N. 163 SENTENZA 21 maggio - 10 giugno 2014
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Istigazione alla corruzione - Offerta o promessa di denaro o altra utilita' al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza - Trattamento sanzionatorio. - Codice penale art. 322, secondo comma. -(GU n.26 del 18-6-2014 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Gaetano SILVESTRI;
Giudici :Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio
MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 322,
secondo comma, del codice penale, promosso dalla Corte di cassazione,
sezioni unite penali, nel procedimento penale a carico di G.G.A. ed
altro con ordinanza del 23 ottobre 2013, iscritta al n. 283 del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2014.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 aprile 2014 il Giudice
relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza depositata il 23 ottobre 2013, le sezioni unite
penali della Corte di cassazione hanno sollevato, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 322, secondo comma, del codice penale,
«nella parte in cui per l'offerta o la promessa di denaro o altra
utilita' al consulente tecnico del pubblico ministero per il
compimento di una falsa consulenza prevede una pena superiore a
quella di cui all'art. 377, comma primo, cod. pen., in relazione
all'art. 373 cod. pen.».
1.1.- La Corte rimettente riferisce che la vicenda oggetto del
giudizio a quo trae origine da un incidente verificatosi il 1° giugno
2003 nello spazio sovrastante l'aeroporto di Milano Linate, che aveva
causato la caduta di un aeromobile e la morte del pilota e del
copilota.
Nell'ambito delle conseguenti indagini preliminari, il pubblico
ministero aveva nominato, ai sensi dell'art. 359 del codice di
procedura penale, un consulente tecnico, il quale era stato
avvicinato da un suo conoscente, che gli aveva prospettato la
possibilita' di ottenere una rilevante somma di denaro ove avesse
redatto un elaborato favorevole alla compagnia aerea cui apparteneva
l'aeromobile precipitato.
Il consulente tecnico aveva finto di accettare l'offerta,
avvertendo immediatamente del fatto il pubblico ministero. All'esito
dei controlli predisposti sulla trattativa corruttiva, simulatamente
proseguita, erano emerse responsabilita' in capo a quattro soggetti
(il conoscente dal quale il consulente tecnico era stato avvicinato,
due soci della compagnia aerea e il loro legale), i quali erano stati
quindi sottoposti a procedimento penale.
I giudici pronunciatisi nel corso di tale procedimento - dapprima
nei vari gradi del procedimento incidentale de libertate originato
dalla richiesta di misura cautelare del pubblico ministero e poi nel
processo principale sul merito dell'accusa - avevano ricondotto,
peraltro, a paradigmi punitivi volta a volta diversi la condotta
contestata agli imputati (offerta di denaro, non accettata, al
consulente tecnico del pubblico ministero per influire sui risultati
della consulenza).
Da ultimo, la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 2 maggio
2012, aveva condannato due degli imputati, giudicati con rito
abbreviato, alla pena di un anno di reclusione, ravvisando nel fatto
loro ascritto il delitto di istigazione alla corruzione, di cui
all'art. 322 cod. pen., in conformita' all'unico precedente della
giurisprudenza di legittimita' sullo specifico tema (Corte di
Cassazione, sezione sesta penale, 7 gennaio 1999-30 marzo 1999, n.
4062).
Investita del ricorso proposto dagli imputati contro la
decisione, la sesta sezione della Corte di cassazione aveva ritenuto
di dover dissentire da tale soluzione, anche perche' idonea a
determinare conseguenze contrastanti con gli artt. 3 e 25 Cost., e di
dover scorgere, invece, nella fattispecie il delitto di intralcio
alla giustizia, di cui all'art. 377, primo comma, cod. pen., secondo
quanto gia' deciso dal giudice di primo grado. Nella prospettiva di
evitare un potenziale contrasto di giurisprudenza, aveva peraltro
rimesso la questione alle sezioni unite.
1.2.- Al riguardo, le sezioni unite escludono anzitutto che nella
fattispecie in esame possa ravvisarsi una ipotesi di tentativo di
corruzione in atti giudiziari (artt. 56 e 319-ter cod. pen.), come
ritenuto dalla stessa sesta sezione in sede di valutazione cautelare
della posizione di uno degli imputati. In mancanza di un accordo
corruttivo, infatti, l'istigazione non accolta alla corruzione
potrebbe essere ricondotta solo alla previsione punitiva dell'art.
