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domenica 22 giugno 2014

N. 162 SENTENZA 9 aprile - 10 giugno 2014 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procreazione medicalmente assistita - Divieto di ricorrere alla fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), artt. 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1. - (GU n.26 del 18-6-2014 )



N. 162 SENTENZA 9 aprile - 10 giugno 2014
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procreazione medicalmente  assistita  -  Divieto  di  ricorrere  alla
  fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme  in  materia  di  procreazione
  medicalmente assistita), artt. 4, comma 3, 9, commi 1 e  3,  e  12,
  comma 1. 
-   
(GU n.26 del 18-6-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  4,  comma
3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40
(Norme in materia di procreazione medicalmente  assistita),  promossi
dal Tribunale ordinario di Milano con ordinanza dell'8  aprile  2013,
dal Tribunale ordinario di Firenze con ordinanza del 29 marzo 2013  e
dal Tribunale ordinario di Catania con ordinanza del 13 aprile  2013,
rispettivamente iscritte ai nn. 135, 213 e 240 del registro ordinanze
2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  24,
41 e 46, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di costituzione di  P.E.  ed  altro,  di  C.P.  ed
altro, di V.A. e della societa' cooperativa  UMR-Unita'  di  Medicina
della Riproduzione, nonche' gli atti di intervento della Associazione
Luca Coscioni per la liberta' di ricerca scientifica ed altri,  della
Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti e  del  Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  aprile  2014  il   Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    uditi  gli  avvocati  Filomena  Gallo  e   Gianni   Baldini   per
l'Associazione Luca Coscioni per la liberta' di  ricerca  scientifica
ed altri, Marilisa D'Amico, Maria Paola Costantini  e  Massimo  Clara
per P.E. ed altro,  per  C.P.  ed  altro  e  per  V.A.,  Maria  Paola
Costantini e Massimo Clara per la societa' cooperativa UMR-Unita'  di
Medicina  della  Riproduzione  e  l'avvocato  dello  Stato  Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Milano, il Tribunale  ordinario  di
Firenze ed il Tribunale ordinario di Catania,  con  ordinanze  dell'8
aprile, del 29 marzo e  del  13  aprile  2013,  hanno  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 Cost. (tutte le ordinanze), 2, 31 e 32 Cost.
(la prima e la terza ordinanza), nonche' (la  prima  ordinanza)  agli
artt. 29 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.  8  e  14
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora in avanti:
CEDU), questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3,
della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita) (tutte le ordinanze) e degli artt. 9, commi 1
e 3, limitatamente alle parole «in  violazione  del  divieto  di  cui
all'articolo 4, comma 3», e 12, comma 1, di detta legge (la  prima  e
la terza ordinanza). 
    2.- Il Tribunale ordinario di Milano premette  che  nel  giudizio
principale due coniugi hanno proposto reclamo ex  art.  669-terdecies
del codice di procedura civile chiedendo, in  riforma  dell'ordinanza
pronunciata dal giudice di prima istanza, che  sia  ordinato  in  via
d'urgenza ad un  medico  chirurgo  al  quale  si  erano  rivolti,  di
eseguire in loro favore,  secondo  le  metodiche  della  procreazione
medicalmente assistita (di seguito:  PMA)  la  fecondazione  di  tipo
eterologo,  mediante  donazione   di   gamete   maschile,   a   causa
dell'infertilita' assoluta, dovuta ad azoospermia  completa,  da  cui
risulta affetto il coniuge maschio. 
    Il rimettente deduce che, con ordinanza del 2 febbraio  2011,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale delle norme  sopra
indicate, in riferimento a  molteplici  parametri  costituzionali,  e
questa  Corte,  con  ordinanza  n.  150  del  2012,  ha  ordinato  la
restituzione degli atti, per un rinnovato  esame  dei  termini  delle
stesse, in considerazione della sopravvenuta  sentenza  della  Grande
Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo del 3 novembre 2011,
S.H. e altri contro Austria. 
    2.1.- Il giudice a quo svolge ampie argomentazioni per  sostenere
che quest'ultima sentenza permetterebbe di ritenere che il divieto in
esame si pone in contrasto con gli artt. 8 e 14  della  CEDU.  A  suo
avviso, «devono, dunque, essere integralmente riproposti  i  principi
illustrati e le argomentazioni dispiegate a sostegno della  questione
di  legittimita'  costituzionale  gia'  sollevata»,  in   riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt.  8  e  14
della CEDU. 
    2.2.-  Secondo  il  rimettente,  il  quale   implicitamente,   ma
chiaramente, deduce la sussistenza dei requisiti di  cui  all'art.  5
della legge n. 40 del 2004, le disposizioni censurate si  porrebbero,
altresi', in contrasto con gli  artt.  2,  29  e  31  Cost.,  poiche'
violerebbero il diritto fondamentale alla piena  realizzazione  della
vita privata familiare ed  il  diritto  di  autodeterminazione  delle
coppie colpite da sterilita' o infertilita' irreversibile.  L'art.  2
Cost. garantisce, infatti, anche il diritto alla  formazione  di  una
famiglia, riconosciuto dall'art. 29 Cost., mentre il successivo  art.
30, stabilendo la  giusta  e  doverosa  tutela  dei  figli,  reca  un
«passaggio che presuppone - riconoscendolo - e  tutela  la  finalita'
procreativa del matrimonio». I concetti di famiglia e  genitorialita'
dovrebbero    essere,    inoltre,    identificati    tenendo    conto
dell'evoluzione dell'ordinamento e del principio in virtu' del  quale
«la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia  nemica
delle persone e dei loro diritti» (sentenza n. 494 del 2002). 
    Il concepimento  mediante  pratiche  di  PMA  non  violerebbe  il
diritto del concepito al riconoscimento formale e sostanziale  di  un
proprio  status  filiationis,  «elemento  costitutivo  dell'identita'
personale», congruamente  tutelato  anche  in  caso  di  fecondazione
eterologa, in considerazione dell'assunzione dei pertinenti  obblighi
da parte dei genitori biologici e non genetici.  La  citata  sentenza
della Grande Camera  della  Corte  di  Strasburgo  avrebbe,  inoltre,
confermato la riconducibilita' del diritto in esame all'art. 8  della
CEDU   e,   in   definitiva,   il   diritto   di   identita'   e   di
autodeterminazione della coppia in ordine alla propria genitorialita'
sarebbe leso dal divieto di accesso ad un certo tipo di  fecondazione
anche quando, come nella specie, essa sia indispensabile. 
    2.3.- Le norme in esame violerebbero  anche  gli  artt.  3  e  31
Cost., dato che i principi di non  discriminazione  e  ragionevolezza
rendono ammissibile la fissazione di determinati limiti  ai  diritti,
ma vietano di stabilire una diversita' di trattamento  di  situazioni
identiche o omologhe, in difetto di ragionevoli giustificazioni. 
    La formazione di una famiglia, che include  la  scelta  di  avere
figli,  costituirebbe   un   diritto   fondamentale   della   coppia,
rispondente ad un interesse pubblico riconosciuto  e  tutelato  dagli
art. 2, 29 e 31 Cost. Obiettivo della legge n. 40  del  2004  sarebbe
«quello di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi  derivanti
dalla sterilita' o dall'infertilita' della coppia mediante il ricorso
alla procreazione medicalmente assistita». In considerazione di  tale
finalita',  il  divieto  stabilito  dal  citato  art.  4,  comma   3,
recherebbe vulnus  a  detti  parametri,  perche'  discriminatorio  ed
irragionevole, in quanto per esso  sono  «trattate  in  modo  opposto
coppie con limiti di procreazione, risultando differenziate  solo  in
virtu' del tipo  di  patologia  che  affligge  l'uno  o  l'altro  dei
componenti  della  coppia».   Nonostante   sussistano   elementi   di
diversita' tra fecondazione omologa ed eterologa, «l'esame  comparato
delle  due  situazioni  evidenzia  comunque  nel  confronto  tra   le
condizioni  delle  due  categorie  di  coppie  infertili   una   loro
sostanziale sovrapponibilita', pur in assenza di coincidenza di tutti
gli  elementi  di  fatto».  In  particolare,   «all'identico   limite
(infertilita' e  sterilita'  di  coppia)  dovrebbe  corrispondere  la
comune   possibilita'   di    accedere    alla    migliore    tecnica
medico-scientifica utile per superare il problema, da individuarsi in
relazione alla causa patologica  accertata».  L'elemento  non  comune
(costituito  dalla  specificita'   della   patologia)   non   sarebbe
sufficiente ad escludere l'eguaglianza  delle  situazioni,  sotto  il
profilo giuridico, e sarebbe palese la  «natura  discriminatoria  del
divieto  totale   di   fecondazione   eterologa   [...],   [che   non
costituirebbe] l'unico mezzo, e  nemmeno  il  piu'  ragionevole,  per
rispondere  alla  tutela  dei  concorrenti  diritti,   potenzialmente
confliggenti con il  riconoscimento  del  diritto  di  accedere  alle
pratiche di PMA eterologa». 
    Secondo il giudice a quo, nel nostro ordinamento vi sono istituti
che,  ammettendo  «la  frattura   tra   genitorialita'   genetica   e
genitorialita'  legittima,  quali  l'adozione»,  conforterebbero   la
legittimita' di rapporti parentali che prescindono da  una  relazione
biologica genitoriale. 
    2.4.- Le norme censurate violerebbero, inoltre, gli artt. 3 e  32
Cost., poiche' il divieto dalle stesse posto «rischia di non tutelare
l'integrita' fisica e psichica  delle  coppie  in  cui  uno  dei  due
componenti non presenta gameti idonei a concepire  un  embrione».  Ad
avviso del rimettente, le  tecniche  di  PMA  costituirebbero  rimedi
terapeutici «sia in relazione ai beni che ne risultano implicati, sia
perche' consistono in  un  trattamento  da  eseguirsi  sotto  diretto
controllo  medico,  finalizzato  a  superare  una  causa   patologica
comportante un difetto di funzionalita' dell'apparato riproduttivo di
uno  dei  coniugi  (o  conviventi)  che  impedisce  la  procreazione,
rimuovendo, nel contempo, le sofferenze  psicologiche  connesse  alla
difficolta' di realizzazione della scelta  genitoriale».  La  scienza
medica consente, poi, di eseguire tecniche di fecondazione in vivo  e
in vitro di tipo eterologo, con utilizzo di gameti sia maschili,  sia
femminili, provenienti da un donatore  terzo  rispetto  alla  coppia.
Vertendosi in materia di pratica terapeutica, «la  regola  di  fondo»
dovrebbe essere «l'autonomia e la responsabilita' del medico che, con
il consenso del paziente, opera le necessarie  scelte  professionali»
(sentenza  n.  151  del  2009),  mentre  le  disposizioni  in   esame
vieterebbero, non ragionevolmente, l'espansione della genitorialita',
in presenza di cause ostative superabili  sulla  scorta  delle  nuove
metodiche mediche. 
