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LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 29-09-2008, n. 24293
Cass. civ. Sez. lavoro, 29-09-2008, n. 24293
Svolgimento del processo
Con
sentenza del 19 maggio 2004, il Tribunale di Roma aveva respinto una
serie di domande proposte da L.M.L., dal 23 marzo 1987 dipendente della
Telecom s.p.a. - con inquadramento in livello C) di cui al C.C.N.L.
applicato e mansioni di impiegata amministrativa, dirette ad ottenere
l'accertamento dell'illegittimità della intervenuta modifica in pejus
delle sue mansioni, il suo diritto ad essere reintegrata nelle mansioni
precedenti, la condanna della società predetta a risarcirle il danno
alla professionalità e all'immagine professionale subito, la condanna
della stessa a risarcirle il danno biologico provocato dall'illegittimo
trasferimento ed applicazione al servizio 187, il danno morale e quello
esistenziale, oltre al pagamento di alcuni elementi retributivi e
l'accertamento del suo diritto ad una qualifica superiore, con le
connesse differenze retributive.
Su appello
della L., la Corte d'appello di Roma, con sentenza parziale depositata
il 23 ottobre 2007, pronunciando unicamente sul motivo di appello
relativo alla dequalificazione che l'appellante avrebbe subito, prima a
causa della sua inattività per quattro mesi dal novembre 1999 e poi in
ragione dell'adibizione, alla fine di marzo 2000, al servizio telefonico
187, ha riformato la sentenza di primo grado, dichiarando
l'illegittimità del comportamento denunciato e il diritto della L. nei
confronti della Telecom ad essere reintegrata nelle mansioni
precedentemente svolte ovvero in altre ad esse equivalenti e ha disposto
con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio in ordine agli
ulteriori motivi di appello.
Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione la Telecom Italia s.p.a., affidato a due motivi.
Resiste alle domande L.M.L. con rituale controricorso.
La Telecom s.p.a. ha depositato una memoria difensiva ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1
- Col primo motivo di ricorso viene denunciata l'omessa motivazione
della sentenza in ordine all'eccezione di nullità del ricorso
introduttivo per mancata descrizione delle mansioni assunte come
dequalificanti presso il servizio 187 e la violazione al riguardo dell'art. 112 c.p.c..
Tale
eccezione sarebbe stata formulata dalla società sia in primo che in
secondo grado, senza che la Corte si fosse pronunciata in proposito.
La
società ricorrente conclude il motivo, formulando, ai sensi dell'art.
366 bis c.p.c., il seguente quesito: "Incorre nella violazione dell'art. 112 c.p.c.,
e nel vizio di motivazione la sentenza di appello che ometta di
prendere in considerazione e motivare sulla eccezione di nullità del
ricorso introduttivo, eccezione espressamente riproposta in grado di
appello?" Preliminarmente va respinta la eccezione di inammissibilità
del motivo, formulata sulla base del rilievo che la relativa deduzione
non era stata trasfusa, in secondo grado, in un appello incidentale.
Secondo
la giurisprudenza di questa Corte, infatti (cfr. Cass. 5 giugno 2007 n.
13082), la parte vittoriosa in primo grado non ha l'onere di proporre
appello incidentale per chiedere il riesame delle eccezioni disattese
dalla sentenza impugnata dalla parte soccombente, risultando
sufficiente, al fine di sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all'art. 346 c.p.c.,
che la stessa proponga tali eccezioni nelle difese del giudizio di
secondo grado; che è quanto operato nel caso in esame in sede di
giudizio di appello dalla società appellata.
Nè
al riguardo appare significativa, con riferimento al caso in esame, la
formalistica distinzione operata dalla controricorrente tra mere difese
in ordine alla nullità del ricorso introduttivo ed esercizio dello ius
postulandi attraverso la esplicita riproposizione dell'eccezione,
essendo viceversa necessario "leggere" le conclusioni, nella specie di
rigetto dell'appello, alla luce delle difese svolte nel corso del
giudizio, comprendenti pacificamente anche l'eccezione relativa alla
nullità del ricorso introduttivo.
Altrettanto
infondata è la censura di inammissibilità del motivo di ricorso in esame
per indebita commistione, nello stesso e nel relativo quesito, tra
vizio di violazione di legge e vizio di motivazione.