322 cod. pen. (la quale, pur riferendosi formalmente alle ipotesi
corruttive di cui agli artt. 318 e 319 cod. pen., si attaglierebbe
anche a quella di cui all'art. 319-ter cod. pen., posto che
quest'ultimo richiama «i fatti indicati negli articoli 318 e 319 cod.
pen.»), ovvero - quando si tratti di proposta rivolta a soggetti
destinati ad assumere una veste processuale - alle figure criminose
delineate dagli artt. 377 o 377-bis cod. pen.
Il fatto per cui si procede non potrebbe essere neppure
qualificato, contrariamente a quanto sostenuto dagli imputati
ricorrenti, come istigazione non accolta a commettere una consulenza
infedele (art. 380 cod. pen.), con conseguente sua irrilevanza penale
(art. 115 cod. pen.). L'attivita' svolta dal consulente tecnico del
pubblico ministero non potrebbe essere, infatti, definita come
attivita' di parte - alla quale soltanto si riferisce il citato art.
380 cod. pen. - discutendosi di soggetto che esercita una funzione
pubblica e che contribuisce non gia' a tutelare gli interessi di una
parte processuale, «ma ad accertare la verita'».
1.3.- Il problema ermeneutico si concentrerebbe, di conseguenza,
sull'applicabilita' di una delle due ipotesi delittuose, dianzi
indicate, dell'istigazione alla corruzione o dell'intralcio alla
giustizia.
Quanto a quest'ultima, l'art. 377 cod. pen., nel testo
attualmente in vigore, frutto di una serie di modifiche legislative,
stabilisce, al primo comma, che «Chiunque offre o promette denaro o
altra utilita' alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti
all'autorita' giudiziaria o alla Corte penale internazionale ovvero
alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel
corso dell'attivita' investigativa, o alla persona chiamata a
svolgere attivita' di perito, consulente tecnico o interprete, per
indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis,
371-ter, 372 e 373, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia
accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla
meta' ai due terzi».
Per quel che concerne, in particolare, il riferimento al
«consulente tecnico» - introdotto nel testo della norma dal
decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo
codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla
criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 1992, n. 356 - le sezioni unite osservano come, nel caso del
consulente tecnico del pubblico ministero, l'offerta o la promessa di
denaro o di altra utilita' non potrebbe essere finalizzata alla
commissione del delitto di falsa perizia, di cui al richiamato art.
373 cod. pen., in quanto l'ausiliario tecnico dell'accusa non e' un
perito (nominato invece dal giudice). Pur essendo verosimile che la
discrasia dipenda da un difetto di coordinamento, non sarebbe,
d'altra parte, possibile estendere in via interpretativa il concetto
di «perizia» alla «consulenza tecnica» senza violare il principio di
tassativita' del precetto penale.
Conformemente a quanto ritenuto dalla sesta sezione nel rimettere
la questione alle sezioni unite, la subornazione del consulente
tecnico del pubblico ministero potrebbe, nondimeno, egualmente
configurare il reato di intralcio alla giustizia, in quanto
finalizzata alla commissione dei delitti di false informazioni al
pubblico ministero (art. 371-bis) e di falsa testimonianza (art. 372
cod. pen.).
La parificazione del consulente tecnico al testimone troverebbe,
in effetti, un solido appiglio ermeneutico nell'art. 501 cod. proc.
pen., che estende al consulente tecnico le disposizioni sull'esame
dibattimentale dei testimoni. Pur non essendo un testimone in senso
proprio - in quanto non chiamato a riferire su «fatti», ma ad
esprimere valutazioni su materie che richiedono specifiche competenze
- il consulente tecnico ben potrebbe, d'altra parte, «affermare il
falso o negare il vero», conformemente alla previsione dell'art. 372
cod. pen., o «rendere dichiarazioni false», secondo quella dell'art.
371-bis cod. pen., ad esempio tacendo o alterando determinati esiti
obiettivi degli accertamenti espletati, ferma restando l'esclusione
di «ogni sindacato sugli aspetti meramente valutativi relativi a
detti accertamenti».
La conseguente configurabilita', sotto questo profilo, del
delitto di intralcio alla giustizia, risulterebbe confermata anche
dalla lettera della norma incriminatrice, posto che il riferimento al
«consulente tecnico», contenuto nell'art. 377 cod. pen., si
presterebbe senz'altro a ricomprendere anche l'ausiliario tecnico
dell'organo dell'accusa. Non potrebbe essere, infatti, condivisa la
tesi, espressa in dottrina, secondo la quale la predetta formula
riguarderebbe il solo consulente tecnico d'ufficio nominato dal
giudice civile: tesi che renderebbe superfluo il riferimento in
questione, posto che l'estensione al consulente tecnico nominato in
sede civile delle disposizioni penali relative ai periti discende
gia' dall'espressa previsione dell'art. 64, primo comma, del codice
di procedura civile.