    3.- Il Tribunale ordinario di Firenze  espone  che  nel  giudizio
principale, introdotto con ricorso ai sensi dell'art. 700 cod.  proc.
civ., una coppia di coniugi ha chiesto che sia accertato  il  diritto
di essi istanti  a:  a)  ricorrere  alle  metodiche  di  procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo; b) utilizzare il  materiale
genetico di  terzo  donatore  anonimo  acquisito  direttamente  dalla
coppia  ovvero  dal  centro  secondo  quanto  previsto  dai   decreti
legislativi 6 novembre  2007,  n.  191  (Attuazione  della  direttiva
2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualita' e  di  sicurezza
per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione,
la conservazione, lo stoccaggio  e  la  distribuzione  di  tessuti  e
cellule umani), e 25 gennaio 2010, n. 16 (Attuazione delle  direttive
2006/17/CE e 2006/86/CE, che  attuano  la  direttiva  2004/23/CE  per
quanto  riguarda  le  prescrizioni   tecniche   per   la   donazione,
l'approvvigionamento e il  controllo  di  tessuti  e  cellule  umani,
nonche'  per   quanto   riguarda   le   prescrizioni   in   tema   di
rintracciabilita', la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi  e
determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la
conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e  cellule
umani), «per la  fecondazione  degli  ovociti  della  sig.ra  B.».  I
ricorrenti hanno dedotto di essere sposati dal 2004 e di  non  essere
riusciti a concepire un  figlio  per  vie  naturali,  a  causa  della
assoluta sterilita' del marito, provata dalla  documentazione  medica
prodotta, e di avere vanamente tentato all'estero, per tre  anni,  la
fecondazione  eterologa,  sia  in  vivo  sia  in  vitro,  affrontando
notevoli sacrifici  economici  ed  un  elevato  stress  psico-fisico,
provocato dall'invasivita' dei relativi trattamenti. 
    Il rimettente deduce che, con ordinanza del 6 settembre 2010,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale del citato art. 4,
comma 3, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo  comma,  Cost.,  in
relazione al combinato disposto degli artt. 8  e  14  della  CEDU,  e
questa  Corte,  con  ordinanza  n.  150  del  2012,  ha  disposto  la
restituzione degli atti. 
    3.1.- Posta questa premessa, il giudice a quo puntualizza  che  i
ricorrenti versano nella condizione prevista dagli artt. 1, comma  2,
e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004,  in  virtu'  dei  quali  il
ricorso alla PMA e' consentito «qualora non  vi  siano  altri  metodi
terapeutici  efficaci  per  rimuovere  le  cause  di   sterilita'   o
infertilita'»  e  sia  «accertata   l'impossibilita'   di   rimuovere
altrimenti le cause impeditive  della  procreazione  ed  e'  comunque
circoscritto ai casi  di  sterilita'  o  di  infertilita'  inspiegate
documentate da atto  medico  nonche'  ai  casi  di  sterilita'  o  di
infertilita' da causa accertata e certificata da atto medico».  Nella
specie, dalla documentazione prodotta risulta che il coniuge  maschio
e' affetto da «azoospermia con assenza di cellule spermatogeniche» ed
«azoospermia   non    ostruttiva    in    ipogonadismo-ipogonadotropo
(azoospermia non ostruttiva  secretoria  pre-testicolare)»,  anche  a
seguito dei  trattamenti  con  gonadotropine  e  terapia  androgenica
sostitutiva, risultando effettuati senza successo alcuni tentativi di
PMA di tipo omologo. Pertanto,  sussisterebbe,  come  previsto  dalla
legge n. 40  del  2004,  l'impossibilita'  di  rimuovere  le  ragioni
impeditive della procreazione ed un'ipotesi di  sterilita'  da  causa
accertata, con la conseguenza che l'unica tecnica  di  PMA  possibile
sarebbe quella di tipo eterologo, vietata dalla  norma  censurata.  I
ricorrenti vantano, inoltre, i requisiti stabiliti dall'art. 5  della
legge n. 40 del 2004, «essendo viventi, coniugi,  maggiorenni  ed  in
eta' parzialmente fertile». La considerazione  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale  e'  stata  sollevata  nel  corso  di  un
giudizio cautelare non ne escluderebbe l'ammissibilita', dato che  lo
stesso non e' stato definito e non e' stato reso alcun  provvedimento
sulla domanda cautelare. 
    3.2.- Il giudice a  quo,  dopo  avere  motivato  in  ordine  alla
manifesta    infondatezza    dell'eccezione     di     illegittimita'
costituzionale proposta in riferimento  all'art.  117,  primo  comma,
Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della  CEDU,  sostiene  che  il
citato art. 4, comma 3, violi il principio di ragionevolezza (art.  3
Cost.). L'art. 1 della legge n. 40 del  2004  precisa,  infatti,  che
obiettivo di questa legge e' quello di  «favorire  la  soluzione  dei
problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita'
umana» consentendo a  questo  scopo  «Il  ricorso  alla  procreazione
medicalmente assistita  [...]  qualora  non  vi  siano  altri  metodi
terapeutici  efficaci  per  rimuovere  le  cause  di   sterilita'   o
infertilita'». Il divieto in esame realizzerebbe, invece, un  diverso
trattamento delle coppie aventi problemi riproduttivi derivanti dalla
sterilita'  o  dalla  infertilita',  nonostante  che  la  sostanziale
eguaglianza   delle   situazioni   dovrebbe    comportare    l'eguale
possibilita' di ricorrere alla PMA, mediante il ricorso alla  tecnica
idonea per porre rimedio alla causa della patologia. 
    4.- Il Tribunale ordinario di Catania premette che, nel  processo
principale, i ricorrenti, coniugati dal 2005, hanno  dedotto  che  il
partner femmina e' stato colpito da sterilita'  assoluta  causata  da
menopausa precoce  e,  per  questa  ragione,  si  sono  rivolti  alla
societa'  cooperativa  UMR-Unita'  di  Medicina  della   Riproduzione
(infra: UMR), la quale ha indicato quale unico metodo per avere figli
quello  della  «ovodonazione»,  che  ha,   tuttavia,   rifiutato   di
praticare, a causa del divieto stabilito dal citato art. 4, comma  3.
I coniugi hanno, quindi, convenuto in giudizio la UMR, chiedendo,  ai
sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., che sia ordinato alla stessa  di
eseguire «secondo l'applicazione delle metodiche  della  procreazione
assistita, la c.d. fecondazione eterologa e nel  caso  di  specie  la
donazione di  gamete  femminile,  secondo  le  migliori  e  accertate
pratiche mediche»,  eccependo,  in  linea  gradata,  l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 4, comma 3. 
    Il rimettente espone che, con ordinanza del 21 ottobre  2010,  ha
sollevato le questioni di legittimita' costituzionale ora, in  parte,
riproposte e questa Corte, con ordinanza n. 150 del 2012, ha disposto
la restituzione degli atti, per le ragioni sopra ricordate. 
    Riassunto il giudizio, il Tribunale  ordinario  di  Catania,  con
ordinanza del 28 gennaio 2013, ha ritenuto  manifestamente  infondata
l'eccezione di illegittimita' costituzionale del citato art. 4, comma
3; in sede di reclamo, il Collegio ha, invece, sollevato le questioni
in esame. 
    Secondo il giudice  a  quo,  sussistono  sia  i  presupposti  del
chiesto  provvedimento  cautelare,  sia   le   condizioni   stabilite
dall'art. 5 della legge n. 40 del 2004,  poiche'  i  ricorrenti  sono
maggiorenni, di sesso  diverso,  coniugati,  in  eta'  fertile  e  la
ricorrente e' affetta da accertata sterilita' secondaria da menopausa
precoce.  L'accoglimento   della   domanda   e',   quindi,   impedito
esclusivamente dal divieto stabilito dal citato dall'art. 4, comma 3,
del quale, a suo avviso, non e' possibile offrire  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata,  con   conseguente   rilevanza   delle
sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.1.- Ad avviso del rimettente, le norme censurate si  porrebbero
anzitutto in contrasto  con  gli  artt.  3  e  31  Cost.,  in  quanto
stabiliscono  un  divieto   discriminatorio,   lesivo   del   diritto
fondamentale alla formazione della famiglia, riconosciuto e  tutelato
dagli artt. 2 e 31 Cost., che concernerebbe anche il profilo relativo
alla soluzione dei problemi riproduttivi della coppia. Inoltre,  esse
realizzerebbero  un  diverso  trattamento  di  coppie  con   identici
problemi  di  procreazione,  penalizzando  irragionevolmente   quella
colpita dalla patologia piu' grave, in violazione anche  dell'art.  2
Cost., con pregiudizio del diritto a formare  una  famiglia  e  della
liberta' di autodeterminazione in relazione  a  scelte  riconducibili
alla sfera piu' intima della persona. 
    4.2.- Secondo il giudice a quo, l'art. 32 Cost. sarebbe  violato,
in quanto il divieto in esame irragionevolmente impedirebbe di curare
la patologia piu' grave. Nella specie vengono, inoltre, in rilievo  i
diritti della madre genetica, della madre biologica e  del  nascituro
e, in  considerazione  delle  risultanze  della  scienza  medica,  la
fecondazione eterologa non comporterebbe rischi per la salute (fisica
o mentale) ne'  della  madre  biologica,  ne'  della  donatrice.  Per
quest'ultima,  il  rischio  di  «stressare  il  proprio  fisico   per
l'eventuale commercializzazione dei gameti» sarebbe  scongiurato  dal
divieto stabilito dalla legge n. 40 del 2004 di commercializzare  gli
ovuli e, comunque, sarebbe comune ad altre  piu'  rilevanti  ipotesi,
eticamente e socialmente approvate, di donazione di tessuti, organi o
parti di essi tra soggetti viventi. 
    Quanto, invece, al diritto del nascituro  alla  conoscenza  della
propria origine genetica, benche' la tutela  del  concepito  rinvenga
fondamento costituzionale negli artt. 31, secondo comma, e  2  Cost.,
alla stessa non potrebbe essere data prevalenza totale  ed  assoluta,
non esistendo «equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche
alla salute proprio di chi e' gia'  persona,  come  la  madre,  e  la
salvaguardia  dell'embrione  che  persona  deve   ancora   diventare»
(sentenza n. 27 del 1975). 
    La soluzione  dei  problemi  riproduttivi  della  coppia  sarebbe
riconducibile al diritto fondamentale alla  maternita'/paternita'  ed
il  bilanciamento  del  diritto  costituzionalmente   protetto   alla
creazione di una famiglia (riconosciuto e tutelato dagli artt. 2 e 31
Cost.) spettante «a soggetti esistenti (persone in senso tecnico)»  e
del diritto  riconoscibile  «ad  una  entita'  (embrione,  feto)  che
soggetto (nel senso pieno di persona) ancora non e', non sembra possa
ragionevolmente risolversi in favore del secondo». L'ampia tutela del
nascituro  deve  tenere  conto  che,  comunque,  questi  non  sarebbe
equiparabile alla persona gia' nata; la stessa legge n. 40  del  2004
tutela il concepito, ma non «arriva [...] a modificare l'art.  1  del
codice civile che [...] riconosce  la  capacita'  giuridica  solo  al
momento della nascita e subordina ad  essa  l'effettivo  sorgere  dei
diritti ivi menzionati con riferimento agli artt. 462, 687 e 715 c.c.
(per donazione e testamento)». Siffatta legge ha inteso garantire che
il concepito non subisca «trattamenti disumani», cui potevano esporlo
la crioconservazione, la sperimentazione e la selezione genetica,  ma
il Capo III della medesima non riguarderebbe la  tutela  diretta  del
concepito, bensi' lo stato giuridico del  nato,  come  risulta  dagli
artt. 8 e 9. Queste disposizioni tutelano l'interesse del nascituro e
garantiscono una «stabilita'  parentale»  non  deteriore  rispetto  a
quella del figlio nato  dalla  fecondazione  omologa  «e,  per  certi
versi, anche migliore di quella di cui gode il figlio  nato  da  ogni
unione  "naturale",   soggetto,   com'e'   noto,   alle   azioni   di
disconoscimento di stato o al mancato  riconoscimento  da  parte  del
padre o della madre che ha anche il diritto di non essere nominata al
momento del parto». 
