Translate

domenica 22 giugno 2014

N. 163 SENTENZA 21 maggio - 10 giugno 2014 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Istigazione alla corruzione - Offerta o promessa di denaro o altra utilita' al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza - Trattamento sanzionatorio. - Codice penale art. 322, secondo comma. - (GU n.26 del 18-6-2014 )



N. 163 SENTENZA 21 maggio - 10 giugno 2014
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Istigazione alla corruzione - Offerta  o  promessa  di
  denaro  o  altra  utilita'  al  consulente  tecnico  del   pubblico
  ministero per il compimento di una falsa consulenza  -  Trattamento
  sanzionatorio. 
- Codice penale art. 322, secondo comma. 
-   
(GU n.26 del 18-6-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   322,
secondo comma, del codice penale, promosso dalla Corte di cassazione,
sezioni unite penali, nel procedimento penale a carico di  G.G.A.  ed
altro con ordinanza del 23 ottobre  2013,  iscritta  al  n.  283  del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  9  aprile  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 23 ottobre 2013, le sezioni unite
penali della Corte di  cassazione  hanno  sollevato,  in  riferimento
all'art.   3   della   Costituzione,   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art.  322,  secondo  comma,  del  codice  penale,
«nella parte in cui per l'offerta o la promessa  di  denaro  o  altra
utilita'  al  consulente  tecnico  del  pubblico  ministero  per   il
compimento di una falsa  consulenza  prevede  una  pena  superiore  a
quella di cui all'art. 377, comma  primo,  cod.  pen.,  in  relazione
all'art. 373 cod. pen.». 
    1.1.- La Corte rimettente riferisce che la  vicenda  oggetto  del
giudizio a quo trae origine da un incidente verificatosi il 1° giugno
2003 nello spazio sovrastante l'aeroporto di Milano Linate, che aveva
causato la caduta di un aeromobile  e  la  morte  del  pilota  e  del
copilota. 
    Nell'ambito delle conseguenti indagini preliminari,  il  pubblico
ministero aveva nominato,  ai  sensi  dell'art.  359  del  codice  di
procedura  penale,  un  consulente  tecnico,  il  quale   era   stato
avvicinato da  un  suo  conoscente,  che  gli  aveva  prospettato  la
possibilita' di ottenere una rilevante somma  di  denaro  ove  avesse
redatto un elaborato favorevole alla compagnia aerea cui  apparteneva
l'aeromobile precipitato. 
    Il  consulente  tecnico  aveva  finto  di  accettare   l'offerta,
avvertendo immediatamente del fatto il pubblico ministero.  All'esito
dei controlli predisposti sulla trattativa corruttiva,  simulatamente
proseguita, erano emerse responsabilita' in capo a  quattro  soggetti
(il conoscente dal quale il consulente tecnico era stato  avvicinato,
due soci della compagnia aerea e il loro legale), i quali erano stati
quindi sottoposti a procedimento penale. 
    I giudici pronunciatisi nel corso di tale procedimento - dapprima
nei vari gradi del procedimento incidentale  de  libertate  originato
dalla richiesta di misura cautelare del pubblico ministero e poi  nel
processo principale sul  merito  dell'accusa  -  avevano  ricondotto,
peraltro, a paradigmi punitivi volta  a  volta  diversi  la  condotta
contestata agli  imputati  (offerta  di  denaro,  non  accettata,  al
consulente tecnico del pubblico ministero per influire sui  risultati
della consulenza). 
    Da ultimo, la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 2  maggio
2012,  aveva  condannato  due  degli  imputati,  giudicati  con  rito
abbreviato, alla pena di un anno di reclusione, ravvisando nel  fatto
loro ascritto il delitto  di  istigazione  alla  corruzione,  di  cui
all'art. 322 cod. pen., in  conformita'  all'unico  precedente  della
giurisprudenza  di  legittimita'  sullo  specifico  tema  (Corte   di
Cassazione, sezione sesta penale, 7 gennaio 1999-30  marzo  1999,  n.
4062). 
    Investita  del  ricorso  proposto  dagli   imputati   contro   la
decisione, la sesta sezione della Corte di cassazione aveva  ritenuto
di dover  dissentire  da  tale  soluzione,  anche  perche'  idonea  a
determinare conseguenze contrastanti con gli artt. 3 e 25 Cost., e di
dover scorgere, invece, nella fattispecie  il  delitto  di  intralcio
alla giustizia, di cui all'art. 377, primo comma, cod. pen.,  secondo
quanto gia' deciso dal giudice di primo grado. Nella  prospettiva  di
evitare un potenziale contrasto  di  giurisprudenza,  aveva  peraltro
rimesso la questione alle sezioni unite. 
    1.2.- Al riguardo, le sezioni unite escludono anzitutto che nella
fattispecie in esame possa ravvisarsi una  ipotesi  di  tentativo  di
corruzione in atti giudiziari (artt. 56 e 319-ter  cod.  pen.),  come
ritenuto dalla stessa sesta sezione in sede di valutazione  cautelare
della posizione di uno degli imputati.  In  mancanza  di  un  accordo
corruttivo,  infatti,  l'istigazione  non  accolta  alla   corruzione
potrebbe essere ricondotta solo alla  previsione  punitiva  dell'art.
