N. 162 SENTENZA 9 aprile - 10 giugno 2014
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procreazione medicalmente assistita - Divieto di ricorrere alla fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), artt. 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1. -(GU n.26 del 18-6-2014 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Gaetano SILVESTRI;
Giudici :Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio
MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 4, comma
3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40
(Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promossi
dal Tribunale ordinario di Milano con ordinanza dell'8 aprile 2013,
dal Tribunale ordinario di Firenze con ordinanza del 29 marzo 2013 e
dal Tribunale ordinario di Catania con ordinanza del 13 aprile 2013,
rispettivamente iscritte ai nn. 135, 213 e 240 del registro ordinanze
2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24,
41 e 46, prima serie speciale, dell'anno 2013.
Visti gli atti di costituzione di P.E. ed altro, di C.P. ed
altro, di V.A. e della societa' cooperativa UMR-Unita' di Medicina
della Riproduzione, nonche' gli atti di intervento della Associazione
Luca Coscioni per la liberta' di ricerca scientifica ed altri, della
Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti e del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 2014 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini per
l'Associazione Luca Coscioni per la liberta' di ricerca scientifica
ed altri, Marilisa D'Amico, Maria Paola Costantini e Massimo Clara
per P.E. ed altro, per C.P. ed altro e per V.A., Maria Paola
Costantini e Massimo Clara per la societa' cooperativa UMR-Unita' di
Medicina della Riproduzione e l'avvocato dello Stato Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale ordinario di Milano, il Tribunale ordinario di
Firenze ed il Tribunale ordinario di Catania, con ordinanze dell'8
aprile, del 29 marzo e del 13 aprile 2013, hanno sollevato, in
riferimento agli artt. 3 Cost. (tutte le ordinanze), 2, 31 e 32 Cost.
(la prima e la terza ordinanza), nonche' (la prima ordinanza) agli
artt. 29 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata
e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora in avanti:
CEDU), questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3,
della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita) (tutte le ordinanze) e degli artt. 9, commi 1
e 3, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui
all'articolo 4, comma 3», e 12, comma 1, di detta legge (la prima e
la terza ordinanza).
2.- Il Tribunale ordinario di Milano premette che nel giudizio
principale due coniugi hanno proposto reclamo ex art. 669-terdecies
del codice di procedura civile chiedendo, in riforma dell'ordinanza
pronunciata dal giudice di prima istanza, che sia ordinato in via
d'urgenza ad un medico chirurgo al quale si erano rivolti, di
eseguire in loro favore, secondo le metodiche della procreazione
medicalmente assistita (di seguito: PMA) la fecondazione di tipo
eterologo, mediante donazione di gamete maschile, a causa
dell'infertilita' assoluta, dovuta ad azoospermia completa, da cui
risulta affetto il coniuge maschio.
Il rimettente deduce che, con ordinanza del 2 febbraio 2011, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale delle norme sopra
indicate, in riferimento a molteplici parametri costituzionali, e
questa Corte, con ordinanza n. 150 del 2012, ha ordinato la
restituzione degli atti, per un rinnovato esame dei termini delle
stesse, in considerazione della sopravvenuta sentenza della Grande
Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo del 3 novembre 2011,
S.H. e altri contro Austria.
2.1.- Il giudice a quo svolge ampie argomentazioni per sostenere
che quest'ultima sentenza permetterebbe di ritenere che il divieto in
esame si pone in contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU. A suo
avviso, «devono, dunque, essere integralmente riproposti i principi
illustrati e le argomentazioni dispiegate a sostegno della questione
di legittimita' costituzionale gia' sollevata», in riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 8 e 14
della CEDU.
2.2.- Secondo il rimettente, il quale implicitamente, ma
chiaramente, deduce la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 5
della legge n. 40 del 2004, le disposizioni censurate si porrebbero,
altresi', in contrasto con gli artt. 2, 29 e 31 Cost., poiche'
violerebbero il diritto fondamentale alla piena realizzazione della
vita privata familiare ed il diritto di autodeterminazione delle
coppie colpite da sterilita' o infertilita' irreversibile. L'art. 2
Cost. garantisce, infatti, anche il diritto alla formazione di una
famiglia, riconosciuto dall'art. 29 Cost., mentre il successivo art.
30, stabilendo la giusta e doverosa tutela dei figli, reca un
«passaggio che presuppone - riconoscendolo - e tutela la finalita'
procreativa del matrimonio». I concetti di famiglia e genitorialita'
dovrebbero essere, inoltre, identificati tenendo conto
dell'evoluzione dell'ordinamento e del principio in virtu' del quale
«la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica
delle persone e dei loro diritti» (sentenza n. 494 del 2002).
Il concepimento mediante pratiche di PMA non violerebbe il
diritto del concepito al riconoscimento formale e sostanziale di un
proprio status filiationis, «elemento costitutivo dell'identita'
personale», congruamente tutelato anche in caso di fecondazione
eterologa, in considerazione dell'assunzione dei pertinenti obblighi
da parte dei genitori biologici e non genetici. La citata sentenza
della Grande Camera della Corte di Strasburgo avrebbe, inoltre,
confermato la riconducibilita' del diritto in esame all'art. 8 della
CEDU e, in definitiva, il diritto di identita' e di
autodeterminazione della coppia in ordine alla propria genitorialita'
sarebbe leso dal divieto di accesso ad un certo tipo di fecondazione
anche quando, come nella specie, essa sia indispensabile.
2.3.- Le norme in esame violerebbero anche gli artt. 3 e 31
Cost., dato che i principi di non discriminazione e ragionevolezza
rendono ammissibile la fissazione di determinati limiti ai diritti,
ma vietano di stabilire una diversita' di trattamento di situazioni
identiche o omologhe, in difetto di ragionevoli giustificazioni.
La formazione di una famiglia, che include la scelta di avere
figli, costituirebbe un diritto fondamentale della coppia,
rispondente ad un interesse pubblico riconosciuto e tutelato dagli
art. 2, 29 e 31 Cost. Obiettivo della legge n. 40 del 2004 sarebbe
«quello di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti
dalla sterilita' o dall'infertilita' della coppia mediante il ricorso
alla procreazione medicalmente assistita». In considerazione di tale
finalita', il divieto stabilito dal citato art. 4, comma 3,
recherebbe vulnus a detti parametri, perche' discriminatorio ed
irragionevole, in quanto per esso sono «trattate in modo opposto
coppie con limiti di procreazione, risultando differenziate solo in
virtu' del tipo di patologia che affligge l'uno o l'altro dei
componenti della coppia». Nonostante sussistano elementi di
diversita' tra fecondazione omologa ed eterologa, «l'esame comparato
delle due situazioni evidenzia comunque nel confronto tra le
condizioni delle due categorie di coppie infertili una loro
sostanziale sovrapponibilita', pur in assenza di coincidenza di tutti
gli elementi di fatto». In particolare, «all'identico limite
(infertilita' e sterilita' di coppia) dovrebbe corrispondere la
comune possibilita' di accedere alla migliore tecnica
medico-scientifica utile per superare il problema, da individuarsi in
relazione alla causa patologica accertata». L'elemento non comune
(costituito dalla specificita' della patologia) non sarebbe
sufficiente ad escludere l'eguaglianza delle situazioni, sotto il
profilo giuridico, e sarebbe palese la «natura discriminatoria del
divieto totale di fecondazione eterologa [...], [che non
costituirebbe] l'unico mezzo, e nemmeno il piu' ragionevole, per
rispondere alla tutela dei concorrenti diritti, potenzialmente
confliggenti con il riconoscimento del diritto di accedere alle
pratiche di PMA eterologa».
Secondo il giudice a quo, nel nostro ordinamento vi sono istituti
che, ammettendo «la frattura tra genitorialita' genetica e
genitorialita' legittima, quali l'adozione», conforterebbero la
legittimita' di rapporti parentali che prescindono da una relazione
biologica genitoriale.
2.4.- Le norme censurate violerebbero, inoltre, gli artt. 3 e 32
Cost., poiche' il divieto dalle stesse posto «rischia di non tutelare
l'integrita' fisica e psichica delle coppie in cui uno dei due
componenti non presenta gameti idonei a concepire un embrione». Ad
avviso del rimettente, le tecniche di PMA costituirebbero rimedi
terapeutici «sia in relazione ai beni che ne risultano implicati, sia
perche' consistono in un trattamento da eseguirsi sotto diretto
controllo medico, finalizzato a superare una causa patologica
comportante un difetto di funzionalita' dell'apparato riproduttivo di
uno dei coniugi (o conviventi) che impedisce la procreazione,
rimuovendo, nel contempo, le sofferenze psicologiche connesse alla
difficolta' di realizzazione della scelta genitoriale». La scienza
medica consente, poi, di eseguire tecniche di fecondazione in vivo e
in vitro di tipo eterologo, con utilizzo di gameti sia maschili, sia
femminili, provenienti da un donatore terzo rispetto alla coppia.
Vertendosi in materia di pratica terapeutica, «la regola di fondo»
dovrebbe essere «l'autonomia e la responsabilita' del medico che, con
il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali»
(sentenza n. 151 del 2009), mentre le disposizioni in esame
vieterebbero, non ragionevolmente, l'espansione della genitorialita',
in presenza di cause ostative superabili sulla scorta delle nuove
metodiche mediche.