La configurabilita' del delitto di intralcio alla giustizia non
sarebbe, per altro verso, preclusa dalla circostanza che, nel caso
oggetto di giudizio, il consulente tecnico del pubblico ministero non
era stato ancora citato come testimone o come persona informata sui
fatti al momento dell'offerta di denaro.
E' ben vero che, secondo l'indirizzo prevalente in
giurisprudenza, perche' possa configurarsi il delitto di cui all'art.
377 cod. pen. e' necessario che i destinatari della condotta
subornatrice abbiano gia' formalmente assunto, nel momento in cui la
condotta stessa e' posta in essere, le qualifiche processuali
indicate dalla norma: il che si verificherebbe, nel caso del
testimone, solo allorche' il giudice abbia autorizzato la citazione
del soggetto in tale veste, ai sensi dell'art. 468, comma 2, cod.
proc. pen.
Ad avviso delle sezioni unite, tuttavia, le peculiarita' della
figura del consulente tecnico del pubblico ministero farebbero
propendere per una diversa soluzione.
A differenza dei consulenti tecnici nominati dalle parti private,
chiamati a svolgere un ruolo di ausilio alla difesa - donde la loro
equiparazione al difensore, quanto a funzioni e garanzie - il
consulente tecnico del pubblico ministero ripeterebbe, infatti,
«dalla funzione pubblica dell'organo che coadiuva i relativi
connotati». Nel compimento delle sue attivita', egli assumerebbe,
dunque, la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di
pubblico servizio; avrebbe, in quanto tale, «il dovere [...] di
obiettivita' e imparzialita'»; non potrebbe, altresi', esimersi dal
dire la verita'. Si dovrebbe, di conseguenza, ritenere che il
consulente tecnico, con la nomina ad opera del pubblico ministero,
rivesta gia' «una precisa veste processuale, potenzialmente destinata
a refluire sull'assunzione della qualita' "testimoniale" ex artt.
371-bis o 372 cod. pen.»: qualita' che, dunque, anche se non ancora
formalmente assunta, sarebbe «immanente» alla figura, «in quanto
prevedibile e necessario sviluppo processuale della funzione
assegnata».
1.4.- In concreto, tuttavia, alla configurabilita' del delitto di
intralcio alla giustizia osterebbe la natura dell'indagine affidata
nel caso di specie al consulente.
Il consulente tecnico del pubblico ministero sarebbe, infatti,
equiparabile al testimone solo in rapporto alle dichiarazioni che
investano gli esiti obiettivi degli accertamenti espletati; non,
invece, in relazione alle valutazioni tecnico-scientifiche, le quali,
in quanto espressive di personali opinioni, non sarebbero
qualificabili in termini di verita' o di falsita': sicche', con
riguardo ad esse, il consulente non potrebbe rispondere del reato di
falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero.
Nella specie, al consulente sarebbe stata affidata una indagine
«di tipo squisitamente valutativo», essendogli stato chiesto di
riferire se l'addestramento del copilota, deceduto insieme al pilota
nell'incidente aereo, potesse considerarsi idoneo.
Esclusa, di conseguenza, la possibilita' di ricondurre il fatto
al paradigma dell'intralcio alla giustizia, l'unica disposizione
applicabile nel caso in esame sarebbe quella dell'art. 322, secondo
comma, cod. pen., che punisce l'offerta o la promessa di denaro o
altra utilita' non dovuti per indurre un pubblico ufficiale o un
incaricato di pubblico servizio a compiere un atto contrario ai suoi
doveri. Tra il reato di intralcio alla giustizia e quello di
istigazione alla corruzione propria intercorrerebbe un rapporto di
species ad genus: la prima figura criminosa sarebbe, infatti,
speciale rispetto alla seconda, in ragione della specificita' sia del
soggetto destinatario dell'offerta o della promessa, che dell'atto
contrario ai doveri di ufficio cui essa e' preordinata. Mancando i
presupposti di operativita' della previsione punitiva speciale -
altrimenti applicabile in via esclusiva - diverrebbe quindi operante
la norma generale.
1.5.- La conclusione raggiunta farebbe emergere, tuttavia,
«innegabili profili di incostituzionalita'».
