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sabato 27 ottobre 2018

TAR 2018: impugnato provvedimento sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 737/81, e per il risarcimento del danno subìto. Pubblicato il 05/09/2018 N. 09153/2018 REG.PROV.COLL. N. 00639/2008 REG.RIC.



TAR 2018: impugnato provvedimento sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 737/81, e per il risarcimento del danno subìto.

Pubblicato il 05/09/2018

N. 09153/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00639/2008 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 639 del 2008, proposto da
xxx xxx, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano, Filippo Lubrano, Lorenzo Maria Cioccolini, Francesco Era, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso lo studio dell’Avv.Enrico Lubrano in Roma, via Flaminia, 79;

contro

Ministero dell'Interno, Capo della Polizia di Stato non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

del decreto del Capo della Polizia 19 settembre 2007, n. 333-D/36379, che ha disposto la sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 737/81, e per il risarcimento del danno subito.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2018 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 24 dicembre 2007, parte ricorrente ha impugnato - deducendone l’illegittimità sotto vari profili - il decreto adottato dal Capo della Polizia 19 settembre 2007, n. 333-D/36379, con cui veniva disposta nei propri confronti la sospensione cautelare dal servizio ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 737/81 con cui, a seguito della pubblicazione di sentenza penale di condanna da parte del Tribunale di Bolzano in data 19 giugno 2007 per reati commessi in qualità di Presidente dell'Associazione sportiva "xxx xxx” l’amministrazione disponeva la sospensione cautelare dal servizio ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 737/81.

Argomenta infatti il ricorrente che, per i medesimi fatti, il Dirigente del Comparto di Polizia Ferroviaria di Verona con provvedimento del 10 febbraio 2003, prot. n. 2.8/853 aveva già comminato la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio ai sensi dell’art. 9, comma 1, del D.P.R. 737/81, con efficacia decorrente dal 7 febbraio 2003 fino alla definizione del procedimento penale e comunque per un periodo non superiore a 5 anni.

Ed infatti, il presupposto dei due provvedimenti sarebbe costituito dalla medesima circostanza dell’essere stato il Sig.xxx dapprima indagato e sottoposto a misura restrittiva della libertà cautelare giusta ordinanza n.rg. 479/2003 emanata dal GIP di Bolzano, per i capi di imputazione meglio descritti agli atti di causa (ai quali si ritiene sufficiente riportarsi per relationem, in ossequio al principio di necessità, proporzionalità e pertinenza di cui all’art.11 del Codice in materia di trattamento dei dati personali-D.lgs. n.196/2003) e, quindi, sottoposto a sentenza penale di condanna per parte di tali reati.

Ed invero, successivamente all’ordinanza di custodia cautelare – avente ad oggetto capi di imputazione relativi a reati asseritamente commessi dal xxx sia in qualità di pubblico ufficiale (c.d.” “reati propri”) che in qualità di privato cittadino (c.d. “reati impropri”) il P.M. decideva di procedere separatamente. In particolare, per i reati di cui agli art.640 bis e 483 c.p., commessi dal xxx in qualità di privato (e precisamente di Presidente dell'Associazione sportiva "xxx xxx”) il procedimento r.g. n. 2584/2003 si concludeva con sentenza penale di condanna, pronunziata il 18 giugno 2007, alla pena di anni 5 e interdizione dai pubblici uffici.

Ne conseguirebbe, pertanto, la violazione del c.d. “ne bis in idem”, non potendo essere il ricorrente sottoposto a distinti provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio per i medesimi fatti oltre che, in via subordinata, la violazione dell’art.9 comma 2 del D.P.R. 737/81 atteso che la sospensione cautelare dal servizio sarebbe priva di adeguata motivazione oltre che sproporzionata rispetto ai fatti commessi, attesa la complessiva sospensione cautelare dal servizio per circa 10 anni.

Il ricorrente ha pertanto concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato e la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni subìti per effetto dell’illegittimità del provvedimento.

Con successiva memoria, notificata a controparte il 18 luglio 2017 e depositata il 24 luglio 2017, parte ricorrente ha precisato la domanda risarcitoria nel senso della richiesta di ricostruzione della carriera a partire dal 26 ottobre 2007 – cioè dal momento della decorrenza dell'efficacia del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio - sino all'avvenuta destituzione dal servizio avvenuta nel 20 giugno 2011, con Decreto n. 333-D/36378.

L’amministrazione non si è costituita in giudizio.