3.- Il Tribunale ordinario di Firenze espone che nel giudizio
principale, introdotto con ricorso ai sensi dell'art. 700 cod. proc.
civ., una coppia di coniugi ha chiesto che sia accertato il diritto
di essi istanti a: a) ricorrere alle metodiche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo; b) utilizzare il materiale
genetico di terzo donatore anonimo acquisito direttamente dalla
coppia ovvero dal centro secondo quanto previsto dai decreti
legislativi 6 novembre 2007, n. 191 (Attuazione della direttiva
2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualita' e di sicurezza
per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione,
la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e
cellule umani), e 25 gennaio 2010, n. 16 (Attuazione delle direttive
2006/17/CE e 2006/86/CE, che attuano la direttiva 2004/23/CE per
quanto riguarda le prescrizioni tecniche per la donazione,
l'approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani,
nonche' per quanto riguarda le prescrizioni in tema di
rintracciabilita', la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e
determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la
conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule
umani), «per la fecondazione degli ovociti della sig.ra B.». I
ricorrenti hanno dedotto di essere sposati dal 2004 e di non essere
riusciti a concepire un figlio per vie naturali, a causa della
assoluta sterilita' del marito, provata dalla documentazione medica
prodotta, e di avere vanamente tentato all'estero, per tre anni, la
fecondazione eterologa, sia in vivo sia in vitro, affrontando
notevoli sacrifici economici ed un elevato stress psico-fisico,
provocato dall'invasivita' dei relativi trattamenti.
Il rimettente deduce che, con ordinanza del 6 settembre 2010, ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale del citato art. 4,
comma 3, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., in
relazione al combinato disposto degli artt. 8 e 14 della CEDU, e
questa Corte, con ordinanza n. 150 del 2012, ha disposto la
restituzione degli atti.
3.1.- Posta questa premessa, il giudice a quo puntualizza che i
ricorrenti versano nella condizione prevista dagli artt. 1, comma 2,
e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, in virtu' dei quali il
ricorso alla PMA e' consentito «qualora non vi siano altri metodi
terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilita' o
infertilita'» e sia «accertata l'impossibilita' di rimuovere
altrimenti le cause impeditive della procreazione ed e' comunque
circoscritto ai casi di sterilita' o di infertilita' inspiegate
documentate da atto medico nonche' ai casi di sterilita' o di
infertilita' da causa accertata e certificata da atto medico». Nella
specie, dalla documentazione prodotta risulta che il coniuge maschio
e' affetto da «azoospermia con assenza di cellule spermatogeniche» ed
«azoospermia non ostruttiva in ipogonadismo-ipogonadotropo
(azoospermia non ostruttiva secretoria pre-testicolare)», anche a
seguito dei trattamenti con gonadotropine e terapia androgenica
sostitutiva, risultando effettuati senza successo alcuni tentativi di
PMA di tipo omologo. Pertanto, sussisterebbe, come previsto dalla
legge n. 40 del 2004, l'impossibilita' di rimuovere le ragioni
impeditive della procreazione ed un'ipotesi di sterilita' da causa
accertata, con la conseguenza che l'unica tecnica di PMA possibile
sarebbe quella di tipo eterologo, vietata dalla norma censurata. I
ricorrenti vantano, inoltre, i requisiti stabiliti dall'art. 5 della
legge n. 40 del 2004, «essendo viventi, coniugi, maggiorenni ed in
eta' parzialmente fertile». La considerazione che la questione di
legittimita' costituzionale e' stata sollevata nel corso di un
giudizio cautelare non ne escluderebbe l'ammissibilita', dato che lo
stesso non e' stato definito e non e' stato reso alcun provvedimento
sulla domanda cautelare.
3.2.- Il giudice a quo, dopo avere motivato in ordine alla
manifesta infondatezza dell'eccezione di illegittimita'
costituzionale proposta in riferimento all'art. 117, primo comma,
Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU, sostiene che il
citato art. 4, comma 3, violi il principio di ragionevolezza (art. 3
Cost.). L'art. 1 della legge n. 40 del 2004 precisa, infatti, che
obiettivo di questa legge e' quello di «favorire la soluzione dei
problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita'
umana» consentendo a questo scopo «Il ricorso alla procreazione
medicalmente assistita [...] qualora non vi siano altri metodi
terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilita' o
infertilita'». Il divieto in esame realizzerebbe, invece, un diverso
trattamento delle coppie aventi problemi riproduttivi derivanti dalla
sterilita' o dalla infertilita', nonostante che la sostanziale
eguaglianza delle situazioni dovrebbe comportare l'eguale
possibilita' di ricorrere alla PMA, mediante il ricorso alla tecnica
idonea per porre rimedio alla causa della patologia.
4.- Il Tribunale ordinario di Catania premette che, nel processo
principale, i ricorrenti, coniugati dal 2005, hanno dedotto che il
partner femmina e' stato colpito da sterilita' assoluta causata da
menopausa precoce e, per questa ragione, si sono rivolti alla
societa' cooperativa UMR-Unita' di Medicina della Riproduzione
(infra: UMR), la quale ha indicato quale unico metodo per avere figli
quello della «ovodonazione», che ha, tuttavia, rifiutato di
praticare, a causa del divieto stabilito dal citato art. 4, comma 3.
I coniugi hanno, quindi, convenuto in giudizio la UMR, chiedendo, ai
sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., che sia ordinato alla stessa di
eseguire «secondo l'applicazione delle metodiche della procreazione
assistita, la c.d. fecondazione eterologa e nel caso di specie la
donazione di gamete femminile, secondo le migliori e accertate
pratiche mediche», eccependo, in linea gradata, l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 4, comma 3.
Il rimettente espone che, con ordinanza del 21 ottobre 2010, ha
sollevato le questioni di legittimita' costituzionale ora, in parte,
riproposte e questa Corte, con ordinanza n. 150 del 2012, ha disposto
la restituzione degli atti, per le ragioni sopra ricordate.
Riassunto il giudizio, il Tribunale ordinario di Catania, con
ordinanza del 28 gennaio 2013, ha ritenuto manifestamente infondata
l'eccezione di illegittimita' costituzionale del citato art. 4, comma
3; in sede di reclamo, il Collegio ha, invece, sollevato le questioni
in esame.
Secondo il giudice a quo, sussistono sia i presupposti del
chiesto provvedimento cautelare, sia le condizioni stabilite
dall'art. 5 della legge n. 40 del 2004, poiche' i ricorrenti sono
maggiorenni, di sesso diverso, coniugati, in eta' fertile e la
ricorrente e' affetta da accertata sterilita' secondaria da menopausa
precoce. L'accoglimento della domanda e', quindi, impedito
esclusivamente dal divieto stabilito dal citato dall'art. 4, comma 3,
del quale, a suo avviso, non e' possibile offrire un'interpretazione
costituzionalmente orientata, con conseguente rilevanza delle
sollevate questioni di legittimita' costituzionale.
4.1.- Ad avviso del rimettente, le norme censurate si porrebbero
anzitutto in contrasto con gli artt. 3 e 31 Cost., in quanto
stabiliscono un divieto discriminatorio, lesivo del diritto
fondamentale alla formazione della famiglia, riconosciuto e tutelato
dagli artt. 2 e 31 Cost., che concernerebbe anche il profilo relativo
alla soluzione dei problemi riproduttivi della coppia. Inoltre, esse
realizzerebbero un diverso trattamento di coppie con identici
problemi di procreazione, penalizzando irragionevolmente quella
colpita dalla patologia piu' grave, in violazione anche dell'art. 2
Cost., con pregiudizio del diritto a formare una famiglia e della
liberta' di autodeterminazione in relazione a scelte riconducibili
alla sfera piu' intima della persona.
4.2.- Secondo il giudice a quo, l'art. 32 Cost. sarebbe violato,
in quanto il divieto in esame irragionevolmente impedirebbe di curare
la patologia piu' grave. Nella specie vengono, inoltre, in rilievo i
diritti della madre genetica, della madre biologica e del nascituro
e, in considerazione delle risultanze della scienza medica, la
fecondazione eterologa non comporterebbe rischi per la salute (fisica
o mentale) ne' della madre biologica, ne' della donatrice. Per
quest'ultima, il rischio di «stressare il proprio fisico per
l'eventuale commercializzazione dei gameti» sarebbe scongiurato dal
divieto stabilito dalla legge n. 40 del 2004 di commercializzare gli
ovuli e, comunque, sarebbe comune ad altre piu' rilevanti ipotesi,
eticamente e socialmente approvate, di donazione di tessuti, organi o
parti di essi tra soggetti viventi.
Quanto, invece, al diritto del nascituro alla conoscenza della
propria origine genetica, benche' la tutela del concepito rinvenga
fondamento costituzionale negli artt. 31, secondo comma, e 2 Cost.,
alla stessa non potrebbe essere data prevalenza totale ed assoluta,
non esistendo «equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche
alla salute proprio di chi e' gia' persona, come la madre, e la
salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare»
(sentenza n. 27 del 1975).
La soluzione dei problemi riproduttivi della coppia sarebbe
riconducibile al diritto fondamentale alla maternita'/paternita' ed
il bilanciamento del diritto costituzionalmente protetto alla
creazione di una famiglia (riconosciuto e tutelato dagli artt. 2 e 31
Cost.) spettante «a soggetti esistenti (persone in senso tecnico)» e
del diritto riconoscibile «ad una entita' (embrione, feto) che
soggetto (nel senso pieno di persona) ancora non e', non sembra possa
ragionevolmente risolversi in favore del secondo». L'ampia tutela del
nascituro deve tenere conto che, comunque, questi non sarebbe
equiparabile alla persona gia' nata; la stessa legge n. 40 del 2004
tutela il concepito, ma non «arriva [...] a modificare l'art. 1 del
codice civile che [...] riconosce la capacita' giuridica solo al
momento della nascita e subordina ad essa l'effettivo sorgere dei
diritti ivi menzionati con riferimento agli artt. 462, 687 e 715 c.c.
(per donazione e testamento)». Siffatta legge ha inteso garantire che
il concepito non subisca «trattamenti disumani», cui potevano esporlo
la crioconservazione, la sperimentazione e la selezione genetica, ma
il Capo III della medesima non riguarderebbe la tutela diretta del
concepito, bensi' lo stato giuridico del nato, come risulta dagli
artt. 8 e 9. Queste disposizioni tutelano l'interesse del nascituro e
garantiscono una «stabilita' parentale» non deteriore rispetto a
quella del figlio nato dalla fecondazione omologa «e, per certi
versi, anche migliore di quella di cui gode il figlio nato da ogni
unione "naturale", soggetto, com'e' noto, alle azioni di
disconoscimento di stato o al mancato riconoscimento da parte del
padre o della madre che ha anche il diritto di non essere nominata al
momento del parto».
