SENTENZA N. 140
ANNO 2013
Commento alla decisione
di
Guglielmo
Leo
(per gentile concessione della
Rivista telematica Diritto penale
contemporaneo)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Franco GALLO
Presidente
- Luigi
MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria
NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro
CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario
MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 8 agosto 1977,
n. 533 (Disposizioni in materia di ordine pubblico), come sostituito
dall’articolo 10, comma 3, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi
legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), promosso dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena nel procedimento
penale a carico di M.G. con ordinanza del 18 giugno 2012, iscritta al n. 279 del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto
l’atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di
consiglio del 24 aprile 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza depositata
il 18 giugno 2012 (r.o. n. 279 del 2012), il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo
4, comma 3, della legge 8 agosto 1977, n. 533 (Disposizioni in materia di ordine
pubblico), come sostituito dall’articolo 10, comma 3, della legge 26 marzo 2001,
n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela
della sicurezza dei cittadini),
nella parte in cui prevede l’applicazione della pena della reclusione da cinque
a dodici anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 per i delitti di cui
all’articolo 624-bis del codice
penale aggravati ai sensi del comma 1 del citato art. 4 della legge n. 533 del
1977.
Il giudice rimettente
riferisce di procedere, in sede di giudizio abbreviato, nei confronti di una
persona accusata del reato di cui agli artt. 624-bis e 625, primo comma, numero 2, cod.
pen. e all’art. 4 della legge n. 533 del 1977, per avere sottratto
dall’abitazione della persona offesa tre fucili.
Ricostruiti gli interventi
legislativi che hanno investito la norma censurata e la disciplina codicistica del delitto di furto, il giudice rimettente
sottolinea come l’art. 624-bis cod.
pen. punisca a titolo di autonoma fattispecie incriminatrice il furto mediante
introduzione in luogo destinato ad abitazione, condotta, questa, che in
precedenza costituiva un’ipotesi aggravata del furto semplice. La norma
tutelerebbe anche l’inviolabilità del domicilio, data l’ampiezza del concetto di
privata dimora, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, concetto in cui
sarebbero ricomprese strutture tali da far ritenere che il titolare della
facoltà di disporne intenda garantirsi la riservatezza, con correlata facoltà di
esclusione dei terzi (studi professionali, esercizi commerciali e pertinenze
dell’abitazione, quali l’autorimessa e la cantina).
Secondo il rimettente, l’art.
4 della legge n. 533 del 1977 disciplinerebbe un’ipotesi di aggravante speciale
del furto giustificata dalla particolare pericolosità dell’azione in relazione
all’oggetto della condotta (armi, munizioni ed esplosivi) e al luogo di
svolgimento della stessa; però l’interpretazione del rinvio operato dal terzo
comma dell’art. 4 citato sarebbe problematica. Infatti, se interpretato come
meramente quoad poenam, il
riferimento all’art. 624-bis cod.
pen. sarebbe ambiguo, risultando difficilmente ipotizzabile un furto che avvenga
in abitazione e, al tempo stesso, anche nei luoghi indicati dal citato art. 4
(armerie, depositi o altri locali adibiti a custodia di armi); perciò, per
coerenza di sistema, tale riferimento dovrebbe riguardare solo le cose sottratte
(armi, munizioni ed esplosivi), facendo ritenere che «se il furto in abitazione
ha ad oggetto – come nel caso in esame – armi munizioni o esplosivi, il
trattamento sanzionatorio dovrà essere inasprito in ragione della maggiore
pericolosità dell’oggetto della condotta».
Ciò posto, secondo il giudice
rimettente emergerebbe un profilo di irrazionalità del sistema sanzionatorio,
perché il furto di armi in abitazione sarebbe punito allo stesso modo del furto
di armi in armeria, «parificando in termini di gravità (aspetto escluso dalla ratio legis
del 1977) l’elemento relativo al luogo di svolgimento della condotta».
