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martedì 9 luglio 2013

Cassazione: Sì alla responsabilità contrattuale se la banca paga l'assegno non trasferibile a chi non è legittimato Si prescrive in dieci anni e non in cinque l'azione per il risarcimento verso l'istituto. Le Sezioni unite: no all'applicabilità del paradigma aquiliano, bisogna andare oltre il dato letterale del Codice




Sì alla responsabilità contrattuale se la banca paga l'assegno non trasferibile a chi non è legittimato
Si prescrive in dieci anni e non in cinque l'azione per il risarcimento verso l'istituto. Le Sezioni
unite: no all'applicabilità del paradigma aquiliano, bisogna andare
oltre il dato letterale del Codice
 (Sezioni unite civili, sentenza n.
14712/07; depositata il 26 giugno)
Cass. civ. Sez. Unite, 26-06-2007,
n. 14712


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI 498/2004

Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente
aggiunto

Dott. SENESE Salvatore - Presidente di sezione

Dott.
VITTORIA Paolo - Presidente di sezione

Dott. VITRONE Ugo - Consigliere

Dott. VIDIRI Guido - Consigliere

Dott. DURANTE Bruno - Consigliere

Dott. SETTIMI Giovanni - Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio -
Consigliere

Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere

ha pronunciato la
seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.C., L.A.,
elettivamente domiciliate in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio
dell'avvocato GIAMMARIA CAMICI, che le rappresenta e difende unitamente
agli avvocati BINNI MICHELE, BINNI ANTONIO, giusta delega a margine del
ricorso;

- ricorrenti -

contro

BANCA FIDEURAM S.P.A., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA FALERIA 37, presso lo studio dell'avvocato EROLI MASSIMO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso;

-
controricorrente -

e contro

BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA S.P.A., P.
P.;

- intimati -

e sul 2 ricorso n. 00452/04 proposto da:

BANCA
ANTONIANA POPOLARE VENETA S.P.A. (incorporante per fusione la BANCA
NAZIONALE DELL'AGRICOLTURA S.P.A.), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ATTILIO FRIGGERI 82, presso lo studio dell'avvocato MARIO FIANDANESE,
che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso
e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

BANCA FIDEURAM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FALERIA 37, presso lo
studio dell'avvocato MASSIMO EROLI, che la rappresenta e difende,
giusta delega in calce al controricorso al ricorso incidentale;

-
controricorrente al ricorso incidentale -

e contro

R.C., L.A., P.P.,
Z.M., F.E., C.G.;

- intimati -

e sul 3 ricorso n. 00498/04 proposto
da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 28, presso lo
studio dell'avvocato MARIO CANNATA, che lo rappresenta e difende,
giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

-
controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

BANCA FIDEURAM S.P.
A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FALERIA 37, presso lo studio dell'avvocato
MASSIMO EROLI, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al
controricorso al ricorso incidentale;

- controricorrente al ricorso
incidentale -

e contro

R.C., L.A., BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA S.
P.A., F.E., Z.M., C.G.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 3436/03
della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 16/07/03;

udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/07 dal
Consigliere Dott. Renato RORDORF;

uditi gli avvocati Massimo EROLI,
Mario FIANDANESE, Giuseppe VESCUSO per delega dell'avvocato Mario
Cannata;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.
IANNELLI Domenico che ha concluso per il rigetto del primo motivo del
ricorso incidentale dell'Antonveneta (ric. 452/04) e del terzo motivo
del ricorso incidentale del P. (498/04); rinvio per il resto ad una
sezione semplice.


--------------------------------------------------------------------------------
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
La Banca Fideuram s.p.a.
(in prosieguo indicata come Fideuram), con atto notificato il 18
settembre 1996, citò in giudizio dinnanzi al Tribunale di Roma la Banca
Nazionale dell'Agricoltura (poi divenuta Banca Antoniana Popolare
Veneta e che, in prosieguo, sarà indicata come Antonveneta). L'attrice
lamentò che la banca convenuta avesse accreditato in favore di soggetti
non legittimati alcuni assegni bancari e circolari - poi meglio
definiti assegni di traenza - muniti di clausola di non trasferibilità.
Chiese pertanto che l'Antonveneta fosse condannata a rifondere le somme
che essa attrice aveva dovuto pagare ai legittimi prenditori dei
titoli, ammontanti a complessive L. 237.094.022, essendo subentrata nei
diritti di costoro.

Costituitasi in giudizio, l'Antonveneta eccepì la
prescrizione e chiese comunque il rigetto delle domande contro di lei
rivolte.

Ottenne di poter altresì chiamare in causa, a scopo di
eventuale rivalsa, coloro che avevano apposto sugli assegni non
trasferibili la girata "per conoscenza e garanzia".

I terzi chiamati,
sigg.ri R.C., L.A., F. E., P.P. e Z.M., costituitisi anch'essi in
giudizio, chiesero ed ottennero, a propria volta, di poter chiamare in
causa il sig. C.G., al quale imputarono di aver posto in essere le
operazioni finanziarie con riferimento alle quali gli assegni in
questione erano stati emessi e poi girati alla Antonveneta. La sig.ra
R. spiegò altresì domanda di risarcimento dei danni nei confronti della
Fideuram.

Il sig. C. rimase contumace.

Con sentenza depositata il 20
dicembre 2000 il tribunale rigettò sia la domanda della Fideuram sia
quella della sig.ra R.. t Chiamata a pronunciarsi sui gravami proposti
dalla medesima Fideuram, in via principale, e dalla Antonveneta, in via
incidentale, la Corte d'appello di Roma, con sentenza resa pubblica il
16 luglio 2003, in riforma della decisione di primo grado, condannò
l'Antonveneta a versare alla Fideuram la somma di Euro 115.088,93,
maggiorata di interessi legali; e condannò altresì i sigg.ri L., P. e
R. a restituire all'Antonveneta, rispettivamente, le somme di Euro
11.131,96, Euro 18.464,76 ed Euro 85.492,21, sempre maggiorate di
interessi legali.

A sostegno di tale pronuncia la corte d'appello,
premesso che incontestabilmente gli assegni di cui si discute erano
stati incassati da persone diverse da quelle indicate nei titoli come
prenditori, ha osservato che, ai sensi del R.D. 21 dicembre 1933, n.
1736, art. 43, gli assegni muniti di clausola di non trasferibilità
possono essere pagati solo al prenditore indicato nei titoli, o
altrimenti girati per l'incasso ad un banchiere, onde la banca che
abbia invece eseguito il pagamento a persona diversa ne risponde; che
tale responsabilità, operando la banca negoziatrice anche come
sostituta della banca trattarla, per quanto attiene all'identificazione
del presentatore dei titoli, ha natura contrattuale; che,
conseguentemente, la relativa azione - da ritenersi insita nella
pretesa esercitata in causa dalla Fideuram - si prescrive non già in
cinque, bensì in dieci anni, termine nella specie non decorso; che la
medesima Fideuram aveva idoneamente dimostrato di aver rimborsato i
relativi importi agli effettivi beneficiari degli assegni, giacchè la
documentazione al riguardo prodotta - in concreto idonea a fornire la
prova richiesta - era stata versata agli atti del giudizio di primo
grado entro il termine concesso dal giudice ex art. 184 c.p.c. e, per
il resto, ritualmente era stata acquisita al giudizio d'appello; che
nessun elemento era stato addotto da cui potesse desumersi un qualche
concorso di colpa della stessa Fideuram nella produzione del danno;
che, infine, i sigg.ri R., L. e P., avendo espressamente apposto la
dicitura "per conoscenza e garanzia" sui titoli da essi girati alla
banca negoziatrice, erano tenuti a subirne la manleva.