    Ad avviso del giudice a quo, il  censurato  divieto  non  sarebbe
giustificato dall'asserito  diritto  del  nascituro  a  conoscere  la
propria origine genetica anche perche' il citato  art.  9,  comma  3,
come nel caso dell'adozione, mira a recidere ogni relazione giuridica
parentale del nato con il donatore  di  gameti  e  nei  confronti  di
quest'ultimo non puo' essere fatto valere  nessun  diritto.  Sarebbe,
inoltre, irragionevole che, per scongiurare l'ipotetica sofferenza di
un  futuro  soggetto  (dovuta  all'ignoranza  della  propria  origine
genetica), sia precluso il piu' rilevante diritto di venire al mondo.
Quanto,  invece,  all'esigenza  di  garantire  al  nascituro  stabili
relazioni parentali, gli studi al riguardo avrebbero  dimostrato  che
soltanto in una bassa percentuale di casi i genitori biologici  hanno
rivelato al figlio la sua origine genetica ed in questi  lo  sviluppo
psicosociale del predetto non si discosterebbe da  quello  dei  figli
nati senza il ricorso alla fecondazione eterologa. 
    5.- Nel giudizio davanti a questa Corte  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Milano si sono  costituiti  i  ricorrenti  nel  processo
principale, chiedendo, anche nella memoria depositata in  prossimita'
dell'udienza pubblica, che le questioni siano dichiarate fondate. 
    Le parti, premesso che costituiscono  una  coppia  infertile,  ai
sensi della legge n. 40 del  2004,  poiche'  il  coniuge  maschio  e'
affetto  da  infertilita'   assoluta,   con   azoospermia   completa,
sostengono che la locuzione «fecondazione eterologa»  sia  impropria,
occorrendo argomentare  di  «donazione  di  gameti»,  che  va  tenuta
distinta  dalla  cosiddetta  «surrogazione  di  maternita'»  (vietata
dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004)  e  richiamano  la
sentenza di questa Corte n.  151  del  2009,  per  affermare  che  la
disciplina in  esame  concerne  «un  ambito  d'interesse  sanitario».
Inoltre, sottolineano che le questioni concernerebbero esclusivamente
le coppie di maggiorenni, di sesso diverso,  in  eta'  potenzialmente
fertile «e (va da se') entrambi viventi» ed involge un problema quale
quello dell'infertilita' maschile e  femminile  assai  diffuso  nelle
societa' occidentali. 
    I   ricorrenti   nel   processo   principale    svolgono    ampie
argomentazioni a conforto della violazione dell'art. 3, primo  comma,
Cost., determinata dalla discriminazione tra i potenziali destinatari
della fecondazione  medicalmente  assistita  in  danno  delle  coppie
colpite dalla patologia piu' grave.  A  loro  avviso,  le  situazioni
delle coppie che possono porre rimedio alla  causa  di  sterilita'  o
infertilita'  mediante  la  fecondazione  omologa,  ovvero  a  quella
eterologa,  sarebbero  analoghe  e  gli   studi   dell'Organizzazione
mondiale della sanita' (richiamati negli  atti  difensivi)  avrebbero
dimostrato  l'inconsistenza  delle  pretese  esigenze  di  tutela  di
carattere psicologico del nascituro, basate su  presunti  disturbi  e
sofferenze dello stesso, nel caso  in  cui  abbia  un  solo  genitore
biologico. Il divieto  censurato  avrebbe,  inoltre,  alimentato  una
sorta di «turismo procreativo», dando luogo a situazioni di  rischio,
a causa dell'inferiore livello di assistenza sanitaria  garantito  in
altri Paesi, specie in quelli in cui i costi sono piu' bassi. 
    5.1.- Le situazioni di infertilita' superabili mediante l'uso  di
gameti interni, ovvero esterni alla coppia,  sarebbero  omologhe,  in
relazione all'accesso alle tecniche  di  fecondazione  assistita.  Il
citato  art.  4,  comma  3,  sarebbe  viziato,  in  primo  luogo,  da
irrazionalita' «interna», a causa dell'incoerenza tra mezzi  e  fini,
determinata dal  difetto  di  ogni  ragionevole  giustificazione  del
divieto  in  esame,  che  preclude  il  conseguimento   dello   scopo
dichiarato  dalla  legge  n.  40  del  2004.  In  secondo  luogo,  da
irragionevolezza «esterna», poiche' nel nostro ordinamento vi  e'  un
istituto, quale  l'adozione,  che  prevede  la  possibilita'  di  una
discrasia  tra  genitorialita'  genetica  e  legittima,   mentre   la
fecondazione eterologa garantirebbe meglio l'identita' biologica, che
verrebbe a mancare soltanto per uno dei genitori. 
    Sotto   un   ulteriore   profilo,   la   disciplina   in    esame
discriminerebbe le  coppie  in  base  alla  situazione  patrimoniale.
Quelle abbienti possono, infatti, praticare la fecondazione eterologa
all'estero, ricorrendo ad una  sorta  di  «turismo  procreativo»  che
vanificherebbe   il   divieto   censurato,   nel   quadro   di    una
regolamentazione  viziata  da  incoerenza,  poiche',  da  un   canto,
stabilisce  il  divieto  di  tale  tecnica  terapeutica,  dall'altro,
prevede  la  non  punibilita'  di  coloro  che  vi  fanno  ricorso  e
disciplina compiutamente la situazione del nato. 
    5.2.- In relazione alle censure riferite agli artt. 2,  29  e  31
Cost., le parti reiterano  gli  argomenti  svolti  dal  rimettente  e
richiamano ricerche e studi i quali hanno escluso che il  difetto  di
parentela genetica comprometta lo sviluppo  del  bambino,  mentre  la
sentenza  n.  151  del  2009  avrebbe  fatto   emergere   un   valore
costituzionale  nuovo,  costituito  dalle  «giuste   esigenze   della
procreazione». 
    L'art. 32 Cost. sarebbe violato, alla luce  della  giurisprudenza
di questa Corte richiamata dal giudice a quo, perche' il  divieto  in
esame lederebbe l'integrita' psichica e fisica delle coppie con  piu'
gravi problemi di sterilita' o infertilita'. 
    Le norme  censurate  non  garantirebbero,  inoltre,  alle  coppie
affette da sterilita' o  infertilita'  assoluta  il  proprio  diritto
all'identita'   ed   autodeterminazione,   espresso   dal   principio
personalistico dell'art. 2 Cost. La lesione di questo diritto sarebbe
confortata anche dalle sentenze della  Corte  di  Strasburgo,  Grande
Camera, 3  novembre  2011,  S.H.  e  altri  contro  Austria,  seconda
sezione, 28 agosto 2012, Costa Pavan contro Italia, e Grande  Camera,
4 dicembre 2007, Dickson  contro  Regno  Unito,  che  indurrebbero  a
ritenere violato l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  agli
artt. 8 e 14 della CEDU. 
    5.3.-  Secondo  le  parti,  l'accoglimento  delle  questioni  non
comporterebbe nessun vuoto normativo. La legge n.  40  del  2004  ha,
infatti, abrogato  la  disciplina  previgente,  caratterizzata  dalla
regolamentazione della fecondazione eterologa da parte di circolari e
decreti del Ministro della sanita' (analiticamente indicati nell'atto
di  costituzione)  e,  quindi,  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale delle norme in esame comporterebbe la reviviscenza  di
tali atti. Anche negando l'ammissibilita' di detta  reviviscenza,  la
disciplina applicabile sarebbe, peraltro, desumibile  dal  d.lgs.  n.
191 del 2007, dal d.lgs. n. 16 del 2010 e dall'Accordo del  15  marzo
2012 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano sul documento concernente  «Requisiti  minimi  organizzativi,
strutturali e tecnologici delle strutture  sanitarie  autorizzate  di
cui alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 per la qualita' e la sicurezza
nella donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la  lavorazione,
la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di cellule umane».
L'applicabilita' degli artt. 9 e 12, comma 6, della legge n.  40  del
2004, nonche'  i  principi  della  volontarieta'  e  gratuita'  della
donazione stabiliti dal d.lgs. n. 191 del 2007 e dal d.lgs. n. 16 del
2010, concorrerebbero, inoltre, a dimostrare l'inesistenza del  vuoto
normativo paventato dall'Avvocatura generale  dello  Stato.  In  ogni
caso,   l'esistenza   di   profili   che    richiedono    un'espressa
regolamentazione  neppure   inciderebbe   sull'ammissibilita'   delle
questioni, il cui accoglimento renderebbe ammissibile il ricorso alla
PMA di tipo eterologo esclusivamente  da  parte  di  quanti  sono  in
possesso dei requisiti stabiliti dall'art. 5 della legge  n.  40  del
2004. 
    5.4.-  Nella  memoria  depositata  in  prossimita'   dell'udienza
pubblica, le parti, oltre a ribadire gli argomenti  svolti  nell'atto
di  costituzione,  contestano  la  fondatezza  delle   eccezioni   di
inammissibilita' proposte nell'atto di intervento dal Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    6.- Nel giudizio da ultimo richiamato si e' costituito  anche  il
medico convenuto nel processo  principale,  svolgendo  argomentazioni
sostanzialmente coincidenti  con  quelle  del  rimettente,  chiedendo
l'accoglimento   delle   sollevate    questioni    di    legittimita'
costituzionale. 
    7.- Nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di  Catania  si
sono costituiti i  ricorrenti  nel  giudizio  principale,  chiedendo,
anche nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza  pubblica,
che le  sollevate  questioni  di  legittimita'  costituzionale  siano
accolte. 
    Le parti premettono che costituiscono una  coppia  infertile,  ai
sensi della legge n. 40 del 2004, poiche' il coniuge femmina e' stata
colpita da sterilita' assoluta causata  da  menopausa  precoce  e  le
molteplici cure alle quali si e' sottoposta (analiticamente indicate)
si sono  rivelate  inutili  e,  da  ultimo,  il  medico  responsabile
dell'UMR li ha informati del fatto che  potrebbero  avere  un  figlio
esclusivamente facendo ricorso alla donazione di ovuli  esterni  alla
coppia che, pero', e' vietata dalla legge n. 40 del 2004. 
    Nel merito, in riferimento ai parametri evocati  dal  rimettente,
le parti deducono argomentazioni  in  larga  misura  coincidenti  con
quelle svolte dai ricorrenti costituitisi nel giudizio  promosso  dal
Tribunale  ordinario  di  Milano,  in  relazione  ai   corrispondenti
parametri da questo ritenuto lesi, sopra sintetizzate. 
    8.- In quest'ultimo  giudizio  si  e'  costituita,  altresi',  la
societa' cooperativa UMR-Unita' di Medicina della Riproduzione, parte
nel processo principale, deducendo, anche nella memoria depositata in
prossimita'  dell'udienza  pubblica,  la  fondatezza  delle   censure
proposte   dal   rimettente.   In   particolare,   svolge   argomenti
sostanzialmente analoghi a quelli addotti dai ricorrenti  negli  atti
di costituzione sopra  richiamati,  allo  scopo  di  dimostrare  che,
qualora le questioni di legittimita'  costituzionale  siano  accolte,
non sussisterebbe nessun vuoto normativo, cio' anche alla luce  della
legge  8  novembre  2012,  n.  189   (Conversione   in   legge,   con
modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158,  recante
disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un
piu' alto livello di tutela della salute) e del  parere  espresso  in
data 30 marzo 2012 dalla Societa' italiana di fertilita' e sterilita'
e medicina della riproduzione in merito alla  donazione  dei  gameti,
che ha posto in luce i rischi correlati al permanere del  divieto  in
esame. 
    Nella  memoria,  la  parte  approfondisce   l'iter   dei   lavori
parlamentari della legge n. 40 del 2004, allo  scopo  di  evidenziare
come  nel  corso  degli  stessi   sia   stata   gia'   segnalata   la
contraddizione insita nella circostanza che e' stato regolamentato lo
status del nato dalla fecondazione eterologa, ma la stessa  e'  stata
poi   vietata.   Quest'ultima   pratica   terapeutica   costituirebbe
espressione di una concezione solidaristica, fondata sul concetto  di
«dono» e cioe'  di  atto  volontario  e  gratuito  caratterizzato  da
istanze di solidarieta' e in tali termini e' accolta in  Francia,  in
cui e' ammessa solo per le coppie e  nel  caso  di  vano  esperimento
della PMA omologa, e nel Regno Unito. 