Ad avviso del giudice a quo, il censurato divieto non sarebbe
giustificato dall'asserito diritto del nascituro a conoscere la
propria origine genetica anche perche' il citato art. 9, comma 3,
come nel caso dell'adozione, mira a recidere ogni relazione giuridica
parentale del nato con il donatore di gameti e nei confronti di
quest'ultimo non puo' essere fatto valere nessun diritto. Sarebbe,
inoltre, irragionevole che, per scongiurare l'ipotetica sofferenza di
un futuro soggetto (dovuta all'ignoranza della propria origine
genetica), sia precluso il piu' rilevante diritto di venire al mondo.
Quanto, invece, all'esigenza di garantire al nascituro stabili
relazioni parentali, gli studi al riguardo avrebbero dimostrato che
soltanto in una bassa percentuale di casi i genitori biologici hanno
rivelato al figlio la sua origine genetica ed in questi lo sviluppo
psicosociale del predetto non si discosterebbe da quello dei figli
nati senza il ricorso alla fecondazione eterologa.
5.- Nel giudizio davanti a questa Corte promosso dal Tribunale
ordinario di Milano si sono costituiti i ricorrenti nel processo
principale, chiedendo, anche nella memoria depositata in prossimita'
dell'udienza pubblica, che le questioni siano dichiarate fondate.
Le parti, premesso che costituiscono una coppia infertile, ai
sensi della legge n. 40 del 2004, poiche' il coniuge maschio e'
affetto da infertilita' assoluta, con azoospermia completa,
sostengono che la locuzione «fecondazione eterologa» sia impropria,
occorrendo argomentare di «donazione di gameti», che va tenuta
distinta dalla cosiddetta «surrogazione di maternita'» (vietata
dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004) e richiamano la
sentenza di questa Corte n. 151 del 2009, per affermare che la
disciplina in esame concerne «un ambito d'interesse sanitario».
Inoltre, sottolineano che le questioni concernerebbero esclusivamente
le coppie di maggiorenni, di sesso diverso, in eta' potenzialmente
fertile «e (va da se') entrambi viventi» ed involge un problema quale
quello dell'infertilita' maschile e femminile assai diffuso nelle
societa' occidentali.
I ricorrenti nel processo principale svolgono ampie
argomentazioni a conforto della violazione dell'art. 3, primo comma,
Cost., determinata dalla discriminazione tra i potenziali destinatari
della fecondazione medicalmente assistita in danno delle coppie
colpite dalla patologia piu' grave. A loro avviso, le situazioni
delle coppie che possono porre rimedio alla causa di sterilita' o
infertilita' mediante la fecondazione omologa, ovvero a quella
eterologa, sarebbero analoghe e gli studi dell'Organizzazione
mondiale della sanita' (richiamati negli atti difensivi) avrebbero
dimostrato l'inconsistenza delle pretese esigenze di tutela di
carattere psicologico del nascituro, basate su presunti disturbi e
sofferenze dello stesso, nel caso in cui abbia un solo genitore
biologico. Il divieto censurato avrebbe, inoltre, alimentato una
sorta di «turismo procreativo», dando luogo a situazioni di rischio,
a causa dell'inferiore livello di assistenza sanitaria garantito in
altri Paesi, specie in quelli in cui i costi sono piu' bassi.
5.1.- Le situazioni di infertilita' superabili mediante l'uso di
gameti interni, ovvero esterni alla coppia, sarebbero omologhe, in
relazione all'accesso alle tecniche di fecondazione assistita. Il
citato art. 4, comma 3, sarebbe viziato, in primo luogo, da
irrazionalita' «interna», a causa dell'incoerenza tra mezzi e fini,
determinata dal difetto di ogni ragionevole giustificazione del
divieto in esame, che preclude il conseguimento dello scopo
dichiarato dalla legge n. 40 del 2004. In secondo luogo, da
irragionevolezza «esterna», poiche' nel nostro ordinamento vi e' un
istituto, quale l'adozione, che prevede la possibilita' di una
discrasia tra genitorialita' genetica e legittima, mentre la
fecondazione eterologa garantirebbe meglio l'identita' biologica, che
verrebbe a mancare soltanto per uno dei genitori.
Sotto un ulteriore profilo, la disciplina in esame
discriminerebbe le coppie in base alla situazione patrimoniale.
Quelle abbienti possono, infatti, praticare la fecondazione eterologa
all'estero, ricorrendo ad una sorta di «turismo procreativo» che
vanificherebbe il divieto censurato, nel quadro di una
regolamentazione viziata da incoerenza, poiche', da un canto,
stabilisce il divieto di tale tecnica terapeutica, dall'altro,
prevede la non punibilita' di coloro che vi fanno ricorso e
disciplina compiutamente la situazione del nato.
5.2.- In relazione alle censure riferite agli artt. 2, 29 e 31
Cost., le parti reiterano gli argomenti svolti dal rimettente e
richiamano ricerche e studi i quali hanno escluso che il difetto di
parentela genetica comprometta lo sviluppo del bambino, mentre la
sentenza n. 151 del 2009 avrebbe fatto emergere un valore
costituzionale nuovo, costituito dalle «giuste esigenze della
procreazione».
L'art. 32 Cost. sarebbe violato, alla luce della giurisprudenza
di questa Corte richiamata dal giudice a quo, perche' il divieto in
esame lederebbe l'integrita' psichica e fisica delle coppie con piu'
gravi problemi di sterilita' o infertilita'.
Le norme censurate non garantirebbero, inoltre, alle coppie
affette da sterilita' o infertilita' assoluta il proprio diritto
all'identita' ed autodeterminazione, espresso dal principio
personalistico dell'art. 2 Cost. La lesione di questo diritto sarebbe
confortata anche dalle sentenze della Corte di Strasburgo, Grande
Camera, 3 novembre 2011, S.H. e altri contro Austria, seconda
sezione, 28 agosto 2012, Costa Pavan contro Italia, e Grande Camera,
4 dicembre 2007, Dickson contro Regno Unito, che indurrebbero a
ritenere violato l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli
artt. 8 e 14 della CEDU.
5.3.- Secondo le parti, l'accoglimento delle questioni non
comporterebbe nessun vuoto normativo. La legge n. 40 del 2004 ha,
infatti, abrogato la disciplina previgente, caratterizzata dalla
regolamentazione della fecondazione eterologa da parte di circolari e
decreti del Ministro della sanita' (analiticamente indicati nell'atto
di costituzione) e, quindi, la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale delle norme in esame comporterebbe la reviviscenza di
tali atti. Anche negando l'ammissibilita' di detta reviviscenza, la
disciplina applicabile sarebbe, peraltro, desumibile dal d.lgs. n.
191 del 2007, dal d.lgs. n. 16 del 2010 e dall'Accordo del 15 marzo
2012 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano sul documento concernente «Requisiti minimi organizzativi,
strutturali e tecnologici delle strutture sanitarie autorizzate di
cui alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 per la qualita' e la sicurezza
nella donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione,
la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di cellule umane».
L'applicabilita' degli artt. 9 e 12, comma 6, della legge n. 40 del
2004, nonche' i principi della volontarieta' e gratuita' della
donazione stabiliti dal d.lgs. n. 191 del 2007 e dal d.lgs. n. 16 del
2010, concorrerebbero, inoltre, a dimostrare l'inesistenza del vuoto
normativo paventato dall'Avvocatura generale dello Stato. In ogni
caso, l'esistenza di profili che richiedono un'espressa
regolamentazione neppure inciderebbe sull'ammissibilita' delle
questioni, il cui accoglimento renderebbe ammissibile il ricorso alla
PMA di tipo eterologo esclusivamente da parte di quanti sono in
possesso dei requisiti stabiliti dall'art. 5 della legge n. 40 del
2004.
5.4.- Nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza
pubblica, le parti, oltre a ribadire gli argomenti svolti nell'atto
di costituzione, contestano la fondatezza delle eccezioni di
inammissibilita' proposte nell'atto di intervento dal Presidente del
Consiglio dei ministri.
6.- Nel giudizio da ultimo richiamato si e' costituito anche il
medico convenuto nel processo principale, svolgendo argomentazioni
sostanzialmente coincidenti con quelle del rimettente, chiedendo
l'accoglimento delle sollevate questioni di legittimita'
costituzionale.
7.- Nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Catania si
sono costituiti i ricorrenti nel giudizio principale, chiedendo,
anche nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza pubblica,
che le sollevate questioni di legittimita' costituzionale siano
accolte.
Le parti premettono che costituiscono una coppia infertile, ai
sensi della legge n. 40 del 2004, poiche' il coniuge femmina e' stata
colpita da sterilita' assoluta causata da menopausa precoce e le
molteplici cure alle quali si e' sottoposta (analiticamente indicate)
si sono rivelate inutili e, da ultimo, il medico responsabile
dell'UMR li ha informati del fatto che potrebbero avere un figlio
esclusivamente facendo ricorso alla donazione di ovuli esterni alla
coppia che, pero', e' vietata dalla legge n. 40 del 2004.
Nel merito, in riferimento ai parametri evocati dal rimettente,
le parti deducono argomentazioni in larga misura coincidenti con
quelle svolte dai ricorrenti costituitisi nel giudizio promosso dal
Tribunale ordinario di Milano, in relazione ai corrispondenti
parametri da questo ritenuto lesi, sopra sintetizzate.
8.- In quest'ultimo giudizio si e' costituita, altresi', la
societa' cooperativa UMR-Unita' di Medicina della Riproduzione, parte
nel processo principale, deducendo, anche nella memoria depositata in
prossimita' dell'udienza pubblica, la fondatezza delle censure
proposte dal rimettente. In particolare, svolge argomenti
sostanzialmente analoghi a quelli addotti dai ricorrenti negli atti
di costituzione sopra richiamati, allo scopo di dimostrare che,
qualora le questioni di legittimita' costituzionale siano accolte,
non sussisterebbe nessun vuoto normativo, cio' anche alla luce della
legge 8 novembre 2012, n. 189 (Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante
disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un
piu' alto livello di tutela della salute) e del parere espresso in
data 30 marzo 2012 dalla Societa' italiana di fertilita' e sterilita'
e medicina della riproduzione in merito alla donazione dei gameti,
che ha posto in luce i rischi correlati al permanere del divieto in
esame.