Avverso tale
sentenza le sigg.re R. e L. hanno proposto ricorso per cassazione,
articolato in cinque motivi.

Il sig. P. ha depositato un
controricorso, contenente altresì sette motivi di ricorso incidentale;
ed altrettanto ha fatto l'Antonveneta, formulando due ulteriori motivi
di ricorso incidentale, illustrati poi anche da memoria.

La Fideuram
ha resistito con tre distinti controricorsi, del pari illustrati con
successiva memoria.

Con ordinanza depositata in cancelleria il 20
maggio 2006, la prima sezione di questa corte, dopo aver riunito i
ricorsi, ha sollecitato il Primo Presidente ad investire della
decisione le sezioni unite, per l'opportunità di comporre il contrasto
di giurisprudenza manifestatosi circa la natura della responsabilità -
contrattuale, extracontrattuale, o altrimenti prevista dalla legge -
cui si espone la banca girataria per l'incasso la quale paghi a persona
non legittimata un assegno non trasferibile, con le conseguenze che ne
derivano in ordine al termine di prescrizione - se decennale o
quinquennale - al quale è soggetta l'azione del danneggiato verso detta
banca.

I ricorsi sono stati perciò discussi dinanzi alle sezioni unite
di questa Corte.

Motivi della decisione
1. Diverse sono le questioni
che i ricorsi sottoposti all'esame della corte propongono, ancorchè una
sola sia quella per la quale si è reso necessario investire le sezioni
unite. La connessione che le lega impone comunque di esaminarle tutte
in questa sede, cominciando da quelle logicamente preliminari.

2.
Preliminare è, appunto, la questione sollevata nel primo dei due
profili di doglianza in cui si sostanzia il secondo motivo di ricorso
dell'Antonveneta.

La ricorrente si duole del fatto che la corte
d'appello abbia ravvisato nelle difese di essa banca - e confutato -
un'eccezione volta a denunciare l'inammissibilità della produzione
documentale di controparte, tanto in primo quanto in secondo grado,
laddove invece l'eccezione proposta riguardava la genericità della
domanda contenuta nell'originario atto di citazione della Fideuram e
l'inammissibilità sia delle specificazioni del thema decidendum
formulate dall'attrice dopo la scadenza del termine di cui all'art. 183
c.p.c., comma 5, sia delle circostanze nuove dedotte per la prima volta
con l'atto d'appello della stessa Fideuram.

La censura si risolve,
dunque, in un'eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza
della domanda, non sanata tempestivamente da successive specificazioni
tardivamente fornite.

2.1. In questi termini, la doglianza si
manifesta inammissibile.

L'eccezione di nullità della citazione per
indeterminatezza della domanda era stata infatti già sollevata nel
corso del giudizio di primo grado, ma il tribunale la aveva
espressamente e motivatamente rigettata. L'Antonveneta, nel costituirsi
in appello, ha riesposto le proprie tesi in proposito allo scopo di
confutare la fondatezza del gravame proposto dalla controparte, ma ha
omesso di formulare sul punto un qualsiasi specifico motivo di appello
incidentale, corredato da argomenti direttamente rivolti a criticare le
motivazioni con cui il primo giudice aveva disatteso la menzionata
eccezione, la quale risulta dunque ormai preclusa.

Non è poi fondato
l'ulteriore assunto della ricorrente, secondo cui la corte d'appello si
sarebbe pronunciata su domande della Fideuram inammissibilmente
modificate nel giudizio di secondo grado, essendo al contrario
sufficiente scorrere l'esposizione dei fatti processuali riportati
nell'impugnata sentenza e nello stesso controricorso dell'Antonveneta
per persuadersi che le ulteriori indicazioni contenute nell'atto
d'appello della Fideuram, rispetto alle difese da questa svolte in
primo grado, potevano avere semmai funzione di chiarimento e di
migliore specificazione dei termini della domanda, ma non implicavano
certo la formulazione di un nuovo petitum o la modificazione
dell'originaria causa petendi.

3. Sempre per ragioni di ordine logico,
appare opportuno esaminare subito anche il tema della titolarità, in
capo alla Fideuram, dei diritti da essa azionati nella presente causa.

La questione, oltre che in un secondo profilo di doglianza contenuto
nello stesso motivo del ricorso dell'Antonveneta di cui prima s'è
detto, è sollevata anche nel secondo motivo del ricorso delle sigg.re
R. e L. e nel sesto motivo del ricorso del sig. P..

In particolare,
nel ricorso delle sigg.re R. e L. ci si duole di un vizio di
motivazione del provvedimento impugnato, con riferimento alla
valutazione che la corte d'appello ha fatto dei documenti prodotti in
giudizio dalla Fideuram ritenendoli idonei a provare che la medesima
Fideuram aveva rimborsato ai propri clienti le somme portate dagli
assegni irregolarmente pagati dall'Antonveneta a soggetti non
legittimati ed era stata surrogata nei diritti di risarcimento del
danno a costoro spettanti. Le ricorrenti sostengono che si trattava di
documenti interni alla banca, non databili con sicurezza, nè con
sufficiente certezza riferibili ai pagamenti in questione, tanto più
che i beneficiari erano stati in realtà già soddisfatti dalla sig.ra
R., onde la Fideuram non aveva ragione alcuna di corrispondere loro una
seconda volta le stesse somme.

Analoghe doglianze solleva
l'Antonveneta, la quale del pari insiste nel sostenere l'assoluta
inidoneità della documentazione con cui la Fideuram ha preteso di
dimostrare l'avvenuto rimborso da parte sua, in favore dei beneficiari
degli assegni in questione, delle somme portate da detti assegni,
trattandosi di documenti d'incerta provenienza e di data incerta, dai
quale comunque non si evincerebbe neppure l'integrale pagamento delle
somme di cui si tratta. Su tali aspetti, tempestivamente rilevati dalla
difesa dell'Antonveneta, quest'ultima lamenta che la corte d'appello
abbia omesso di motivare adeguatamente.

Anche il sig. P. censura sul
punto la motivazione dell'impugnata sentenza e lamenta che la corte
d'appello abbia attribuito ai documenti prodotti dalla Fideuram il
valore di meri indizi, come tali idonei a fondare il convincimento del
giudice soltanto in concorso con altre risultanze istruttorie, ma non
abbia poi specificato quali sarebbero state le altre risultanze
istruttorie indispensabili a corroborare le indicazioni documentali.