    9.- In tutti e tre i giudizi davanti alla Corte e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo,  negli  atti  di
costituzione e nelle memorie depositate in  prossimita'  dell'udienza
pubblica, di contenuto in larga misura coincidente, che le  questioni
di legittimita'  costituzionale  siano  dichiarate  inammissibili  e,
comunque, infondate. 
    9.1.-   Secondo   l'interveniente,   le    questioni    sarebbero
inammissibili, poiche' i rimettenti non avrebbero adempiuto  l'onere,
derivante  dall'ordinanza  di  questa  Corte  n.  150  del  2012,  di
riesaminare le questioni  alla  luce  della  giurisprudenza  europea.
Inoltre, il  Tribunale  ordinario  di  Milano  avrebbe  inesattamente
interpretato  la  sentenza  della  Grande  Camera  della   Corte   di
Strasburgo 3 novembre 2011, S.H. e altri contro Austria, diffusamente
approfondita, allo scopo di dimostrare che la stessa ha  escluso  che
il divieto di praticare la PMA di tipo eterologo violi gli artt. 8  e
14  della  CEDU,  anche  in  considerazione  dell'ampio  margine   di
discrezionalita' di cui godono gli Stati nel disciplinare la  materia
in esame. 
    A suo avviso, le questioni sarebbero inammissibili anche  perche'
il loro eventuale accoglimento determinerebbe un vuoto normativo  (in
relazione  alla  tutela  di  tutte  le  parti  coinvolte  dalla   PMA
eterologa,  al  numero  delle  donazioni  possibili,  al  diritto   a
conoscere  il  genitore  genetico,  al  diritto   di   accesso   alla
fecondazione eterologa), che puo' essere colmato  esclusivamente  dal
legislatore ordinario, al quale sono riservate le relative scelte. 
    Nel merito, secondo l'interveniente,  le  censure  riferite  agli
artt. 2 e 29 Cost. sarebbero  state  proposte  mediante  un  percorso
argomentativo che «procede per assiomi e/o postulati» e non considera
la preoccupazione  del  legislatore  per  i  rischi  derivanti  dalla
mancanza di un  rapporto  biologico  tra  figlio  e  genitore  ed  il
ragionevole scopo di tutelare il diritto all'identita' biologica  del
nascituro. Il legislatore avrebbe scelto, non  irragionevolmente,  di
favorire il concepimento all'interno della coppia, in coerenza con la
ratio legis, che sarebbe quella di tutelare il diritto  all'identita'
biologica del nascituro, considerato quale bene giuridico preminente. 
    La   diversita'   delle   situazioni   poste   in    comparazione
escluderebbe,  poi,  la  denunciata  violazione  dell'art.  3  Cost.,
essendo  riconducibile  la  scelta   di   «tutela   esclusiva   della
genitorialita'  biologica»   alla   discrezionalita'   spettante   al
legislatore ordinario. 
    10.- Nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Catania  e'
intervenuta l'Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti, che
non e' parte  nel  processo  principale,  la  quale  ha  diffusamente
approfondito  la   questione   dell'ammissibilita'   dell'intervento,
richiamando alcune pronunce che, in qualche caso, hanno  ritenuto  di
estendere il contraddittorio a soggetti non costituiti nel giudizio a
quo, benche' abbia dato atto che questa Corte e' orientata nel negare
che coloro i quali non hanno nessun legame specifico con la questione
possano intervenire nel giudizio di costituzionalita'. A suo  avviso,
la circostanza che essa, per statuto, si propone  di  analizzare  gli
sviluppi della societa' dal punto di vista giuridico, socio-economico
e culturale, per individuare l'insieme dei diritti  da  proteggere  e
potenziare,  comporterebbe  che   l'oggetto   delle   questioni   sia
riconducibile nell'ambito delle  attivita'  svolte,  con  conseguente
ammissibilita' dell'intervento.  Nel  merito,  l'Associazione  svolge
argomentazioni a conforto della fondatezza delle censure proposte dal
rimettente. 
    11.- In quest'ultimo giudizio sono altresi' intervenute,  con  un
unico atto, l'Associazione Luca Coscioni, per la liberta' di  ricerca
scientifica, l'Associazione Amica Cicogna Onlus, l'Associazione cerco
un bimbo e l'Associazione Liberi di decidere, le quali,  anche  nella
memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza  pubblica,   hanno
premesso di essere state ammesse nel giudizio promosso dal  Tribunale
ordinario  di  Firenze  sopra  richiamato,  e   deducono   che   «per
intervenuta  separazione  personale  dei  coniugi  [...]  non   hanno
depositato costituzione nel procedimento originato dall'ordinanza  di
rimessione pronunciata da detto giudice». 
    A  loro  avviso,  in  considerazione  degli  scopi  statutari   e
dell'attivita'   svolta,   sarebbero   titolari   di   un   interesse
qualificato, direttamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in
giudizio e  chiedono,  quindi,  che  la  Corte  dichiari  ammissibile
l'intervento ed accolga le questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Catania. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Milano, il Tribunale  ordinario  di
Firenze ed il Tribunale ordinario  di  Catania  hanno  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 Cost. (tutte e tre le ordinanze), 2, 31 e 32
Cost. (la prima e la terza ordinanza), nonche' (la  prima  ordinanza)
agli artt. 29 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8  e
14 della Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848  (di
seguito: CEDU), questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4,
comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40  (Norme  in  materia  di
procreazione medicalmente assistita) (tutte  le  ordinanze)  e  degli
artt. 9, commi 1 e 3, limitatamente alle parole  «in  violazione  del
divieto di cui all'articolo 4, comma 3», e  12,  comma  1,  di  detta
legge (la prima e la terza ordinanza). 
    La legge n. 40 del 2004 reca norme  in  materia  di  procreazione
medicalmente assistita (infra: PMA) e permette, «Al fine di  favorire
la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla  sterilita'  o
dalla infertilita' umana», il ricorso alla  PMA,  alle  condizioni  e
secondo le modalita' previste dalla stessa (art. 1). L'art. 4,  comma
3, di detta legge stabilisce che «E' vietato il ricorso a tecniche di
procreazione medicalmente assistita di  tipo  eterologo»;  l'art.  9,
concernente  il  «Divieto  del  disconoscimento  della  paternita'  e
dell'anonimato della madre», dispone, in primo luogo,  che,  «Qualora
si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di  tipo
eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4,  comma  3,
il coniuge o il convivente il cui  consenso  e'  ricavabile  da  atti
concludenti non puo' esercitare  l'azione  di  disconoscimento  della
paternita' nei casi previsti dall'articolo 235, primo  comma,  numeri
1) e 2), del codice civile, ne' l'impugnazione  di  cui  all'articolo
263 dello stesso codice» (comma 1); in secondo  luogo,  prevede  che,
«In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in  violazione
del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non
acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con  il  nato  e  non
puo' far valere nei suoi confronti alcun diritto ne' essere  titolare
di obblighi» (comma 3). L'art. 12, comma 1, stabilisce,  infine,  che
«Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini  procreativi  gameti  di
soggetti estranei alla coppia richiedente, in  violazione  di  quanto
previsto  dall'articolo  4,  comma  3,  e'  punito  con  la  sanzione
amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro». 
    2.- Secondo tutti i rimettenti, il citato art.  4,  comma  3,  si
porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto, avendo la  legge
n. 40 del 2004 lo  scopo  di  «favorire  la  soluzione  dei  problemi
riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita'  umana»,
il  divieto  dallo  stesso   stabilito   realizzerebbe   un   diverso
trattamento delle coppie affette da  sterilita'  o  da  infertilita',
nonostante esse versino in  situazioni  sostanzialmente  omologhe  e,
quindi, debbano avere l'eguale possibilita' di ricorrere alla tecnica
piu' utile di PMA, al fine di  porre  rimedio  alla  patologia  dalla
quale sono affette. 
    Ad avviso del Tribunale  ordinario  di  Milano,  tutte  le  norme
censurate recherebbero vulnus anche agli artt. 2, 29 e 31  Cost.,  in
quanto - benche' il primo di detti parametri riconosca  e  tuteli  il
diritto alla formazione della famiglia  (oggetto  anche  del  secondo
parametro) - non garantiscono alle coppie  colpite  da  sterilita'  o
infertilita' assoluta ed irreversibile il diritto  fondamentale  alla
piena   realizzazione   della   vita   privata   familiare    e    di
autodeterminazione in ordine alla medesima, con pregiudizio,  secondo
il Tribunale ordinario  di  Catania,  per  le  coppie  colpite  dalla
patologia piu' grave, del diritto di formare una famiglia e costruire
liberamente la propria  esistenza.  Per  entrambi  i  rimettenti,  la
considerazione che il divieto in esame non tuteli l'integrita' fisica
e psichica di dette coppie e che in materia di pratica terapeutica la
regola debba essere l'autonomia e la responsabilita' del  medico,  il
quale, con il consenso del paziente, effettua  le  necessarie  scelte
professionali, evidenzierebbe il contrasto delle disposizioni con gli
artt. 3 e 32 Cost. 
    Sotto un ulteriore profilo, secondo  il  Tribunale  ordinario  di
Catania, gli artt. 2 e 31 Cost. sarebbero lesi, poiche' la  soluzione
dei problemi  riproduttivi  della  coppia  sarebbe  riconducibile  al
diritto fondamentale alla maternita'/paternita' e le norme  censurate
avrebbero realizzato un irragionevole bilanciamento del diritto  alla
salute della madre biologica e  della  madre  genetica,  del  diritto
costituzionalmente protetto alla  formazione  della  famiglia  e  dei
diritti  del  nascituro,  anche  in  considerazione   del   carattere
ipotetico  dell'eventuale  sofferenza  psicologica  provocata   dalla
mancata conoscenza della propria origine genetica e dell'esistenza di
un istituto quale l'adozione,  che  ammette  le  relazioni  parentali
atipiche. 
    Il Tribunale ordinario di Milano censura, infine, le norme  sopra
indicate,  in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione al combinato disposto  degli  artt.  8  e  14  della  CEDU,
approfondendo  gli  argomenti  che,  a  suo  avviso,  dimostrerebbero
l'esistenza di siffatto contrasto anche avendo riguardo alla sentenza
della Grande Camera della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  3
novembre 2011, S.H. e altri contro Austria. 
    3.-  In  linea  preliminare,  va  ribadito  quanto  statuito  con
l'ordinanza della quale e' stata data lettura in udienza, allegata al
presente provvedimento, in ordine alla disposta riunione dei  giudizi
(aventi ad oggetto, in parte, le stesse norme, censurate in relazione
a parametri costituzionali per profili e con argomentazioni in  larga
misura  coincidenti)  ed  all'inammissibilita'  dell'intervento   nel
giudizio   promosso    dal    Tribunale    ordinario    di    Catania
dell'Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti,  nonche'  di
quello, spiegato con un unico atto, dall'Associazione Luca  Coscioni,
per la  liberta'  di  ricerca  scientifica,  dall'Associazione  Amica
Cicogna Onlus, dall'Associazione Cerco un bimbo  e  dall'Associazione
Liberi di decidere. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,   sono,
infatti,  ammessi  a  intervenire   nel   giudizio   incidentale   di
legittimita' costituzionale le sole parti del giudizio principale  ed
i  terzi  portatori  di  un  interesse  qualificato,   immediatamente
inerente  al  rapporto  sostanziale  dedotto  in   giudizio   e   non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla  norma  o  dalle
norme oggetto di censura (per tutte, sentenze n.  134  e  n.  85  del
2013). Pertanto, poiche' le suindicate associazioni  non  sono  parti
nel processo  principale  e  non  risultano  essere  titolari  di  un
siffatto  interesse  qualificato,  gli  interventi  vanno  dichiarati
inammissibili. In ordine a quello spiegato dalle ultime  Associazioni
sopra richiamate, va, inoltre, ribadito come la circostanza che  esse
siano parti in un giudizio diverso da quello  oggetto  dell'ordinanza
di rimessione, nel quale e'  stata  sollevata  analoga  questione  di
legittimita'  costituzionale,  neppure  e'  sufficiente  a   renderlo
ammissibile (ex plurimis, sentenza n. 470 del 2002; ordinanza n.  150
del 2012). 