Alla luce di essa, l'offerta o la promessa di denaro o di altra
utilita' al consulente tecnico del pubblico ministero per il
compimento di una falsa consulenza risulterebbe punita piu'
gravemente dell'analoga offerta o promessa rivolta ad un perito, che
rientra pacificamente, per il principio di specialita', nell'ambito
applicativo dell'art. 377, primo comma, cod. pen. Nella prima
ipotesi, infatti, in base alla disposizione combinata degli artt. 319
e 322 cod. pen. - nella formulazione vigente all'epoca del fatto,
antecedente alla riforma operata dalla legge 6 novembre 2012, n. 190
(Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e
dell'illegalita' nella pubblica amministrazione) - sarebbe irrogabile
la reclusione da un anno e quattro mesi a tre anni e quattro mesi;
nella seconda, invece, per la disposizione combinata degli artt. 372,
373 e 377 cod. pen., la reclusione da otto mesi a tre anni.
Inoltre, la medesima offerta corruttiva fatta al consulente
tecnico del pubblico ministero nell'ambito di un procedimento penale
sarebbe punita piu' gravemente dell'analoga offerta rivolta al
consulente tecnico del giudice civile, parimenti inquadrabile nel
paradigma dell'intralcio alla giustizia.
Irragionevole sarebbe anche la sperequazione sanzionatoria
riscontrabile a seconda che il consulente tecnico del pubblico
ministero, destinatario dell'offerta corruttiva, sia chiamato ad
esprimere valutazioni tecnico-scientifiche (con conseguente
configurabilita' dell'istigazione alla corruzione) o semplicemente a
descrivere i fatti accertati (donde la configurabilita' del delitto
di intralcio alla giustizia, meno gravemente punito).
Si tratterebbe, sotto ognuno degli evidenziati profili, di
conseguenze lesive del principio di eguaglianza, posto che situazioni
del tutto analoghe verrebbero disciplinate in termini differenti sul
piano della risposta punitiva. In aggiunta a cio', vi sarebbe il
«paradosso» per cui solo la particolare e neppure giu' grave forma di
intralcio alla giustizia oggetto del giudizio a quo rimarrebbe
estranea alla specifica partizione del codice penale dedicata ai
delitti contro l'amministrazione della giustizia, rimanendo
«confinata» tra i delitti contro la pubblica amministrazione.
Sulla base di tali considerazioni, le sezioni unite ritengono,
quindi, che l'art. 322, secondo comma, cod. pen. violi l'art. 3
Cost., nella parte in cui assoggetta la subornazione del consulente
tecnico del pubblico ministero ad una pena superiore a quella
prevista dall'art. 377, primo comma, in relazione all'art. 373 cod.
pen., per la subornazione del perito.
2.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Ad avviso della difesa dello Stato, la sistematica del codice e
il tenore letterale delle due disposizioni legittimerebbero una
diversa interpretazione, che, privilegiando gli aspetti di
specialita' dell'art. 377 rispetto all'art. 322 cod. pen., renda
applicabile la prima norma nei soli casi in cui il consulente tecnico
del pubblico ministero abbia gia' acquisito la veste formale di
testimone, ovvero di assunzione della prova tecnica con le modalita'
della perizia ai sensi dell'art. 392 cod. proc. pen. L'art. 322 cod.
pen. sarebbe destinato, per converso, ad incriminare l'offerta o la
promessa di denaro o di altra utilita' al consulente nella fase delle
indagini preliminari, che precede l'esercizio dell'azione penale e,
quindi, l'instaurazione del processo.
La delineata diversita' di ambito operativo, a prescindere dal
fatto che il consulente sia chiamato anche a riferire fatti o
soltanto ad esprimere giudizi, consentirebbe di escludere
l'assimilabilita' delle situazioni considerate e, conseguentemente,
l'irragionevolezza del loro diverso trattamento sanzionatorio.
La maggiore gravita' della sanzione per i fatti commessi nel
corso delle indagini preliminari si giustificherebbe con la
considerazione che, per effetto delle falsita' contenute
nell'elaborato del consulente tecnico, il pubblico ministero potrebbe
essere indotto a ritenere l'accusa non utilmente sostenibile in
giudizio e, quindi, a formulare una richiesta di archiviazione,
rispetto alla quale il giudice avrebbe scarse possibilita' di vaglio
critico, stante la marginalita' del contraddittorio tra le parti alla
luce delle limitazioni previste dall'art. 410 cod. proc. pen. Analoga
pericolosita' non avrebbero i fatti commessi dopo l'esercizio
dell'azione penale, giacche' il contraddittorio tra le parti sugli
elementi di prova consentirebbe al giudice di apprezzare piu'
agevolmente l'incidenza dell'offerta o della promessa illecita sui
risultati della consulenza.