3.1. Nessuna di tali censure appare meritevole di accoglimento.

Nella
forma apparente di un vizio di motivazione, tutti i ricorrenti in vario
modo sollecitano una revisione del giudizio di merito che, in questa
sede, non è però consentita. Non può infatti questa corte procedere ad
un esame diretto dei documenti di cui si discute, il cui preciso
contenuto non è peraltro riportato per intero nei ricorsi (ove sono
riferiti solo frammentariamente alcuni passaggi);

nè può darsi spazio
all'assunto secondo cui la Fideuram avrebbe rimborsato ai legittimi
prenditori degli assegni somme che costoro avevano già percepito per
mano di una delle odierne ricorrenti, trattandosi di una circostanza di
fatto della quale non v'è traccia nella sentenza impugnata: circostanza
che si assume dai ricorrenti medesimi essere stata provata, ma senza
specificamente indicare in quale atto del processo, e che, com'è ovvio,
non potrebbe essere accertata ex novo in sede di legittimità.

D'altronde, poichè i documenti di cui si discute sono stati prodotti in
corso di causa, e quindi prima della decisione della causa stessa, un
problema di certezza della loro data non ha ragione di porsi; ed il
riferimento dell'impugnata sentenza alle "altre risultanze" che
confermerebbero il valore probatorio di quei documenti, ancorchè non
specifico, lascia chiaramente comprendere che la corte territoriale ha
inteso alludere all'insieme dei fatti acclarati nel processo e già
indicati nelle pagine precedenti della medesima sentenza, a cominciare
da quelli relativi alle modalità di incasso degli assegni di cui si
discute. Essa ha ritenuto - nell'insindacabile esercizio della sua
giurisdizione di merito - che l'insieme di quei fatti rendesse
verosimile quanto dai documenti della Fideuram emergeva, valendo perciò
appunto a corroborare gli indizi costituiti da quei medesimi documenti.

Una simile salutazione rientra certamente nell'ambito del libero
convincimento del giudice e la sentenza impugnata non appare, pertanto,
priva sul punto di sufficiente motivazione.

4. Viene poi in questione
l'eccepita prescrizione dei diritti di risarcimento di cui la Fideuram
si è in tal modo resa titolare, per poi azionarli nel presente
giudizio; e si tratta della questione che investe i principi di diritto
sui quali si è manifestato nella giurisprudenza di questa corte il
contrasto che ha determinato l'intervento delle sezioni unite.

Intorno
ad essa ruotano, in modo specifico, il terzo motivo del ricorso
proposto dal sig. P. ed il primo dei due profili di censura contenuti
nel primo motivo di ricorso dell'Antonveneta.

Nel primo di tali
ricorsi viene denunciata la violazione del R.D. 21 dicembre 1933, n.
1736, art. 43 (L. assegni), e si sostiene l'inesattezza di quanto
affermato dalla corte d'appello in ordine alla natura contrattuale
della responsabilità della banca negoziatrice, per aver consentito
l'incasso di assegni non trasferibili a persone diverse dai beneficiari
dei titoli. Non potendosi qualificare detta banca negoziatrice come
sostituta della banca trattarla nell'adempimento della convenzione di
assegno, la sua responsabilità - a parere dei ricorrenti - ha invece
carattere extracontrattuale, e la relativa azione è perciò soggetta
alla prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2947 c.c., comma 1;

tanto più che l'ipotizzata falsificazione delle firme di traenza
apposte sui titoli in questione esclude in radice la configurabilità di
qualsiasi rapporto contrattuale con la banca trattarla.

Nell'altro
ricorso si sottolineano, anzitutto, le caratteristiche dei cosiddetti
assegni di traenza, diversi dagli assegni bancari di conto corrente, e
se ne deduce che erroneamente la corte d'appello ha applicato, nella
presente fattispecie, i principi della responsabilità contrattuale
inerenti alla convenzione di assegno, i quali, viceversa, mal si
attagliano a questo particolare tipo di assegni. Anche per questa
ragione la responsabilità addebitata nella fattispecie all'Antonveneta
avrebbe dovuto esser ricondotta al paradigma della responsabilità
aquiliana, e l'azione ex adverso esperita avrebbe quindi dovuto esser
dichiarata prescritta per decorso del quinquennio.

4.1. Esaminando
congiuntamente tali rilievi critici, è utile anzitutto puntualizzare
che il cosiddetto assegno di traenza è quello che una banca autorizza
taluno a sottoscrivere - appunto per traenza - sulla banca stessa
inviandogli a tal fine un modulo di assegno appositamente predisposto
con previsione di pagamento in favore del traente medesimo o di altro
eventuale soggetto indicato come beneficiario. La predisposizione e
l'invio dell'assegno al previsto traente presuppongono, evidentemente,
l'esistenza presso la banca di una provvista (non importa se fornita
all'origine dalla banca stessa o da terzi) di cui il traente potrà
disporre in favore proprio o di altro eventuale beneficiario indicato
come prenditore del titolo. Le peculiarità di tali titoli ed il fatto
che - come sottolinea la difesa della ricorrente Antonveneta - essi
possono di fatto assolvere ad una funzione corrispondente a quella del
bonifico a mezzo banca, non toglie che essi siano riconducibili al
genus dell'assegno bancario, avendone tutte le caratteristiche, ivi
compresa sia la naturale attitudine ad esser trasferito mediante
girata, sia la possibilità di limitare siffatta attitudine mediante
l'apposizione sul titolo della clausola d'intrasferibilità. Il fatto
poi che, a differenza dell'assegno di conto corrente, l'assegno di
traenza non presupponga l'esistenza di una pregressa convenzione
d'assegno, intercorrente tra la banca ed il proprio correntista, in
forza della quale la banca è tenuta ad onorare gli assegni emessi dal
correntista entro i limiti della provvista, poco rileva ai fini che qui
interessano. Anche l'emissione dell'assegno di traenza, infatti,
necessariamente deve avere quale presupposto un rapporto contrattuale,
ancorchè privo delle caratteristiche di durata proprie del conto
corrente bancario: rapporto che intercorre tra la banca e colui che ha
fornito (o in favore del quale è stata fornita) la provvista, onde
quest'ultimo è autorizzato dalla banca a darle disposizione di
pagamento e quella accetta d'inviare l'assegno al soggetto che lo
sottoscriverà per traenza.

Alla circolazione ed al pagamento di un
assegno siffatto, munito di clausola di non trasferibilità, è dunque
applicabile la disciplina stabilita dal legislatore in materia di
assegno bancario non trasferibile.

4.2. L'anzidetta disciplina trova
la sua collocazione nel già menzionato L. assegni, art. 43 (applicabile
anche all'assegno circolare, in virtù del rinvio operato dal successivo
art. 86, comma 1), il cui comma 1 stabilisce che l'assegno emesso con
clausola di non trasferibilità può essere pagato soltanto al prenditore
o, a richiesta di costui, accreditato sul suo conto corrente, e che il
prenditore non può perciò girarlo, se non ad un banchiere per
l'incasso, fermo il divieto per quest'ultimo di apporvi ulteriori
girate. Le girate apposte in violazione della clausola di non
trasferibilità si hanno per non scritte e l'eventuale cancellazione
della clausola per non avvenuta. Il comma 2 prosegue espressamente
prevedendo che "colui che paga un assegno non trasferibile a persona
diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso risponde
del pagamento".

