N. 99 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio 2014
Ordinanza del 20 febbraio 2014 emessa dalla Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da INAIL contro T.M.T.. Previdenza - Pensione di reversibilita' corrisposta dall'INPDAP a favore di coniuge superstite di titolare di pensione diretta - Indennita' integrativa speciale mensile - Previsione, con norma autoqualificata di interpretazione autentica ma a contenuto innovativo, dell'attribuzione nella stessa misura del sessanta per cento stabilita per il trattamento di reversibilita' indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta - Prevista salvezza dei trattamenti pensionistici piu' favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della legge censurata, gia' definiti in sede di contenzioso con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 774, 775 e 776. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.26 del 18-6-2014 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Federico Roselli - Presidente - Cron. 4048;
Dott. Pietro Venuti - Consigliere - Rep.;
Dott. Giuseppe Napoletano - Consigliere - Ud. 03/12/2013;
Dott. Giulio Maisano - Consigliere - Pu;
Dott. Rosa Arienzo - Rel. Consigliere;
Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
461-2010 proposto da I.N.A.I.L (Istituto nazionale per
l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), C.F. 01165400589,
in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente
domiciliato in Roma, via IV Novembre, 144, presso lo studio degli
avvocati Moraggi Donatella e Daniani Laura, giusta procura speciale
notarile in calce alla memoria;
Ricorrente contro T.M.T. intimata avverso la sentenza n.
2943/2007 della Corte d'appello di Roma, depositata il 9 gennaio 2009
R.G.N. 10112/2005;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
3 dicembre 2013 dal Consigliere dott. Rosa Arienzo;
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Alberto Celeste, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo,
assorbimento del secondo motivo.
Ordinanza:
In fatto con sentenza del 9 gennaio 2009, la Corte di appello di
Roma rigettava il gravame proposto dall'INAIL avverso la decisione di
prime cure, che aveva accolto la domanda proposta da T.M.T., volta al
riconoscimento del diritto della predetta a percepire l'intera
indennita' integrativa speciale sulla pensione di reversibilita' ai
sensi dell'art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324. Premesso che la
T. aveva chiesto il riconoscimento suddetto in relazione alla
pensione erogatale dall'INAIL quale figlia inabile di T.G., gia'
dipendente dell'INAIL, dal 1° ottobre 1997, data dei decesso del
proprio dante causa, cessato dal servizio il 30 dicembre 1973 e
titolare da tale data di pensione diretta, la Corte del merito
rilevava che l'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724
disponeva che l'art. 2 della legge n. 324/1959 - il quale prevedeva
la corresponsione della indennita' integrativa in misura intera o,
per redditi al di sotto di una determinata soglia, in misura sempre
intera ma in ragione di frazioni di un parametro monetario - si
applicava alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 ed
alle pensioni di reversibilita' ad esse riferite, e che la norma in
questione, come interpretata dalla giurisprudenza (Corte dei conti,
sezioni riunite, 8/2002/QH), non distingueva tra pensioni di
reversibilita' liquidate prima e dopo tale data.
Osservava che il nuovo sistema di liquidazione introdotto dalla
legge 18 agosto 1995, n. 335 operava per le pensioni di
reversibilita' connesse a trattamenti diretti liquidati a far tempo
dal 1° gennaio 1995.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l'INAIL, la T. e'
rimasta intimata.
In diritto con il primo motivo, l'istituto ricorrente denunzia,
al sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., violazione dell'art. 1, commi
774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell'art. 113
c.p.c., osservando che le norme citate limitano l'applicabilita'
delle disposizioni relative alla corresponsione della i.l.s. sui
trattamenti di pensione previsti dall'art. 2 legge n. 324/1959 alle
pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 ed alle pensioni
di reversibilita' ad esse riferite, quale che ne fosse la data di
liquidazione, laddove, secondo la Corte del merito, non vi era
distinzione tra pensioni di reversibilita' liquidate prima o dopo
detta data ed il sistema di liquidazione introdotto dalla legge n.
