REPUBBLICA ITALIANA | N. Reg. Ric. |
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO | N. Reg. Sent. |
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sez. I^ ter | ANNO |
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
sui ricorsi
n.14636/2001 e n. 6805/2007 del R.G. entrambi proposti dall’Ispettore
Superiore S.u.p.s. @@ @@, rappresentata e difesa dall’ avv.
--
contro
il Ministero
dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato;
per l'annullamento
quanto al ric. n.
14636/2001: del d.d. in data 29.10.2001, notificato in data 31.10.2001;
quanto al ric. n.
6805/2007: del d.d. in data 14.5.2007, successivamente notificato, recante
reiezione dell’istanza di riabilitazione dell’interessata, nonché dei pareri
contrari all’accoglimento dell’istanza resi dal Consiglio centrale di
disciplina e dalla Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori e di
ogni altro atto connesso ancorché non cognito;
Visti i ricorsi con i
relativi allegati;
Visto, con
riferimento a ciascuno dei ricorsi, l'atto di costituzione in giudizio del
Ministero dell’Interno;
Viste le memorie
prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti
della causa;
Data per letta alla
pubblica udienza del 19.6.2008 la relazione del Consigliere Pietro Morabito ed
uditi gli avvocati di cui al verbale d’udienza;
Ritenuto e
considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
Espone in fatto la
ricorrente, Isp. Sup. Sost. Comm. di P.S. della
Polizia di Stato:
- che, in data 12.12.2001, rendeva noto all’Ufficio di appartenenza di non aver rinvenuto ( e tanto a causa di un presumibile borseggio del quale era stata vittima, la mattina del 10.9.2001, in metropolitana) il proprio portadocumenti contenente il tesserino di riconoscimento, la patente di guida e la tessera di accesso al Ministero dell’Interno;
- che con lettera del 19.9.2001 le veniva contestata una grave negligenza nell’obbligo di custodia dei documenti affidatile sanzionabile con la deplorazione: contestazione cui l’incolpata replicava con articolata memoria di osservazioni e controdeduzioni del 29.9.2001;
- che nonostante le “inconfutabili ragioni esposte nelle dette giustificazioni” le veniva notificato il d.d. in data 29.10.2001 recante la sanzione della pena pecuniaria pari a 5/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni fissi e continuativi.
Avverso tale misura
disciplinare la ricorrente ha interposto il primo dei gravami in epigrafe
sostanzialmente deducendo:
- la tardività del provvedimento disciplinare essendo stato il relativo procedimento concluso oltre il termine di giorni 30 di cui all’art.2 della legge n.241 del 1990 nella versione ratione temporis vigente;
- l’incompetenza relativa dell’Organo emanante;
- lo sviamento operato dalla p.a. che ha posto in essere “una misura totalmente illogica, sproporzionata, irrazionale e vessatoria” (cfr. pag.5 gravame).
Pendente il giudizio
introdotto col ricorso di cui si è appena accennato, la @@ presentava
(escludendo peraltro acquiescenza alcuna avverso la misura punitiva sopra
detta) istanza di riabilitazione ex art.87 del d.P.R. n.3 del 1957:
domanda che, filtrata dal parere reso tanto dal Consiglio Centrale di
Disciplina quanto dalla Commissione per il personale del Ruolo Ispettori della
P.S., veniva respinta con decreto direttoriale del 14.5.2007.
Avverso tale
determinazione è diretto il secondo dei gravami in epigrafe affidato alle
seguenti doglianze: violazione degli artt. 3 e 10 bis della legge n.241 del
1990; violazione e falsa applicazione dell’art.87 del d.P.R. n.3 del 1957;
eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche; violazione del
principio del giusto procedimento e dell’art.97 della Costituzione.
L’intimata
amministrazione, costituitasi in giudizio per il tramite del Pubblico
Patrocinio, ha prodotto una nota di controdeduzioni solo in ordine al secondo
dei gravami in epigrafe.
All’udienza pubblica
del 19.6.08 la causa è stata trattenuta e spedita in decisione.
DIRITTO
I)- Evidenti
ragioni di connessione consentono la riunione dei gravami in epigrafe al fine
della loro unitaria trattazione e definizione.
II)- Torna
certamente utile alla delibazione di cui il Collegio è investito una più
articolata ricostruzione della vicenda che ha originato la corrente
controversia.
Nei fatti la @@
– in servizio presso l’Ufficio relazioni esterne e cerimoniale della
Segreteria del Dip. to della P.S. – relazionava al capo di tale Ufficio il
12.9.2001 che la mattina precedente si era accorta dell’assenza dalla propria
borsa del portadocumenti contenente fra l’altro il tesserino di riconoscimento
di operatore della P.S. Nell’occasione la dipendente riferiva che l’accaduto
poteva presumibilmente addebitarsi a borseggio di cui era stata vittima due
giorni addietro sulla linea “B” della locale metropolitana, utilizzata per
recarsi presso la sede di servizio.
La circostanza che
fossero intercorse non meno di 24 ore tra l’accaduto (risalente alla mattina
del 10 settembre) ed il riscontro dell’assenza del portadocumenti (risalente,
nella stessa ricostruzione dell’interessata, alla mattina successiva), veniva
considerata dalla p.a. quale presunto indice di grave negligenza nella
custodia dei documenti affidati e, dunque, sanzionabile disciplinarmente ai
sensi dell’art.5 comma 1, n.7 del d.P.R. n.737 del 1981.