Inoltre, attraverso il richiamo alla pena di cui al secondo comma, operato dal
terzo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977, si determinerebbe
«l’irragionevole asimmetria sanzionatoria», in ragione della quale il furto di
armi in abitazione sarebbe punito in misura di gran lunga maggiore del furto di
armi in armeria. Nel 2001 il legislatore, enucleando una fattispecie autonoma di
reato, avrebbe evidenziato una maggiore gravità della condotta di chi si
introduce in un luogo di privata dimora al fine di sottrarre una cosa mobile
altrui, ma, nonostante tale modifica nella struttura della fattispecie e nel
trattamento sanzionatorio, non si sarebbe potuto dubitare che l’ipotesi di cui
all’art. 4 della legge n. 533 del 1977 avesse conservato intatta la ragione
giustificatrice di un inasprimento sanzionatorio: «oggetto della condotta e
luogo di svolgimento della stessa imponevano ragionevolmente una pena più alta».
Secondo il rimettente,
l’«improvvido inserimento» del terzo comma dell’art. 4 citato avrebbe
irragionevolmente alterato una coerente scala di valori, determinando un
trattamento sanzionatorio del furto di armi in appartamento più grave di quello
previsto per il furto di armi in armerie. La norma impugnata determinerebbe «una
sostanziale disparità di trattamento poiché punisce il furto in abitazione di
armi con pena molto più grave della ipotesi di furto di armi in armeria». Tale
disparità, osserva ancora il rimettente, assumerebbe maggior ampiezza
considerando che, nel caso di specie, sarebbe preclusa l’applicabilità delle
circostanze attenuanti generiche.
La norma censurata si porrebbe
in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto la rilevante differenza del
trattamento sanzionatorio non troverebbe una adeguata giustificazione, perché il
bene giuridico protetto è il medesimo e gli elementi differenziali (luogo di
svolgimento della condotta e oggetto della stessa) dovrebbero comportare una
pena diversa e meno grave rispetto a quella prevista nelle ipotesi del primo e
del secondo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977.
Sarebbe violato anche l’art.
27, terzo comma, Cost., perché «l’irrogazione di pene sproporzionate al grado di
effettivo disvalore dei fatti comprometterebbe la finalità rieducativa della
pena».
2.− È intervenuto nel giudizio
di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la
questione sia dichiarata non fondata.
Secondo l’Avvocatura dello
Stato, una coerente lettura della norma impugnata indurrebbe a ricomprendere
nell’alveo applicativo del terzo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977
«le ipotesi in cui i furti aventi ad oggetto le res indicate dal legislatore nel comma 1
del citato articolo 4 avvengano in luoghi destinati, in tutto od in parte, a
privata abitazione o nelle pertinenze di essa» e sarebbe evidente la
riconducibilità dell’opzione sanzionatoria nell’ambito delle scelte di politica
criminale proprie del legislatore; scelte censurabili solo nell’ipotesi di
illogica o irragionevole disparità di trattamento tra condotte aventi il
medesimo disvalore giuridico. La condotta sanzionata dal terzo comma dell’art. 4
della legge n. 533 del 1977 rappresenterebbe – secondo il legislatore
intervenuto con la legge n. 128 del 2001 – un maggior disvalore rispetto a
quella prevista dal primo comma, trattandosi di condotta avente sì il medesimo
oggetto (armi, munizioni od esplosivi), ma realizzata in luoghi differenti
(ossia in luoghi destinati a privata dimora e non in armerie, depositi o altri
locali adibiti alla custodia di armi).
Come emergerebbe con chiarezza
dalle valutazioni di politica criminale poste a fondamento dell’art. 624-bis cod. pen., il legislatore avrebbe
inteso proprio colpire con maggiore severità le condotte destinate ad incidere
su un bene ritenuto particolarmente meritevole di tutela, quale l’inviolabilità
dei luoghi adibiti a privata dimora. Quanto alla asserita violazione dell’art.