Nella memoria, la parte approfondisce l'iter dei lavori
parlamentari della legge n. 40 del 2004, allo scopo di evidenziare
come nel corso degli stessi sia stata gia' segnalata la
contraddizione insita nella circostanza che e' stato regolamentato lo
status del nato dalla fecondazione eterologa, ma la stessa e' stata
poi vietata. Quest'ultima pratica terapeutica costituirebbe
espressione di una concezione solidaristica, fondata sul concetto di
«dono» e cioe' di atto volontario e gratuito caratterizzato da
istanze di solidarieta' e in tali termini e' accolta in Francia, in
cui e' ammessa solo per le coppie e nel caso di vano esperimento
della PMA omologa, e nel Regno Unito.
9.- In tutti e tre i giudizi davanti alla Corte e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, negli atti di
costituzione e nelle memorie depositate in prossimita' dell'udienza
pubblica, di contenuto in larga misura coincidente, che le questioni
di legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili e,
comunque, infondate.
9.1.- Secondo l'interveniente, le questioni sarebbero
inammissibili, poiche' i rimettenti non avrebbero adempiuto l'onere,
derivante dall'ordinanza di questa Corte n. 150 del 2012, di
riesaminare le questioni alla luce della giurisprudenza europea.
Inoltre, il Tribunale ordinario di Milano avrebbe inesattamente
interpretato la sentenza della Grande Camera della Corte di
Strasburgo 3 novembre 2011, S.H. e altri contro Austria, diffusamente
approfondita, allo scopo di dimostrare che la stessa ha escluso che
il divieto di praticare la PMA di tipo eterologo violi gli artt. 8 e
14 della CEDU, anche in considerazione dell'ampio margine di
discrezionalita' di cui godono gli Stati nel disciplinare la materia
in esame.
A suo avviso, le questioni sarebbero inammissibili anche perche'
il loro eventuale accoglimento determinerebbe un vuoto normativo (in
relazione alla tutela di tutte le parti coinvolte dalla PMA
eterologa, al numero delle donazioni possibili, al diritto a
conoscere il genitore genetico, al diritto di accesso alla
fecondazione eterologa), che puo' essere colmato esclusivamente dal
legislatore ordinario, al quale sono riservate le relative scelte.
Nel merito, secondo l'interveniente, le censure riferite agli
artt. 2 e 29 Cost. sarebbero state proposte mediante un percorso
argomentativo che «procede per assiomi e/o postulati» e non considera
la preoccupazione del legislatore per i rischi derivanti dalla
mancanza di un rapporto biologico tra figlio e genitore ed il
ragionevole scopo di tutelare il diritto all'identita' biologica del
nascituro. Il legislatore avrebbe scelto, non irragionevolmente, di
favorire il concepimento all'interno della coppia, in coerenza con la
ratio legis, che sarebbe quella di tutelare il diritto all'identita'
biologica del nascituro, considerato quale bene giuridico preminente.
La diversita' delle situazioni poste in comparazione
escluderebbe, poi, la denunciata violazione dell'art. 3 Cost.,
essendo riconducibile la scelta di «tutela esclusiva della
genitorialita' biologica» alla discrezionalita' spettante al
legislatore ordinario.
10.- Nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Catania e'
intervenuta l'Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti, che
non e' parte nel processo principale, la quale ha diffusamente
approfondito la questione dell'ammissibilita' dell'intervento,
richiamando alcune pronunce che, in qualche caso, hanno ritenuto di
estendere il contraddittorio a soggetti non costituiti nel giudizio a
quo, benche' abbia dato atto che questa Corte e' orientata nel negare
che coloro i quali non hanno nessun legame specifico con la questione
possano intervenire nel giudizio di costituzionalita'. A suo avviso,
la circostanza che essa, per statuto, si propone di analizzare gli
sviluppi della societa' dal punto di vista giuridico, socio-economico
e culturale, per individuare l'insieme dei diritti da proteggere e
potenziare, comporterebbe che l'oggetto delle questioni sia
riconducibile nell'ambito delle attivita' svolte, con conseguente
ammissibilita' dell'intervento. Nel merito, l'Associazione svolge
argomentazioni a conforto della fondatezza delle censure proposte dal
rimettente.
11.- In quest'ultimo giudizio sono altresi' intervenute, con un
unico atto, l'Associazione Luca Coscioni, per la liberta' di ricerca
scientifica, l'Associazione Amica Cicogna Onlus, l'Associazione cerco
un bimbo e l'Associazione Liberi di decidere, le quali, anche nella
memoria depositata in prossimita' dell'udienza pubblica, hanno
premesso di essere state ammesse nel giudizio promosso dal Tribunale
ordinario di Firenze sopra richiamato, e deducono che «per
intervenuta separazione personale dei coniugi [...] non hanno
depositato costituzione nel procedimento originato dall'ordinanza di
rimessione pronunciata da detto giudice».
A loro avviso, in considerazione degli scopi statutari e
dell'attivita' svolta, sarebbero titolari di un interesse
qualificato, direttamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in
giudizio e chiedono, quindi, che la Corte dichiari ammissibile
l'intervento ed accolga le questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Catania.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Milano, il Tribunale ordinario di
Firenze ed il Tribunale ordinario di Catania hanno sollevato, in
riferimento agli artt. 3 Cost. (tutte e tre le ordinanze), 2, 31 e 32
Cost. (la prima e la terza ordinanza), nonche' (la prima ordinanza)
agli artt. 29 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e
14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (di
seguito: CEDU), questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4,
comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita) (tutte le ordinanze) e degli
artt. 9, commi 1 e 3, limitatamente alle parole «in violazione del
divieto di cui all'articolo 4, comma 3», e 12, comma 1, di detta
legge (la prima e la terza ordinanza).
La legge n. 40 del 2004 reca norme in materia di procreazione
medicalmente assistita (infra: PMA) e permette, «Al fine di favorire
la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o
dalla infertilita' umana», il ricorso alla PMA, alle condizioni e
secondo le modalita' previste dalla stessa (art. 1). L'art. 4, comma
3, di detta legge stabilisce che «E' vietato il ricorso a tecniche di
procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo»; l'art. 9,
concernente il «Divieto del disconoscimento della paternita' e
dell'anonimato della madre», dispone, in primo luogo, che, «Qualora
si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo
eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3,
il coniuge o il convivente il cui consenso e' ricavabile da atti
concludenti non puo' esercitare l'azione di disconoscimento della
paternita' nei casi previsti dall'articolo 235, primo comma, numeri
1) e 2), del codice civile, ne' l'impugnazione di cui all'articolo
263 dello stesso codice» (comma 1); in secondo luogo, prevede che,
«In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione
del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non
acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non
puo' far valere nei suoi confronti alcun diritto ne' essere titolare
di obblighi» (comma 3). L'art. 12, comma 1, stabilisce, infine, che
«Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di
soggetti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto
previsto dall'articolo 4, comma 3, e' punito con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro».
2.- Secondo tutti i rimettenti, il citato art. 4, comma 3, si
porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto, avendo la legge
n. 40 del 2004 lo scopo di «favorire la soluzione dei problemi
riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana»,
il divieto dallo stesso stabilito realizzerebbe un diverso
trattamento delle coppie affette da sterilita' o da infertilita',
nonostante esse versino in situazioni sostanzialmente omologhe e,
quindi, debbano avere l'eguale possibilita' di ricorrere alla tecnica
piu' utile di PMA, al fine di porre rimedio alla patologia dalla
quale sono affette.
Ad avviso del Tribunale ordinario di Milano, tutte le norme
censurate recherebbero vulnus anche agli artt. 2, 29 e 31 Cost., in
quanto - benche' il primo di detti parametri riconosca e tuteli il
diritto alla formazione della famiglia (oggetto anche del secondo
parametro) - non garantiscono alle coppie colpite da sterilita' o
infertilita' assoluta ed irreversibile il diritto fondamentale alla
piena realizzazione della vita privata familiare e di
autodeterminazione in ordine alla medesima, con pregiudizio, secondo
il Tribunale ordinario di Catania, per le coppie colpite dalla
patologia piu' grave, del diritto di formare una famiglia e costruire
liberamente la propria esistenza. Per entrambi i rimettenti, la
considerazione che il divieto in esame non tuteli l'integrita' fisica
e psichica di dette coppie e che in materia di pratica terapeutica la
regola debba essere l'autonomia e la responsabilita' del medico, il
quale, con il consenso del paziente, effettua le necessarie scelte
professionali, evidenzierebbe il contrasto delle disposizioni con gli
artt. 3 e 32 Cost.
Sotto un ulteriore profilo, secondo il Tribunale ordinario di
Catania, gli artt. 2 e 31 Cost. sarebbero lesi, poiche' la soluzione
dei problemi riproduttivi della coppia sarebbe riconducibile al
diritto fondamentale alla maternita'/paternita' e le norme censurate
avrebbero realizzato un irragionevole bilanciamento del diritto alla
salute della madre biologica e della madre genetica, del diritto
costituzionalmente protetto alla formazione della famiglia e dei
diritti del nascituro, anche in considerazione del carattere
ipotetico dell'eventuale sofferenza psicologica provocata dalla
mancata conoscenza della propria origine genetica e dell'esistenza di
un istituto quale l'adozione, che ammette le relazioni parentali
atipiche.
Il Tribunale ordinario di Milano censura, infine, le norme sopra
indicate, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione al combinato disposto degli artt. 8 e 14 della CEDU,
approfondendo gli argomenti che, a suo avviso, dimostrerebbero
l'esistenza di siffatto contrasto anche avendo riguardo alla sentenza
della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo 3
novembre 2011, S.H. e altri contro Austria.