Prima di affrontare il tema della natura (e del
conseguente regime prescrizionale) dell'indicata responsabilità,
conviene ricordare che l'espressione "colui che paga", adoperata dalla
norma in esame, va intesa in senso ampio: non solo si riferisce alla
banca trattarla (o all'emittente, in caso di assegno circolare) ma
anche alla diversa banca cui l'assegno sia stato girato per l'incasso
da un proprio cliente e che lo abbia in favore di costui monetizzato (o
accreditato sul suo conto corrente) per poi inviarlo alla stanza di
compensazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 19512 del 2005). Tale
conclusione - corroborata dall'analogia con quanto previsto dalla L.
assegni, art. 41, u.c., che espressamente equipara a quella del
trattario la responsabilità del banchiere presso il quale sia stato
posto all'incasso un assegno sbarrato - è giustificata dal rilievo che
non già la banca trattarla (L. assegni, art. 38), bensì soltanto la
banca negoziatrice è tenuta ed è concretamente in condizione di
controllare l'autenticità della firma di colui che, girando l'assegno
per l'incasso, lo immette nel circuito di pagamento.

E' opportuno
anche aggiungere subito che la responsabilità cui si espone il
banchiere col pagamento dell'assegno non trasferibile a persona diversa
dal prenditore non è in alcun modo discriminata dall'apposizione sul
titolo, ad opera di chi lo incassa, della clausola "per conoscenza e
garanzia" (o altra di tenore equivalente).

La giurisprudenza di questa
corte è infatti ferma nel ritenere che il regime d'intrasferibilità
degli assegni, nei termini previsti dal citato art. 43, trasforma il
titolo di credito in un titolo a legittimazione invariabile, con
preclusione alla circolazione sia sul piano cartolare che con riguardo
alla cessione ordinaria (salvo la sola possibilità di effettuare la
girata ad un banchiere per il mero incasso), e che ciò sia
incompatibile con l'inserimento nella circolazione dell'assegno di un
soggetto ulteriore, il quale lo sottoscriva "per garanzia e
conoscenza", perchè siffatta clausola verrebbe così utilizzata con
funzione di girata piena in favore del sottoscrittore contraddicendo la
prescrizione dettata dal menzionato art. 43 (cfr. ancora, ex multis,
Cass. n. 19512 del 2005, nonchè Cass. n. 9103 del 2003 e Cass. n. 7633
del 2003). Ne deriva che, ai fini della regolarità dell'incasso del
titolo e della conseguente responsabilità della banca (a prescindere
dagli effetti che ne possano derivare nel rapporto tra la banca
medesima e colui che ha proceduto all'incasso), la clausola di cui
trattasi deve aversi per non apposta.

4.3. Tanto chiarito, si può
senz'altro venire alla questione cui già si è più volte fatto cenno:
quella della natura della responsabilità che il citato art. 43 fa
ricadere sulla banca che abbia negoziato un assegno munito di clausola
di non trasferibilità in favore di persona non legittimata.

Al
riguardo, come già segnalato dall'ordinanza n. 11888 del 2006 della
prima sezione, si rinvengono, nella giurisprudenza di questa corte,
pronunce di segno diverso, talvolta riferite ad assegni bancari, altre
volte ad assegni circolari, ma accomunate dal problema (non
uniformemente risolto) dell'individuazione della funzione svolta dalla
banca negoziatrice in rapporto alla posizione del prenditore ed alla
posizione della banca debitrice cartolare.

Secondo alcune pronunce, la
banca girataria per l'incasso di un assegno bancario non trasferibile,
oltre ad essere mandataria del prenditore girante, è altresì sostituta
della banca trattarla nell'esplicazione del servizio bancario per
quanto attiene all'identificazione del presentatore ed al conseguente
pagamento cui la trattarla è obbligata nei confronti del cliente. Lo si
desume essenzialmente dall'impossibilità per la trattarla di adempiere
personalmente - per la parte relativa all'identificazione del
presentatore - l'obbligazione assunta verso il cliente con la
convenzione d'assegno; obbligazione che solo la banca girataria è
invece in grado di eseguire compiutamente, onde deve ritenersi che lo
faccia appunto in sostituzione della banca trattarla, venendo perciò
anch'essa a trovarsi in rapporto con il traente, il quale, nell'ipotesi
di pagamento male effettuato, può esercitare contro la stessa banca
negoziatrice l'azione contrattuale basata sulla convenzione di assegno,
diretta alla ricostituzione dei fondi disponibili presso la banca
trattarla per la somma corrispondente a quella indicata nell'assegno
medesimo (in tal senso, tra le altre, Cass. n. 6377 del 2000, Cass. n.
4197 del 1987 e Cass. 3928 del 1977). Nell'alternativa tra l'anzidetta
azione contrattuale, spettante ai soggetti con i quali intercorre il
rapporto bancario, e l'azione extracontrattuale che compete ai terzi
comunque danneggiati dall'irregolare pagamento del titolo - ha
ulteriormente affermato Cass. n. 6377/00, cit. - non v'è spazio per
nessuna forma diversa di obbligazione ex lege.

In altri casi si è
invece ritenuto che la banca girataria per l'incasso di assegno non
trasferibile non possa qualificarsi una sostituta di quella trattarla
nell'adempimento della convenzione di assegno (e, quindi, in rapporto
contrattuale con il traente) ma sia soltanto rappresentante del
girante, in nome e per conto del quale riceve il pagamento, con la
conseguenza che, qualora essa violi l'obbligo legale di pagare
l'assegno non trasferibile soltanto ad uno dei soggetti indicati nel
citato art. 43, sorge a suo carico una responsabilità extracontrattuale
verso tutti coloro che possono essere pregiudicati dal pagamento a
soggetto diverso, compreso il traente (in tal senso, tra le altre,
Cass. n. 8005 del 2005, Cass. n. 12425 del 2000, Cass. n. 9902 del 2000
e Cass. n. 1087 del 1999), ancorchè tale responsabilità possa esser
destinata eventualmente a concorrere, in rapporto di solidarietà, con
quella contrattuale della banca trattarla verso il medesimo traente.

Per la natura extracontrattuale della responsabilità in questione si
sono anche pronunciate le sezioni unite, con sentenza n. 12388 del
1992, al fine di farne discendere la sussistenza, in quel caso, della
giurisdizione italiana sulla base delle previsioni contenute
nell'allora vigente art. 4 c.p.c., n. 2, e nell'art. 5, n. 3, della
Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 in tema di competenza
giurisdizionale.

Ancor più di recente - benchè, questa volta, con
riferimento ad un assegno circolare - Cass. 19512 del 2005 (poi seguita
anche da Cass. n. 18543 del 2006) ha viceversa affermato che la
responsabilità nella quale incorre in simili casi la banca girataria
per l'incasso non ha natura nè contrattuale nè extracontrattuale. Alla
prima configurazione si oppone la totale estraneità della banca
girataria sia alla convenzione d'assegno sia al rapporto di emissione
del titolo, oltre che la difficoltà di ricondurre anche l'emissione
dell'assegno circolare alla fattispecie del mandato conferito dal
cliente alla banca; alla seconda è di ostacolo il fatto che la
responsabilità non discende qui dalla violazione di una norma generale
di condotta, bensì dall'inosservanza di un ben determinato precetto di
legge, concepito in vista delle particolari caratteristiche
professionali e funzionali del banchiere. Donde la conclusione che
l'obbligo, posto a carico del banchiere dalla L. assegno, art. 43, di
pagare il titolo esclusivamente all'intestatario, costituisce
un'obbligazione ex lege, riconducibile, in base all'art. 1173 c.c., ad
ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in
conformità dell'ordinamento giuridico, alla cui violazione consegue il
diritto al risarcimento in favore del danneggiato, soggetto alla
prescrizione ordinaria decennale.