27, terzo comma, Cost., l’Avvocatura dello Stato osserva che il giudice
rimettente non avrebbe dato conto della compromissione della finalità
rieducativa della pena, il che renderebbe inammissibile il profilo di censura.
Inoltre, il giudice rimettente
non avrebbe operato una valutazione bilanciata degli interessi
costituzionalmente protetti implicati nella fattispecie. La norma denunciata
costituirebbe attuazione (e mirerebbe alla tutela) del diritto inviolabile alla
libertà personale (art. 13 Cost.), di cui il diritto all’inviolabilità del
domicilio (art. 14 Cost.) sarebbe esplicazione.
Considerato
in diritto
1.−
Il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo
4, comma 3, della legge 8 agosto 1977, n. 533 (Disposizioni in materia di ordine
pubblico), come sostituito dall’articolo 10, comma 3, della legge 26 marzo 2001,
n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela
della sicurezza dei cittadini),
nella parte in cui prevede l’applicazione della pena della reclusione da cinque
a dodici anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 ai delitti di cui
all’articolo 624-bis del codice
penale aggravati ai sensi del comma 1 del citato art. 4 della legge n. 533 del
1977.
La norma censurata sarebbe in
contrasto con l’art. 3 Cost., determinando «una sostanziale disparità di
trattamento poiché punisce il furto in abitazioni di armi con pena molto più
grave della ipotesi di furto di armi in armeria», e con l’art. 27, terzo comma,
Cost., perché «l’irrogazione di pene sproporzionate al grado di effettivo
disvalore dei fatti comprometterebbe la finalità rieducativa della
pena».
2.– La questione non è
fondata.
3.– Nella
sua versione originaria, l’art. 4, comma 1, della legge n. 533 del 1977
stabiliva che se il fatto previsto
dall’art. 624 cod. pen. era commesso su armi, munizioni od esplosivi nelle
armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di essi, si
applicava la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire
centomila a lire quattrocentomila; se concorreva, inoltre, taluna delle
circostanze previste dall’art. 61, o dall’art. 625, numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 7,
cod. pen., la pena era della reclusione da cinque a dodici anni e della multa da
lire duecentomila a lire seicentomila.
Dopo alcune modifiche relative
alla pena pecuniaria comminata e al regime di procedibilità, l’intero testo
dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977 è stato sostituito dall’art. 10 della legge n. 128 del 2001,
in collegamento con la trasformazione,
ad opera di quest’ultima legge, di due fattispecie di furto aggravato, previste
dall’art. 625, primo comma, numeri 1 e 4, cod. pen., in autonome figure di reato
– il furto in abitazione e il furto con strappo – delineate nel nuovo art.
624-bis cod. pen.
Il
citato art. 4, comma 1, nel testo precedente alla sostituzione, prevedeva, come
si è visto, un’ulteriore aggravante nel caso di concorso di taluna delle
circostanze di cui all’«articolo 625, numeri 1, 2, 3, 4, 5, e 7, del codice
penale» e, una volta sostituite con la nuova figura delittuosa le due
fattispecie aggravate dei numeri 1 e 4 dell’art. 625, il legislatore ha
interamente riformulato l’impugnato art. 4 riferendo al nuovo art. 624-bis cod. pen. l’aggravamento
originariamente collegato alle soppresse circostanze dell’introduzione in un
luogo destinato ad abitazione (art. 625, primo comma, numero 1, cod. pen.) e
dello “strappo” (art. 625, primo comma, numero 4, cod. pen.). È chiaro, quindi,
che, per quanto riguarda la questione di legittimità costituzionale in oggetto,
le innovazioni introdotte con la sostituzione dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977 non hanno sostanzialmente
modificato le fattispecie originariamente previste, e di conseguenza non si può
affermare, come fa il giudice rimettente, che «l’improvvido inserimento del
comma 3 del citato art. 4 ha irragionevolmente alterato» la precedente «coerente
scala di valori».