335/1995 operava per le pensioni di reversibilita' connesse a
trattamenti diretti liquidati a far tempo dal 1° gennaio 1995. Assume
che, con le disposizioni del 2006, per evidente contenimento della
spesa previdenziale, il legislatore ha ritenuto di interpretare in
modo autentico la norma contenuta nell'art. 1, comma 41, della legge
n. 335/1996 e rileva che, in conformita' ai principi generati, con
efficacia retroattiva, le norme sopravvenute sono entrate in vigore
il 1° gennaio 2007 e che in relazione alla controversia in esame non
si e' verificata alcuna preclusione rispetto all'applicabilita' dello
ius superveniens, in quanto tutta la materia del contendere e' stata
rimessa in discussione.
Aggiunge che la disciplina legislativa in questione ha superato
anche il vaglio di costituzionalita' per effetto della decisione
della Corte costituzionale n. 74 del 2008.
Con il secondo motivo, l'INAIL lamenta, in relazione all'art.
360, n. 3, c.p.c., falsa applicazione dell'art. 15, quinto comma,
della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e dell'art. 1, comma 41, della
legge 8 agosto 1995, n. 335, rilevando che, anche ove si volesse
ritenere applicabile la normativa preesistente, l'orientamento
giurisprudenziale non era univoco e che, peraltro, la norma di cui al
regime transitorio non puo' avere efficacia ultrattiva, anche per il
periodo successivo alla introduzione della disciplina di
armonizzazione di cui alla legge n. 335/1995. Sostiene l'implicita
abrogazione dell'art. 15, comma 5, della legge n. 724/1994 per
effetto degli articoli 1 e 2 della legge n. 335/1995, evidenziando
che, a prescindere dalla data di decorrenza dalla pensione del dante
causa, tutti i trattamenti ai superstiti che ricadono sotto la
vigenza della legge sopra citata devono essere determinati osservando
le condizioni e misure previste dalla normativa sull'A.G.O., in base
alla quale per il trattamento al superstiti compete un'aliquota
percentuale dell'intero trattamento pensionistico percepito dal de
cuius, ivi compresa la i.l.s. Precisa che la Corte costituzionale,
con sentenza n. 446 del 2002, nel ritenere infondata la questione di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 41, legge n.
335/1995 nella parte in cui prevede l'applicazione delle relative
disposizioni anche al trattamento di reversibilita' spettante al
coniuge superstite collocato in pensione prima dell'entrata in vigore
della legge stessa e deceduto dopo, proprio per l'insussistenza di un
legittimo affidamento del superstite nella stabilita' della misura
della pensione, ha ritenuto che la fattispecie sia regolata dalla
norma denunciata e non dall'art. 15 legge n. 724/1994.
Va ribadito, preliminarmente, che l'interpretazione fornita del
rapporto tra norme in vigore - che rappresenta il punto di
riferimento per valutare in che termini si sia manifestata
l'incidenza dello ius superveniens - e' quella alla cui stregua «In
ipotesi di decesso di titolare di pensione diretta liquidata entro il
31 dicembre 1994, l'eventuale trattamento di riversibilita' va in
ogni caso liquidato secondo le norme di cui all'art. 15, comma 5,
legge 23 dicembre 1994, n. 724, indipendentemente dalla data della
morte del dante causa, atteso che l'art. 1, comma 41, legge 8 agosto
1995, n. 335, non ha abrogato li richiamato comma 5 dell'art. 15
della legge n. 724/1994 (Cfr. Corte di conti, sez. riunite,
8/2002/QM).
Questo collegio ritiene non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dei commi 774, 776 e 776 dell'art. 1
legge n. 296/2006 cit., poiche' la disposta retroattivita' potrebbe
essere in violazione del divieto di ingerenza del potere legislativo
nell'amministrazione della giustizia, per incidere sulla definizione
delle controversie giudiziarie in corso, violando il diritto dei
beneficiari del trattamento di reversibilita', parti private,
all'equo processo tutelato dall'art. 6 CEDU ed, indirettamente,
dall'art 117, primo comma, Cost.