3.- In linea preliminare, va ribadito quanto statuito con
l'ordinanza della quale e' stata data lettura in udienza, allegata al
presente provvedimento, in ordine alla disposta riunione dei giudizi
(aventi ad oggetto, in parte, le stesse norme, censurate in relazione
a parametri costituzionali per profili e con argomentazioni in larga
misura coincidenti) ed all'inammissibilita' dell'intervento nel
giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Catania
dell'Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti, nonche' di
quello, spiegato con un unico atto, dall'Associazione Luca Coscioni,
per la liberta' di ricerca scientifica, dall'Associazione Amica
Cicogna Onlus, dall'Associazione Cerco un bimbo e dall'Associazione
Liberi di decidere.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sono,
infatti, ammessi a intervenire nel giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale le sole parti del giudizio principale ed
i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente
inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle
norme oggetto di censura (per tutte, sentenze n. 134 e n. 85 del
2013). Pertanto, poiche' le suindicate associazioni non sono parti
nel processo principale e non risultano essere titolari di un
siffatto interesse qualificato, gli interventi vanno dichiarati
inammissibili. In ordine a quello spiegato dalle ultime Associazioni
sopra richiamate, va, inoltre, ribadito come la circostanza che esse
siano parti in un giudizio diverso da quello oggetto dell'ordinanza
di rimessione, nel quale e' stata sollevata analoga questione di
legittimita' costituzionale, neppure e' sufficiente a renderlo
ammissibile (ex plurimis, sentenza n. 470 del 2002; ordinanza n. 150
del 2012).
3.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale oggetto di
scrutinio costituiscono una nuova proposizione di quelle, in parte
analoghe, sollevate dai giudici a quibus nel corso dei medesimi
processi principali, decise da questa Corte con l'ordinanza n. 150
del 2012 che - dopo averle ritenute ammissibili - ha disposto la
restituzione degli atti, per un rinnovato esame delle stesse, alla
luce della sopravvenuta sentenza della Grande Camera della Corte
europea dei diritti dell'uomo 3 novembre 2011, S.H. e altri c.
Austria.
I Tribunali ordinari di Firenze e di Catania, nell'osservanza di
siffatto onere, hanno formulato una nuova e diversa prospettazione
delle stesse questioni, esplicitando gli argomenti che, a loro
avviso, dimostrano la perdurante rilevanza e la non manifesta
infondatezza esclusivamente delle censure riferite agli artt. 2, 3,
31 e 32 Cost.; non hanno, quindi, piu' proposto quelle concernenti
l'art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 8 e 14 della
CEDU. Queste ultime sono state, invece, reiterate dal Tribunale
ordinario di Milano, il quale ha, tuttavia, diffusamente motivato sul
punto ed e' palese che l'eventuale fondatezza dei relativi argomenti
concerne esclusivamente il merito delle censure. Sotto questo
profilo, non e', quindi, fondata l'eccezione con cui l'Avvocatura
generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' delle questioni,
deducendo la violazione del suindicato onere. L'ulteriore eccezione
di inammissibilita', proposta sul rilievo che l'accoglimento delle
censure determinerebbe incolmabili «vuoti normativi», sara' esaminata
in seguito, unitamente allo scrutinio nel merito delle censure.
3.2.- La questione di legittimita' costituzionale puo' poi essere
sollevata anche in sede cautelare, qualora il giudice non abbia
provveduto sulla domanda (come accaduto nei giudizi in esame), ovvero
quando abbia concesso la relativa misura, purche' tale concessione
non si risolva nel definitivo esaurimento del potere del quale egli
e' titolare in tale sede (tra le molte, ordinanze n. 3 del 2014 e n.
150 del 2012). Anche in relazione a questo profilo le questioni sono
pertanto ammissibili.
3.3.- Sull'ammissibilita' della questione sollevata dal Tribunale
ordinario di Firenze non incide, inoltre, l'omessa censura degli
artt. 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1, della legge n. 40 del 2004,
poiche' la norma della quale il rimettente deve fare immediata e
diretta applicazione nel processo principale e' soltanto il citato
art. 4, comma 3, mentre la mancata considerazione di quelle ulteriori
non influisce sulla correttezza della ricostruzione del quadro
normativo di riferimento.
Parimenti irrilevante e' che nel relativo processo principale,
secondo quanto dedotto da alcune delle associazioni intervenute nel
giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Catania, sarebbe
sopravvenuta la separazione personale dei coniugi ricorrenti.
Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla prova di
siffatta sopravvenienza, la stessa non puo' esplicare effetti sul
giudizio di legittimita' costituzionale, in quanto questo, una volta
iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice rimettente,
non e' suscettibile di essere influenzato da successive vicende di
fatto concernenti il rapporto dedotto nel processo che lo ha
occasionato, come previsto dall'art. 18 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel testo approvato il 7
ottobre 2008 (sentenze n. 274 del 2011 e n. 227 del 2010).
3.4.- Secondo i giudici a quibus, nelle fattispecie sottoposte
alla loro decisione sussistono, inoltre, i requisiti soggettivi di
cui all'art. 5 della legge n. 40 del 2004, ma i ricorrenti, allo
scopo di avere un figlio, non possono fare ricorso alla PMA di tipo
omologo, in quanto uno dei componenti della coppia e' stato colpito
da patologie produttive della sterilita' o infertilita' assolute ed
irreversibili, mentre potrebbero utilmente avvalersi di quella di
tipo eterologo.
Tutte le ordinanze di rinvio hanno, quindi, argomentato in modo
non implausibile in ordine alla rilevanza delle questioni, che, in
coerenza con il petitum formulato, sussiste esclusivamente in
riferimento alla previsione del divieto, nella parte in cui impedisce
ai soggetti che vantano i requisiti di cui all'art. 5 della legge n.
40 del 2004, di fare ricorso alla PMA di tipo eterologo, qualora sia
stata accertata l'esistenza di una patologia che sia causa
irreversibile di sterilita' o infertilita' assoluta.
Sussiste, inoltre, l'incidentalita' delle sollevate questioni. Le
censure hanno, infatti, ad oggetto norme che i rimettenti devono
applicare, quale passaggio obbligato al fine della decisione sulle
domande proposte nei processi principali, concernenti il
riconoscimento del diritto delle parti attrici ad ottenere la
condanna dei convenuti ad eseguire la prestazione richiesta, con
conseguente esistenza di un petitum distinto dalle sollevate
questioni di legittimita' costituzionale.
3.5.- Ancora in linea preliminare, occorre precisare che non
possono essere presi in considerazione, oltre i limiti fissati nelle
ordinanze di rimessione, ulteriori questioni o profili di
costituzionalita' dedotti dalle parti, tanto se siano stati eccepiti
ma non fatti propri da queste ultime, quanto se siano diretti ad
ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse
ordinanze (per tutte, sentenza n. 275 del 2013, ordinanza n. 10 del
2014).
Spetta, inoltre, a questa Corte valutare il complesso delle
eccezioni e delle questioni costituenti il thema decidendum e
stabilire, anche per economia di giudizio, l'ordine con cui
affrontarle nella sentenza, dichiarandone eventualmente assorbite
alcune, quando si e' in presenza di questioni tra loro autonome per
l'insussistenza di un nesso di pregiudizialita' (sentenze n. 278 e n.
98 del 2013, n. 293 del 2010).
4.- Nel merito, le questioni sollevate in riferimento agli artt.
2, 3, 29, 31 e 32 Cost. sono fondate nei termini di seguito
precisati.
5.- Lo scrutinio delle censure va effettuato, avendo riguardo
congiuntamente a tutti questi parametri, poiche' la procreazione
medicalmente assistita coinvolge «plurime esigenze costituzionali»
(sentenza n. 347 del 1998) e, conseguentemente, la legge n. 40 del
2004 incide su una molteplicita' di interessi di tale rango. Questi,
nel loro complesso, richiedono «un bilanciamento tra di essi che
assicuri un livello minimo di tutela legislativa» ad ognuno (sentenza
n. 45 del 2005), avendo, infatti, questa Corte gia' affermato che la
stessa «tutela dell'embrione non e' comunque assoluta, ma limitata
dalla necessita' di individuare un giusto bilanciamento con la tutela
delle esigenze di procreazione» (sentenza n. 151 del 2009).
Le questioni toccano temi eticamente sensibili, in relazione ai
quali l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio delle
contrapposte esigenze, nel rispetto della dignita' della persona
umana, appartiene «primariamente alla valutazione del legislatore»
(sentenza n. 347 del 1998), ma resta ferma la sindacabilita' della
stessa, al fine di verificare se sia stato realizzato un non
irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai quali
si ispirano. Il divieto in esame non costituisce, peraltro, il frutto
di una scelta consolidata nel tempo, in quanto e' stato introdotto
nel nostro ordinamento giuridico proprio dal censurato art. 4, comma
3. Anteriormente, l'applicazione delle tecniche di fecondazione
eterologa era, infatti, «lecita [...] ed ammessa senza limiti ne'
soggettivi ne' oggettivi» e, nell'anno 1997, era praticata da 75
centri privati (Relazione della XII Commissione permanente della
Camera dei deputati presentata il 14 luglio 1998 sulle proposte di
legge n. 414, n. 616 e n. 816, presentate nel corso della XII
legislatura). Tali centri operavano nel quadro delle circolari del
Ministro della sanita' del 1° marzo 1985 (Limiti e condizioni di
legittimita' dei servizi per l'inseminazione artificiale nell'ambito
del Servizio sanitario nazionale), del 27 aprile 1987 (Misure di
prevenzione della trasmissione del virus HIV e di altri agenti
patogeni attraverso il seme umano impiegato per fecondazione
artificiale) e del 10 aprile 1992 (Misure di prevenzione della
trasmissione dell'HIV e di altri agenti patogeni nella donazione di
liquido seminale impiegato per fecondazione assistita umana e nella
donazione d'organo, di tessuto e di midollo osseo), nonche'
dell'ordinanza dello stesso Ministero del 5 marzo 1997, recante
«Divieto di commercializzazione e di pubblicita' di gameti ed
embrioni umani» (avente efficacia temporalmente limitata, poi
prorogata per ulteriori novanta giorni da una successiva ordinanza
del 4 giugno 1997).
