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martedì 9 luglio 2013

Cassazione: Scrivere al sindaco per criticare pesantemente l'attività dei vigili urbani non sempre è diffamazione Ammissibili anche espressioni colorite nella "denuncia": la critica dei comportamenti degli agenti municipali nell'esercizio delle loro funzioni è pertinente al pubblico interesse, soprattutto nel caso di condotte inqualificabili come nel caso in esame





Scrivere al sindaco per criticare pesantemente l'attività dei vigili urbani non sempre è diffamazione
Ammissibili anche espressioni
colorite nella "denuncia": la critica dei comportamenti degli agenti
municipali nell'esercizio delle loro funzioni è pertinente al pubblico
interesse, soprattutto nel caso di condotte inqualificabili come nel
caso in esame

STAMPA
Cass. pen. Sez. V, (ud. 09-07-2007) 02-10-2007,
n. 36077


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIZZUTI Giuseppe - Presidente

Dott. ROTELLA
Mario - Consigliere

Dott. SANDRELLI Giangiacomo - Consigliere

Dott.
FUMO Maurizio - Consigliere

Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere

ha
pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

1) M.A., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 02/03/2006 CORTE
APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita
in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. VESSICHELLI
MARIA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Cons. Dr. FEBBRARO
Giuseppe, che ha concluso per il rigetto;

udito il difensore avv.
Capuzzo.


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Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
M.A. propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della
Corte di appello di Venezia in data 6 marzo 2006 con la quale è stata
confermata la pronuncia di primo grado, affermativa della sua
responsabilità penale per il reato di diffamazione in danno di cinque
vigili urbani del Comune di Conselve.

Il M. è stato condannato - anche
al risarcimento dei danni- per avere scritto - il 20 luglio 1999 - una
missiva al locale Sindaco ed alla Giunta, formulando dei giudizi
negativi nei riguardi dei predetti pubblici ufficiali e, tra l'altro,
di avere tenuto, nell'esercizio delle loro funzioni, comportamenti
"superficiali", "misti ad incoscienza e presuntuosità". Il giudice di
primo grado aveva già riconosciuto il diritto di critica in relazione a
molte delle espressioni utilizzate (sulle ragioni poco commendevoli per
le quali quei vigili elevavano multe, sul modo di esibire pistola e
manette, sullo scarso impegno nel lavoro e sul loro "menefreghismo"),
ma non anche in riferimento a quelle appena riportate. La Corte
territoriale aveva confermato tale decisione.

Deduce il vizio di
motivazione per avere la Corte omesso di considerare che il capo di
imputazione sul quale era stato formulato il giudizio di colpevolezza
non riportava fedelmente le frasi utilizzate nella missiva ma ne aveva
fatto un collage che aveva restituito un significato travisato. In
realtà, la inqualificabilità delle condotte o la scarsa professionalità
non erano giudizi riferiti ai vigili urbani ma dovevano essere inseriti
in un contesto critico di più ampio respiro, relativo agli effetti
aberranti di certi comportamenti ascrivibili alla intera categoria.

Il
ricorso è fondato.

Occorre preliminarmente dare atto della circostanza
che non è decorso il termine per la prescrizione del reato a causa
delle sospensioni dello stesso, pari a 9 mesi e 21 giorni (dal 3 maggio
all'8 novembre 2002; dal 15 dicembre 2005 al 2 marzo 2006, e,
limitatamente a 60 giorni, dal 3 maggio 2007 alla odierna udienza),
sospensioni che hanno procrastinato la detta scadenza fino al mese di
ottobre del corrente anno.

Ciò posto, va poi evidenziato che la
ragione di doglianza del ricorrente, che ha evocato la applicazione
della causa di giustificazione, è del tutto condivisibile sia pure alla
luce di argomentazioni diverse da quelle prospettate.

Le espressioni
ritenute offensive rientrano appieno, infatti, nell'esercizio del
diritto di critica.

Giova ricordare che il M. è stato tratto a
giudizio per rispondere del contenuto di una missiva inviata alla
Giunta Comunale di Conselve e volta a proporre la istituzione di una
Commissione Consiliare di verifica dell'operato della Polizia
Municipale, in cui - come riportato nella sentenza di primo grado -
accusava i Vigili urbani del citato Comune di elevare multe "spronati
dal raggiungimento di una somma messa a bilancio preventivo; di
presentarsi con bardature vistose, pistole e manette come fossero in
una terra di conquista;

di avere scarso impegno nel lavoro, un certo
menefreghismo; di avere, nei rilevamenti dei sinistri stradali condotte
inqualificabili che denotano scarsa professionalità, tanta
superficialità mista ad incoscienza e presuntuosità.