    3.1.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  oggetto  di
scrutinio costituiscono una nuova proposizione di  quelle,  in  parte
analoghe, sollevate dai giudici  a  quibus  nel  corso  dei  medesimi
processi principali, decise da questa Corte con  l'ordinanza  n.  150
del 2012 che - dopo averle ritenute  ammissibili  -  ha  disposto  la
restituzione degli atti, per un rinnovato esame  delle  stesse,  alla
luce della sopravvenuta sentenza  della  Grande  Camera  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo  3  novembre  2011,  S.H.  e  altri  c.
Austria. 
    I Tribunali ordinari di Firenze e di Catania, nell'osservanza  di
siffatto onere, hanno formulato una nuova  e  diversa  prospettazione
delle stesse  questioni,  esplicitando  gli  argomenti  che,  a  loro
avviso,  dimostrano  la  perdurante  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza esclusivamente delle censure riferite agli artt.  2,  3,
31 e 32 Cost.; non hanno, quindi, piu'  proposto  quelle  concernenti
l'art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 8 e  14  della
CEDU. Queste ultime  sono  state,  invece,  reiterate  dal  Tribunale
ordinario di Milano, il quale ha, tuttavia, diffusamente motivato sul
punto ed e' palese che l'eventuale fondatezza dei relativi  argomenti
concerne  esclusivamente  il  merito  delle  censure.  Sotto   questo
profilo, non e', quindi, fondata  l'eccezione  con  cui  l'Avvocatura
generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' delle  questioni,
deducendo la violazione del suindicato onere.  L'ulteriore  eccezione
di inammissibilita', proposta sul rilievo  che  l'accoglimento  delle
censure determinerebbe incolmabili «vuoti normativi», sara' esaminata
in seguito, unitamente allo scrutinio nel merito delle censure. 
    3.2.- La questione di legittimita' costituzionale puo' poi essere
sollevata anche in sede  cautelare,  qualora  il  giudice  non  abbia
provveduto sulla domanda (come accaduto nei giudizi in esame), ovvero
quando abbia concesso la relativa misura,  purche'  tale  concessione
non si risolva nel definitivo esaurimento del potere del  quale  egli
e' titolare in tale sede (tra le molte, ordinanze n. 3 del 2014 e  n.
150 del 2012). Anche in relazione a questo profilo le questioni  sono
pertanto ammissibili. 
    3.3.- Sull'ammissibilita' della questione sollevata dal Tribunale
ordinario di Firenze non  incide,  inoltre,  l'omessa  censura  degli
artt. 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1, della  legge  n.  40  del  2004,
poiche' la norma della quale il  rimettente  deve  fare  immediata  e
diretta applicazione nel processo principale e'  soltanto  il  citato
art. 4, comma 3, mentre la mancata considerazione di quelle ulteriori
non  influisce  sulla  correttezza  della  ricostruzione  del  quadro
normativo di riferimento. 
    Parimenti irrilevante e' che nel  relativo  processo  principale,
secondo quanto dedotto da alcune delle associazioni  intervenute  nel
giudizio  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Catania,   sarebbe
sopravvenuta  la  separazione  personale  dei   coniugi   ricorrenti.
Indipendentemente da ogni considerazione  in  ordine  alla  prova  di
siffatta sopravvenienza, la stessa non  puo'  esplicare  effetti  sul
giudizio di legittimita' costituzionale, in quanto questo, una  volta
iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio  del  giudice  rimettente,
non e' suscettibile di essere influenzato da  successive  vicende  di
fatto  concernenti  il  rapporto  dedotto  nel  processo  che  lo  ha
occasionato, come previsto dall'art. 18 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel testo approvato  il  7
ottobre 2008 (sentenze n. 274 del 2011 e n. 227 del 2010). 
    3.4.- Secondo i giudici a quibus,  nelle  fattispecie  sottoposte
alla loro decisione sussistono, inoltre, i  requisiti  soggettivi  di
cui all'art. 5 della legge n. 40 del  2004,  ma  i  ricorrenti,  allo
scopo di avere un figlio, non possono fare ricorso alla PMA  di  tipo
omologo, in quanto uno dei componenti della coppia e'  stato  colpito
da patologie produttive della sterilita' o infertilita'  assolute  ed
irreversibili, mentre potrebbero utilmente  avvalersi  di  quella  di
tipo eterologo. 
    Tutte le ordinanze di rinvio hanno, quindi, argomentato  in  modo
non implausibile in ordine alla rilevanza delle  questioni,  che,  in
coerenza  con  il  petitum  formulato,  sussiste  esclusivamente   in
riferimento alla previsione del divieto, nella parte in cui impedisce
ai soggetti che vantano i requisiti di cui all'art. 5 della legge  n.
40 del 2004, di fare ricorso alla PMA di tipo eterologo, qualora  sia
stata  accertata  l'esistenza  di  una  patologia   che   sia   causa
irreversibile di sterilita' o infertilita' assoluta. 
    Sussiste, inoltre, l'incidentalita' delle sollevate questioni. Le
censure hanno, infatti, ad oggetto  norme  che  i  rimettenti  devono
applicare, quale passaggio obbligato al fine  della  decisione  sulle
domande   proposte   nei   processi   principali,   concernenti    il
riconoscimento  del  diritto  delle  parti  attrici  ad  ottenere  la
condanna dei convenuti ad  eseguire  la  prestazione  richiesta,  con
conseguente  esistenza  di  un  petitum  distinto   dalle   sollevate
questioni di legittimita' costituzionale. 
    3.5.- Ancora in linea  preliminare,  occorre  precisare  che  non
possono essere presi in considerazione, oltre i limiti fissati  nelle
ordinanze  di  rimessione,   ulteriori   questioni   o   profili   di
costituzionalita' dedotti dalle parti, tanto se siano stati  eccepiti
ma non fatti propri da queste ultime,  quanto  se  siano  diretti  ad
ampliare o  modificare  successivamente  il  contenuto  delle  stesse
ordinanze (per tutte, sentenza n. 275 del 2013, ordinanza n.  10  del
2014). 
    Spetta, inoltre, a  questa  Corte  valutare  il  complesso  delle
eccezioni  e  delle  questioni  costituenti  il  thema  decidendum  e
stabilire,  anche  per  economia  di  giudizio,  l'ordine   con   cui
affrontarle nella  sentenza,  dichiarandone  eventualmente  assorbite
alcune, quando si e' in presenza di questioni tra loro  autonome  per
l'insussistenza di un nesso di pregiudizialita' (sentenze n. 278 e n.
98 del 2013, n. 293 del 2010). 
    4.- Nel merito, le questioni sollevate in riferimento agli  artt.
2, 3, 29,  31  e  32  Cost.  sono  fondate  nei  termini  di  seguito
precisati. 
    5.- Lo scrutinio delle censure  va  effettuato,  avendo  riguardo
congiuntamente a tutti  questi  parametri,  poiche'  la  procreazione
medicalmente assistita coinvolge  «plurime  esigenze  costituzionali»
(sentenza n. 347 del 1998) e, conseguentemente, la legge  n.  40  del
2004 incide su una molteplicita' di interessi di tale rango.  Questi,
nel loro complesso, richiedono «un  bilanciamento  tra  di  essi  che
assicuri un livello minimo di tutela legislativa» ad ognuno (sentenza
n. 45 del 2005), avendo, infatti, questa Corte gia' affermato che  la
stessa «tutela dell'embrione non e' comunque  assoluta,  ma  limitata
dalla necessita' di individuare un giusto bilanciamento con la tutela
delle esigenze di procreazione» (sentenza n. 151 del 2009). 
    Le questioni toccano temi eticamente sensibili, in  relazione  ai
quali l'individuazione di un ragionevole punto  di  equilibrio  delle
contrapposte esigenze, nel  rispetto  della  dignita'  della  persona
umana, appartiene «primariamente alla  valutazione  del  legislatore»
(sentenza n. 347 del 1998), ma resta ferma  la  sindacabilita'  della
stessa, al  fine  di  verificare  se  sia  stato  realizzato  un  non
irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai  quali
si ispirano. Il divieto in esame non costituisce, peraltro, il frutto
di una scelta consolidata nel tempo, in quanto  e'  stato  introdotto
nel nostro ordinamento giuridico proprio dal censurato art. 4,  comma
3.  Anteriormente,  l'applicazione  delle  tecniche  di  fecondazione
eterologa era, infatti, «lecita [...] ed  ammessa  senza  limiti  ne'
soggettivi ne' oggettivi» e, nell'anno  1997,  era  praticata  da  75
centri privati (Relazione  della  XII  Commissione  permanente  della
Camera dei deputati presentata il 14 luglio 1998  sulle  proposte  di
legge n. 414, n. 616  e  n.  816,  presentate  nel  corso  della  XII
legislatura). Tali centri operavano nel quadro  delle  circolari  del
Ministro della sanita' del 1° marzo  1985  (Limiti  e  condizioni  di
legittimita' dei servizi per l'inseminazione artificiale  nell'ambito
del Servizio sanitario nazionale), del  27  aprile  1987  (Misure  di
prevenzione della trasmissione  del  virus  HIV  e  di  altri  agenti
patogeni  attraverso  il  seme  umano  impiegato   per   fecondazione
artificiale) e del  10  aprile  1992  (Misure  di  prevenzione  della
trasmissione dell'HIV e di altri agenti patogeni nella  donazione  di
liquido seminale impiegato per fecondazione assistita umana  e  nella
donazione  d'organo,  di  tessuto  e  di  midollo   osseo),   nonche'
dell'ordinanza dello stesso  Ministero  del  5  marzo  1997,  recante
«Divieto  di  commercializzazione  e  di  pubblicita'  di  gameti  ed
embrioni  umani»  (avente  efficacia  temporalmente   limitata,   poi
prorogata per ulteriori novanta giorni da  una  successiva  ordinanza
del 4 giugno 1997). 
    Il  primo  di  tali  atti  vietava,  infatti,  esclusivamente  la
possibilita' di praticare la PMA eterologa all'interno  di  strutture
del Servizio sanitario nazionale; il  secondo  aveva,  invece,  avuto
cura di stabilire i protocolli per l'utilizzazione del seme  «per  le
inseminazioni   eterologhe»,   dettando   altresi'   le   regole   di
approntamento dello schedario delle coppie  che  si  sottoponevano  a
tale pratica e dei donatori di gameti,  nonche'  della  tipologia  di
accertamenti  da  svolgere  su  questi   ultimi;   il   terzo   aveva
ulteriormente specificato la disciplina concernente le  modalita'  di
raccolta, preparazione e crioconservazione del liquido  seminale  dei
donatori, nonche' dello screening cui  doveva  essere  sottoposta  la
donna ricevente  la  donazione,  «al  fine  di  tutelare  l'eventuale
nascituro»;  il  quarto  aveva,  infine,  vietato  «ogni   forma   di
remunerazione, diretta o indiretta, immediata o differita, in  denaro
od in qualsiasi altra forma per la cessione di  gameti,  embrioni  o,
comunque,   di   materiale   genetico»,   nonche'   ogni   forma   di
intermediazione commerciale finalizzata a tale  cessione,  disponendo
l'obbligo da parte dei centri che la praticavano di comunicare taluni
dati al Ministero della sanita'. 