Con ordinanza collegiale del 17 ottobre 2017, n. 10415 il Collegio, ritenendo la controversia non ancora matura per la decisione, ha ordinato al Ministero dell’interno di produrre una relazione sui fatti di causa, corredata da ogni utile documentazione; a fronte dell’inottemperanza dell’amministrazione, i medesimi adempimenti sono stati reiterati con ordinanza del 21 marzo 2018 n.3165 con espresso avviso che, perdurando l’inadempimento, le questioni poste dal ricorrente saranno decise ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c..

L’amministrazione non ha ottemperato e, nell’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, va rilevata la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso nella parte caducatoria, atteso che – come evidenziato nella memoria di parte ricorrente- il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio in epigrafe ha già esplicato interamente i propri effetti, essendo intervenuto in data 20 giugno 2011 il Decreto n. 333-D/36378 di definitiva destituzione dal servizio del Sig.xxx.

La presente decisione, pertanto, viene adottata ai sensi dell’art.34 comma 3 c.p.a., sussistendo l’interesse ai fini risarcitori, come da domanda formulata con il ricorso introduttivo e ulteriormente integrata con memoria depositata il 24 luglio 2017, notificata a controparte.

Tanto premesso, il ricorso non merita accoglimento.

Come è noto, infatti, l'art. 9 d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante sanzioni disciplinari per il personale di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) dispone che:

l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell'ufficio dal quale gerarchicamente dipende, che deve, altresì, riferire immediatamente alla direzione centrale del personale presso il dipartimento della pubblica sicurezza (comma 1);

fuori dai casi previsti nel comma precedente, l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro su rapporto motivato del capo dell'ufficio dal quale dipende (…)” (comma 2).

Come emerge chiaramente dalla lettera della legge, fuori dai casi di sospensione obbligatoria – prevista nei casi in cui il dipendente sia “colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva” – presupposti ai quali corrisponde, nell’attuale formulazione del codice procedura penale, la sottoposizione a misure restrittive della libertà personale- la legge affida all'organo di vertice dell’Amministrazione della sicurezza un potere discrezionale lato nel disporre la sospensione cautelare dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento penale, sol che sia particolarmente grave il titolo del reato per il quale si procede.

Ai fini della motivazione del provvedimento in questione, pertanto, è sufficiente che venga richiamato, anche per relationem, il titolo del reato per il quale il dipendente risulti sottoposto a procedimento penale e che tale titolo di reato sia stato ritenuto “grave”.

La valutazione circa la “gravità” del reato, in particolare, è rimessa alla valutazione dell’organo di vertice dell’amministrazione e non è soggetta a sindacato del Giudice amministrativo, salvo che non appaia manifestamente irrazionale o sproporzionata.

Per quanto attiene al caso di specie, ad avviso del Collegio la “gravità” dei reati non è esclusa dal fatto che la sentenza penale del 18.07.2007, posta a presupposto della sospensione facoltativa dal servizio, attenga a reati commessi dal Sig.xxx in qualità di privato cittadino (truffa aggravata per conseguimento erogazioni pubbliche da parte della Provincia Autonoma di Bolzano e falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico) in quanto all’epoca dei fatti il predetto svolgeva servizio di Vice- Sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso il posto di Polizia Ferroviaria di xxx (xxx).

Inoltre, sempre ai fini della valutazione della “gravità” della condotta, non può non essere evidenziato che in ordine a tali fatti il ricorrente non veniva semplicemente indagato (come ritenuto sufficiente dal legislatore nell’art.9 comma 2 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737) ma condannato alla pena di anni 5 anni di reclusione con interdizione dai pubblici uffici.

Ne deriva che la valutazione effettuata dall’amministrazione appare immune dai profili di illegittimità evidenziati, trattandosi di reati che, anche alla luce anche dell’entità della pena comminata, appaiono senz’altro “gravi” in quanto idonei a fare emerge una obiettiva situazione di conflitto fra interessi privati ed attività pubblica, di strumentalizzazione della propria posizione rivestita nel contesto dell’attività della forza di polizia, ben suscettibile di poter essere considerata in contrasto con i fini istituzionali e quindi non tollerabile da parte della Polizia di Stato, costituendo una condotta opposta a quella esemplare e rispettosa della legalità che dovrebbe tenere un soggetto appartenente alla Polizia di Stato, la cui funzione è proprio quella di prevenire e combattere la criminalità.

Né può ritenersi fondata la censura relativa alla violazione del c.d. “ne bis in idem”, argomentata da parte ricorrente anche con riferimento al principio affermato dalla CEDU -sentenza della Sezione Seconda, 4 marzo 2014, ricorso n. 18460/2010, c.d. Grande Stevens.