322 cod. pen. (la quale, pur  riferendosi  formalmente  alle  ipotesi
corruttive di cui agli artt. 318 e 319 cod.  pen.,  si  attaglierebbe
anche  a  quella  di  cui  all'art.  319-ter  cod.  pen.,  posto  che
quest'ultimo richiama «i fatti indicati negli articoli 318 e 319 cod.
pen.»), ovvero - quando si tratti  di  proposta  rivolta  a  soggetti
destinati ad assumere una veste processuale - alle  figure  criminose
delineate dagli artt. 377 o 377-bis cod. pen. 
    Il  fatto  per  cui  si  procede  non  potrebbe  essere   neppure
qualificato,  contrariamente  a  quanto  sostenuto   dagli   imputati
ricorrenti, come istigazione non accolta a commettere una  consulenza
infedele (art. 380 cod. pen.), con conseguente sua irrilevanza penale
(art. 115 cod. pen.). L'attivita' svolta dal consulente  tecnico  del
pubblico  ministero  non  potrebbe  essere,  infatti,  definita  come
attivita' di parte - alla quale soltanto si riferisce il citato  art.
380 cod. pen. - discutendosi di soggetto che  esercita  una  funzione
pubblica e che contribuisce non gia' a tutelare gli interessi di  una
parte processuale, «ma ad accertare la verita'». 
    1.3.- Il problema ermeneutico si concentrerebbe, di  conseguenza,
sull'applicabilita' di  una  delle  due  ipotesi  delittuose,  dianzi
indicate, dell'istigazione  alla  corruzione  o  dell'intralcio  alla
giustizia. 
    Quanto  a  quest'ultima,  l'art.  377  cod.   pen.,   nel   testo
attualmente in vigore, frutto di una serie di modifiche  legislative,
stabilisce, al primo comma, che «Chiunque offre o promette  denaro  o
altra utilita' alla persona chiamata a rendere dichiarazioni  davanti
all'autorita' giudiziaria o alla Corte penale  internazionale  ovvero
alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore  nel
corso  dell'attivita'  investigativa,  o  alla  persona  chiamata   a
svolgere attivita' di perito, consulente tecnico  o  interprete,  per
indurla  a  commettere  i  reati  previsti  dagli  articoli  371-bis,
371-ter, 372 e 373, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia
accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla
meta' ai due terzi». 
    Per  quel  che  concerne,  in  particolare,  il  riferimento   al
«consulente  tecnico»  -  introdotto  nel  testo  della   norma   dal
decreto-legge 8 giugno 1992,  n.  306  (Modifiche  urgenti  al  nuovo
codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di  contrasto   alla
criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla  legge  7
agosto 1992, n. 356 - le sezioni unite osservano come, nel  caso  del
consulente tecnico del pubblico ministero, l'offerta o la promessa di
denaro o di altra  utilita'  non  potrebbe  essere  finalizzata  alla
commissione del delitto di falsa perizia, di cui al  richiamato  art.
373 cod. pen., in quanto l'ausiliario tecnico dell'accusa non  e'  un
perito (nominato invece dal giudice). Pur essendo verosimile  che  la
discrasia dipenda  da  un  difetto  di  coordinamento,  non  sarebbe,
d'altra parte, possibile estendere in via interpretativa il  concetto
di «perizia» alla «consulenza tecnica» senza violare il principio  di
tassativita' del precetto penale. 
    Conformemente a quanto ritenuto dalla sesta sezione nel rimettere
la questione alle  sezioni  unite,  la  subornazione  del  consulente
tecnico  del  pubblico  ministero  potrebbe,  nondimeno,   egualmente
configurare  il  reato  di  intralcio  alla  giustizia,   in   quanto
finalizzata alla commissione dei delitti  di  false  informazioni  al
pubblico ministero (art. 371-bis) e di falsa testimonianza (art.  372
cod. pen.). 
    La parificazione del consulente tecnico al testimone  troverebbe,
in effetti, un solido appiglio ermeneutico nell'art. 501  cod.  proc.
pen., che estende al consulente tecnico  le  disposizioni  sull'esame
dibattimentale dei testimoni. Pur non essendo un testimone  in  senso
proprio - in quanto  non  chiamato  a  riferire  su  «fatti»,  ma  ad
esprimere valutazioni su materie che richiedono specifiche competenze
- il consulente tecnico ben potrebbe, d'altra  parte,  «affermare  il
falso o negare il vero», conformemente alla previsione dell'art.  372
cod. pen., o «rendere dichiarazioni false», secondo quella  dell'art.
371-bis cod. pen., ad esempio tacendo o alterando  determinati  esiti
obiettivi degli accertamenti espletati, ferma  restando  l'esclusione
di «ogni sindacato sugli  aspetti  meramente  valutativi  relativi  a
detti accertamenti». 
    La  conseguente  configurabilita',  sotto  questo  profilo,   del
delitto di intralcio alla giustizia,  risulterebbe  confermata  anche
dalla lettera della norma incriminatrice, posto che il riferimento al
«consulente  tecnico»,  contenuto  nell'art.  377   cod.   pen.,   si
presterebbe senz'altro a  ricomprendere  anche  l'ausiliario  tecnico
dell'organo dell'accusa. Non potrebbe essere, infatti,  condivisa  la
tesi, espressa in dottrina, secondo  la  quale  la  predetta  formula
riguarderebbe il  solo  consulente  tecnico  d'ufficio  nominato  dal
giudice civile: tesi  che  renderebbe  superfluo  il  riferimento  in
questione, posto che l'estensione al consulente tecnico  nominato  in
sede civile delle disposizioni penali  relative  ai  periti  discende
gia' dall'espressa previsione dell'art. 64, primo comma,  del  codice
di procedura civile. 