    Siffatto  divieto  neppure  e',  poi,  conseguito   ad   obblighi
derivanti da atti  internazionali,  dato  che,  come  gia'  e'  stato
puntualizzato da questa Corte, la sua eliminazione in nessun modo  ed
in nessun punto viola i principi posti dalla  Convenzione  di  Oviedo
del 4 aprile 1997  (che  solo  vieta  la  PMA  a  fini  selettivi  ed
eugenetici  e,  peraltro,  e'  ancora  priva   degli   strumenti   di
attuazione) e dal Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168,
sul divieto di  clonazione  di  esseri  umani,  recepiti  nel  nostro
ordinamento con la  legge  di  adattamento  28  marzo  2001,  n.  145
(Ratifica della Convenzione di Oviedo) (sentenza n. 49 del 2005). 
    6.-   Posta   questa   premessa,   opportuna   al   fine    della
contestualizzazione del divieto  in  esame,  occorre  constatare  che
esso, impedendo alla coppia destinataria della legge n. 40 del  2004,
ma assolutamente sterile o infertile, di utilizzare la tecnica di PMA
eterologa, e' privo di adeguato fondamento costituzionale. 
    Deve anzitutto essere ribadito che la scelta di  tale  coppia  di
diventare genitori e di formare una  famiglia  che  abbia  anche  dei
figli costituisce espressione della fondamentale e generale  liberta'
di autodeterminarsi, liberta' che, come questa  Corte  ha  affermato,
sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, e' riconducibile agli
artt. 2, 3 e 31 Cost., poiche' concerne la sfera privata e familiare.
Conseguentemente, le limitazioni di tale liberta', ed in  particolare
un  divieto  assoluto  imposto  al  suo  esercizio,   devono   essere
ragionevolmente e congruamente  giustificate  dall'impossibilita'  di
tutelare altrimenti interessi di pari  rango  (sentenza  n.  332  del
2000). La determinazione di avere o meno  un  figlio,  anche  per  la
coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la  sfera  piu'
intima ed intangibile  della  persona  umana,  non  puo'  che  essere
incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e cio'
anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a  questo
scopo alla tecnica  di  PMA  di  tipo  eterologo,  perche'  anch'essa
attiene  a  questa  sfera.  In  tal  senso  va   ricordato   che   la
giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come la legge n. 40 del
2004  sia  appunto  preordinata  alla  «tutela  delle   esigenze   di
procreazione», da contemperare con ulteriori  valori  costituzionali,
senza peraltro che sia stata  riconosciuta  a  nessuno  di  essi  una
tutela assoluta, imponendosi un  ragionevole  bilanciamento  tra  gli
stessi (sentenza n. 151 del 2009). 
    Va anche osservato che la Costituzione non pone  una  nozione  di
famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli  (come  e'
deducibile dalle sentenze n.  189  del  1991  e  n.  123  del  1990).
Nondimeno, il progetto di formazione di una  famiglia  caratterizzata
dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal  dato  genetico,
e'  favorevolmente   considerata   dall'ordinamento   giuridico,   in
applicazione   di   principi   costituzionali,   come   dimostra   la
regolamentazione dell'istituto dell'adozione. La  considerazione  che
quest'ultimo mira prevalentemente a garantire una famiglia ai  minori
(come affermato da questa Corte sin dalla sentenza n.  11  del  1981)
rende, comunque, evidente che il dato della provenienza genetica  non
costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa. 
    La liberta' e volontarieta' dell'atto che consente  di  diventare
genitori e di formare una famiglia, nel  senso  sopra  precisato,  di
sicuro non implica che la liberta' in esame  possa  esplicarsi  senza
limiti. Tuttavia, questi limiti, anche se ispirati da  considerazioni
e convincimenti di ordine etico, pur meritevoli di attenzione  in  un
ambito cosi' delicato, non possono consistere in un divieto assoluto,
come gia' sottolineato, a meno che lo stesso non  sia  l'unico  mezzo
per tutelare altri interessi di rango costituzionale. 
    7.- La disciplina in esame  incide,  inoltre,  sul  diritto  alla
salute, che, secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,  va
inteso «nel significato,  proprio  dell'art.  32  Cost.,  comprensivo
anche della salute pischica oltre che fisica» (sentenza  n.  251  del
2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e  «la
cui tutela deve essere di grado pari a quello  della  salute  fisica»
(sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa  nozione  corrisponde  a
quella sancita dall'Organizzazione Mondiale della Sanita', secondo la
quale  «Il  possesso  del  migliore  stato   di   sanita'   possibile
costituisce un diritto fondamentale di ogni essere  umano»  (Atto  di
costituzione dell'OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946). 
    In relazione a questo profilo, non sono dirimenti  le  differenze
tra PMA di tipo omologo ed eterologo, benche' soltanto la prima renda
possibile la nascita di  un  figlio  geneticamente  riconducibile  ad
entrambi  i  componenti  della  coppia.  Anche  tenendo  conto  delle
diversita' che caratterizzano dette tecniche, e', infatti, certo  che
l'impossibilita' di formare una famiglia con figli insieme al proprio
partner, mediante il  ricorso  alla  PMA  di  tipo  eterologo,  possa
incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della
coppia, nell'accezione che al  relativo  diritto  deve  essere  data,
secondo quanto sopra esposto. 
    In coerenza con questa  nozione  di  diritto  alla  salute,  deve
essere, quindi, ribadito che, «per giurisprudenza costante, gli  atti
dispositivi del proprio  corpo,  quando  rivolti  alla  tutela  della
salute, devono ritenersi leciti» (sentenza n. 161 del  1985),  sempre
che non siano lesi altri interessi costituzionali. 
    Nel caso di patologie produttive di  una  disabilita'  -  nozione
che, per evidenti ragioni  solidaristiche,  va  accolta  in  un'ampia
accezione - la discrezionalita' spettante  al  legislatore  ordinario
nell'individuare le  misure  a  tutela  di  quanti  ne  sono  affetti
incontra, inoltre, il limite del «rispetto di un nucleo indefettibile
di garanzie per gli interessati» (sentenze n. 80 del 2010, n. 251 del
2008).  Un  intervento  sul  merito  delle  scelte  terapeutiche,  in
relazione alla loro appropriatezza, non puo' nascere  da  valutazioni
di pura discrezionalita' politica del  legislatore,  ma  deve  tenere
conto anche degli indirizzi fondati sulla verifica dello stato  delle
conoscenze scientifiche  e  delle  evidenze  sperimentali  acquisite,
tramite istituzioni e organismi a cio' deputati (sentenza  n.  8  del
2011), anche in riferimento all'accertamento  dell'esistenza  di  una
lesione  del  diritto  alla  salute  psichica  ed  alla  idoneita'  e
strumentalita' di una determinata tecnica a garantirne la tutela  nei
termini nei quali essa si impone alla luce della nozione sopra posta.
Pertanto, va ribadito che, «in materia  di  pratica  terapeutica,  la
regola di fondo deve essere la autonomia  e  la  responsabilita'  del
medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte
professionali» (sentenza n. 151 del 2009), fermo restando  il  potere
del  legislatore  di  intervenire  in  modo  conforme   ai   precetti
costituzionali. Non  si  tratta  di  soggettivizzare  la  nozione  di
salute, ne' di assecondare  il  desiderio  di  autocompiacimento  dei
componenti di una coppia, piegando la tecnica  a  fini  consumistici,
bensi' di tenere conto che la nozione di patologia,  anche  psichica,
la sua incidenza sul diritto alla salute e  l'esistenza  di  pratiche
terapeutiche idonee a  tutelarlo  vanno  accertate  alla  luce  delle
valutazioni riservate alla scienza medica,  ferma  la  necessita'  di
verificare che la relativa scelta  non  si  ponga  in  contrasto  con
interessi di pari rango. 
    8.- Il censurato divieto  incide,  quindi,  sui  richiamati  beni
costituzionali. Tuttavia, cio' non e' sufficiente  a  farlo  ritenere
illegittimo, occorrendo a questo scopo accertare se l'assolutezza che
lo connota sia l'unico mezzo per garantire la tutela di altri  valori
costituzionali coinvolti dalla tecnica in esame. 
    9.- In linea  preliminare,  va  osservato  che  la  PMA  di  tipo
eterologo mira a favorire la vita  e  pone  problematiche  riferibili
eminentemente al tempo successivo alla nascita. La considerazione che
il divieto e' stato censurato nella parte in cui impedisce il ricorso
a detta tecnica nel caso in cui sia stata  accertata  l'esistenza  di
una  patologia,  che  e'  causa   irreversibile   di   sterilita'   o
infertilita'  assolute,   deve   escludere,   in   radice,   infatti,
un'eventuale  utilizzazione  della   stessa   ad   illegittimi   fini
eugenetici. 
    La tecnica in  esame  (che  va  rigorosamente  circoscritta  alla
donazione  di  gameti  e  tenuta  distinta  da  ulteriori  e  diverse
metodiche,  quali  la  cosiddetta   «surrogazione   di   maternita'»,
espressamente vietata dall'art. 12, comma 6, della legge  n.  40  del
2004, con prescrizione non censurata e  che  in  nessun  modo  ed  in
nessun punto e' incisa dalla presente pronuncia,  conservando  quindi
perdurante  validita'  ed  efficacia),  alla   luce   delle   notorie
risultanze della scienza medica, non comporta, inoltre, rischi per la
salute dei donanti e dei donatari eccedenti la normale alea insita in
qualsiasi  pratica  terapeutica,  purche'  eseguita  all'interno   di
strutture  operanti  sotto  i  rigorosi  controlli  delle  autorita',
nell'osservanza   dei   protocolli    elaborati    dagli    organismi
specializzati a cio' deputati. 
    10.- L'unico  interesse  che  si  contrappone  ai  predetti  beni
costituzionali e', dunque, quello della persona  nata  dalla  PMA  di
tipo eterologo,  che,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,
sarebbe leso a causa sia del rischio  psicologico  correlato  ad  una
genitorialita' non naturale,  sia  della  violazione  del  diritto  a
conoscere la  propria  identita'  genetica.  Le  censure,  ad  avviso
dell'interveniente,  sarebbero  inoltre  inammissibili,  come   sopra
accennato, poiche'  il  loro  eventuale  accoglimento  determinerebbe
incolmabili «vuoti normativi» in ordine  a  rilevanti  profili  della
disciplina applicabile, venendo in rilievo «una questione di politica
e di tecnica legislativa  di  competenza  del  conditor  iuris»,  che
porrebbe esclusivamente «scelte di opportunita'», riconducibili  alla
discrezionalita' riservata al legislatore ordinario. 
    Questa eccezione evidenzia l'inestricabile correlazione esistente
tra  profili  concernenti  l'ammissibilita'  ed   il   merito   delle
questioni. Devono, per cio' stesso, essere esaminati congiuntamente. 
    L'eccezione di inammissibilita'  non  e'  fondata,  anche  se  va
escluso che l'accoglimento delle questioni  possa  far  rivivere  gli
atti amministrativi sopra richiamati,  come  sostenuto  invece  dalle
parti private. Il contenuto del divieto introdotto dal citato art. 4,
comma 3, e l'impossibilita' di qualificare detta  norma  (e  l'intera
legge) come esclusivamente ed espressamente abrogatrice di una  norma
preesistente, nonche' la natura di tali atti, rendono infatti  palese
che non ricorre nessuna delle «ipotesi tipiche e molto  limitate»  di
reviviscenza che l'ordinamento costituzionale tollera  (tra  le  piu'
recenti, sentenza n. 70 del 2013). 