Quanto alla rilevanza, essa risulta evidente dalla necessita' di
diretta applicazione della disposizione nella presente controversia,
iniziata prima del 2006.
Quanto alla non manifesta infondatezza, occorre premettere
l'intero contenuto delle disposizioni:
774. L'estensione della disciplina del trattamento
pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato
vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale
obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime
prevista dall'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si
interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilita' sorte a
decorrere dall'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335,
indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta,
l'indennita' integrativa speciale gia' in godimento da parte del
dante causa, parte integrante del complessivo trattamento
pensionistico percepito, e' attribuita nella misura percentuale
prevista per il trattamento di reversibilita';
775. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici piu'
favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente
legge, gia' definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui
futuri miglioramenti pensionistici;
776. E' abrogato l'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre
1994, n. 724.
Il citato art. 1, comma 41 della legge n. 335/1996 recita a sua
volta «La disciplina del trattamento pensionistico a favore dei
superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime
dell'assicurazione generale obbligatoria e' estesa a tutte le forme
esclusive o sostitutive di detto regime. In caso di presenza di soli
figli di minore eta', studenti ovvero inabili, l'aliquota e' elevate
al 70% limitatamente alle pensioni ai superstiti aventi decorrenza
dalla data di entrata in vigore della presente legge. Gli importi dei
trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi
del beneficiarlo, nei limiti di cui all'allegata tabella F. Il
trattamento derivante dal cumulo dei redditi di cui al presente comma
con la pensione ai superstiti ridotta non puo' essere comunque
inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il
reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce immediatamente
precedenti a quella nella quale il reddito posseduto si colloca. I
limiti di cumulabilita' non si applicano qualora il beneficiario
faccia parte di un nucleo familiare con figli di minore eta',
studenti ovvero inabili, individuati secondo la disciplina di cui al
primo periodo del presente comma. Sono fatti salvi i trattamenti
previdenziali piu' favorevoli in godimento alla data di entrata in
vigore della presente legge con riassorbimento sui futuri
miglioramenti».
L'espressa salvezza dei trattamenti pensionistici piu' favorevoli
in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge,
gia' definiti in sede di contenzioso, vale a dire la necessaria
applicazione delle disposizioni della finanziaria in questione ai
processi ancora pendenti, esclude ogni possibilita' di negare
l'efficacia retroattiva della norma, per tentare di adeguarla
all'art. 6 CEDU, di cui poco avanti si dira'.
La cosiddetta interpretazione adeguatrice, che e' necessario
sempre tentare prima di sollevare una questione di legittimita'
costituzionale, trova il suo limite nel significato proprio delle
parole della disposizione da interpretare, secondo la connessione di
esse, nonche' nella chiara intenzione del legislatore (art. 12, primo
comma, preleggi). Del resto anche la giurisprudenza di questa Corte
afferma l'efficacia retroattiva del comma 774 in questione (Cass. n.
18125 del 2008).
Ancora, non rileva sulla presente questione la sentenza della
Corte costituzionale n. 74 del 2008, che ha negato il contrasto del
comma 775 dell'art. 1 della legge n. 296/2006 con riferimento al solo
principio di ragionevolezza. Che poi la questione debba essere
risolta sottoponendola alla Corte costituzionale risulta dalla
giurisprudenza della stessa Corte.
A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 (da ultimo
sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011), tale giurisprudenza e'
costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato ad
esse attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,
specificamente istituita per darne interpretazione ed applicazione
(art. 32, par. 1, della Convenzione) - integrano, quali norme
interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117 Cost.,
comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della
legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali.