4.– Nel
sollevare la questione, il giudice rimettente muove dal presupposto
interpretativo secondo cui, «se vuole darsi coerenza al sistema», il rinvio
operato dall’art. 4, comma 3, della legge n. 533 del 1977 «deve ritenersi
riferito al solo oggetto della condotta (armi munizioni ed esplosivi)», sicché
«se il furto in abitazione ha ad oggetto – come nel caso in esame – armi
munizioni o esplosivi il trattamento sanzionatorio dovrà essere inasprito in
ragione della maggiore pericolosità dell’oggetto della condotta». In altri
termini, secondo il giudice a quo,
nel caso di furto in abitazione, la pena prevista dal comma 2 dell’art. 4 della
legge n. 533 del 1977, richiamato dal comma 3, troverebbe applicazione in
relazione al solo oggetto materiale della condotta (armi, munizioni ed
esplosivi), quand’anche esso non si trovi collocato nei luoghi indicati nel
comma 1.
Lo
stesso rimettente, tuttavia, non sembra riconoscere nella tesi prospettata
l’unica praticabile e, per sostenerla, si limita a rilevare che sarebbe
difficilmente ipotizzabile un furto che possa avvenire al tempo stesso in
un’abitazione e in uno dei luoghi indicati dall’art. 4, cioè in un’armeria, in
un deposito o in un altro locale adibito a custodia di armi. Non è questo però
un argomento che possa far superare le indicazioni che in senso contrario si
traggono dalla chiara lettera della legge.
Il
comma 3 dell’art. 4 citato stabilisce che la pena prevista dal comma 2 del
medesimo articolo si applica ai delitti dell’art. 624-bis cod. pen. aggravati ai sensi del comma 1 e l’interpretazione
coordinata delle disposizioni richiamate dall’art. 4, comma 3, della
legge
n. 533 del 1977 impone la conclusione che, ai fini dell’integrazione della
fattispecie de qua, è necessario che
il furto sia «commesso su armi,
munizioni od esplosivi nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali
adibiti alla custodia di armi» (art. 4, comma 1, della legge n. 533 del 1977) e
«mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in
parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa» (art. 624-bis cod. pen.). L’interpretazione del
giudice rimettente, che amputa la norma dell’elemento previsto – congiuntamente
all’indicazione dell’oggetto materiale della condotta – dal primo comma
dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977, non trova alcun riscontro nel chiaro
tenore della disposizione censurata.
Né in senso diverso può
argomentarsi rilevando, come fa il rimettente, che sarebbero difficilmente
ipotizzabili fattispecie concrete riconducibili alla disposizione in questione.
Infatti, sono stati prospettati vari esempi in cui la stessa potrebbe trovare
applicazione, come quello del locale dell’abitazione di un collezionista
destinato alla custodia delle armi collezionate o quello dell’armeria che
costituisce anche dimora dell’armiere, o anche quello della introduzione in un
luogo di privata dimora per raggiungere un locale adibito alla custodia delle
armi; ma, indipendentemente da questo rilievo, è da aggiungere che in nessun
caso l’asserita difficoltà potrebbe giustificare un’interpretazione come quella
del giudice a quo, che determina un
ampliamento della portata della fattispecie circostanziale, incompatibile con
l’inequivoca lettera del dettato legislativo.
L’erroneità del presupposto
interpretativo dal quale muove il rimettente comporta la non fondatezza della
questione (ex plurimis, sentenza n. 310 del
2008; ordinanza n. 321 del
2008).
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non
fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 8 agosto 1977, n. 533
(Disposizioni in materia di ordine pubblico), come sostituito dall’articolo 10,
comma 3, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza
dei cittadini), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo
comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Modena, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno
2013.
F.to:
Franco GALLO,
Presidente
Giorgio
LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 13 giugno 2013.
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