    11.- Posta questa premessa, deve essere ribadito che la legge  n.
40 del 2004 costituisce la «prima legislazione organica  relativa  ad
un delicato settore [...] che indubbiamente coinvolge una  pluralita'
di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel  loro  complesso,
postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi  che  assicuri  un
livello  minimo  di  tutela  legislativa»  e,  quindi,  sotto  questo
profilo, e'  «costituzionalmente  necessaria»  (sentenza  n.  45  del
2005).   Nondimeno,   in   parte   qua,   essa   non   ha   contenuto
costituzionalmente vincolato; infatti, nel dichiarare ammissibile  la
richiesta di referendum popolare per l'abrogazione,  tra  gli  altri,
dell'art.  4,  comma  3,  e'  stato  sottolineato   che   l'eventuale
accoglimento della proposta referendaria  non  avrebbe  fatto  «venir
meno un livello minimo di tutela costituzionalmente necessario, cosi'
da sottrarsi alla possibilita' di abrogazione referendaria» (sentenza
n. 49 del 2005). 
    In relazione al «vuoto normativo»  paventato  dall'interveniente,
rinviando alle considerazioni svolte di seguito per l'identificazione
delle  lacune  eventualmente   conseguenti   all'accoglimento   delle
questioni, occorre, peraltro, ricordare che questa  Corte  sin  dalla
sentenza n. 59 del 1958  ha  affermato  che  il  proprio  potere  «di
dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  delle  leggi  non  puo'
trovare ostacolo nella carenza legislativa  che,  in  ordine  a  dati
rapporti,  possa  derivarne;  mentre   spetta   alla   saggezza   del
legislatore [...] di eliminarla nel modo piu' sollecito ed opportuno»
e, di recente,  ha  ribadito  che,  «posta  di  fronte  a  un  vulnus
costituzionale, non sanabile in via interpretativa -  tanto  piu'  se
attinente a diritti fondamentali - la  Corte  e'  tenuta  comunque  a
porvi rimedio» (sentenza n. 113 del 2011). 
    L'esigenza di garantire il principio di costituzionalita'  rende,
infatti, imprescindibile affermare che il  relativo  sindacato  «deve
coprire nella misura piu' ampia  possibile  l'ordinamento  giuridico»
(sentenza n. 1  del  2014),  non  essendo,  ovviamente,  ipotizzabile
l'esistenza  di  ambiti  sottratti  allo  stesso.  Diversamente,   si
determinerebbe, infatti, una lesione intollerabile per  l'ordinamento
costituzionale  complessivamente  considerato,   soprattutto   quando
risulti accertata la violazione di una liberta' fondamentale, che non
puo' mai essere giustificata con l'eventuale inerzia del  legislatore
ordinario. Una volta accertato che una  norma  primaria  si  pone  in
contrasto  con  parametri  costituzionali,  questa  Corte  non  puo',
dunque, sottrarsi al proprio potere-dovere di porvi  rimedio  e  deve
dichiararne l'illegittimita', essendo poi  «compito  del  legislatore
introdurre apposite disposizioni» (sentenza n. 278  del  2013),  allo
scopo di eliminare le eventuali lacune che non possano essere colmate
mediante gli ordinari strumenti interpretativi dai giudici  ed  anche
dalla pubblica amministrazione, qualora cio' sia ammissibile. 
    Nella specie sono, peraltro, identificabili piu' norme  che  gia'
disciplinano molti dei  profili  di  piu'  pregnante  rilievo,  anche
perche' il  legislatore,  avendo  consapevolezza  della  legittimita'
della  PMA  di  tipo  eterologo  in  molti  paesi  d'Europa,  li   ha
opportunamente regolamentati, dato che i cittadini italiani  potevano
(e possono) recarsi in questi ultimi per fare ad essa  ricorso,  come
in effetti e' accaduto in un non irrilevante numero di casi. 
    11.1.-  La  ritenuta  fondatezza  delle  censure  non   determina
incertezze in  ordine  all'identificazione  dei  casi  nei  quali  e'
legittimo il ricorso alla tecnica in  oggetto.  L'accoglimento  delle
questioni, in coerenza  con  il  petitum  formulato  dai  rimettenti,
comporta,   infatti,   l'illegittimita'   del   divieto   in   esame,
esclusivamente in riferimento al caso  in  cui  sia  stata  accertata
l'esistenza  di  una  patologia  che  sia  causa   irreversibile   di
sterilita' o infertilita' assolute. In  particolare,  secondo  quanto
stabilito dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del
2004, all'evidenza direttamente riferibili anche  alla  PMA  di  tipo
eterologo, il ricorso alla stessa, una volta  dichiarato  illegittimo
il censurato divieto, deve ritenersi consentito solo «qualora non  vi
siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere»  le  cause  di
sterilita' o infertilita' e sia stato accertato il carattere assoluto
delle stesse, dovendo siffatte  circostanze  essere  «documentate  da
atto medico» e da questo certificate. Il ricorso  a  questa  tecnica,
non diversamente da quella di tipo omologo, deve, inoltre,  osservare
i principi di gradualita' e  del  consenso  informato  stabiliti  dal
citato art. 4, comma 2. 
    Nessuna  lacuna  sussiste  in  ordine  ai  requisiti  soggettivi,
poiche' la dichiarata illegittimita' del  divieto  non  incide  sulla
previsione recata dall'art. 5, comma 1, di detta legge,  che  risulta
ovviamente applicabile alla PMA di tipo eterologo (come gia' a quella
di  tipo  omologo);  quindi,  alla  stessa   possono   fare   ricorso
esclusivamente le «coppie di maggiorenni di sesso diverso,  coniugate
o conviventi, in eta' potenzialmente fertile, entrambi  viventi».  Ad
analoga  conclusione  deve  pervenirsi  quanto  alla  disciplina  del
consenso, dato che la completa regolamentazione stabilita dall'art. 6
della legge n. 40 del 2004 - una volta venuto meno, nei limiti  sopra
precisati, il censurato divieto -  riguarda  evidentemente  anche  la
tecnica in esame, in quanto costituisce una particolare  metodica  di
PMA. E', inoltre, parimenti chiaro che l'art. 7 della legge n. 40 del
2004, il quale offre base giuridica  alle  Linee  guida  emanate  dal
Ministro della salute, «contenenti l'indicazione  delle  procedure  e
delle tecniche di procreazione  medicalmente  assistita»,  avendo  ad
oggetto le direttive che devono essere emanate per l'esecuzione della
disciplina e  concernendo  il  genus  PMA,  di  cui  quella  di  tipo
eterologo costituisce una species, e', all'evidenza, riferibile anche
a questa, come lo sono altresi' gli  artt.  10  ed  11,  in  tema  di
individuazione   delle   strutture   autorizzate   a   praticare   la
procreazione medicalmente assistita e di documentazione dei  relativi
interventi. 
    Siffatta considerazione permette, poi, di ritenere che  le  norme
di divieto e sanzione non censurate (le quali conservano validita' ed
efficacia), preordinate a garantire l'osservanza  delle  disposizioni
in materia di requisiti  soggettivi,  modalita'  di  espressione  del
consenso e documentazione medica necessaria ai  fini  della  diagnosi
della patologia e  della  praticabilita'  della  tecnica,  nonche'  a
garantire il rispetto delle prescrizioni concernenti le modalita'  di
svolgimento della PMA ed a vietare la commercializzazione  di  gameti
ed embrioni e la surrogazione di maternita' (art. 12, commi  da  2  a
10, della legge n. 40 del 2004) sono applicabili direttamente (e  non
in via d'interpretazione estensiva) a quella di tipo eterologo, cosi'
come lo sono le ulteriori norme, nelle parti non incise  da  pronunce
di questa Corte. 
    I profili sui quali si e' soffermato l'interveniente, concernenti
lo stato giuridico del nato ed  i  rapporti  con  i  genitori,  sono,
inoltre, anch'essi regolamentati dalle pertinenti norme  della  legge
n. 40 del 2004, applicabili anche al nato da PMA di tipo eterologo in
forza degli ordinari canoni ermeneutici. La constatazione che  l'art.
8, comma 1, di detta legge contiene un ampio riferimento ai  «nati  a
seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita»,  in  considerazione  della  genericita'  di  quest'ultima
locuzione e dell'essere la PMA di  tipo  eterologo  una  species  del
genus, come sopra precisato, rende, infatti, chiaro che, in virtu' di
tale norma, anche i nati da quest'ultima tecnica «hanno lo  stato  di
figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha
espresso la volonta' di  ricorrere  alle  tecniche  medesime».  Della
nuova concezione della paternita' il  legislatore  ordinario  si  e',
peraltro, di recente dimostrato consapevole, modificando  l'art.  231
del codice civile, il quale, nel  testo  novellato  dall'art.  8  del
decreto  legislativo  28  dicembre  2013,  n.  154  (Revisione  delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma  dell'articolo
2   della   legge   10   dicembre   2012,   n.   219),    stabilisce,
significativamente, che «Il marito e' padre del  figlio  concepito  o
nato durante il matrimonio», risultando cosi' sostituita l'originaria
formulazione della norma, la quale disponeva, invece, che «Il  marito
e' padre del figlio concepito durante il matrimonio». 
    Una volta espunte dai commi 1 e 3 dell'art. 9 della legge  n.  40
del 2004, a seguito dell'accoglimento delle sollevate  questioni,  le
parole «in violazione del divieto di cui  all'articolo  4,  comma  3»
risulta, infine, confermata  sia  l'inammissibilita'  dell'azione  di
disconoscimento della paternita' (il richiamo dell'art. 235 cod. civ.
a seguito delle modifiche realizzate dagli artt. 17 e 106 del  d.lgs.
n. 154 del 2013 deve ritenersi ora  riferito  all'art.  243-bis  cod.
civ.) e dell'impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo  novellato
dall'art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita  da  PMA
di  tipo  eterologo  non  da'  luogo  all'istituzione  di   relazioni
giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il  nato,  essendo,
quindi, regolamentati i principali profili dello stato  giuridico  di
quest'ultimo. 
    12.-  Dalle  norme  vigenti  e',  dunque,  gia'  desumibile   una
regolamentazione della PMA di tipo eterologo  che,  in  relazione  ai
profili  ulteriori  rispetto  a   quelli   sopra   approfonditi,   e'
ricavabile, mediante gli  ordinari  strumenti  interpretativi,  dalla
disciplina concernente, in linea generale, la donazione di tessuti  e
cellule umani, in quanto espressiva di principi  generali  pur  nelle
diversita' delle fattispecie (in ordine,  esemplificativamente,  alla
gratuita'  e  volontarieta'  della  donazione,  alle  modalita'   del
consenso, all'anonimato del donatore, alle esigenze di  tutela  sotto
il profilo sanitario, oggetto degli artt. 12, 13, comma 1,  14  e  15
del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, recante  «Attuazione
della direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di  qualita'
e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il  controllo,
la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di
tessuti e cellule umane»). In relazione al numero delle donazioni e',
poi, possibile un  aggiornamento  delle  Linee  guida,  eventualmente
anche alla luce delle discipline stabilite  in  altri  Paesi  europei
(quali, ad esempio, la Francia e il Regno Unito),  ma  tenendo  conto
dell'esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto. 
    La questione del diritto all'identita'  genetica,  nonostante  le
peculiarita' che la connotano in relazione alla fattispecie in esame,
neppure  e'  nuova.  Essa  si  e'  posta,  infatti,  in   riferimento
all'istituto dell'adozione e sulla stessa e' di  recente  intervenuto
il legislatore, che ha disciplinato l'an ed il  quomodo  del  diritto
dei  genitori  adottivi  all'accesso  alle  informazioni  concernenti
l'identita' dei genitori biologici dell'adottato (art. 28,  comma  4,
della legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una
famiglia», nel testo modificato dall'art. 100, comma  1,  lettera  p,
del d.lgs. n. 154 del 2013). Inoltre, in tale ambito era  stato  gia'
infranto  il  dogma  della  segretezza  dell'identita'  dei  genitori
biologici quale garanzia insuperabile della coesione  della  famiglia
adottiva,  nella  consapevolezza  dell'esigenza  di  una  valutazione
dialettica dei relativi rapporti (art. 28, comma 5,  della  legge  n.