    La configurabilita' del delitto di intralcio alla  giustizia  non
sarebbe, per altro verso, preclusa dalla circostanza  che,  nel  caso
oggetto di giudizio, il consulente tecnico del pubblico ministero non
era stato ancora citato come testimone o come persona  informata  sui
fatti al momento dell'offerta di denaro. 
    E'   ben   vero   che,   secondo   l'indirizzo   prevalente    in
giurisprudenza, perche' possa configurarsi il delitto di cui all'art.
377  cod.  pen.  e'  necessario  che  i  destinatari  della  condotta
subornatrice abbiano gia' formalmente assunto, nel momento in cui  la
condotta  stessa  e'  posta  in  essere,  le  qualifiche  processuali
indicate  dalla  norma:  il  che  si  verificherebbe,  nel  caso  del
testimone, solo allorche' il giudice abbia autorizzato  la  citazione
del soggetto in tale veste, ai sensi dell'art.  468,  comma  2,  cod.
proc. pen. 
    Ad avviso delle sezioni unite, tuttavia,  le  peculiarita'  della
figura  del  consulente  tecnico  del  pubblico  ministero  farebbero
propendere per una diversa soluzione. 
    A differenza dei consulenti tecnici nominati dalle parti private,
chiamati a svolgere un ruolo di ausilio alla difesa - donde  la  loro
equiparazione al  difensore,  quanto  a  funzioni  e  garanzie  -  il
consulente  tecnico  del  pubblico  ministero  ripeterebbe,  infatti,
«dalla  funzione  pubblica  dell'organo  che  coadiuva   i   relativi
connotati». Nel compimento delle  sue  attivita',  egli  assumerebbe,
dunque, la  qualifica  di  pubblico  ufficiale  o  di  incaricato  di
pubblico servizio; avrebbe, in  quanto  tale,  «il  dovere  [...]  di
obiettivita' e imparzialita'»; non potrebbe, altresi',  esimersi  dal
dire la  verita'.  Si  dovrebbe,  di  conseguenza,  ritenere  che  il
consulente tecnico, con la nomina ad opera  del  pubblico  ministero,
rivesta gia' «una precisa veste processuale, potenzialmente destinata
a refluire sull'assunzione della  qualita'  "testimoniale"  ex  artt.
371-bis o 372 cod. pen.»: qualita' che, dunque, anche se  non  ancora
formalmente assunta, sarebbe  «immanente»  alla  figura,  «in  quanto
prevedibile  e  necessario  sviluppo   processuale   della   funzione
assegnata». 
    1.4.- In concreto, tuttavia, alla configurabilita' del delitto di
intralcio alla giustizia osterebbe la natura  dell'indagine  affidata
nel caso di specie al consulente. 
    Il consulente tecnico del pubblico  ministero  sarebbe,  infatti,
equiparabile al testimone solo in  rapporto  alle  dichiarazioni  che
investano gli esiti  obiettivi  degli  accertamenti  espletati;  non,
invece, in relazione alle valutazioni tecnico-scientifiche, le quali,
in  quanto  espressive   di   personali   opinioni,   non   sarebbero
qualificabili in termini di  verita'  o  di  falsita':  sicche',  con
riguardo ad esse, il consulente non potrebbe rispondere del reato  di
falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero. 
    Nella specie, al consulente sarebbe stata affidata  una  indagine
«di tipo  squisitamente  valutativo»,  essendogli  stato  chiesto  di
riferire se l'addestramento del copilota, deceduto insieme al  pilota
nell'incidente aereo, potesse considerarsi idoneo. 
    Esclusa, di conseguenza, la possibilita' di ricondurre  il  fatto
al paradigma  dell'intralcio  alla  giustizia,  l'unica  disposizione
applicabile nel caso in esame sarebbe quella dell'art.  322,  secondo
comma, cod. pen., che punisce l'offerta o la  promessa  di  denaro  o
altra utilita' non dovuti per indurre  un  pubblico  ufficiale  o  un
incaricato di pubblico servizio a compiere un atto contrario ai  suoi
doveri. Tra  il  reato  di  intralcio  alla  giustizia  e  quello  di
istigazione alla corruzione propria intercorrerebbe  un  rapporto  di
species  ad  genus:  la  prima  figura  criminosa  sarebbe,  infatti,
speciale rispetto alla seconda, in ragione della specificita' sia del
soggetto destinatario dell'offerta o della  promessa,  che  dell'atto
contrario ai doveri di ufficio cui essa e'  preordinata.  Mancando  i
presupposti di operativita'  della  previsione  punitiva  speciale  -
altrimenti applicabile in via esclusiva - diverrebbe quindi  operante
la norma generale. 
    1.5.-  La  conclusione  raggiunta  farebbe  emergere,   tuttavia,
«innegabili profili di incostituzionalita'». 