4.4. Reputano le sezioni unite che
alla responsabilità di cui si discute debba essere senz'altro
riconosciuta natura contrattuale, benchè non sia necessario a tal fine
postulare che la banca negoziatrice operi in veste di mandataria della
banca sulla quale grava l'obbligazione cartolare di pagamento.

4.4.1.
E' opinione ormai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella
secondo cui la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non
esegue esattamente la prestazione dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi
contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione
derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne da il
successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa
dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente,
quale che ne sia la fonte. In tale contesto la qualificazione
"contrattuale" è stata definita da autorevole dottrina come una
sineddoche (quella figura retorica che consiste nell'indicare una parte
per il tutto), giustificata dal fatto che questo tipo di responsabilità
più frequentemente ricorre in presenza di vincoli contrattuali
inadempiuti, ma senza che ciò valga a circoscriverne la portata entro i
limiti che il significato letterale di detta espressione potrebbe
altrimenti suggerire.

Pur non senza qualche incertezza, in un quadro
sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due
tradizionali tipi di responsabilità, anche la giurisprudenza ha in più
occasioni mostrato di aderire a siffatta concezione della
responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche
dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di
contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta
l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un
determinato comportamento. Così, ad esempio, è stato attribuito
carattere contrattuale non soltanto all'obbligazione di risarcimento
gravante sull'ente ospedaliero per i danni subiti da un privato a causa
della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un
medico operante nell'ospedale, ma anche all'obbligazione del medico
stesso nei confronti del paziente, quantunque non fondata sul contratto
ma sul solo contatto sociale, poichè a questo si ricollegano obblighi
di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli
interessi che si manifestano e sono esposti a pericolo in occasione del
contatto stesso (cfr. Cass. n. 9085 del 2006, Cass. n. 12362 del 2006,
Cass. n. 10297 del 2004, Cass. n. 589 del 1999 ed altre conformi); e
natura contrattuale è stata riconosciuta anche alla responsabilità del
sorvegliante dell'incapace, per i danni che quest'ultimo cagioni a se
stesso in conseguenza della violazione degli obblighi di protezione ai
quali il sorvegliante è tenuto, sul presupposto che quegli obblighi
derivino da un rapporto giuridico contrattuale che tra tali soggetti si
instaura per contatto sociale qualificato (cfr. Cass. n. 11245 del
2003).

Ne deriva che la distinzione tra responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima
consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere
ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la
stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale
presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già
preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato
soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti).

In quest'ottica
deve esser letta anche la disposizione dell'art. 1173 c.c. che
classifica le obbligazioni in base alla loro fonte ed espressamente
distingue le obbligazioni da contratto (da intendersi nella più ampia
accezione sopra indicata) da quelle da fatto illecito. Si potrebbe in
verità anche sostenere - ed è stato sostenuto - che la nozione di
obbligazione contrattuale contenuta in detto articolo ha una valenza
più ristretta, e che le obbligazioni derivanti dalla violazione di
specifiche norme o principi giuridici preesistenti ricadono
nell'ulteriore categoria degli altri atti o fatti idonei a produrre
obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, cui pure la
medesima norma allude. Piuttosto che obbligazioni di natura
contrattuale le si dovrebbe insomma definire obbligazioni ex lege.

La
questione sembra avere, in verità, un valore essenzialmente
classificatorio, giacchè in linea generale il regime cui sono soggette
tali obbligazioni ex lege non si discosta da quello delle obbligazioni
contrattuali in senso stretto. Ma, comunque, tenuto conto del carattere
assai vago della definizione adoperata per individuare siffatta
ulteriore categoria di obbligazioni (essendosi peraltro i redattori del
vigente codice civile espressamente rifiutati sia di ripetere la
preesistente espressione di obbligazioni derivanti dalla legge, sul
presupposto che tutte le obbligazioni si fondano sulla legge, sia di
evocare le antiche figure del quasi contratto e del quasi delitto,
prive di un reale contenuto determinato), e considerate le difficoltà
in cui la stessa dottrina si è sempre trovata nell'interpretare questa
espressione normativa (che taluno non ha esitato a definire
"sgangherata"), appare probabilmente preferibile circoscriverne la
portata alle sole obbligazioni che con sicurezza ne costituiscono la
base storica:

quelle integranti la cosiddetta responsabilità da fatto
lecito - in primis la responsabilità derivante dalla gestione di affari
altrui o dall'arricchimento privo di causa - la quale nè presuppone
l'inesatto adempimento di un obbligo precedente (di fonte legale o
contrattuale che sia) nè dipende da comportamenti illeciti in danno
altrui.

4.4.2. Da tali premesse si ricava la natura contrattuale della
responsabilità della banca negoziatrice di assegni bancari (o
circolari), la quale abbia pagato detti assegni in violazione delle
specifiche regole poste dalla L. assegno, art. 43, comma 1, nei
confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono
dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno:

prima di tutti il prenditore, ma eventualmente anche colui che ha
apposto sul titolo la clausola di non trasferibilità, o colui che abbia
visto in tal modo indebitamente utilizzata la provvista costituita
presso la banca trattarla (o emittente), nonchè, se del caso, questa
stessa banca.

Induce a ciò la considerazione che quelle regole di
circolazione e di pagamento dell'assegno munito di clausola di non
trasferibilità, pur certamente svolgendo anche un'indiretta funzione di
rafforzamento dell'interesse generale alla regolare circolazione dei
titoli di credito, appaiono essenzialmente volte a tutelare i diritti
di coloro che alla circolazione di quello specifico titolo sono
interessati:

ciascuno dei quali ha ragione di confidare sul fatto che
l'assegno verrà pagato solo con le modalità e nei termini che la legge
prevede, la cui concreta attuazione, proprio per questo, è rimessa ad
un banchiere, ossia ad un soggetto dotato di specifica professionalità
a questo riguardo. Ed è appena il caso di aggiungere che tale
professionalità del banchiere si riflette necessariamente sull'intera
gamma delle attività da lui svolte nell'esercizio dell'impresa
bancaria, e quindi sui rapporti che in quelle attività sono radicati:
giacchè per lo più si tratta di rapporti, per così dire, asimmetrici,
per la corretta attuazione dei quali il banchiere dispone di strumenti
e di competenze che normalmente gli altri soggetti interessati non
hanno. Dal che appunto dipende, per un verso, l'affidamento di tutti
gli interessati nel puntuale espletamento, da parte del banchiere, dei
compiti inerenti al servizio bancario e, per altro verso, la specifica
responsabilità in cui il banchiere medesimo incorre nei confronti di
coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio,
ove, viceversa, egli non osservi le regole al riguardo prescritte dalla
legge.