Infatti – posto che il principio in questione, previsto dall’art.649 c.p.p. si riferisce esclusivamente al divieto di sottoposizione ad un nuovo giudizio penale per l’imputato prosciolto o condannato con sentenza irrevocabile per il medesimo fatto e che, ad esempio, tale principio non è stato ritenuto preclusivo all’applicazione per il medesimo fatto anche di una sanzione amministrativa (v.Cass.Pen., III, n.25815/2016) – non può essere invocato nel caso in esame; in ogni caso, volendo applicare il medesimo principio anche alla applicazione di provvedimenti cautelari amministrativi, non potrebbe non evidenziarsi che ai fini della preclusione connessa al principio "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica non soltanto nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale), ma anche con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.

A volere trasporre tale principio in campo amministrativistico dovrebbe concludersi che il medesimo provvedimento cautelare non può essere comminato a fronte degli stessi presupposti fattuali e giuridici, condizione che non si ravvisa nel caso in esame, essendo i provvedimenti di sospensione obbligatoria dal servizio e quella facoltativa, previsti rispettivamente dai commi 1 e 2 dell’art.9 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, conseguenza di presupposti differenti.

Ed invero, la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio di cui al comma 1 dell’art.9 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 costituisce provvedimento vincolato strettamente connesso e limitato al periodo di restrizione della libertà personale subìto dal dipendente.

La sospensione facoltativa dal servizio, di cui al comma 2 del medesimo art.9 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, presuppone invece esclusivamente che il dipendente sia “sottoposto a procedimento penale” e che si tratti di “un reato grave”: ciò significa che se da un lato al fine dell’applicazione di tale misura (cautelare) è sufficiente la sottoposizione a procedimento penale e non occorre che sia stato emanato alcun provvedimento restrittivo, dall’altro anche ove sia precedentemente intervenuta la sospensione obbligatoria dal servizio, qualora permangano le esigenze cautelari ciò non preclude la successiva applicazione della sospensione facoltativa nelle more della definizione definitiva del rapporto tra dipendente e amministrazione mediante l’adozione di un provvedimento che si concretizzi nella eventuale sanzione adottata in esito al procedimento disciplinare (Cons. Stato, Ad. Plen. 16 giugno 1999, n. 15; Sez. VI, 3 luglio 2001, n. 3659).

Né può essere accolta la censura con cui parte ricorrente deduce che la sommatoria della sospensione obbligatoria e di quella facoltativa (comminata in data 19 settembre 2007 senza neppure attendere la scadenza del decorso quinquennale della sospensione obbligatoria in data 7 febbraio 2008), abbia finito per sottoporre il ricorrente alla sospensione dal servizio per un periodo complessivamente superiore ai 5 anni, così snaturando la natura cautelare di tali provvedimenti, in violazione del termine di durata massima della sospensione di cui all’art.9, comma 2, della legge n.19 del 7 febbraio 1990.

Infatti, secondo quanto recentemente ritenuto dalla Corte di Cassazione in tema di procedimento disciplinare a carico dei dipendenti pubblici, il termine quinquennale di efficacia della sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, previsto dall'art. 9, comma 2, legge 7 febbraio 1990, n. 19, si riferisce unicamente alla sospensione obbligatoria, per cui nel relativo computo non può cumularsi la sospensione facoltativa, conformemente all'interpretazione fornita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 447 del 1995 (Cass. civ. Sez. lavoro, 04-09-2014, n. 18673).

L’unico profilo per cui, in conclusione, potrebbe ritenersi fondato il ricorso è quello relativo alla illegittimità del provvedimento di sospensione cautelare facoltativa comminato in data 19 settembre 2007 quando ancora non era scaduto il provvedimento di sospensione obbligatoria (scadente in data 7 febbraio 2008), con parziale sovrapposizione dei due provvedimenti per circa 4 mesi.

E tuttavia, tale profilo di censura va ritenuto inammissibile per carenza di interesse ai fini risarcitori, atteso che il provvedimento di destituzione dal servizio ha effetto retroattivo, fin dal momento della sospensione cautelare dal servizio (Cons. Stato Sez. VI, 27-04-2018, n. 2575) con la conseguenza che il ricorrente, per effetto dell’intervenuta destituzione anche con riferimento al periodo in oggetto non potrebbe vantare alcuna pretesa economica.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

In considerazione della mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione nulla si dispone per le spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, ai sensi dell’art.34 comma 3 c.p.a., lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Salvatore Mezzacapo, Presidente

Mariangela Caminiti, Consigliere

Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Ines Simona Immacolata Pisano
Salvatore Mezzacapo

IL SEGRETARIO

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