    Alla luce di essa, l'offerta o la promessa di denaro o  di  altra
utilita'  al  consulente  tecnico  del  pubblico  ministero  per   il
compimento  di  una  falsa  consulenza   risulterebbe   punita   piu'
gravemente dell'analoga offerta o promessa rivolta ad un perito,  che
rientra pacificamente, per il principio di  specialita',  nell'ambito
applicativo  dell'art.  377,  primo  comma,  cod.  pen.  Nella  prima
ipotesi, infatti, in base alla disposizione combinata degli artt. 319
e 322 cod. pen. - nella formulazione  vigente  all'epoca  del  fatto,
antecedente alla riforma operata dalla legge 6 novembre 2012, n.  190
(Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione  e
dell'illegalita' nella pubblica amministrazione) - sarebbe irrogabile
la reclusione da un anno e quattro mesi a tre anni  e  quattro  mesi;
nella seconda, invece, per la disposizione combinata degli artt. 372,
373 e 377 cod. pen., la reclusione da otto mesi a tre anni. 
    Inoltre, la  medesima  offerta  corruttiva  fatta  al  consulente
tecnico del pubblico ministero nell'ambito di un procedimento  penale
sarebbe  punita  piu'  gravemente  dell'analoga  offerta  rivolta  al
consulente tecnico del giudice  civile,  parimenti  inquadrabile  nel
paradigma dell'intralcio alla giustizia. 
    Irragionevole  sarebbe  anche  la   sperequazione   sanzionatoria
riscontrabile a  seconda  che  il  consulente  tecnico  del  pubblico
ministero, destinatario  dell'offerta  corruttiva,  sia  chiamato  ad
esprimere   valutazioni   tecnico-scientifiche    (con    conseguente
configurabilita' dell'istigazione alla corruzione) o semplicemente  a
descrivere i fatti accertati (donde la configurabilita'  del  delitto
di intralcio alla giustizia, meno gravemente punito). 
    Si  tratterebbe,  sotto  ognuno  degli  evidenziati  profili,  di
conseguenze lesive del principio di eguaglianza, posto che situazioni
del tutto analoghe verrebbero disciplinate in termini differenti  sul
piano della risposta punitiva. In aggiunta  a  cio',  vi  sarebbe  il
«paradosso» per cui solo la particolare e neppure giu' grave forma di
intralcio alla  giustizia  oggetto  del  giudizio  a  quo  rimarrebbe
estranea alla specifica partizione  del  codice  penale  dedicata  ai
delitti   contro   l'amministrazione   della   giustizia,   rimanendo
«confinata» tra i delitti contro la pubblica amministrazione. 
    Sulla base di tali considerazioni, le  sezioni  unite  ritengono,
quindi, che l'art. 322, secondo  comma,  cod.  pen.  violi  l'art.  3
Cost., nella parte in cui assoggetta la subornazione  del  consulente
tecnico del  pubblico  ministero  ad  una  pena  superiore  a  quella
prevista dall'art. 377, primo comma, in relazione all'art.  373  cod.
pen., per la subornazione del perito. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. 
    Ad avviso della difesa dello Stato, la sistematica del  codice  e
il tenore  letterale  delle  due  disposizioni  legittimerebbero  una
diversa  interpretazione,   che,   privilegiando   gli   aspetti   di
specialita' dell'art. 377 rispetto  all'art.  322  cod.  pen.,  renda
applicabile la prima norma nei soli casi in cui il consulente tecnico
del pubblico ministero abbia  gia'  acquisito  la  veste  formale  di
testimone, ovvero di assunzione della prova tecnica con le  modalita'
della perizia ai sensi dell'art. 392 cod. proc. pen. L'art. 322  cod.
pen. sarebbe destinato, per converso, ad incriminare l'offerta  o  la
promessa di denaro o di altra utilita' al consulente nella fase delle
indagini preliminari, che precede l'esercizio dell'azione  penale  e,
quindi, l'instaurazione del processo. 
    La delineata diversita' di ambito operativo,  a  prescindere  dal
fatto che il  consulente  sia  chiamato  anche  a  riferire  fatti  o
soltanto   ad   esprimere   giudizi,   consentirebbe   di   escludere
l'assimilabilita' delle situazioni considerate  e,  conseguentemente,
l'irragionevolezza del loro diverso trattamento sanzionatorio. 
    La maggiore gravita' della sanzione  per  i  fatti  commessi  nel
corso  delle  indagini  preliminari  si   giustificherebbe   con   la
considerazione   che,   per   effetto   delle   falsita'    contenute
nell'elaborato del consulente tecnico, il pubblico ministero potrebbe
essere indotto a  ritenere  l'accusa  non  utilmente  sostenibile  in
giudizio e, quindi,  a  formulare  una  richiesta  di  archiviazione,
rispetto alla quale il giudice avrebbe scarse possibilita' di  vaglio
critico, stante la marginalita' del contraddittorio tra le parti alla
luce delle limitazioni previste dall'art. 410 cod. proc. pen. Analoga
pericolosita'  non  avrebbero  i  fatti  commessi  dopo   l'esercizio
dell'azione penale, giacche' il contraddittorio tra  le  parti  sugli
elementi  di  prova  consentirebbe  al  giudice  di  apprezzare  piu'
agevolmente l'incidenza dell'offerta o della  promessa  illecita  sui
risultati della consulenza. 