Considerazioni similari varrebbero anche in rapporto alla
denunciata disparita' di trattamento rispetto alla subornazione del
consulente tecnico nominato dal giudice civile, stante la facolta'
delle parti del processo civile di nominare propri consulenti, che
possono validamente sostenere un contraddittorio con il consulente
del giudice.
Considerato in diritto
1.- Le sezioni unite penali della Corte di cassazione dubitano
della legittimita' costituzionale dell'art. 322, secondo comma, del
codice penale, «nella parte in cui per l'offerta o la promessa di
denaro o altra utilita' al consulente tecnico del pubblico ministero
per il compimento di una falsa consulenza prevede una pena superiore
a quella di cui all'art. 377, comma primo, cod. pen., in relazione
all'art. 373 cod. pen.».
La questione trova la sua premessa ermeneutica fondante
nell'assunto per cui la subornazione del consulente tecnico del
pubblico ministero - il quale sia stato incaricato, come nel caso di
specie, esclusivamente di esprimere valutazioni tecnico-scientifiche
e non gia' di accertare dati oggettivi - non potendo integrare il
delitto di intralcio alla giustizia, di cui all'art. 377, primo
comma, in riferimento agli artt. 371-bis e 372 cod. pen., ricadrebbe
nell'ambito applicativo della piu' generale figura criminosa
dell'istigazione alla corruzione propria, delineata dal censurato
art. 322, primo comma, cod. pen.
Discenderebbe da cio' la violazione dell'art. 3 della
Costituzione, per irragionevole disparita' di trattamento di
situazioni analoghe, sotto un triplice profilo.
In primo luogo, l'offerta o la promessa di denaro o di altra
utilita' al consulente tecnico del pubblico ministero per influire
sui risultati della consulenza risulterebbe punita piu' gravemente
dell'analoga offerta o promessa rivolta al perito - ausiliario del
giudice - la quale rientra pacificamente, per il principio di
specialita', nella sfera applicativa dell'art. 377, primo comma, in
riferimento all'art. 373 cod. pen. Nella prima ipotesi, infatti, in
base alla disposizione combinata degli artt. 319 e 322 cod. pen. -
nella formulazione vigente all'epoca del fatto oggetto del giudizio a
quo, antecedente alla riforma operata dalla legge 6 novembre 2012, n.
190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione) -
sarebbe irrogabile la reclusione da un anno e quattro mesi a tre anni
e quattro mesi; nella seconda, invece, per la disposizione combinata
degli artt. 372, 373 e 377 cod. pen., la reclusione da otto mesi a
tre anni.
In secondo luogo, poi, la proposta corruttiva rivolta al
consulente tecnico del pubblico ministero nell'ambito di un
procedimento penale risulterebbe sanzionata in modo piu' energico
rispetto all'analoga proposta diretta al consulente tecnico del
giudice civile, la quale integra anch'essa il reato di intralcio alla
giustizia, a fronte dell'espressa estensione al predetto soggetto
processuale delle norme del codice penale relative ai periti (art.
64, primo comma, del codice di procedura civile).
In terzo luogo, e da ultimo, l'offerta corruttiva indirizzata al
consulente tecnico del pubblico ministero sarebbe a sua volta
soggetta ad un trattamento sanzionatorio irragionevolmente
differenziato a seconda che il suo destinatario sia chiamato ad
esprimere valutazioni tecnico-scientifiche (ipotesi inquadrabile nel
piu' grave paradigma punitivo dell'istigazione alla corruzione),
ovvero semplicemente a descrivere i fatti accertati (fattispecie
integrativa del delitto di intralcio alla giustizia, meno gravemente
punito).
Le sezioni unite denunciano, altresi', il «paradosso» sistematico
per cui solo la particolare e neppure giu' grave forma di intralcio
alla giustizia di cui si discute rimarrebbe estranea alla specifica
partizione del codice penale dedicata ai delitti contro
l'amministrazione della giustizia, rimanendo «confinata» tra i
delitti contro la pubblica amministrazione.
2.- Il problema sottoposto all'esame di questa Corte trae origine
dal difetto di coordinamento tra le norme incriminatrici relative ai
delitti contro l'amministrazione della giustizia, contenute nel
codice penale del 1930, e il nuovo assetto processuale introdotto dal
codice di procedura penale del 1988.
Le disposizioni del codice penale, in linea con l'impianto
inquisitorio delineato dal codice di rito abrogato, presupponevano,
infatti, una sostanziale equiparazione tra le prove raccolte in
contraddittorio e i risultati delle indagini dell'accusa. Il
passaggio ad un sistema di tipo accusatorio operato con il nuovo
codice, in assenza di opportuni interventi di adeguamento, ha
inevitabilmente messo in crisi il sistema, generando vuoti di tutela.