La formulazione di uno specifico motivo di diritto è infatti prevista unicamente per i vizi di cui all'art. 360 c.p.c.,
punti 1), 2), 3) e 4), e non anche per il vizio di motivazione, il
riferimento al quale può pertanto essere agevolmente espunto dal quesito
della Telecom per essere esaminato a parte, nello svolgimento che ha
ricevuto nel corpo del ricorso, non essendo rinvenibile nella normativa
del processo alcuna norma che sia di ostacolo ad una tale duplice
denuncia e conseguente esame (cfr., al riguardo, per l'affermazione di
principio, Cass. 18 gennaio 2008 n. 976).
Il
motivo è peraltro infondato, in quanto i vizi denunciati non
corrispondono all'effettivo contenuto della sentenza, sia quanto alla
censura che investe la motivazione che con riferimento a quella di cui
al quesito di diritto.
Contrariamente a quanto
dedotto dalla ricorrente, la Corte territoriale si è infatti
pronunciata, sia pur sinteticamente, sulla censura relativa alla
motivazione della sentenza di primo grado, affermando di non
condividere, tra gli altri, l'assunto concernente la mancata
esposizione, nel ricorso introduttivo del giudizio, degli elementi di
fatto posti alla base della domanda in esame.
Poichè,
infatti, il Giudice di prime cure, che pure aveva rilevato una qualche
carenza, in proposito, del ricorso introduttivo, era poi stato in grado
di impostare e svolgere sul punto l'istruttoria ritenuta indispensabile
per la soluzione della relativa controversia, deve ritenersi che la
Corte d'appello abbia implicitamente e correttamente valutato, anche in
ragione di ciò, che le carenze accertate non fossero tali da rendere
indeterminato l'oggetto della materia del contendere (per un caso
analogo, cfr. Cass. 16 luglio 2002 n. 10316).
Tale
valutazione della Corte d'appello appare del resto adeguatamente
sostenuta dall'esame dei documenti richiamati ed allegati al ricorso
(che questa Corte è autorizzata ad esaminare, data la censura svolta con
riguardo alla violazione dell'art. 112 c.p.c.), dai quali era
sufficientemente desumibile il contenuto della mansione di destinazione
della ricorrente dalla fine di marzo 2000, indicata come di
centralinista presso il servizio 187 (contenuto del resto perfettamente
noto in dettaglio alla controparte, posta così in grado di difendersi e
concretamente difesasi, come risulta dalla stessa lettura della sentenza
impugnata).
2 - Col secondo motivo di ricorso, la Telecom s.p.a. deduce la violazione dell'art. 2103 c.c.,
e il difetto di motivazione della sentenza in ordine alla nozione di
equivalenza delle mansioni assegnate alla ricorrente prima e dopo il
trasferimento al servizio 187, negata sulla base dell'assunto che l'art. 2103 c.c.,
tutelerebbe non solo il patrimonio professionale posseduto dal
lavoratore al momento del mutamento ma anche i prevedibili sviluppi
professionali dello stesso, imponendone il miglioramento; con ciò
confondendo la nozione di equivalenza professionale delle mansioni con
quella di possibili chances di progressione di carriera, il cui
eventuale collegamento con le mansioni di provenienza e non con quelle
di destinazione dovrebbe essere del resto rigorosamente provato da chi
lo sostiene.
La sentenza avrebbe poi affidato
il suddetto giudizio di equivalenza ad elementi del tutto estrinseci
rispetto all'analisi delle mansioni di provenienza e di destinazione e
valorizzato arbitrariamente alcuni elementi di fatto emersi
dall'istruttoria a scapito di altri.
Il
quesito è stato pertanto formulato nel seguente modo: "In caso di
mutamento di mansioni il giudizio di equivalenza delle precedenti e
delle nuove mansioni deve essere condotto in base al contenuto
professionale delle due mansioni e non anche sulla base di elementi
estrinseci, del tutto estranei al loro contenuto professionale. Il
lavoratore che assuma che il mutamento di mansioni ha pregiudicato le
chances di progredire nella sua carriera deve fornire la relativa
prova?".
Nel quadro del secondo motivo di
ricorso, la società deduce anche un ulteriore vizio di motivazione della
sentenza, per avere omesso di valutare la deduzione della appellata
secondo la quale il trasferimento della lavoratrice al 187 rispondeva
all'esigenza di conservazione del relativo rapporto di lavoro.
Conseguentemente, la Telecom formula l'ulteriore seguente quesito:
"Incorre
nel vizio di motivazione la sentenza che chiamata a pronunciare su di
un mutamento di mansioni, ometta di prendere in considerazione la
deduzione della parte che ha prospettato la corrispondenza di questo
mutamento di mansioni alla stessa conservazione del rapporto?".