    Considerazioni  similari  varrebbero  anche  in   rapporto   alla
denunciata disparita' di trattamento rispetto alla  subornazione  del
consulente tecnico nominato dal giudice civile,  stante  la  facolta'
delle parti del processo civile di nominare  propri  consulenti,  che
possono validamente sostenere un contraddittorio  con  il  consulente
del giudice. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le sezioni unite penali della Corte  di  cassazione  dubitano
della legittimita' costituzionale dell'art. 322, secondo  comma,  del
codice penale, «nella parte in cui per l'offerta  o  la  promessa  di
denaro o altra utilita' al consulente tecnico del pubblico  ministero
per il compimento di una falsa consulenza prevede una pena  superiore
a quella di cui all'art. 377, comma primo, cod.  pen.,  in  relazione
all'art. 373 cod. pen.». 
    La  questione  trova  la  sua   premessa   ermeneutica   fondante
nell'assunto per cui  la  subornazione  del  consulente  tecnico  del
pubblico ministero - il quale sia stato incaricato, come nel caso  di
specie, esclusivamente di esprimere valutazioni  tecnico-scientifiche
e non gia' di accertare dati oggettivi -  non  potendo  integrare  il
delitto di intralcio alla  giustizia,  di  cui  all'art.  377,  primo
comma, in riferimento agli artt. 371-bis e 372 cod. pen.,  ricadrebbe
nell'ambito  applicativo  della  piu'   generale   figura   criminosa
dell'istigazione alla corruzione  propria,  delineata  dal  censurato
art. 322, primo comma, cod. pen. 
    Discenderebbe  da  cio'   la   violazione   dell'art.   3   della
Costituzione,  per  irragionevole  disparita'   di   trattamento   di
situazioni analoghe, sotto un triplice profilo. 
    In primo luogo, l'offerta o la promessa  di  denaro  o  di  altra
utilita' al consulente tecnico del pubblico  ministero  per  influire
sui risultati della consulenza risulterebbe  punita  piu'  gravemente
dell'analoga offerta o promessa rivolta al perito  -  ausiliario  del
giudice -  la  quale  rientra  pacificamente,  per  il  principio  di
specialita', nella sfera applicativa dell'art. 377, primo  comma,  in
riferimento all'art. 373 cod. pen. Nella prima ipotesi,  infatti,  in
base alla disposizione combinata degli artt. 319 e 322  cod.  pen.  -
nella formulazione vigente all'epoca del fatto oggetto del giudizio a
quo, antecedente alla riforma operata dalla legge 6 novembre 2012, n.
190  (Disposizioni  per  la  prevenzione  e  la   repressione   della
corruzione  e  dell'illegalita'  nella  pubblica  amministrazione)  -
sarebbe irrogabile la reclusione da un anno e quattro mesi a tre anni
e quattro mesi; nella seconda, invece, per la disposizione  combinata
degli artt. 372, 373 e 377 cod. pen., la reclusione da  otto  mesi  a
tre anni. 
    In  secondo  luogo,  poi,  la  proposta  corruttiva  rivolta   al
consulente  tecnico  del  pubblico  ministero   nell'ambito   di   un
procedimento penale risulterebbe sanzionata  in  modo  piu'  energico
rispetto all'analoga  proposta  diretta  al  consulente  tecnico  del
giudice civile, la quale integra anch'essa il reato di intralcio alla
giustizia, a fronte dell'espressa  estensione  al  predetto  soggetto
processuale delle norme del codice penale relative  ai  periti  (art.
64, primo comma, del codice di procedura civile). 
    In terzo luogo, e da ultimo, l'offerta corruttiva indirizzata  al
consulente  tecnico  del  pubblico  ministero  sarebbe  a  sua  volta
soggetta   ad   un   trattamento   sanzionatorio    irragionevolmente
differenziato a seconda che  il  suo  destinatario  sia  chiamato  ad
esprimere valutazioni tecnico-scientifiche (ipotesi inquadrabile  nel
piu' grave  paradigma  punitivo  dell'istigazione  alla  corruzione),
ovvero semplicemente a  descrivere  i  fatti  accertati  (fattispecie
integrativa del delitto di intralcio alla giustizia, meno  gravemente
punito). 
    Le sezioni unite denunciano, altresi', il «paradosso» sistematico
per cui solo la particolare e neppure giu' grave forma  di  intralcio
alla giustizia di cui si discute rimarrebbe estranea  alla  specifica
partizione   del   codice   penale   dedicata   ai   delitti   contro
l'amministrazione  della  giustizia,  rimanendo  «confinata»  tra   i
delitti contro la pubblica amministrazione. 
    2.- Il problema sottoposto all'esame di questa Corte trae origine
dal difetto di coordinamento tra le norme incriminatrici relative  ai
delitti  contro  l'amministrazione  della  giustizia,  contenute  nel
codice penale del 1930, e il nuovo assetto processuale introdotto dal
codice di procedura penale del 1988. 
    Le disposizioni  del  codice  penale,  in  linea  con  l'impianto
inquisitorio delineato dal codice di rito  abrogato,  presupponevano,
infatti, una sostanziale  equiparazione  tra  le  prove  raccolte  in
contraddittorio  e  i  risultati  delle  indagini   dell'accusa.   Il
passaggio ad un sistema di tipo  accusatorio  operato  con  il  nuovo
codice,  in  assenza  di  opportuni  interventi  di  adeguamento,  ha
inevitabilmente messo in crisi il sistema, generando vuoti di tutela. 