Risultava evidente, ad esempio, l'impossibilita' di applicare la
norma incriminatrice della falsa testimonianza (art. 372 cod. pen.)
anche alle «persone informate sui fatti» che rendessero dichiarazioni
mendaci al pubblico ministero, non essendo queste ultime
qualificabili - diversamente che in passato - come «testimoni». Solo
l'introduzione, nel 1992, del delitto di false informazioni al
pubblico ministero (art. 371-bis cod. pen., aggiunto dall'art. 11,
comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, recante «Modifiche
urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di
contrasto alla criminalita' mafiosa», convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) e' valso a colmare la lacuna. Un
ulteriore intervento novellistico e' stato, altresi', necessario per
evitare che rimanessero esenti da pena le false dichiarazioni al
difensore nel corso delle indagini difensive (art. 371-ter cod. pen.,
aggiunto dall'art. 20 della legge 7 dicembre 2000, n. 397, recante
«Disposizioni in materia di indagini difensive»).
All'opera di riallineamento dei delitti contro l'amministrazione
della giustizia al mutato panorama processuale e' rimasta, peraltro,
estranea la figura del consulente tecnico nominato dal pubblico
ministero ai sensi dell'art. 359 del codice di procedura penale.
Come rilevato dalle sezioni unite nell'ordinanza di rimessione,
la falsa consulenza redatta dall'ausiliario dell'organo dell'accusa
non integra il delitto di falsa perizia (art. 373 cod. pen.), per la
dirimente ragione che detto soggetto non e' equiparabile,
nell'attuale sistema processuale, al perito nominato dal giudice
(come invece lo era il perito nominato dal pubblico ministero nel
corso dell'istruzione sommaria, ai sensi dell'art. 391, secondo
comma, cod. proc. pen. del 1930). In questo caso, tuttavia, il
legislatore non si e' premurato di introdurre una nuova norma
incriminatrice ad hoc che colmasse la lacuna.
La rilevata discrasia si riflette anche sul trattamento riservato
alle condotte subornatrici. Sotto la rubrica di «intralcio alla
giustizia» - che, per effetto dell'art. 14 della legge 16 marzo 2006,
n. 146 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli
delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale,
adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 e il 31 maggio
2001), sostituisce quella originaria di «subornazione» - l'art. 377
cod. pen. configura, al primo comma, come reato l'offerta o la
promessa di denaro o di altra utilita', non accettata, per commettere
taluni delitti contro l'amministrazione della giustizia: derogando,
con cio', al generale principio per cui l'istigazione non accolta a
commettere un reato non e' punibile (art. 115 cod. pen.).
Nell'attuale versione della norma (frutto di una serie di interventi
di adeguamento), si tratta, in specie, dei delitti di false
informazioni al pubblico ministero, false dichiarazioni al difensore,
falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione (artt. 371-bis,
371-ter, 372 e 373 cod. pen.).
Tra i possibili destinatari dell'offerta o della promessa
penalmente repressa figura, in verita' - grazie all'interpolazione
operata dall'art. 11 del d.l. n. 306 del 1992 - anche la persona
chiamata a svolgere attivita' di «consulente tecnico»: formula che,
nella sua genericita', si presterebbe a ricomprendere il consulente
tecnico del pubblico ministero. La rilevata circostanza che
quest'ultimo non possa rendersi responsabile del delitto di cui al
richiamato art. 373 cod. pen. impedisce, tuttavia, di ritenere che
l'offerta o la promessa a lui indirizzata, allo scopo di orientare
gli esiti della consulenza, configuri il delitto di intralcio alla
giustizia in quanto finalizzata alla commissione del reato di falsa
perizia.
3.- Si e' posto, quindi, il problema di verificare se la
subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero sia
punibile a diverso titolo.
All'interrogativo le sezioni unite offrono una soluzione
innovativa rispetto al panorama ermeneutico pregresso, che coniuga,
nella sostanza, due delle tesi in precedenza prospettate.
Secondo la Corte rimettente, la subornazione del consulente
tecnico del pubblico ministero sarebbe, in realta', idonea ad
integrare il delitto di intralcio alla giustizia. Gioverebbe, a tal
fine, non gia' il richiamo, contenuto nell'art. 377, primo comma,
cod. pen., alla falsa perizia - che si e' visto non utile - ma quello
alla falsa testimonianza e alle false informazioni al pubblico
ministero (artt. 372 e 371-bis cod. pen.).