La Corte costituzionale ha affermato che, nel caso in cui si
profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU
(che deve essere applicata nel significato attribuito dalla Corte
CEDU, cfr. citate sentenze n. 113 e n. 1 del 2011), il giudice
nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilita' di
un'interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale,
ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica
(sentenze n. 93 del 2010, n. 113 dei 2011, n. 311 e n. 239 del 2009).
Se questa verifica da esito negativo ed il contrasto non puo' essere
risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo
disapplicare la norma interna ne farne applicazione, pur ritenendola
in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve
denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo questione di
legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 117 Cost., comma
1, ovvero all'art. 10 Cost., comma 1, ove si tratti di una norma
convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale
generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e
n. 311 dei 2009). Sempre il Giudice delle leggi ha affermato che,
sollevata la questione di legittimita' costituzionale, il giudice
comune - dopo aver accertato che il denunciato contrasto tra norma
interna e norma della CEDU sussiste e non puo' essere risolto in via
interpretativa - e' chiamato a verificare se la norma della
Convenzione - norma che si colloca pur sempre ad un livello
sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre
norme della Costituzione. In questa, seppure eccezionale, ipotesi,
deve essere esclusa l'idoneita' della norma convenzionale a integrare
il parametro costituzionale considerato (sentenze n. 113 del 2011, n.
93 del 2010, n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007). Piu'
precisamente, con sentenza n. 264 del 2012, la Corte costituzionale,
dopo aver negato di poter sostituire la propria interpretazione di
una disposizione CEDU a quella data dalla Corte di Strasburgo, si
riservo' tuttavia la verifica di compatibilita' delle singole
applicazioni della Convenzione con l'ordinamento costituzionale
interno e, in riferimento al caso in esame, giustifico' la
retroattivita' della legge impugnata col «motivo imperativo
d'interesse generale», consistente nell'assicurare, nel sistema
previdenziale, la corrispondenza tra risorse disponibili e
prestazioni da erogare (art. 81 Cost.) nonche' la coerenza interna
(eguaglianza e proporzionalita': art. 3 Cost.) dello stesso sistema.
Non sembra a questo collegio che la verifica di compatibilita'
possa dare il medesimo esito nel caso qui in esame, in cui l'art. 1,
commi 774 e 775, legge n. 296 del 2006, disattendendo una
giurisprudenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti, n.
8/2002/QM, pare aver perseguito, in prevalenza se non solamente, un
obiettivo di risparmio della spesa pubblica.
Il collegio dubita percio' della sussistenza di un motivo
d'interesse generale, talmente imperativo da dover prevalere
sull'art. 6 CEDU.
Circa il contrasto tra il comma 775 cit. e l'art. 6 CEDU,
dall'esame delle sentenze CEDU relative a norme di interpretazione
autentica possono desumersi i seguenti principi:
a) benche' non sia precluso al legislatore disciplinare,
mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi
in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di
processo equo contenuti nell'art. 6 precludono, tranne che per
impellenti motivi di interesse generale, i quali non possono
consistere in mere esigenze finanziarie, l'interferenza dei
legislatore nell'amministrazione della giustizia con il proposito di
influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia
azionata contro lo Stato (causa Maggio ed altri c. Italia del 31
maggio 2011; causa Anna De Rosa ed altri c. Italia dell'11 dicembre
2012; causa Agrati ed altri c. Italia del 7 giugno 2011, le ultime
due relative al personale ATA; cfr., inoltre, tra molti altri
precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia, 9
dicembre 1994, National & Provincial Building Society, Leeds
Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. il Regno
Unito, 23 ottobre 1997, Zielinski e Pradal e Gonzalez e Altri c.