    Risultava evidente, ad esempio, l'impossibilita' di applicare  la
norma incriminatrice della falsa testimonianza (art. 372  cod.  pen.)
anche alle «persone informate sui fatti» che rendessero dichiarazioni
mendaci  al   pubblico   ministero,   non   essendo   queste   ultime
qualificabili - diversamente che in passato - come «testimoni».  Solo
l'introduzione, nel  1992,  del  delitto  di  false  informazioni  al
pubblico ministero (art. 371-bis cod. pen.,  aggiunto  dall'art.  11,
comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, recante  «Modifiche
urgenti al nuovo  codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di
contrasto alla criminalita' mafiosa», convertito, con  modificazioni,
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) e' valso a colmare la  lacuna.  Un
ulteriore intervento novellistico e' stato, altresi', necessario  per
evitare che rimanessero esenti da  pena  le  false  dichiarazioni  al
difensore nel corso delle indagini difensive (art. 371-ter cod. pen.,
aggiunto dall'art. 20 della legge 7 dicembre 2000,  n.  397,  recante
«Disposizioni in materia di indagini difensive»). 
    All'opera di riallineamento dei delitti contro  l'amministrazione
della giustizia al mutato panorama processuale e' rimasta,  peraltro,
estranea la figura  del  consulente  tecnico  nominato  dal  pubblico
ministero ai sensi dell'art. 359 del codice di procedura penale. 
    Come rilevato dalle sezioni unite nell'ordinanza  di  rimessione,
la falsa consulenza redatta dall'ausiliario  dell'organo  dell'accusa
non integra il delitto di falsa perizia (art. 373 cod. pen.), per  la
dirimente  ragione  che   detto   soggetto   non   e'   equiparabile,
nell'attuale sistema processuale,  al  perito  nominato  dal  giudice
(come invece lo era il perito nominato  dal  pubblico  ministero  nel
corso dell'istruzione  sommaria,  ai  sensi  dell'art.  391,  secondo
comma, cod. proc. pen.  del  1930).  In  questo  caso,  tuttavia,  il
legislatore non  si  e'  premurato  di  introdurre  una  nuova  norma
incriminatrice ad hoc che colmasse la lacuna. 
    La rilevata discrasia si riflette anche sul trattamento riservato
alle condotte subornatrici.  Sotto  la  rubrica  di  «intralcio  alla
giustizia» - che, per effetto dell'art. 14 della legge 16 marzo 2006,
n. 146 (Ratifica ed esecuzione della  Convenzione  e  dei  Protocolli
delle Nazioni Unite contro  il  crimine  organizzato  transnazionale,
adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 e il  31  maggio
2001), sostituisce quella originaria di «subornazione» -  l'art.  377
cod. pen. configura, al  primo  comma,  come  reato  l'offerta  o  la
promessa di denaro o di altra utilita', non accettata, per commettere
taluni delitti contro l'amministrazione della  giustizia:  derogando,
con cio', al generale principio per cui l'istigazione non  accolta  a
commettere  un  reato  non  e'  punibile  (art.   115   cod.   pen.).
Nell'attuale versione della norma (frutto di una serie di  interventi
di  adeguamento),  si  tratta,  in  specie,  dei  delitti  di   false
informazioni al pubblico ministero, false dichiarazioni al difensore,
falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione (artt.  371-bis,
371-ter, 372 e 373 cod. pen.). 
    Tra  i  possibili  destinatari  dell'offerta  o  della   promessa
penalmente repressa figura, in verita'  -  grazie  all'interpolazione
operata dall'art. 11 del d.l. n. 306 del  1992  -  anche  la  persona
chiamata a svolgere attivita' di «consulente tecnico»:  formula  che,
nella sua genericita', si presterebbe a ricomprendere  il  consulente
tecnico  del  pubblico  ministero.  La   rilevata   circostanza   che
quest'ultimo non possa rendersi responsabile del delitto  di  cui  al
richiamato art. 373 cod. pen. impedisce, tuttavia,  di  ritenere  che
l'offerta o la promessa a lui indirizzata, allo  scopo  di  orientare
gli esiti della consulenza, configuri il delitto  di  intralcio  alla
giustizia in quanto finalizzata alla commissione del reato  di  falsa
perizia. 
    3.- Si  e'  posto,  quindi,  il  problema  di  verificare  se  la
subornazione  del  consulente  tecnico  del  pubblico  ministero  sia
punibile a diverso titolo. 
    All'interrogativo  le  sezioni  unite   offrono   una   soluzione
innovativa rispetto al panorama ermeneutico pregresso,  che  coniuga,
nella sostanza, due delle tesi in precedenza prospettate. 
    Secondo la  Corte  rimettente,  la  subornazione  del  consulente
tecnico  del  pubblico  ministero  sarebbe,  in  realta',  idonea  ad
integrare il delitto di intralcio alla giustizia. Gioverebbe,  a  tal
fine, non gia' il richiamo, contenuto  nell'art.  377,  primo  comma,
cod. pen., alla falsa perizia - che si e' visto non utile - ma quello
alla falsa  testimonianza  e  alle  false  informazioni  al  pubblico
ministero (artt. 372 e 371-bis cod. pen.). 