Il consulente e' sentito, infatti, in dibattimento sul contenuto
della consulenza nelle forme dell'esame testimoniale (art. 501 cod.
proc. pen.); prima ancora, puo' essere chiamato a rendere
dichiarazioni al pubblico ministero che l'ha nominato. Di
conseguenza, l'offerta o la promessa di denaro o di altra utilita'
per influire sui risultati della consulenza sarebbe destinata ad
incidere anche sulle dichiarazioni rese dal consulente come teste o
come persona informata sui fatti.
Tali qualita' sarebbero, d'altro canto, «immanenti» alla figura
dell'ausiliario tecnico dell'organo dell'accusa, costituendo un
«prevedibile e necessario sviluppo processuale» delle funzioni che
gli sono assegnate. Non occorrerebbe, pertanto - diversamente che
negli altri casi - che il consulente sia gia' stato citato
formalmente come testimone o come persona informata sui fatti al
momento dell'offerta o della promessa.
Il consulente - sempre secondo la ricostruzione operata dalle
sezioni unite - potrebbe rendersi, tuttavia, responsabile del delitto
di falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero
solo allorche' riferisca su dati oggettivi: non quando sia chiamato a
formulare valutazioni tecnico-scientifiche, ossia giudizi, i quali -
in quanto espressivi di opinioni personali - non potrebbero essere
qualificati in termini di verita' o di falsita'.
In siffatta evenienza, l'unico reato configurabile, nell'ipotesi
di subornazione del consulente, sarebbe quello di istigazione alla
corruzione propria, di cui al censurato art. 322, primo comma, cod.
pen.: figura criminosa rispetto alla quale il delitto di intralcio
alla giustizia si porrebbe in rapporto di specialita'. Il consulente
tecnico del pubblico ministero assumerebbe, infatti,
nell'espletamento dei suoi compiti, la qualita' di pubblico ufficiale
o di incaricato di pubblico servizio, richiesta dalla norma
denunciata, la quale dovrebbe ritenersi, d'altra parte, applicabile
anche in rapporto alla corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter
cod. pen.).
Emergerebbero, peraltro, in questo modo, i profili di
illegittimita' costituzionale denunciati (profili in considerazione
dei quali la sesta sezione della Corte di cassazione, nel rimettere
la questione alle sezioni unite, aveva ritenuto, per converso, di
dover scartare l'ipotesi dell'applicabilita' dell'art. 322, primo
comma, cod. pen.). In sostanza, nella prospettiva della Corte
rimettente, il mancato adeguamento del sistema dei delitti contro
l'amministrazione della giustizia rispetto alla figura del consulente
tecnico del pubblico ministero avrebbe determinato non gia' un
deficit di tutela penale, ma, tutt'al contrario, un "eccesso di
protezione". Stante, infatti, la maggiore asprezza della pena
comminata dalla norma censurata rispetto a quella prevista dall'art.
377, primo comma, in riferimento all'art. 373 cod. pen., l'offerta
corruttiva indirizzata all'ausiliario tecnico del pubblico ministero
finirebbe per essere trattata in modo irragionevolmente piu' severo
rispetto all'analoga offerta rivolta al perito nominato dal giudice
penale, ovvero al consulente tecnico del giudice civile, ad esso
equiparato (art. 64, primo comma, cod. proc. civ.). Altrettanto
irragionevole sarebbe, inoltre, lo scarto sanzionatorio riscontrabile
a seconda che la condotta subornatrice miri ad alterare i risultati
di una consulenza "descrittiva" o "valutativa".
4.- Cio' precisato, la questione e' inammissibile.
Il Collegio rimettente fonda, infatti, la motivazione in ordine
alla rilevanza della questione sull'assunto per cui l'indagine
tecnica affidata nel caso di specie al consulente del pubblico
ministero - riferire se l'addestramento del copilota, deceduto
assieme al pilota in un incidente aereo, potesse considerarsi idoneo
- sarebbe «di tipo squisitamente valutativo». Tale circostanza
impedirebbe, alla luce di quanto dianzi evidenziato, di sussumere
l'offerta di denaro per cui si procede nel paradigma dell'intralcio
alla giustizia, con il risultato di rendere operante la censurata
norma incriminatrice dell'istigazione alla corruzione.
L'assunto non puo' essere condiviso.
In effetti, per poter stabilire se l'addestramento di un pilota
di aereo sia «idoneo» occorre anche, e prima di tutto, accertare un
dato oggettivo: e, cioe', quale addestramento l'interessato abbia in
concreto ricevuto. Il che presuppone l'individuazione e la verifica
della concreta effettuazione di un complesso di attivita' di
apprendimento, teoriche e pratiche, riconducibili alla nozione di
«addestramento».