Quel giudice
ritenne di sfrondare l'accusa dalla gran parte delle locuzioni citate,
assolvendo l'imputato, per riconosciuto esercizio del diritto di
critica in relazione alle frasi che argomentavano un giudizio di
disapprovazione dell'operato dei vigili in relazione a comportamenti
oggettivamente valutabili: così l'accusa di "scarso impegno nel lavoro,
menefreghismo", ritenuta riferita a negligenze quali la mancata
rimozione di segnali di divieti stradali non più in vigore e quelle
relative all'eccessivo zelo nell'elevare contravvenzioni o al
presentarsi come conquistatori in terra di conquista.

Invece il primo
giudice riteneva non giustificabili le espressioni residue ("accusa di
scarsa professionalità, tanta superficialità mista a incoscienza e
presuntuosità") perchè dirette a colpire le persone più che a criticare
le modalità di svolgimento del ruolo.

La Corte di appello ha
confermato il giudizio di colpevolezza condividendo col giudice di
primo grado la considerazione che le espressioni enucleate erano
trasmodate in attacchi personali diretti a colpire sul piano
individuale e al di fuori di un reale collegamento con finalità di
pubblico interesse.

Osserva, in senso contrario, questa Corte che
anche le espressioni ritenute dai giudici di merito atte a sostanziare
la affermazione di responsabilità rispondano, in realtà, ai criteri
posti per la individuazione dell'esercizio del diritto di critica.

E'
da evidenziare in primo luogo, che non appare, in tale prospettiva,
decisivo l'argomento valorizzato dal ricorrente per sostenere la
propria richiesta, posto che la ricostruzione, in termini testuali,
della frase contenente la espressione riportata nel capo di imputazione
non comporta un diverso significato di quella.

Anche riconoscendo,
cioè, che l'attribuzione del comportamento inqualificabile,
superficiale incosciente etc riguardasse "una gran parte degli agenti
del traffico" e "non già o non solo i vigili di Conselve", come
sostenuto nel ricorso, è indubbio che l'accusa ha investito comunque i
querelanti quali appartenenti a quella più ampia categoria e da
ritenersi necessariamente inclusi dal momento che proprio al loro
specifico comportamento era dedicata la missiva indirizzata al sindaco
di Conselve, vertice organizzativo dell'Ufficio al quale i vigili
appartengono e rispondono.

Il diritto di critica è configurabile
invece per le seguenti ragioni.

Non viene in discussione, nel caso in
esame, il limite della verità del fatto narrato posto che si deve
giudicare della liceità di espressioni- quali la accusa di
superficialità, incoscienza e presuntuosità- che costituiscono
esclusivamente giudizi di valore (rv. 196459).

Si deve invece
considerare se tali espressioni rispettino o meno i canoni della
pertinenza e della continenza, ossia se i fatti narrati rivestano
interesse per l'opinione pubblica, e se è ravvisabile la correttezza
della esposizione di tali fatti in modo che siano evitate gratuite
aggressioni all'altrui reputazione.

In particolare, e tralasciando di
rievocare la nozione di pubblico interesse per la sua evidenza, va
sottolineato che, per la giurisprudenza di questa Corte, il limite
della continenza deve ritenersi superato quando le espressioni adottate
risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al
fine della cronaca del fatto e della sua critica: ne consegue che la
verifica circa l'adeguatezza del linguaggio alle esigenze del diritto
del giornalista alla cronaca e alla critica impone la proporzionalità
dei termini adoperati in rapporto all'esigenza di evidenziare la
gravità dell'accaduto quando questo presenti oggettivi profili di
interesse pubblico (rv 231562).

Va premesso, dal punto di vista della
ricostruzione della vicenda, così come effettuata nella sentenza di
primo grado, recepita dal giudice dell'appello, che le accuse di
superficialità incoscienza e presuntuosità sono state mosse in
relazione al comportamento tenuto dai vigili nel rilevamento degli
incidenti stradali.