La previsione del citato art. 43, comma 2, in virtù della quale
colui che paga malamente l'assegno non trasferibile ne assume
responsabilità, letta in combinazione con le norme dettate dal comma
precedente in ordine ai soggetti in favore dei quali l'assegno deve
essere pagato, sta appunto a significare che la responsabilità del
banchiere dipende dalla violazione di quelle norme. E' bensì vero che
l'ordinamento conosce anche casi di responsabilità aquiliana
contemplati da norme specifiche, che costituiscono attuazione del
principio generale posto dall'art. 2043 c.c., ma deve pur sempre
trattarsi di situazioni nelle quali la responsabilità si manifesta
primariamente nell'obbligo risarcitoria. Qui, invece, in capo al
banchiere presso cui l'assegno non trasferibile è posto all'incasso
sorge, prima d'ogni altro, un obbligo professionale - derivante dalla
sua stessa funzione, in considerazione della quale la legge stabilisce,
appunto, che l'assegno possa esser girato per l'incasso solo ad un
banchiere - di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di
pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la
circolazione e l'incasso. E la responsabilità deriva appunto dalla
violazione di un siffatto obbligo di protezione, che opera nei
confronti di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione
del titolo ed al buon fine della sottostante operazione:

obbligo
preesistente, specifico e volontariamente assunto. Il che, per le
ragioni dianzi chiarite, necessariamente conduce fuori dall'ambito
della responsabilità aquiliana, non permette di configurare un caso di
responsabilità ex lege (intesa come responsabilità da atto lecito) e
porta invece a concludere per la natura (lato sensu) contrattuale della
responsabilità ricadente sulla banca a norma della L. assegno, citato
art. 43, comma 2. 4.4.3. La conclusione cui si è pervenuti circa la
natura della responsabilità di cui si discute ha un'ovvia quanto
immediata conseguenza in ordine al termine di prescrizione cui è
soggetta l'azione di risarcimento proposta dal danneggiato.

Esclusa la
natura aquiliana di detta responsabilità, è infatti evidente che
nessuno spazio può trovare, in un caso come questo, la disposizione
dell'art. 2947 c.c., secondo cui il diritto al risarcimento del danno
derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in
cui il fatto si è verificato. Resta invece applicabile, in difetto di
altra disposizione che più specificamente si attagli alla fattispecie,
il regime della prescrizione ordinaria decennale stabilito dall'art.
2946 c.c., come statuito dal l'impugnata sentenza.

Quantunque la
motivazione di detta sentenza debba essere corretta, nei termini sopra
indicati, i motivi di ricorso concernenti il regime della prescrizione
risultano, quindi, privi di fondamento.

5. Acclarato che il diritto
azionato in causa non è prescritto, occorre ora prendere in esame il
primo ed il terzo motivo del ricorso delle sigg.re R. e L. che, in
vario modo, tendono a mettere in discussione l'affermazione di
responsabilità dell'Antonveneta, come formulata dalla corte d'appello.

5.1. Le ricorrenti per prima cosa denunciano l'omessa motivazione
dell'impugnata sentenza su un punto decisivo. Premessa un'articolata
narrazione delle vicende dalle quali sono scaturiti l'emissione ed il
successivo incasso degli assegni dei quali si discute, esse lamentano
che la corte d'appello abbia immotivatamente privilegiato "una visione
squisitamente formale" dei fatti, limitata al rilievo delle
irregolarità nell'incasso dei titoli, senza darsi carico di esaminare i
profili sostanziali delle vicende sopra menzionate.

Lamentano, poi, la
violazione della L. assegno, art. 43, negando che tale norma posa
essere applicata nel caso in esame, giacchè l'incasso degli assegni
muniti di clausola di non trasferibilità non era avvenuto in contrasto
con la volontà dei legittimi prenditori. E ribadiscono, a quest'ultimo
riguardo, che detti assegni erano stati consegnati alla sig.ra R.,
agente di cambio, perchè ella compisse le operazioni di borsa
commissionatele (tramite il fiduciario sig. C.) dagli investitori ai
quali quei medesimi assegni erano intestati. Ma quegli investimenti
erano stati puntualmente eseguiti, onde nessuna doglianza i clienti
avevano formulato, ottenendo anzi in restituzione il ricavato delle
operazioni di borsa quando avevano deciso di disinvestire i loro soldi.
Nessun addebito avrebbe quindi potuto esser mosso all'agente di cambio,
sig.ra R., e tanto meno alla sua dipendente sig.ra L..

5.2. Nessuna di
tali doglianze può essere accolta.

La prima di esse appare
manifestamente inammissibile a cagione della sua assoluta genericità.
Le ricorrenti, infatti, si limitano a postulare la necessità di "un
approfondimento di carattere sostanziale, tale da superare lo specchio
della mera forma", ma non indicano alcuna puntuale e specifica ragione
idonea eventualmente a sovvertire, sul piano del diritto, le
conclusioni cui la Corte d'appello è pervenuta in ordine
all'irregolarità nella circolazione e nell'incasso degli assegni non
trasferibili; nè si comprende come sarebbe stato possibile "superare"
questo decisivo aspetto della controversia.

L'altra doglianza è
infondata.

Ove pure volesse prestarsi adesione all'orientamento
giurisprudenziale - non peraltro condiviso da tutta la dottrina -
secondo cui è liberatorio per la banca il pagamento di un assegno
bancario non trasferibile a persona diversa dal prenditore, qualora sia
stato eseguito in conformità ad un mandato extracartolare del
prenditore stesso volto a demandare al terzo le operazioni di incasso
del titolo, o comunque il pagamento corrisponda alla volontà del
danneggiato (si vedano, Cass. n. 12055 del 2000, Cass. n. 3804 del 1997
e Cass. n. 10111 del 1993), occorrerebbe pur sempre che nel caso di
specie risultasse la prova dell'esistenza di una tale manifestazione di
volontà da parte del prenditore. Niente del genere è però possibile
desumere da quanto riferisce l'impugnata sentenza, la quale non
chiarisce se le firme dei prenditori sui titoli fossero state o meno da
loro disconosciute; nè le stesse ricorrenti lo adducono (o
specificamente indicano gli elementi di prova al riguardo forniti in
sede di merito), limitandosi ad affermare che i beneficiari degli
assegni in questione nulla avevano a suo tempo eccepito in ordine
all'impiego del loro denaro ad opera dell'agente di cambio cui gli
assegni erano stati consegnati. Il che, però, non equivale ad
un'espressa manifestazione di consenso all'irregolare circolazione di
detti assegni, peraltro smentita da quanto viceversa la corte di merito
ha accertato circa il successivo rimborso delle somme, preteso ed
ottenuto dai medesimi beneficiari nei confronti della banca emittente.

6. Si connette in parte a quanto appena osservato anche il secondo
motivo del ricorso del sig. P., il quale denuncia una contraddizione in
cui sarebbe incorsa la Corte d'appello nel motivare la propria
sentenza; contraddizione consistente nel fatto che, da un lato, la
Corte ha affermato la responsabilità della banca negoziatrice dei
titoli per averli accreditati su conti correnti di soggetti non
legittimati, i quali avevano falsamente garantito l'identità dei
beneficiari, mentre, per altro verso, la medesima corte ha dato per
pacifico che la firma del beneficiario dell'unico assegno posto
all'incasso dal medesimo sig. P. non era mai stata disconosciuta.

6.1.
Anche questa censura è infondata.

La lettura dell'impugnata sentenza è
sufficiente infatti ad evidenziare che l'assunto secondo il quale le
firme dei beneficiari dei titoli posti all'incasso erano state
falsificate è riferito come tesi di parte appellante, ma non è stato
mai fatto proprio dalla corte d'appello. La quale, invece,
espressamente afferma che, ai fini del decidere, la circostanza che le
firme dei prenditori dei titoli fossero state o meno disconosciute non
ha alcuna rilevanza (sentenza impugnata, pag. 11); nè da in alcun modo
per pacifico che la firma del prenditore dell'assegno posto all'incasso
dal sig. P. fosse autentica.