    Il consulente e' sentito, infatti, in dibattimento sul  contenuto
della consulenza nelle forme dell'esame testimoniale (art.  501  cod.
proc.  pen.);  prima  ancora,  puo'   essere   chiamato   a   rendere
dichiarazioni  al  pubblico   ministero   che   l'ha   nominato.   Di
conseguenza, l'offerta o la promessa di denaro o  di  altra  utilita'
per influire sui risultati  della  consulenza  sarebbe  destinata  ad
incidere anche sulle dichiarazioni rese dal consulente come  teste  o
come persona informata sui fatti. 
    Tali qualita' sarebbero, d'altro canto, «immanenti»  alla  figura
dell'ausiliario  tecnico  dell'organo  dell'accusa,  costituendo   un
«prevedibile e necessario sviluppo processuale»  delle  funzioni  che
gli sono assegnate. Non occorrerebbe,  pertanto  -  diversamente  che
negli  altri  casi  -  che  il  consulente  sia  gia'  stato   citato
formalmente come testimone o come  persona  informata  sui  fatti  al
momento dell'offerta o della promessa. 
    Il consulente - sempre secondo  la  ricostruzione  operata  dalle
sezioni unite - potrebbe rendersi, tuttavia, responsabile del delitto
di falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico  ministero
solo allorche' riferisca su dati oggettivi: non quando sia chiamato a
formulare valutazioni tecnico-scientifiche, ossia giudizi, i quali  -
in quanto espressivi di opinioni personali -  non  potrebbero  essere
qualificati in termini di verita' o di falsita'. 
    In siffatta evenienza, l'unico reato configurabile,  nell'ipotesi
di subornazione del consulente, sarebbe quello  di  istigazione  alla
corruzione propria, di cui al censurato art. 322, primo  comma,  cod.
pen.: figura criminosa rispetto alla quale il  delitto  di  intralcio
alla giustizia si porrebbe in rapporto di specialita'. Il  consulente
tecnico    del    pubblico    ministero     assumerebbe,     infatti,
nell'espletamento dei suoi compiti, la qualita' di pubblico ufficiale
o  di  incaricato  di  pubblico  servizio,  richiesta   dalla   norma
denunciata, la quale dovrebbe ritenersi, d'altra  parte,  applicabile
anche in rapporto alla corruzione in atti  giudiziari  (art.  319-ter
cod. pen.). 
    Emergerebbero,  peraltro,  in   questo   modo,   i   profili   di
illegittimita' costituzionale denunciati (profili  in  considerazione
dei quali la sesta sezione della Corte di cassazione,  nel  rimettere
la questione alle sezioni unite, aveva  ritenuto,  per  converso,  di
dover scartare l'ipotesi  dell'applicabilita'  dell'art.  322,  primo
comma,  cod.  pen.).  In  sostanza,  nella  prospettiva  della  Corte
rimettente, il mancato adeguamento del  sistema  dei  delitti  contro
l'amministrazione della giustizia rispetto alla figura del consulente
tecnico del  pubblico  ministero  avrebbe  determinato  non  gia'  un
deficit di tutela penale,  ma,  tutt'al  contrario,  un  "eccesso  di
protezione".  Stante,  infatti,  la  maggiore  asprezza  della   pena
comminata dalla norma censurata rispetto a quella prevista  dall'art.
377, primo comma, in riferimento all'art. 373  cod.  pen.,  l'offerta
corruttiva indirizzata all'ausiliario tecnico del pubblico  ministero
finirebbe per essere trattata in modo irragionevolmente  piu'  severo
rispetto all'analoga offerta rivolta al perito nominato  dal  giudice
penale, ovvero al consulente tecnico  del  giudice  civile,  ad  esso
equiparato (art. 64,  primo  comma,  cod.  proc.  civ.).  Altrettanto
irragionevole sarebbe, inoltre, lo scarto sanzionatorio riscontrabile
a seconda che la condotta subornatrice miri ad alterare  i  risultati
di una consulenza "descrittiva" o "valutativa". 
    4.- Cio' precisato, la questione e' inammissibile. 
    Il Collegio rimettente fonda, infatti, la motivazione  in  ordine
alla  rilevanza  della  questione  sull'assunto  per  cui  l'indagine
tecnica affidata nel  caso  di  specie  al  consulente  del  pubblico
ministero  -  riferire  se  l'addestramento  del  copilota,  deceduto
assieme al pilota in un incidente aereo, potesse considerarsi  idoneo
-  sarebbe  «di  tipo  squisitamente  valutativo».  Tale  circostanza
impedirebbe, alla luce di quanto  dianzi  evidenziato,  di  sussumere
l'offerta di denaro per cui si procede nel  paradigma  dell'intralcio
alla giustizia, con il risultato di  rendere  operante  la  censurata
norma incriminatrice dell'istigazione alla corruzione. 
    L'assunto non puo' essere condiviso. 
    In effetti, per poter stabilire se l'addestramento di  un  pilota
di aereo sia «idoneo» occorre anche, e prima di tutto,  accertare  un
dato oggettivo: e, cioe', quale addestramento l'interessato abbia  in
concreto ricevuto. Il che presuppone l'individuazione e  la  verifica
della  concreta  effettuazione  di  un  complesso  di  attivita'   di
apprendimento, teoriche e pratiche,  riconducibili  alla  nozione  di
«addestramento». 