184 del 1983). Siffatta esigenza e' stata confermata da questa  Corte
la quale, nello  scrutinare  la  norma  che  vietava  l'accesso  alle
informazioni nei confronti della  madre  che  abbia  dichiarato  alla
nascita  di  non   volere   essere   nominata,   ha   affermato   che
l'irreversibilita' del segreto arrecava  un  insanabile  vulnus  agli
artt. 2 e 3 Cost. e l'ha, quindi, rimossa,  giudicando  inammissibile
il  suo  mantenimento  ed  invitando  il  legislatore  ad  introdurre
apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante
attualita' della scelta compiuta dalla madre naturale e, nello stesso
tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo  diritto  all'anonimato
(sentenza n. 278 del 2013). 
    13.- Il censurato divieto, nella sua assolutezza, e' pertanto  il
risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco,
in violazione anche del canone di razionalita' dell'ordinamento,  non
giustificabile neppure  richiamando  l'esigenza  di  intervenire  con
norme primarie  o  secondarie  per  stabilire  alcuni  profili  della
disciplina della PMA di tipo eterologo. 
    A   tal   proposito,   va   ricordato   che   la   giurisprudenza
costituzionale  «ha  desunto  dall'art.  3   Cost.   un   canone   di
"razionalita'" della legge svincolato da una normativa di  raffronto,
rintracciato nell'"esigenza di conformita' dell'ordinamento a  valori
di giustizia e di equita'" [...] ed a  criteri  di  coerenza  logica,
teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro
l'eventuale manifesta irrazionalita' o  iniquita'  delle  conseguenze
della  stessa»  (sentenza  n.  87  del   2012).   Lo   scrutinio   di
ragionevolezza, in  ambiti  connotati  da  un'ampia  discrezionalita'
legislativa, impone, inoltre, a questa Corte  di  verificare  che  il
bilanciamento degli interessi costituzionalmente  rilevanti  non  sia
stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la
compressione  di  uno  di  essi  in  misura  eccessiva   e   pertanto
incompatibile con  il  dettato  costituzionale.  Tale  giudizio  deve
svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei
mezzi   prescelti   dal   legislatore   nella    sua    insindacabile
discrezionalita' rispetto alle esigenze  obiettive  da  soddisfare  o
alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze
e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130  del
1988).  A  questo  scopo  puo'   essere   utilizzato   il   test   di
proporzionalita', insieme con quello di ragionevolezza, che «richiede
di valutare se la norma oggetto di scrutinio,  con  la  misura  e  le
modalita' di applicazione  stabilite,  sia  necessaria  e  idonea  al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto,  tra
piu'  misure  appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014). 
    In applicazione di tali principi, alla luce del dichiarato  scopo
della legge n. 40 del 2004 «di favorire  la  soluzione  dei  problemi
riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla  infertilita'  umana»
(art. 1, comma 1), la preclusione assoluta di  accesso  alla  PMA  di
tipo eterologo introduce  un  evidente  elemento  di  irrazionalita',
poiche'  la  negazione  assoluta  del   diritto   a   realizzare   la
genitorialita',  alla  formazione  della  famiglia  con  figli,   con
incidenza sul diritto alla salute,  nei  termini  sopra  esposti,  e'
stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie  piu'  gravi,
in contrasto con la ratio legis. Non  rileva  che  le  situazioni  in
comparazione non sono completamente assimilabili, sia perche' cio' e'
ininfluente in relazione al canone di razionalita' della  norma,  sia
perche' «il principio di cui all'art. 3 Cost.  e'  violato  non  solo
quando   i   trattamenti   messi   a   confronto   sono   formalmente
contraddittori in ragione dell'identita' delle fattispecie, ma  anche
quando la differenza di trattamento e' irrazionale secondo le  regole
del discorso  pratico,  in  quanto  le  rispettive  fattispecie,  pur
diverse, sono ragionevolmente analoghe» (sentenza n. 1009 del  1988),
come appunto nel caso in esame. 
    Il divieto in esame cagiona, in  definitiva,  una  lesione  della
liberta' fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del
2004 di formare  una  famiglia  con  dei  figli,  senza  che  la  sua
assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela  del  nato,  le
quali, in virtu' di quanto sopra rilevato in  ordine  ad  alcuni  dei
piu' importanti profili della situazione giuridica dello stesso, gia'
desumibile  dalle  norme  vigenti,  devono   ritenersi   congruamente
garantite. 
    La regolamentazione degli effetti della  PMA  di  tipo  eterologo
praticata al di fuori del nostro  Paese,  benche'  sia  correttamente
ispirata allo scopo di  offrire  la  dovuta  tutela  al  nato,  pone,
infine, in evidenza un ulteriore  elemento  di  irrazionalita'  della
censurata disciplina. Questa realizza,  infatti,  un  ingiustificato,
diverso trattamento delle coppie affette dalla piu' grave  patologia,
in  base  alla  capacita'  economica  delle   stesse,   che   assurge
intollerabilmente  a   requisito   dell'esercizio   di   un   diritto
fondamentale, negato solo a quelle prive  delle  risorse  finanziarie
necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in  altri
Paesi. Ed e' questo non un mero inconveniente  di  fatto,  bensi'  il
diretto effetto  delle  disposizioni  in  esame,  conseguente  ad  un
bilanciamento  degli  interessi  manifestamente   irragionevole.   In
definitiva, le norme  censurate,  pur  nell'obiettivo  di  assicurare
tutela  ad  un  valore  di  rango  costituzionale,  stabiliscono  una
disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile
degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, giungendo
a realizzare una palese ed irreversibile lesione di alcuni  di  essi,
in violazione dei parametri costituzionali sopra richiamati. 
    Deve essere  quindi  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004, nella parte in  cui
stabilisce  il  divieto  del  ricorso  a  tecniche  di   procreazione
medicalmente  assistita  di  tipo  eterologo,   qualora   sia   stata
diagnosticata  una  patologia  che  sia   causa   di   sterilita'   o
infertilita' assolute ed irreversibili, nonche' dell'art. 9, commi  1
e 3, limitatamente alle parole «in  violazione  del  divieto  di  cui
all'articolo 4, comma 3», e dell'art. 12, comma 1, di detta legge. 
    14.-  Restano  assorbiti  i  motivi  di  censura   formulati   in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.
8 e 14 della CEDU. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3,
della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita), nella parte in cui stabilisce per la  coppia
di cui all'art. 5, comma 1, della  medesima  legge,  il  divieto  del
ricorso a tecniche di procreazione  medicalmente  assistita  di  tipo
eterologo, qualora sia stata  diagnosticata  una  patologia  che  sia
causa di sterilita' o infertilita' assolute ed irreversibili; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1,
della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in  violazione
del divieto di cui all'articolo 4, comma 3»; 
    3) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 3,
della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in  violazione
del divieto di cui all'articolo 4, comma 3»; 
    4) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  12,  comma
1, della legge n. 40 del 2004, nei limiti di cui in motivazione. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                     Giuseppe TESAURO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI 
 
 
                                                            Allegato: 
                       ordinanza letta all'udienza dell'8 aprile 2014 
 
                              ORDINANZA 
 
    Rilevato che i giudizi hanno ad  oggetto,  in  parte,  le  stesse
norme, censurate in relazione a parametri costituzionali, per profili
e con argomentazioni in larga misura coincidenti che,  quindi,  vanno
riuniti per essere decisi con una stessa pronuncia; 
    che nel giudizio promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Catania
(reg. ord. n. 240 del 2013) sono intervenute: 
    a) l'Associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti, la quale
non e' parte nel processo principale, deducendo di essere titolare di
un  interesse  specifico,  connesso  alle  sollevate   questioni   di
legittimita' costituzionale, in quanto «per statuto,  si  propone  di
analizzare gli sviluppi della societa' dal punto di vista  giuridico,
socio-economico e culturale per individuare l'insieme dei diritti  da
proteggere,  potenziare  e  conquistare»,  con  la  conseguenza  che,
rientrando l'oggetto di dette questioni nell'ambito dell'attivita'  e
degli  interessi  da  essa   perseguiti,   sarebbe   legittimata   ad
intervenire nel giudizio di costituzionalita'; 
    b) l'Associazione Luca  Coscioni,  per  la  liberta'  di  ricerca
scientifica, l'Associazione Amica Cicogna Onlus, l'Associazione Cerco
un bimbo e l'Associazione Liberi  di  decidere  (intervenute  con  un
unico  atto),  le  quali,  premesso  di  avere  spiegato   intervento
(ritenuto ammissibile) nel processo principale in  corso  davanti  al
Tribunale ordinario di Firenze, in cui e' stata  sollevata  questione
di legittimita' costituzionale con l'ordinanza iscritta al n. 213 del
reg. ord. 2013, deducono che, «per intervenuta separazione  personale
dei coniugi [...] non hanno depositato costituzione nel procedimento»
promosso da detta ordinanza e,  tuttavia,  sostengono  che,  «per  le
funzioni che svolgono nell'ambito di cui trattasi,  rappresentando  i
diritti di  pazienti,  studiosi  e  cittadini,  si  configurano  come
soggetti  titolari  di  un  interesse   qualificato,   immediatamente
inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio», anche  perche'
la seconda di dette associazioni  risulterebbe  «essere  osservatorio
privilegiato sul mondo della  fecondazione  medicalmente  assistita»,
sicche' sarebbero legittimate ad  intervenire  nel  diverso  giudizio
promosso dal Tribunale ordinario di Catania originato  dall'ordinanza
di rimessione pronunciata da detto giudice; 
    che, secondo la costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  sono
ammessi ad  intervenire  nel  giudizio  incidentale  di  legittimita'
costituzionale le sole parti  del  giudizio  principale  ed  i  terzi
portatori di un interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio  e   non   semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura (per tutte, sentenze n. 134 e n.  85  del  2013),  mentre  la
circostanza che un soggetto sia  parte  in  un  giudizio  diverso  da
quello oggetto dell'ordinanza di  rimessione,  nel  quale  sia  stata
sollevata analoga questione di legittimita'  costituzionale,  neppure
e' sufficiente  a  rendere  ammissibile  l'intervento  (ex  plurimis,
sentenza n. 470 del 2002; ordinanza n. 150 del 2012); 
    che,  alla  luce  di  detti  principi,  poiche'   le   suindicate
associazioni non sono parti nel giudizio principale nel cui corso  il
Tribunale  ordinario  di  Catania  ha  sollevato  le   questioni   di
legittimita' costituzionale oggetto dell'ordinanza iscritta al n. 240
del reg. ord. 2013, ne' risultano essere  titolari  di  un  interesse
qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio, gli interventi dalle stesse proposti
vanno dichiarati inammissibili. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili   gli    interventi    dell'Associazione
Vox-Osservatorio  italiano  sui   diritti,   dell'Associazione   Luca
Coscioni, per la liberta' di ricerca  scientifica,  dell'Associazione
Amica   Cicogna   Onlus,   dell'Associazione   Cerco   un   bimbo   e
dell'Associazione Liberi di decidere,  nel  giudizio  introdotto  dal
Tribunale ordinario di Catania, con l'ordinanza iscritta  al  n.  240
del reg. ord. 2013. 
 
                 F.to: Gaetano Silvestri, Presidente 
 

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