La denunciata contraddizione di
motivazione, pertanto, non sussiste.

7. Il quinto motivo del ricorso
del sig. P. ed il secondo profilo di doglianza contenuto nel primo
motivo del ricorso dell'Antonveneta sollevano una questione diversa:
quella dell'imputabilità alla Fideuram (quanto meno a titolo di
concorso) della responsabilità per i fatti di cui è causa.

7.1.
L'Antonveneta nega che potesse esserle addebitata la responsabilità per
l'irregolare pagamento degli assegni di traenza di cui di discute, per
l'assorbente ragione che quei titoli erano stati a suo tempo
regolarmente recapitati ai rispettivi beneficiari, i quali incautamente
li avevano rimessi nelle mani di un terzo, il sig. C., incaricato di
eseguire per loro conto operazioni di borsa per il tramite di agenti di
cambio a ciò abilitati, cui detti assegni erano stati ulteriormente
affidati al fine di costituire la provvista necessaria al compimento
delle suindicate operazioni. La peculiarità della fattispecie in esame
avrebbe dovuto far ritenere inapplicabile il disposto della L. assegni,
citato art. 43, e la Fideuram non aveva alcuna ragione per rimborsare i
prenditori degli assegni. Puntualmente perciò era stato eccepito il
concorso di colpa dell'attrice, ai sensi dell'art. 1227 c.c. e la corte
d'appello aveva disatteso tale eccezione senza tener conto delle
motivate argomentazioni che la sorreggevano.

7.2. Anche secondo il
sig. P. ha errato la corte d'appello nell'escludere l'invocato concorso
di colpa della Fideuram, ma per una ragione diversa: perchè grava sulla
banca trattarla il dovere di controllare la regolarità formale dei
titoli prima di pagarli in stanza di compensazione, e la statuizione a
questo proposito contenuta nell'impugnata sentenza sarebbe comunque
insufficientemente motivata, in quanto il solo rilievo che nella specie
si era in presenza di assegni di traenza, anzichè di conto corrente,
non vale affatto a giustificare come essi potessero apparire regolari
alla banca trattarla.

7.3. Nè l'una nè l'altra censura coglie nel
segno.

7.3.1. Con riferimento a quella prospettata dall'Antonveneta,
va ancora ribadito come la trama dei sottostanti rapporti causali
intercorsi tra le parti non è comunque idonea ad escludere
l'applicabilità nella presente fattispecie della L. assegni, più volte
citato art. 43 (applicabile, come già detto, anche agli assegni di
traenza), volta che i titoli, muniti di clausola di non trasferibilità,
risultano essere stati messi all'incasso ad opera di soggetti diversi
da quelli indicati come prenditori.

In ordine, poi, all'asserito
concorso di colpa del danneggiato ed all'eccepito difetto di
motivazione dell'impugnata sentenza sul punto, deve rilevarsi come la
banca ricorrente faccia generico riferimento alle precedenti difese di
merito, per sostenere di aver dedotto in proposito circostanze delle
quali il giudicante avrebbe omesso di tener conto, ma non precisi -
come il principio di autosufficienza del ricorso le imponeva invece di
fare - in quale specifico atto ed in relazione a quale specifica
risultanza processuale quelle difese sarebbero state esplicate. Stando
così le cose, e non potendo il giudice di legittimità procedere
all'esame diretto degli atti del giudizio di merito, nè pertanto
valutare la decisività delle circostanze dedotte dalla parte ed
eventualmente trascurate dal giudice d'appello, e tanto meno comunque
sostituire la propria valutazione di quegli atti a quella compiuta da
detto giudice, la doglianza non può trovare accoglimento.

7.3.2.
Quanto invece alla doglianza formulata dal sig. P., è vero che, qualora
la banca trattarla sia stata negligente nella verifica del titolo in
stanza di compensazione, tale condotta può qualificarsi come fatto
colposo del creditore, rilevante ai sensi dell'art. 1227 c.c. e
pertanto può concorrere con la responsabilità della banca negoziatrice
che abbia accettato in pagamento l'assegno irregolarmente girato (cfr.,
tra le molte, Cass. n. 12425 del 2000).

Ma, una volta che il
danneggiato abbia offerto la prova del danno e della sua derivazione
causale dall'illecito, costituisce onere probatorio del danneggiante
dimostrare che il danno è stato prodotto, pur se in parte, anche dal
comportamento del danneggiato (art. 1227 c.c., comma 1) ovvero che è
stato ulteriormente aggravato da quest'ultimo (comma 2). A maggior
ragione deve ritenersi che colui il quale invoca l'altrui concorso di
colpa abbia l'onere di allegare in modo sufficientemente specifico le
circostanze di fatto in cui quel concorso di colpa consisterebbe.

Nel
caso in esame, la Corte d'appello ha disatteso l'eccezione di cui si
tratta prima di tutto proprio per la sua genericità, ossia perchè essa
non era corredata da alcuna specifica indicazione delle ragioni
dell'asserita colpa concorrente del danneggiato. In secondo luogo, ha
aggiunto che, in ogni caso, nessuna responsabilità appariva ascrivibile
alla banca trattarla per aver dato corso al pagamento in stanza di
compensazione degli assegni di traenza, i quali apparivano formalmente
regolari. E, se può convenirsi circa la scarsa significatività della
distinzione a tal riguardo adombrata tra assegni di conto corrente ed
assegni di traenza, resta che il fulcro argomentativo su cui la
considerazione della corte d'appello evidentemente si fonda - ossia il
fatto che la banca trattarla non era in grado di desumere dal mero
esame esteriore dei titoli che essi erano stati in realtà posti
all'incasso da persone diverse da quelle figuranti come legittimi
prenditori (giacchè le firme da altri apposte "per conoscenza e
garanzia" potevano anche solo avere la funzione di garantire l'identità
dei prenditori medesimi) - non è scalfita dalla censura del ricorrente.

8. Il diritto di rivalsa esercitato dall'Antonveneta nei confronti
delle sigg.re R. e L. è l'argomento del quarto motivo del ricorso da
costoro proposto.

Le ricorrenti lamentano che la corte d'appello, nel
condannarle a tenere indenne l'Antonveneta di quanto questa è tenuta a
corrispondere alla Fideuram in conseguenza dell'illegittimo pagamento
degli assegni non trasferibili per cui è causa, non abbia considerato
che detti assegni erano stati negoziati su un conto intrattenuto sì con
la medesima Antonveneta (all'epoca Banca Nazionale dell'Agricoltura)
dall'agente di cambio sig.ra R., ma non nel proprio interesse, bensì in
quello dei suoi clienti.