Il primo di tali atti vietava, infatti, esclusivamente la
possibilita' di praticare la PMA eterologa all'interno di strutture
del Servizio sanitario nazionale; il secondo aveva, invece, avuto
cura di stabilire i protocolli per l'utilizzazione del seme «per le
inseminazioni eterologhe», dettando altresi' le regole di
approntamento dello schedario delle coppie che si sottoponevano a
tale pratica e dei donatori di gameti, nonche' della tipologia di
accertamenti da svolgere su questi ultimi; il terzo aveva
ulteriormente specificato la disciplina concernente le modalita' di
raccolta, preparazione e crioconservazione del liquido seminale dei
donatori, nonche' dello screening cui doveva essere sottoposta la
donna ricevente la donazione, «al fine di tutelare l'eventuale
nascituro»; il quarto aveva, infine, vietato «ogni forma di
remunerazione, diretta o indiretta, immediata o differita, in denaro
od in qualsiasi altra forma per la cessione di gameti, embrioni o,
comunque, di materiale genetico», nonche' ogni forma di
intermediazione commerciale finalizzata a tale cessione, disponendo
l'obbligo da parte dei centri che la praticavano di comunicare taluni
dati al Ministero della sanita'.
Siffatto divieto neppure e', poi, conseguito ad obblighi
derivanti da atti internazionali, dato che, come gia' e' stato
puntualizzato da questa Corte, la sua eliminazione in nessun modo ed
in nessun punto viola i principi posti dalla Convenzione di Oviedo
del 4 aprile 1997 (che solo vieta la PMA a fini selettivi ed
eugenetici e, peraltro, e' ancora priva degli strumenti di
attuazione) e dal Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168,
sul divieto di clonazione di esseri umani, recepiti nel nostro
ordinamento con la legge di adattamento 28 marzo 2001, n. 145
(Ratifica della Convenzione di Oviedo) (sentenza n. 49 del 2005).
6.- Posta questa premessa, opportuna al fine della
contestualizzazione del divieto in esame, occorre constatare che
esso, impedendo alla coppia destinataria della legge n. 40 del 2004,
ma assolutamente sterile o infertile, di utilizzare la tecnica di PMA
eterologa, e' privo di adeguato fondamento costituzionale.
Deve anzitutto essere ribadito che la scelta di tale coppia di
diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei
figli costituisce espressione della fondamentale e generale liberta'
di autodeterminarsi, liberta' che, come questa Corte ha affermato,
sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, e' riconducibile agli
artt. 2, 3 e 31 Cost., poiche' concerne la sfera privata e familiare.
Conseguentemente, le limitazioni di tale liberta', ed in particolare
un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere
ragionevolmente e congruamente giustificate dall'impossibilita' di
tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 332 del
2000). La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la
coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera piu'
intima ed intangibile della persona umana, non puo' che essere
incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e cio'
anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo
scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perche' anch'essa
attiene a questa sfera. In tal senso va ricordato che la
giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come la legge n. 40 del
2004 sia appunto preordinata alla «tutela delle esigenze di
procreazione», da contemperare con ulteriori valori costituzionali,
senza peraltro che sia stata riconosciuta a nessuno di essi una
tutela assoluta, imponendosi un ragionevole bilanciamento tra gli
stessi (sentenza n. 151 del 2009).
Va anche osservato che la Costituzione non pone una nozione di
famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli (come e'
deducibile dalle sentenze n. 189 del 1991 e n. 123 del 1990).
Nondimeno, il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata
dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico,
e' favorevolmente considerata dall'ordinamento giuridico, in
applicazione di principi costituzionali, come dimostra la
regolamentazione dell'istituto dell'adozione. La considerazione che
quest'ultimo mira prevalentemente a garantire una famiglia ai minori
(come affermato da questa Corte sin dalla sentenza n. 11 del 1981)
rende, comunque, evidente che il dato della provenienza genetica non
costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa.
La liberta' e volontarieta' dell'atto che consente di diventare
genitori e di formare una famiglia, nel senso sopra precisato, di
sicuro non implica che la liberta' in esame possa esplicarsi senza
limiti. Tuttavia, questi limiti, anche se ispirati da considerazioni
e convincimenti di ordine etico, pur meritevoli di attenzione in un
ambito cosi' delicato, non possono consistere in un divieto assoluto,
come gia' sottolineato, a meno che lo stesso non sia l'unico mezzo
per tutelare altri interessi di rango costituzionale.
7.- La disciplina in esame incide, inoltre, sul diritto alla
salute, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, va
inteso «nel significato, proprio dell'art. 32 Cost., comprensivo
anche della salute pischica oltre che fisica» (sentenza n. 251 del
2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e «la
cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica»
(sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione corrisponde a
quella sancita dall'Organizzazione Mondiale della Sanita', secondo la
quale «Il possesso del migliore stato di sanita' possibile
costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano» (Atto di
costituzione dell'OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946).
In relazione a questo profilo, non sono dirimenti le differenze
tra PMA di tipo omologo ed eterologo, benche' soltanto la prima renda
possibile la nascita di un figlio geneticamente riconducibile ad
entrambi i componenti della coppia. Anche tenendo conto delle
diversita' che caratterizzano dette tecniche, e', infatti, certo che
l'impossibilita' di formare una famiglia con figli insieme al proprio
partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa
incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della
coppia, nell'accezione che al relativo diritto deve essere data,
secondo quanto sopra esposto.
In coerenza con questa nozione di diritto alla salute, deve
essere, quindi, ribadito che, «per giurisprudenza costante, gli atti
dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della
salute, devono ritenersi leciti» (sentenza n. 161 del 1985), sempre
che non siano lesi altri interessi costituzionali.
Nel caso di patologie produttive di una disabilita' - nozione
che, per evidenti ragioni solidaristiche, va accolta in un'ampia
accezione - la discrezionalita' spettante al legislatore ordinario
nell'individuare le misure a tutela di quanti ne sono affetti
incontra, inoltre, il limite del «rispetto di un nucleo indefettibile
di garanzie per gli interessati» (sentenze n. 80 del 2010, n. 251 del
2008). Un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in
relazione alla loro appropriatezza, non puo' nascere da valutazioni
di pura discrezionalita' politica del legislatore, ma deve tenere
conto anche degli indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle
conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite,
tramite istituzioni e organismi a cio' deputati (sentenza n. 8 del
2011), anche in riferimento all'accertamento dell'esistenza di una
lesione del diritto alla salute psichica ed alla idoneita' e
strumentalita' di una determinata tecnica a garantirne la tutela nei
termini nei quali essa si impone alla luce della nozione sopra posta.
Pertanto, va ribadito che, «in materia di pratica terapeutica, la
regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilita' del
medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte
professionali» (sentenza n. 151 del 2009), fermo restando il potere
del legislatore di intervenire in modo conforme ai precetti
costituzionali. Non si tratta di soggettivizzare la nozione di
salute, ne' di assecondare il desiderio di autocompiacimento dei
componenti di una coppia, piegando la tecnica a fini consumistici,
bensi' di tenere conto che la nozione di patologia, anche psichica,
la sua incidenza sul diritto alla salute e l'esistenza di pratiche
terapeutiche idonee a tutelarlo vanno accertate alla luce delle
valutazioni riservate alla scienza medica, ferma la necessita' di
verificare che la relativa scelta non si ponga in contrasto con
interessi di pari rango.
8.- Il censurato divieto incide, quindi, sui richiamati beni
costituzionali. Tuttavia, cio' non e' sufficiente a farlo ritenere
illegittimo, occorrendo a questo scopo accertare se l'assolutezza che
lo connota sia l'unico mezzo per garantire la tutela di altri valori
costituzionali coinvolti dalla tecnica in esame.
9.- In linea preliminare, va osservato che la PMA di tipo
eterologo mira a favorire la vita e pone problematiche riferibili
eminentemente al tempo successivo alla nascita. La considerazione che
il divieto e' stato censurato nella parte in cui impedisce il ricorso
a detta tecnica nel caso in cui sia stata accertata l'esistenza di
una patologia, che e' causa irreversibile di sterilita' o
infertilita' assolute, deve escludere, in radice, infatti,
un'eventuale utilizzazione della stessa ad illegittimi fini
eugenetici.
La tecnica in esame (che va rigorosamente circoscritta alla
donazione di gameti e tenuta distinta da ulteriori e diverse
metodiche, quali la cosiddetta «surrogazione di maternita'»,
espressamente vietata dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del
2004, con prescrizione non censurata e che in nessun modo ed in
nessun punto e' incisa dalla presente pronuncia, conservando quindi
perdurante validita' ed efficacia), alla luce delle notorie
risultanze della scienza medica, non comporta, inoltre, rischi per la
salute dei donanti e dei donatari eccedenti la normale alea insita in
qualsiasi pratica terapeutica, purche' eseguita all'interno di
strutture operanti sotto i rigorosi controlli delle autorita',
nell'osservanza dei protocolli elaborati dagli organismi
specializzati a cio' deputati.
10.- L'unico interesse che si contrappone ai predetti beni
costituzionali e', dunque, quello della persona nata dalla PMA di
tipo eterologo, che, secondo l'Avvocatura generale dello Stato,
sarebbe leso a causa sia del rischio psicologico correlato ad una
genitorialita' non naturale, sia della violazione del diritto a
conoscere la propria identita' genetica. Le censure, ad avviso
dell'interveniente, sarebbero inoltre inammissibili, come sopra
accennato, poiche' il loro eventuale accoglimento determinerebbe
incolmabili «vuoti normativi» in ordine a rilevanti profili della
disciplina applicabile, venendo in rilievo «una questione di politica
e di tecnica legislativa di competenza del conditor iuris», che
porrebbe esclusivamente «scelte di opportunita'», riconducibili alla
discrezionalita' riservata al legislatore ordinario.
Questa eccezione evidenzia l'inestricabile correlazione esistente
tra profili concernenti l'ammissibilita' ed il merito delle
questioni. Devono, per cio' stesso, essere esaminati congiuntamente.
L'eccezione di inammissibilita' non e' fondata, anche se va
escluso che l'accoglimento delle questioni possa far rivivere gli
atti amministrativi sopra richiamati, come sostenuto invece dalle
parti private. Il contenuto del divieto introdotto dal citato art. 4,
comma 3, e l'impossibilita' di qualificare detta norma (e l'intera
legge) come esclusivamente ed espressamente abrogatrice di una norma
preesistente, nonche' la natura di tali atti, rendono infatti palese
che non ricorre nessuna delle «ipotesi tipiche e molto limitate» di
reviviscenza che l'ordinamento costituzionale tollera (tra le piu'
recenti, sentenza n. 70 del 2013).
11.- Posta questa premessa, deve essere ribadito che la legge n.
40 del 2004 costituisce la «prima legislazione organica relativa ad
un delicato settore [...] che indubbiamente coinvolge una pluralita'
di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso,
postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un
livello minimo di tutela legislativa» e, quindi, sotto questo
profilo, e' «costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 45 del
2005). Nondimeno, in parte qua, essa non ha contenuto
costituzionalmente vincolato; infatti, nel dichiarare ammissibile la
richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, tra gli altri,
dell'art. 4, comma 3, e' stato sottolineato che l'eventuale
accoglimento della proposta referendaria non avrebbe fatto «venir
meno un livello minimo di tutela costituzionalmente necessario, cosi'
da sottrarsi alla possibilita' di abrogazione referendaria» (sentenza
n. 49 del 2005).
In relazione al «vuoto normativo» paventato dall'interveniente,
rinviando alle considerazioni svolte di seguito per l'identificazione
delle lacune eventualmente conseguenti all'accoglimento delle
questioni, occorre, peraltro, ricordare che questa Corte sin dalla
sentenza n. 59 del 1958 ha affermato che il proprio potere «di
dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle leggi non puo'
trovare ostacolo nella carenza legislativa che, in ordine a dati
rapporti, possa derivarne; mentre spetta alla saggezza del
legislatore [...] di eliminarla nel modo piu' sollecito ed opportuno»
e, di recente, ha ribadito che, «posta di fronte a un vulnus
costituzionale, non sanabile in via interpretativa - tanto piu' se
attinente a diritti fondamentali - la Corte e' tenuta comunque a
porvi rimedio» (sentenza n. 113 del 2011).
L'esigenza di garantire il principio di costituzionalita' rende,
infatti, imprescindibile affermare che il relativo sindacato «deve
coprire nella misura piu' ampia possibile l'ordinamento giuridico»
(sentenza n. 1 del 2014), non essendo, ovviamente, ipotizzabile
l'esistenza di ambiti sottratti allo stesso. Diversamente, si
determinerebbe, infatti, una lesione intollerabile per l'ordinamento
costituzionale complessivamente considerato, soprattutto quando
risulti accertata la violazione di una liberta' fondamentale, che non
puo' mai essere giustificata con l'eventuale inerzia del legislatore
ordinario. Una volta accertato che una norma primaria si pone in
contrasto con parametri costituzionali, questa Corte non puo',
dunque, sottrarsi al proprio potere-dovere di porvi rimedio e deve
dichiararne l'illegittimita', essendo poi «compito del legislatore
introdurre apposite disposizioni» (sentenza n. 278 del 2013), allo
scopo di eliminare le eventuali lacune che non possano essere colmate
mediante gli ordinari strumenti interpretativi dai giudici ed anche
dalla pubblica amministrazione, qualora cio' sia ammissibile.
Nella specie sono, peraltro, identificabili piu' norme che gia'
disciplinano molti dei profili di piu' pregnante rilievo, anche
perche' il legislatore, avendo consapevolezza della legittimita'
della PMA di tipo eterologo in molti paesi d'Europa, li ha
opportunamente regolamentati, dato che i cittadini italiani potevano
(e possono) recarsi in questi ultimi per fare ad essa ricorso, come
in effetti e' accaduto in un non irrilevante numero di casi.
11.1.- La ritenuta fondatezza delle censure non determina
incertezze in ordine all'identificazione dei casi nei quali e'
legittimo il ricorso alla tecnica in oggetto. L'accoglimento delle
questioni, in coerenza con il petitum formulato dai rimettenti,
comporta, infatti, l'illegittimita' del divieto in esame,
esclusivamente in riferimento al caso in cui sia stata accertata
l'esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di
sterilita' o infertilita' assolute. In particolare, secondo quanto
stabilito dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del
2004, all'evidenza direttamente riferibili anche alla PMA di tipo
eterologo, il ricorso alla stessa, una volta dichiarato illegittimo
il censurato divieto, deve ritenersi consentito solo «qualora non vi
siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere» le cause di
sterilita' o infertilita' e sia stato accertato il carattere assoluto
delle stesse, dovendo siffatte circostanze essere «documentate da
atto medico» e da questo certificate. Il ricorso a questa tecnica,
non diversamente da quella di tipo omologo, deve, inoltre, osservare
i principi di gradualita' e del consenso informato stabiliti dal
citato art. 4, comma 2.
Nessuna lacuna sussiste in ordine ai requisiti soggettivi,
poiche' la dichiarata illegittimita' del divieto non incide sulla
previsione recata dall'art. 5, comma 1, di detta legge, che risulta
ovviamente applicabile alla PMA di tipo eterologo (come gia' a quella
di tipo omologo); quindi, alla stessa possono fare ricorso
esclusivamente le «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate
o conviventi, in eta' potenzialmente fertile, entrambi viventi». Ad
analoga conclusione deve pervenirsi quanto alla disciplina del
consenso, dato che la completa regolamentazione stabilita dall'art. 6
della legge n. 40 del 2004 - una volta venuto meno, nei limiti sopra
precisati, il censurato divieto - riguarda evidentemente anche la
tecnica in esame, in quanto costituisce una particolare metodica di
PMA. E', inoltre, parimenti chiaro che l'art. 7 della legge n. 40 del
2004, il quale offre base giuridica alle Linee guida emanate dal
Ministro della salute, «contenenti l'indicazione delle procedure e
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita», avendo ad
oggetto le direttive che devono essere emanate per l'esecuzione della
disciplina e concernendo il genus PMA, di cui quella di tipo
eterologo costituisce una species, e', all'evidenza, riferibile anche
a questa, come lo sono altresi' gli artt. 10 ed 11, in tema di
individuazione delle strutture autorizzate a praticare la
procreazione medicalmente assistita e di documentazione dei relativi
interventi.
Siffatta considerazione permette, poi, di ritenere che le norme
di divieto e sanzione non censurate (le quali conservano validita' ed
efficacia), preordinate a garantire l'osservanza delle disposizioni
in materia di requisiti soggettivi, modalita' di espressione del
consenso e documentazione medica necessaria ai fini della diagnosi
della patologia e della praticabilita' della tecnica, nonche' a
garantire il rispetto delle prescrizioni concernenti le modalita' di
svolgimento della PMA ed a vietare la commercializzazione di gameti
ed embrioni e la surrogazione di maternita' (art. 12, commi da 2 a
10, della legge n. 40 del 2004) sono applicabili direttamente (e non
in via d'interpretazione estensiva) a quella di tipo eterologo, cosi'
come lo sono le ulteriori norme, nelle parti non incise da pronunce
di questa Corte.
I profili sui quali si e' soffermato l'interveniente, concernenti
lo stato giuridico del nato ed i rapporti con i genitori, sono,
inoltre, anch'essi regolamentati dalle pertinenti norme della legge
n. 40 del 2004, applicabili anche al nato da PMA di tipo eterologo in
forza degli ordinari canoni ermeneutici. La constatazione che l'art.
8, comma 1, di detta legge contiene un ampio riferimento ai «nati a
seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita», in considerazione della genericita' di quest'ultima
locuzione e dell'essere la PMA di tipo eterologo una species del
genus, come sopra precisato, rende, infatti, chiaro che, in virtu' di
tale norma, anche i nati da quest'ultima tecnica «hanno lo stato di
figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha
espresso la volonta' di ricorrere alle tecniche medesime». Della
nuova concezione della paternita' il legislatore ordinario si e',
peraltro, di recente dimostrato consapevole, modificando l'art. 231
del codice civile, il quale, nel testo novellato dall'art. 8 del
decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo
2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), stabilisce,
significativamente, che «Il marito e' padre del figlio concepito o
nato durante il matrimonio», risultando cosi' sostituita l'originaria
formulazione della norma, la quale disponeva, invece, che «Il marito
e' padre del figlio concepito durante il matrimonio».
Una volta espunte dai commi 1 e 3 dell'art. 9 della legge n. 40
del 2004, a seguito dell'accoglimento delle sollevate questioni, le
parole «in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3»
risulta, infine, confermata sia l'inammissibilita' dell'azione di
disconoscimento della paternita' (il richiamo dell'art. 235 cod. civ.
a seguito delle modifiche realizzate dagli artt. 17 e 106 del d.lgs.
n. 154 del 2013 deve ritenersi ora riferito all'art. 243-bis cod.
civ.) e dell'impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo novellato
dall'art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita da PMA
di tipo eterologo non da' luogo all'istituzione di relazioni
giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il nato, essendo,
quindi, regolamentati i principali profili dello stato giuridico di
quest'ultimo.
12.- Dalle norme vigenti e', dunque, gia' desumibile una
regolamentazione della PMA di tipo eterologo che, in relazione ai
profili ulteriori rispetto a quelli sopra approfonditi, e'
ricavabile, mediante gli ordinari strumenti interpretativi, dalla
disciplina concernente, in linea generale, la donazione di tessuti e
cellule umani, in quanto espressiva di principi generali pur nelle
diversita' delle fattispecie (in ordine, esemplificativamente, alla
gratuita' e volontarieta' della donazione, alle modalita' del
consenso, all'anonimato del donatore, alle esigenze di tutela sotto
il profilo sanitario, oggetto degli artt. 12, 13, comma 1, 14 e 15
del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, recante «Attuazione
della direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualita'
e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo,
la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di
tessuti e cellule umane»). In relazione al numero delle donazioni e',
poi, possibile un aggiornamento delle Linee guida, eventualmente
anche alla luce delle discipline stabilite in altri Paesi europei
(quali, ad esempio, la Francia e il Regno Unito), ma tenendo conto
dell'esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto.