    Nella  stessa  prospettiva  delle  sezioni  unite,   dunque,   il
consulente tecnico del pubblico  ministero  si  sarebbe  bene  potuto
rendere responsabile, nel caso  di  specie  -  alla  luce  di  quanto
riferito  nell'ordinanza  di  rimessione  -  dei   reati   di   falsa
testimonianza e di false informazioni al pubblico ministero  fornendo
dichiarazioni  mendaci  sugli   aspetti   dianzi   evidenziati,   con
conseguente rilevanza penale della condotta subornatrice  sub  specie
di intralcio alla giustizia. 
    5.- Al tempo stesso, e' doveroso, peraltro, evidenziare  come  la
pronuncia richiesta  a  questa  Corte  dal  Collegio  rimettente  non
garantirebbe comunque il ripristino del principio di eguaglianza, che
si deduce violato, ma darebbe anzi luogo ad un assetto non  in  linea
con le coordinate generali del sistema. 
    Denunciando la violazione dell'art. 3  Cost.,  le  sezioni  unite
chiedono, infatti, nella sostanza, che la subornazione del consulente
del  pubblico  ministero  venga  equiparata,   quoad   poenam,   alla
subornazione del perito, sul presupposto che si tratti di «situazioni
del tutto analoghe». 
    Al  riguardo,  occorre  tuttavia  considerare   come   le   false
informazioni al pubblico ministero (art.  371-bis  cod.  pen.)  siano
punite  con  pena  sensibilmente  inferiore  a  quella  della   falsa
testimonianza (art. 372 cod. pen.): rispettivamente, reclusione  fino
a quattro anni (stessa pena prevista dall'art. 371-ter cod. pen.  per
le false informazioni al difensore), contro reclusione da due  a  sei
anni. Lo scarto si ripercuote puntualmente sul  regime  sanzionatorio
della subornazione, che ricalca  quello  delle  norme  incriminatrici
richiamate, con riduzione dalla meta' a due terzi  (art.  377,  primo
comma, cod. pen.): rispetto alle persone portatrici di  "informazioni
non tecniche" il legislatore  considera,  quindi,  notevolmente  meno
grave l'offerta  di  denaro  fatta  a  favore  di  chi  deve  rendere
dichiarazioni al pubblico  ministero,  rispetto  all'analoga  offerta
effettuata  nei  confronti  di  chi  deve  rendere  dichiarazioni  al
giudice. 
    Cio' risponde pienamente alla logica  del  processo  accusatorio:
l'organo dell'accusa  e'  una  parte  e  gli  elementi  dallo  stesso
raccolti  fuori  del  contraddittorio  non  assumono,  di  norma,  la
dignita'  di  prove,  diversamente   da   quanto   avviene   per   le
dichiarazioni rese davanti al giudice, le  quali  hanno,  dunque,  un
maggior "valore intrinseco". 
    La stessa logica imporrebbe,  dunque,  che  la  subornazione  del
consulente tecnico del pubblico ministero fosse punita con  pena  non
gia' eguale - come chiedono le sezioni unite - ma anch'essa inferiore
a quella comminata per la subornazione  del  perito,  ausiliario  del
giudice. Equiparare  le  due  ipotesi  significherebbe,  in  effetti,
rievocare una impostazione di tipo inquisitorio, alla  stregua  della
quale il "sapere tecnico" acquisito dall'organo dell'accusa nel corso
dell'attivita' di indagine varrebbe tanto quanto il "sapere  tecnico"
acquisito dal giudice in dibattimento. 
    Si aggiunga che, sviluppando con rigore la  linea  interpretativa
adottata  dalle  sezioni  unite,  si  perverrebbe  ad  un   ulteriore
risultato  contrastante  con  i  principi   di   eguaglianza   e   di
ragionevolezza, non attinto  ne'  dalle  censure,  ne'  dal  petitum.
Nell'ipotesi  ordinaria,   in   cui   l'indagine   tecnica   affidata
all'ausiliario del pubblico ministero postuli tanto il  riscontro  di
dati oggettivi che l'espressione di valutazioni -  ipotesi  che,  per
quanto detto, appare ricorrere nel caso oggetto del giudizio a quo  -
il  soggetto  che  offre  o  promette  denaro  o  altra  utilita'  al
consulente per influire sulla sua attivita' dovrebbe rispondere,  non
gia' di uno solo, ma di due reati, in concorso formale tra  loro:  da
un lato,  del  reato  "speciale"  di  intralcio  alla  giustizia,  in
rapporto ai contenuti "descrittivi" della consulenza; dall'altro, del
reato "generale" di  istigazione  alla  corruzione,  in  rapporto  ai
contenuti  valutativi.  Neppure  tale  esito,  certamente  incongruo,
sarebbe peraltro rimosso dall'accoglimento del petitum, che  mira  ad
incidere sul solo  trattamento  sanzionatorio  dell'istigazione  alla
corruzione, e non sull'ipotetica duplicazione della risposta punitiva
per il medesimo fatto. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art.  322,  secondo  comma,  del  codice  penale,
sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla  Corte
di cassazione, sezioni unite  penali,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI 
 

Nessun commento: