
successivo del giudizio (Cass. 14 giugno 2007 n. 13966).

In effetti
nel caso di specie la domanda giudiziale, atta ad interrompere la
prescrizione (art. 2945 c.c., comma 1), è stata notificata il 6
novembre 1990, ed il suo effetto sospensivo permane fino al passaggio
in giudicato della sentenza che ne ha dichiarato la nullità, e cioè
fino al 13 luglio 1992; infatti tale pronuncia, anche se in rito, è
diversa dalla pronuncia di estinzione del giudizio, l'unica atta a
privare la domanda giudiziaria dell'effetto sospensivo ai sensi
dell'art. 2945 c.c., comma 3 (Cass. 25 settembre 1997 n. 9400, Cass. 23
maggio 1997 n. 4630).

Dal 13 luglio 1992 inizia a decorrere dunque un
nuovo termine prescrizionale quinquennale, dovendosi applicare la
prescrizione di cui all'art. 2948 c.c., comma 4, data la natura
retributiva di tali differenze di paga.

A questo punto la sentenza
impugnata è errata nel calcolo del periodo prescrizionale.

Il ricorso
introduttivo del presente giudizio è stato notificato il 29 maggio
1998, e quindi oltre 5 anni dal precedente atto interruttivo costituito
dalla domanda giudiziaria del 6 novembre 1990 e dalla cessazione della
sospensione della prescrizione costituita dalla sentenza 13 luglio
1992.

Il termine prescrizionale quinquennale è perciò maturato, ed ha
comportato l'estinzione del diritto azionato.

Sussistono i presupposti
di legge previsti dall'art. 384 c.p.c., come modificato dal L. 26
novembre 1990, n. 353, art. 66 (accoglimento del ricorso per violazione
di legge e non necessità di ulteriori accertamenti di fatto), perchè
questa Corte decida la controversia nel merito, respingendo la domanda
del R..

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono
liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la
sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge la domanda del R..
Condanna il soccombente a pagare le spese del presente giudizio
liquidate in Euro 17,00 oltre Euro 1.500,00 per onorari di avvocato,
oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella
Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 25 settembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2007


 

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