Ora, sotto il profilo della "pertinenza" al
pubblico interesse, va rimarcato che il modo col quale il vigile urbano
esplica il proprio ufficio nelle molteplici sue manifestazioni
(compresa quindi quella della effettuazione di rilievi in occasione di
incidenti stradali), legittime e, in ipotesi, meno legittime è di
palese interesse della collettività, posto che la stessa rappresenta il
soggetto al quale quelle attività sono rivolte e nel cui interesse sono
svolti in genere i servizi comunali, essendo altresì tale soggetto
chiamato a garantire, dal punto di vista finanziario, il funzionamento
della stessa "macchina" comunale. Ne consegue che espressioni con le
quali si qualifichi criticamente il comportamento dei vigili
nell'esercizio delle rispettive funzioni presenta in modo netto ed
evidente il requisito della pertinenza al pubblico interesse,
risultando per converso manifestamente illogica la contraria
affermazione della Corte territoriale, peraltro del tutto immotivata.
In ordine poi al requisito della "continenza", si osserva che il
presupposto della utilità del giudizio rispetto alla critica svolta e
della proporzionalità delle espressioni, da accertarsi per evitare che
si versi in presenza del attacco denigratorio e ingiustificato, sono
presenti nelle frasi incriminate.

La "inqualificabilità" delle
condotte di vigili, tali da denotare "scarsa professionalità",
"superficialità mista a incoscienza e presuntuosità" sono infatti
espressioni in sè sicuramente offensive ma, nel caso in esame,
giustificate dal genere di invettiva lanciata dal ricorrente, dove il
termine "invettiva" sta ad indicare quella figura retorica che consiste
nel rivolgersi improvvisamente e vivacemente a persona o cosa presente
o assente, con un tono di aspro rimprovero.

Indubbio, cioè, che si sia
trattato di coloriture del pensiero, del tutto funzionali al genere di
critica che l'imputato aveva inteso formulare a carico dei vigili
comunali, non si dubita nemmeno della proporzionalità degli epiteti
rispetto ai temi scottanti che il M. aveva inteso sollevare: temi che,
data l'unitarietà del contesto, non sono d'altra parte limitabili a
quello della rilevazione delle multe ma che si arricchiscono anche di
tutti gli altri in relazione ai quali l'imputato ha articolato critiche
ritenute del tutto legittime dai giudici di merito.

In altri termini,
se è consentito, come anche i giudici di merito non hanno esitato ad
affermare, sottoporre a critica serrata e puntuale l'operato di uno o
più pubblici ufficiali, è del pari innegabile che un simile tema,
destinato a sostanziarsi di doglianze sui profili di rilevanza anche
costituzionale (art. 97 Cost.) della pubblica funzione - ossia la
imparzialità, il buon andamento - possa essere legittimamente trattato
attingendo ai detti profili e quindi, a contrario, abbordando eventuali
aspetti di negligenza più o meno grave, o inosservanza di leggi,
regolamenti o altre fonti.

E che in ciò è consistito l'esposto del M.
(anche solo riguardo alle frasi rimaste sub pudice) risulta dalle altre
frasi riportate nella imputazione, laddove emerge che nella missiva
rimasto aveva inteso formulare delle critiche aspre, si, ma non fine a
sè stesse, nei confronti dei vigili del suo Comune che a suo avviso
esercitavano il loro ufficio pubblico senza rispettare il generale
principio della efficienza, imparzialità e buon andamento della
amministrazione.

Non vi è, in altri termini, nella missiva, l'addebito
di fatti illeciti falsi, evenienza che avrebbe comportato, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte (rv. 231696), la esclusione
della scriminante, ma la connotazione della altrui attività in termini
generali di grave negligenza e tale evento indubbiamente si iscrive nel
perimetro della critica lecita. Sul punto, la sentenza della Corte di
appello, oltretutto, non fornisce una alternativa motivazione ma si
limita a condividere le osservazioni del primo giudice sulla necessità
di ravvisare, nel comportamento dell'imputato, l'attacco personale
diretto a colpire sul piano individuale.

Ma proprio quelle
affermazioni appaiono evidentemente illogiche, avendo da un lato
ritenuto scriminabili le accuse di "menefreghismo", "scarso impegno nel
lavoro" ed altro e negato alle frasi sopra più volte citate la stessa
portata di critica lecita alla altrui pubblica attività.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè l'imputato non è
punibile ai sensi dell'art. 51 c.p..

Così deciso in Roma, il 9 luglio
2007.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2007


 

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