Quanto
al primo quesito, deve rilevarsene l'inammissibilità, secondo quanto
dedotto dalla controricorrente, in ragione della incoerenza tra le prima
parte dello stesso - secondo cui l'equivalenza delle mansioni di cui all'art. 2103 c.c.,
è nozione che fonda esclusivamente su elementi intrinseci alle mansioni
medesime e non anche su dati estrinseci, come le chances di sviluppo di
carriera connesse all'una e all'altra posizione lavorativa - e la
seconda - con cui si chiede se il pregiudizio in ordine alle chances di
progredire nella carriera debba essere provato da chi lo sostiene.
Ma
anche a voler ritenere che il secondo quesito sia stato formulato
subordinatamente alla eventuale risposta negativa al primo e quindi in
maniera sicuramente ammissibile, si rileva che quest'ultimo non appare
corrispondente all'effettivo contenuto della sentenza censurata,
rendendo così inammissibile e comunque infondata anche la parte di
motivo investita dal quesito relativo alla violazione di legge.
Ed invero, la sentenza impugnata non ha mai affermato che la nozione di equivalenza delle mansioni di cui all'art. 2103 c.c.,
sia ancorata alle possibilità o meno di sviluppo di carriera del
dipendente nei cui confronti il datore di lavoro ha esercitato lo ius
variandi, ma, richiamando la consolidata giurisprudenza di questa Corte
al riguardo (cfr., per tutte, Cass. S.U. 24 novembre 2006 n. 25033 e
S.L. 2 maggio 2006 n. 10091), ha esclusivamente posto in evidenza -
oltre al dato definito oggettivo, rappresentato dall'appartenenza di
ambedue i tipi di mansione, di provenienza e di destinazione, al
medesimo livello di inquadramento contrattuale - il principio che le
mansioni di destinazione "devono consentire l'utilizzazione ovvero il
perfezionamento e l'accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e
perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto".
Quindi
con giudizio di fatto, incensurabile in cassazione in quanto
congruamente motivato sulla base dell'analisi degli elementi acquisiti
(il cui peso specifico in rapporto al giudizio finale la ricorrente
vorrebbe ridiscutere, come non appare consentito in questa sede), la
Corte territoriale ha adeguatamente valutato le mansioni di provenienza
come più ricche di quelle di destinazione, anche perchè svolte in
collegamento e in collaborazione con altri uffici della società e
connotate da non indifferenti occasioni di crescita professionale mentre
quelle di destinazione sono state ritenute elementari, estranee alle
esperienze professionali pregresse, aventi "in sè un maggior rischio di
fossilizzazione delle capacità della dipendente...".
A
tali valutazioni, la Corte ha aggiunto, la considerazione "per non
parlare di una più ampia possibilità di carriera", quanto alle prime.
Quest'ultimo
accenno non è quindi al centro delle argomentazioni relative alla
riscontrata non equivalenza in concreto delle mansioni di destinazione
al 187, ma rappresenta unicamente il riferimento, ritenuto ultroneo
rispetto a quelli in precedenza evidenziati, ad uno dei possibili
molteplici indici di riscontro dell'equivalenza professionale.
Sotto il profilo indicato, non è pertanto ravvisabile nella sentenza il denunciato vizio di motivazione.
Infine,
con riferimento all'ultimo dedotto vizio di motivazione in ordine al
quale la difesa della Telecom s.p.a. ha voluto formulare il secondo
quesito nell'ambito del secondo motivo di ricorso, si richiama qui
quanto prima affermato in ordine alla possibile coesistenza, in un unico
motivo, di denunce di vizi di violazione di legge e di motivazione.
Si
rileva peraltro che difetta nella deduzione in esame, in violazione di
quanto disposto a pena di inammissibilità dall'art. 366 bis c.p.c., la
chiara specificazione del fatto controverso in relazione al quale la
motivazione si assume omessa, essendosi limitata in proposito la società
ad affermazioni generali e generiche senza la specifica illustrazione
dei dedotti nessi di collegamento del trasferimento al servizio 187
rispetto alla esigenza di conservazione del posto di lavoro della
ricorrente. Una tale specificazione difettava del resto anche nelle
difese svolte in appello, come riportate nel corpo del ricorso per
cassazione, sicchè la relativa deduzione non meritava e correttamente
non ha avuto alcuna risposta da parte della Corte territoriale.
Concludendo, il motivo in esame va pertanto ritenuto parte inammissibile e parte infondato.
Alla
luce delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con le
normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di giudizio,
liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna la Telecom Italia s.p.a. a
rimborsare alla L. le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 43,00,
per spese ed Euro 2.000,00, per onorari, oltre a spese generali, I.V.A.
e C.P.A..
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2008
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