Francia);
b) la Corte ha affermato, ancora, con riferimento alla legge
di interpretazione n. 296/2006 nella causa Maggio citata, che la
promulgazione di detta legge, mentre i procedimenti erano pendenti,
era ricaduta sul merito delle controversie, e la sua applicazione da
parte dei vari Tribunali ordinari aveva privato di rilievo, per
un'intera categoria di persone che si trovavano nella posizione dei
ricorrenti, la prosecuzione del giudizio. Percio', la legge aveva
avuto l'effetto di modificare definitivamente l'esito del giudizio
pendente, nel quale lo Stato era parte, approvando la posizione dello
Stato a svantaggio del ricorrenti. Mancavano, peraltro, i suddetti
motivi imperativi di interesse generale;
c) conclusioni analoghe sono state assunte nella causa citata
relativa al personale ATA in cui la Corte di Strasburgo, dopo aver
ribadito il principio piu' volte affermato che se in linea di
principio nulla vieta al potere legislativo di regolamentare mediante
nuove disposizioni, a carattere retroattivo, diritti risultanti da
leggi in vigore, la preminenza del diritto e la nozione di processo
equo sanciti dall'art. 6 CEDU ostano, salvo che per imperative
ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo
nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito
giudiziario di una controversia. La Corte ha rammentato, inoltre, che
l'esigenza della parita' delle armi implica l'obbligo di offrire a
ciascuna parte una ragionevole possibilita' di presentare la propria
causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto
alla controparte. Analoghi principi sono stati affermati, altresi',
nella sentenza del 25 novembre 2010, Lilly c. Francia, e nella
sentenza dell'11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia;
d) al fine di determinare se vi sia stato un motivo
impellente di interesse generale in grado di giustificare tale
misura, il rispetto della preminenza del diritto e delle regole del
processo equo, secondo la Corte di Strasburgo, impone che le ragioni
addotte per giustificare tale misura siano valutate con il massimo
grado di cautela possibile. Considerazioni di carattere finanziario
non possono da sole giustificare che il legislatore si sostituisca al
giudice al fine di risolvere le controversie (causa Maggio ed altri
citata);
e) la Corte ha osservato (causa Arras citata) che «Il
problema sollevato nel caso di specie e' fondamentalmente quello del
giusto processo, e secondo la Corte, cio' coinvolge la
responsabilita' dello Stato sia nella sua funzione legislativa, se
vizia il processo o influenza l'esito giudiziario della controversia,
sia nella sua funzione di autorita' giudiziaria se e' violato il
diritto a un giusto processo, compreso in questioni private tra
soggetti privati».
Alla luce dei citati principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU
in riferimento all'interpretazione dell'art. 6 della Convenzione
citato, ritiene, in definitiva, questa Corte che si prospetti il
dubbio di legittimita' costituzionale della legge n. 296/2006 art. 1,
commi 774, 775 e 776, non essendo possibile adottare
un'interpretazione della disposizione citata conforme alla
Convenzione.
La tesi, sostenuta da una parte della dottrina, della
disapplicabilita', da parte del giudice comune, di norme contrastanti
non solo con l'art. 6 CEDU, ma anche con gli articoli 47, secondo
comma, e 52, terzo comma, della Carta del diritti fondamentali UE,
non e' generalmente condivisa e contrasta con le citate sentenze n.
348 e n. 349 del 2007 della Corte cost. Essa non ha dato luogo a
«diritto vivente» onde a questo collegio sembra meglio procedere
secondo le indicazioni di queste due pronunce (vedi anche Corte
giust. UE, 24 aprile 2012, n. C 571/10 Kamberaj; 26 febbraio 2013, n.
617/10, Fransson).
P. Q. M.
La Corte,
Visti l'art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1963, n. 87, art. 23,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in riferimento
all'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 6 della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), sottoscritta
dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto
1955, n 848 - la questione di legittimita' costituzionale della legge
27 dicembre 2006, n. 296, art 1, commi 774, 775 e 776 (Legge
finanziaria 2007);
Dispone la sospensione del procedimento n 461/2010;
Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
Ordina alla Cancelleria che la presente ordinanza sia notificata
alle parti del giudizio di legittimita', ed ai Presidente del
Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del
Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati.
Cosi' deciso in Roma, addi' 3 dicembre 2013.
Il Presidente: Roselli
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