8.1. Si tratta, però, di un motivo di ricorso
inammissibile, sia perchè del tutto carente di ogni specifico
riferimento alle disposizioni di legge che si pretenderebbero violate,
sia perchè completamente avulso dalla ragione del decidere posta a
fondamento della condanna pronunciata dalla corte d'appello: la quale
non si è affatto basata su un preteso personale arricchimento
dell'agente di cambio sig.ra R., bensì unicamente sul rilievo che fu
lei (al pari della sig.ra L. e del sig. P.) a porre all'incasso gli
assegni, pur non avendone titolo, e che, nel farlo, ella vi appose la
clausola "per conoscenza e garanzia", in tal modo espressamente
assumendo un'obbligazione di garanzia nei confronti della banca
negoziatrice.

9. Della rivalsa esercitata dall'Antonveneta nei
confronti del sig. P. si tratta, invece, nel quarto motivo del ricorso
di quest'ultimo.

Il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 1710 c.
c. sostenendo che, ove si muova - come la Corte d'appello ha fatto -
dal presupposto che, in casi come quello in esame, la banca
negoziatrice opera anche quale mandataria del presentatore del titolo,
se ne dovrebbe dedurre l'obbligo assoluto della medesima negoziatrice
di rifiutare l'operazione richiesta, in difetto dei necessari requisiti
formali. In caso contrario, non potrebbe la medesima banca mandataria
pretendere di esser manlevata da chi, come il sig. P., riveste i panni
del mandante.

9.1. L'assunto è palesemente infondato.

Quale che possa
essere la configurazione della natura dei rapporti intercorrenti tra il
soggetto che ha posto i titoli all'incasso e la banca negoziatrice che
li ha accreditati sul suo conto corrente, sta di fatto che
quell'operazione è stata compiuta in virtù dell'apposizione sui titoli
di un'espressa clausola "per conoscenza e garanzia"; e si è già visto
come sia proprio sul valore che tale clausola ha assunto nei rapporti
tra la banca ed i propri clienti che si è fondata, per il profilo ora
in esame, la ratio decidendi dell'impugnata sentenza, la quale ha fatto
discendere l'obbligo di manleva del sig. P. (e degli altri presentatori
all'incasso dei titoli di cui si discute) appunto dalla sottoscrizione
di detta clausola. Nulla specificamente oppone al riguardo il
ricorrente, e tanto basta a svuotare di ogni possibile rilevo le
considerazioni che egli svolge in ordine ai rapporti tra cliente
mandante e banca mandataria; considerazioni che, se pur fossero in sè
sole condivisibili, non varrebbero comunque a negare che il cliente
possa aver assunto una specifica garanzia verso la banca per
l'eventuale responsabilità alla quale questa si è esposta verso terzi
nell'eseguire l'operazione commissionatale.

10. Il settimo motivo del
ricorso del medesimo sig. P. è ancora volto a denunciare vizi di
motivazione del provvedimento impugnato, ma questa volta con riguardo
al mancato accoglimento della domanda di manleva proposta a suo tempo
dall'odierno ricorrente nei confronti del sig. C., contumace nel
giudizio di merito.

Il ricorrente, in particolare, si duole che la
corte territoriale abbia ritenuto inesistente qualsiasi prova di
rapporti intercorsi tra lui e detto sig. C., ancorchè tali rapporti
fossero pacifici, ne avesse fatto menzione espressamente anche la
Fideuram nelle proprie difese e risultassero confermati da una
dichiarazione proveniente dal sig. Ri. (il beneficiario dell'assegno
non trasferibile incassato dal sig. P.), ritualmente prodotta in causa.

10.1. Neppure siffatta censura è suscettibile di accoglimento.

Il
governo delle risultanze probatorie esula, infatti, dai compiti della
Corte di Cassazione, nè il difetto di autosufficienza del motivo di
ricorso - che non riporta compiutamente il contenuto del documento
menzionato - consente d'individuare con certezza eventuali difetti di
motivazione aventi carattere decisivo; mentre, per il resto, è appena
il caso di osservare che quanto asserito in punto di fatto dal
ricorrente, se pure eventualmente confermato da altra parte costituita
in giudizio, non può certo assurgere al rango di circostanza pacifica
nei riguardi di un terzo rimasto contumace.

11. Attengono, infine, al
regime delle spese processuali sia il quinto motivo del ricorso delle
sigg.re R. e L., sia il primo motivo del ricorso del sig. P..

11.1 Si
tratta, nel primo caso, di una censura inammissibile, giacchè essa
verte sulla pronuncia di compensazione delle spese del giudizio di
secondo grado nei rapporti tra la Antonveneta ed il sig. F. (nei cui
confronti la causa si è conclusa definitivamente in grado d'appello e
che è perciò da considerarsi estraneo al presente giudizio di
Cassazione): rapporti che, pertanto, non riguardano le ricorrenti sigg.
re R. e L., onde esse non sono legittimate a sollevare doglianza alcuna
in proposito.

11.2. Il sig. P., invece, nel lamentare la violazione
dell'art. 91 c.p.c., ricorda come, all'esito del giudizio di primo
grado, il tribunale avesse condannato l'attrice Fideuram al rimborso
delle spese processuali sostenute dai terzi chiamati, tra i quali lo
stesso sig. P.; e come poi la corte d'appello abbia invece riformato
tale decisione, sul presupposto che nessuna domanda l'attrice aveva
direttamente formulato nei confronti dei terzi chiamati in causa dalla
convenuta a scopo di garanzia. Di tale pronuncia ora il ricorrente si
duole, assumendo che, viceversa, le spese processuali da lui sostenute
nel giudizio di primo grado avrebbero dovuto esser poste a carico
dell'attrice, poichè la chiamata in causa si era resa necessaria
proprio in relazione alle tesi infondatamente sostenute da
quest'ultima.

11.3. Neanche questa censura è accoglibile.

E' vero che
la responsabilità dell'attore per aver dato luogo al giudizio con una
pretesa infondata, una volta rigettata la domanda principale, comporta
che le spese sostenute dal terzo chiamato a titolo di garanzia vadano
poste a carico del soccombente il quale ha provocato e giustificato la
chiamata in causa, salvo che l'iniziativa del chiamante si riveli
palesemente arbitraria (cfr., ex multis, Cass. n. 12301 del 2005). Ma
l'applicazione di tale principio presuppone, appunto, che la domanda
principale proposta dall'attore sia rigettata. Nel caso in esame,
viceversa, la corte d'appello ha riformato nel merito la decisione di
primo grado ed, a differenza del tribunale, ha accolto le domande
proposte dall'attrice Fideuram:

sicchè è evidente che quest'ultima, in
quanto vittoriosa, non avrebbe potuto in nessun caso esser condannata
al pagamento delle spese (nè della convenuta, nè) dei terzi chiamati.

Il motivo di ricorso di cui sopra va perciò disatteso, pur dovendosi
modificare la motivazione in diritto dell'impugnata sentenza nei
termini dianzi precisati.

12. In conclusione, tutti i ricorsi debbono
essere rigettati.

Tenuto conto dell'esistenza del preesistente
contrasto di giurisprudenza, che investiva un punto decisivo della
causa ed ha reso necessario l'intervento delle sezioni unite, appare
equo compensare tra tutte le parti costituite le spese del giudizio di
legittimità.

P.Q.M.
La corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta i
ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso
in Roma, il 8 maggio 2007.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno
2007


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c.c. art. 1173
c.c. art. 1218
c.c. art. 2043
c.c. art. 2946
R.D.
21/12/1933 n. 1736, art. 43
R.D. 21/12/1933 n. 1736, art. 86

 

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