La questione del diritto all'identita' genetica, nonostante le
peculiarita' che la connotano in relazione alla fattispecie in esame,
neppure e' nuova. Essa si e' posta, infatti, in riferimento
all'istituto dell'adozione e sulla stessa e' di recente intervenuto
il legislatore, che ha disciplinato l'an ed il quomodo del diritto
dei genitori adottivi all'accesso alle informazioni concernenti
l'identita' dei genitori biologici dell'adottato (art. 28, comma 4,
della legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una
famiglia», nel testo modificato dall'art. 100, comma 1, lettera p,
del d.lgs. n. 154 del 2013). Inoltre, in tale ambito era stato gia'
infranto il dogma della segretezza dell'identita' dei genitori
biologici quale garanzia insuperabile della coesione della famiglia
adottiva, nella consapevolezza dell'esigenza di una valutazione
dialettica dei relativi rapporti (art. 28, comma 5, della legge n.
184 del 1983). Siffatta esigenza e' stata confermata da questa Corte
la quale, nello scrutinare la norma che vietava l'accesso alle
informazioni nei confronti della madre che abbia dichiarato alla
nascita di non volere essere nominata, ha affermato che
l'irreversibilita' del segreto arrecava un insanabile vulnus agli
artt. 2 e 3 Cost. e l'ha, quindi, rimossa, giudicando inammissibile
il suo mantenimento ed invitando il legislatore ad introdurre
apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante
attualita' della scelta compiuta dalla madre naturale e, nello stesso
tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all'anonimato
(sentenza n. 278 del 2013).
13.- Il censurato divieto, nella sua assolutezza, e' pertanto il
risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco,
in violazione anche del canone di razionalita' dell'ordinamento, non
giustificabile neppure richiamando l'esigenza di intervenire con
norme primarie o secondarie per stabilire alcuni profili della
disciplina della PMA di tipo eterologo.
A tal proposito, va ricordato che la giurisprudenza
costituzionale «ha desunto dall'art. 3 Cost. un canone di
"razionalita'" della legge svincolato da una normativa di raffronto,
rintracciato nell'"esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori
di giustizia e di equita'" [...] ed a criteri di coerenza logica,
teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro
l'eventuale manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze
della stessa» (sentenza n. 87 del 2012). Lo scrutinio di
ragionevolezza, in ambiti connotati da un'ampia discrezionalita'
legislativa, impone, inoltre, a questa Corte di verificare che il
bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia
stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la
compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto
incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve
svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei
mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile
discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o
alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze
e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del
1988). A questo scopo puo' essere utilizzato il test di
proporzionalita', insieme con quello di ragionevolezza, che «richiede
di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le
modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra
piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014).
In applicazione di tali principi, alla luce del dichiarato scopo
della legge n. 40 del 2004 «di favorire la soluzione dei problemi
riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana»
(art. 1, comma 1), la preclusione assoluta di accesso alla PMA di
tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalita',
poiche' la negazione assoluta del diritto a realizzare la
genitorialita', alla formazione della famiglia con figli, con
incidenza sul diritto alla salute, nei termini sopra esposti, e'
stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie piu' gravi,
in contrasto con la ratio legis. Non rileva che le situazioni in
comparazione non sono completamente assimilabili, sia perche' cio' e'
ininfluente in relazione al canone di razionalita' della norma, sia
perche' «il principio di cui all'art. 3 Cost. e' violato non solo
quando i trattamenti messi a confronto sono formalmente
contraddittori in ragione dell'identita' delle fattispecie, ma anche
quando la differenza di trattamento e' irrazionale secondo le regole
del discorso pratico, in quanto le rispettive fattispecie, pur
diverse, sono ragionevolmente analoghe» (sentenza n. 1009 del 1988),
come appunto nel caso in esame.
Il divieto in esame cagiona, in definitiva, una lesione della
liberta' fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del
2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua
assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato, le
quali, in virtu' di quanto sopra rilevato in ordine ad alcuni dei
piu' importanti profili della situazione giuridica dello stesso, gia'
desumibile dalle norme vigenti, devono ritenersi congruamente
garantite.
La regolamentazione degli effetti della PMA di tipo eterologo
praticata al di fuori del nostro Paese, benche' sia correttamente
ispirata allo scopo di offrire la dovuta tutela al nato, pone,
infine, in evidenza un ulteriore elemento di irrazionalita' della
censurata disciplina. Questa realizza, infatti, un ingiustificato,
diverso trattamento delle coppie affette dalla piu' grave patologia,
in base alla capacita' economica delle stesse, che assurge
intollerabilmente a requisito dell'esercizio di un diritto
fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie
necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri
Paesi. Ed e' questo non un mero inconveniente di fatto, bensi' il
diretto effetto delle disposizioni in esame, conseguente ad un
bilanciamento degli interessi manifestamente irragionevole. In
definitiva, le norme censurate, pur nell'obiettivo di assicurare
tutela ad un valore di rango costituzionale, stabiliscono una
disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile
degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, giungendo
a realizzare una palese ed irreversibile lesione di alcuni di essi,
in violazione dei parametri costituzionali sopra richiamati.
Deve essere quindi dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui
stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata
diagnosticata una patologia che sia causa di sterilita' o
infertilita' assolute ed irreversibili, nonche' dell'art. 9, commi 1
e 3, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui
all'articolo 4, comma 3», e dell'art. 12, comma 1, di detta legge.
14.- Restano assorbiti i motivi di censura formulati in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.
8 e 14 della CEDU.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3,
della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita), nella parte in cui stabilisce per la coppia
di cui all'art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del
ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo
eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia
causa di sterilita' o infertilita' assolute ed irreversibili;
2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1,
della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in violazione
del divieto di cui all'articolo 4, comma 3»;
3) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 3,
della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in violazione
del divieto di cui all'articolo 4, comma 3»;
4) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma
1, della legge n. 40 del 2004, nei limiti di cui in motivazione.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
Allegato:
ordinanza letta all'udienza dell'8 aprile 2014
ORDINANZA
Rilevato che i giudizi hanno ad oggetto, in parte, le stesse
norme, censurate in relazione a parametri costituzionali, per profili
e con argomentazioni in larga misura coincidenti che, quindi, vanno
riuniti per essere decisi con una stessa pronuncia;
che nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Catania
(reg. ord. n. 240 del 2013) sono intervenute:
a) l'Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti, la quale
non e' parte nel processo principale, deducendo di essere titolare di
un interesse specifico, connesso alle sollevate questioni di
legittimita' costituzionale, in quanto «per statuto, si propone di
analizzare gli sviluppi della societa' dal punto di vista giuridico,
socio-economico e culturale per individuare l'insieme dei diritti da
proteggere, potenziare e conquistare», con la conseguenza che,
rientrando l'oggetto di dette questioni nell'ambito dell'attivita' e
degli interessi da essa perseguiti, sarebbe legittimata ad
intervenire nel giudizio di costituzionalita';
b) l'Associazione Luca Coscioni, per la liberta' di ricerca
scientifica, l'Associazione Amica Cicogna Onlus, l'Associazione Cerco
un bimbo e l'Associazione Liberi di decidere (intervenute con un
unico atto), le quali, premesso di avere spiegato intervento
(ritenuto ammissibile) nel processo principale in corso davanti al
Tribunale ordinario di Firenze, in cui e' stata sollevata questione
di legittimita' costituzionale con l'ordinanza iscritta al n. 213 del
reg. ord. 2013, deducono che, «per intervenuta separazione personale
dei coniugi [...] non hanno depositato costituzione nel procedimento»
promosso da detta ordinanza e, tuttavia, sostengono che, «per le
funzioni che svolgono nell'ambito di cui trattasi, rappresentando i
diritti di pazienti, studiosi e cittadini, si configurano come
soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente
inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio», anche perche'
la seconda di dette associazioni risulterebbe «essere osservatorio
privilegiato sul mondo della fecondazione medicalmente assistita»,
sicche' sarebbero legittimate ad intervenire nel diverso giudizio
promosso dal Tribunale ordinario di Catania originato dall'ordinanza
di rimessione pronunciata da detto giudice;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sono
ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale le sole parti del giudizio principale ed i terzi
portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura (per tutte, sentenze n. 134 e n. 85 del 2013), mentre la
circostanza che un soggetto sia parte in un giudizio diverso da
quello oggetto dell'ordinanza di rimessione, nel quale sia stata
sollevata analoga questione di legittimita' costituzionale, neppure
e' sufficiente a rendere ammissibile l'intervento (ex plurimis,
sentenza n. 470 del 2002; ordinanza n. 150 del 2012);
che, alla luce di detti principi, poiche' le suindicate
associazioni non sono parti nel giudizio principale nel cui corso il
Tribunale ordinario di Catania ha sollevato le questioni di
legittimita' costituzionale oggetto dell'ordinanza iscritta al n. 240
del reg. ord. 2013, ne' risultano essere titolari di un interesse
qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto
sostanziale dedotto in giudizio, gli interventi dalle stesse proposti
vanno dichiarati inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili gli interventi dell'Associazione
Vox-Osservatorio italiano sui diritti, dell'Associazione Luca
Coscioni, per la liberta' di ricerca scientifica, dell'Associazione
Amica Cicogna Onlus, dell'Associazione Cerco un bimbo e
dell'Associazione Liberi di decidere, nel giudizio introdotto dal
Tribunale ordinario di Catania, con l'ordinanza iscritta al n. 240
del reg. ord. 2013.
F.to: Gaetano Silvestri, Presidente
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