Nella stessa prospettiva delle sezioni unite, dunque, il
consulente tecnico del pubblico ministero si sarebbe bene potuto
rendere responsabile, nel caso di specie - alla luce di quanto
riferito nell'ordinanza di rimessione - dei reati di falsa
testimonianza e di false informazioni al pubblico ministero fornendo
dichiarazioni mendaci sugli aspetti dianzi evidenziati, con
conseguente rilevanza penale della condotta subornatrice sub specie
di intralcio alla giustizia.
5.- Al tempo stesso, e' doveroso, peraltro, evidenziare come la
pronuncia richiesta a questa Corte dal Collegio rimettente non
garantirebbe comunque il ripristino del principio di eguaglianza, che
si deduce violato, ma darebbe anzi luogo ad un assetto non in linea
con le coordinate generali del sistema.
Denunciando la violazione dell'art. 3 Cost., le sezioni unite
chiedono, infatti, nella sostanza, che la subornazione del consulente
del pubblico ministero venga equiparata, quoad poenam, alla
subornazione del perito, sul presupposto che si tratti di «situazioni
del tutto analoghe».
Al riguardo, occorre tuttavia considerare come le false
informazioni al pubblico ministero (art. 371-bis cod. pen.) siano
punite con pena sensibilmente inferiore a quella della falsa
testimonianza (art. 372 cod. pen.): rispettivamente, reclusione fino
a quattro anni (stessa pena prevista dall'art. 371-ter cod. pen. per
le false informazioni al difensore), contro reclusione da due a sei
anni. Lo scarto si ripercuote puntualmente sul regime sanzionatorio
della subornazione, che ricalca quello delle norme incriminatrici
richiamate, con riduzione dalla meta' a due terzi (art. 377, primo
comma, cod. pen.): rispetto alle persone portatrici di "informazioni
non tecniche" il legislatore considera, quindi, notevolmente meno
grave l'offerta di denaro fatta a favore di chi deve rendere
dichiarazioni al pubblico ministero, rispetto all'analoga offerta
effettuata nei confronti di chi deve rendere dichiarazioni al
giudice.
Cio' risponde pienamente alla logica del processo accusatorio:
l'organo dell'accusa e' una parte e gli elementi dallo stesso
raccolti fuori del contraddittorio non assumono, di norma, la
dignita' di prove, diversamente da quanto avviene per le
dichiarazioni rese davanti al giudice, le quali hanno, dunque, un
maggior "valore intrinseco".
La stessa logica imporrebbe, dunque, che la subornazione del
consulente tecnico del pubblico ministero fosse punita con pena non
gia' eguale - come chiedono le sezioni unite - ma anch'essa inferiore
a quella comminata per la subornazione del perito, ausiliario del
giudice. Equiparare le due ipotesi significherebbe, in effetti,
rievocare una impostazione di tipo inquisitorio, alla stregua della
quale il "sapere tecnico" acquisito dall'organo dell'accusa nel corso
dell'attivita' di indagine varrebbe tanto quanto il "sapere tecnico"
acquisito dal giudice in dibattimento.
Si aggiunga che, sviluppando con rigore la linea interpretativa
adottata dalle sezioni unite, si perverrebbe ad un ulteriore
risultato contrastante con i principi di eguaglianza e di
ragionevolezza, non attinto ne' dalle censure, ne' dal petitum.
Nell'ipotesi ordinaria, in cui l'indagine tecnica affidata
all'ausiliario del pubblico ministero postuli tanto il riscontro di
dati oggettivi che l'espressione di valutazioni - ipotesi che, per
quanto detto, appare ricorrere nel caso oggetto del giudizio a quo -
il soggetto che offre o promette denaro o altra utilita' al
consulente per influire sulla sua attivita' dovrebbe rispondere, non
gia' di uno solo, ma di due reati, in concorso formale tra loro: da
un lato, del reato "speciale" di intralcio alla giustizia, in
rapporto ai contenuti "descrittivi" della consulenza; dall'altro, del
reato "generale" di istigazione alla corruzione, in rapporto ai
contenuti valutativi. Neppure tale esito, certamente incongruo,
sarebbe peraltro rimosso dall'accoglimento del petitum, che mira ad
incidere sul solo trattamento sanzionatorio dell'istigazione alla
corruzione, e non sull'ipotetica duplicazione della risposta punitiva
per il medesimo fatto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 322, secondo comma, del codice penale,
sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte
di cassazione, sezioni unite penali, con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
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