A tale iniziale
contestazione la @@ replicava con nota – contraddistinta dal ricorso ad
uno stile dialettico in alcuni tratti particolarmente veemente–
sostanzialmente anticipatoria delle deduzioni poi rassegnate nel primo dei
gravami in epigrafe. Essa, così:
- si premurava da
subito di evidenziare che la lettera di contestazioni – nella parte in cui
sottolineava la “scarna esposizione dell’accaduto” descritta nella
Relazione d’Ufficio – era manifestamente affetta da un vizio di sviamento del
potere sanzionatorio e dalla carenza di solide argomentazioni accusatorie;
- sottolineava che la
propria abituale diligentia diligentis non era stata sufficiente “una
rarissima volta a neutralizzare la destrezza dei borseggiatori”;
- riteneva
sproporzionata la sanzione prevista;
- escludeva, sulla
base di un’esegesi “invero difficilmente confutabile” che
lo smarrimento di un documento privato, quale è il tesserino di
riconoscimento, fosse sussumibile nell’ambito applicativo della norma
dell’art.5 c.1 n.7 del d.P.R. n.737 del1981;
- si preoccupava di
risaltare l’inesistenza di alcun disservizio generato in conseguenza
dell’accaduto: e ciò grazie alla tempestività con cui era stato
denunciato il furto;
- lamentava l’assenza
di un quadro probatorio idoneo a supportare la negligenza addebitatale
evocando il vantaggio che ad ogni malintenzionato è dato dal “fattore
sorpresa” come “noto a chiunque possegga un minimo di esperienza
investigativa”.
L’amministrazione
condivideva in parte le argomentazioni della @@ riconoscendo la
possibile ricollegabilità dell’accaduto all’opera di borseggiatori;
quindi adottava la pena pecuniaria in narrativa indicata sulla base di un
duplice ordine di ragioni:
- la notoria presenza di borseggiatori in un mezzo pubblico quale la metropolitana e la circostanza che tali individui si avvalgono del fattore sorpresa come “noto a chiunque possegga un minimo di esperienza investigativa” avrebbe dovuto indurre la dipendente ad un atteggiamento di maggiore cautela ed attenzione;
- il significativo (e non compatibile con una condotta diligente) arco di tempo intercorso tra l’ultima verifica del possesso dei documenti ed il riscontro della loro sottrazione.
Nel provvedimento si
fa altresì menzione che quella inflitta alla dipendente è la seconda punizione
disciplinare.
III)- Così
articolatamente ricostruito il quadro degli accadimenti che ha preceduto il
corrente contenzioso è possibile procedere allo scrutinio dei tre mezzi di
gravame interposti col primo dei ricorsi in epigrafe.
III.1)- Con la
prima censura si denuncia la tardività del provvedimento disciplinare essendo
stato il relativo procedimento concluso oltre il termine di giorni 30 di cui
all’art.2 della legge n.241 del 1990 nella versione ratione temporis
vigente.
La doglianza è
destituita di fondamento giuridico trovando, a tacer d’altro, applicazione nel
caso di specie – in cui viene in considerazione un procedimento che è
disciplinato in tutte le sue scansioni temporali da apposita regolamentazione
– non la norma evocata dalla ricorrente ma l’art.31 del d.P.R. n.737 del 1981
che rimanda, per quanto da esso decreto non espressamente previsto in materia
di procedura, alle disposizioni del T.u.i.c. di cui al d.P.R. n.3 del 1957 e
dunque consente, per pacifica giurisprudenza, l’applicazione dell’art.120 che
statuisce l’estinzione del procedimento disciplinare quando siano decorsi
novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato
compiuto: evenienza questa insussistente nella fattispecie in esame.
III.2)- Col
terzo mezzo di gravame – cui, solo per ragioni di mera comodità espositiva, si
riserva precedenza di trattazione – si deduce lo sviamento operato
dall’amministrazione che avrebbe posto in essere una misura totalmente
illogica, sproporzionata, irrazionale e vessatoria come, fra l’altro,
dimostrato dal voluto travisamento dell’accaduto (essa ricorrente nella
propria denuncia “aveva chiaramente precisato di essere stata borseggiata
del portadocumenti” mentre nel decreto impugnato si parla di “smarrimento
del portafoglio”); elementi questi che già di per sè dimostrano “una
determinazione preconcetta di confondere l’accadimento reale dei fatti”
che ha condotto la p.a. anche ad includere nel provvedimento “in maniera
invero sciatta, raffazzonata ed incomprensibile” una “recidiva che
invece non esiste”. Deduce ancora la ricorrente: che non è incluso negli
obblighi che fanno capo agli appartenenti alla P.S. quello di non farsi
derubare; che la p.a. non ha tenuto conto che essa ricorrente si trovava “fuori
servizio” quando l’illecito penale ai suoi danni si è consumato; che il
documento sottratto è assimilabile ad un “documento privato utilizzato per
ragioni servizio”.
Ora – e pur senza
dare peso alla foga dialettica che, senza riserve, si manifesta nell’impianto
difensivo – non può il Collegio esimersi dal constatare:
a) che la motivazione
del provvedimento avversato si articola, come già sottolineato, in due
autonome componenti una delle quali (e cioè quella incentrata sul distacco
temporale fra l’ultima verifica del possesso del documento ed il riscontro
della sua perdita, smarrimento o sottrazione) è rimasta, in seno alla trama
attorea, sostanzialmente trascurata;
b) che la ricorrente
ha incentrato la propria strategia difensiva su quella parte del provvedimento
sanzionatorio in cui si rappresenta, quale ulteriore e distinta ragione motiva
della punizione inflitta, l’omissione della maggior cautela ed attenzione che
è lecito pretendere da un operatore dotato di esperienza investigativa
allorquando accede ad ambienti notoriamente frequentati da borseggiatori.
Peraltro anche in
tale ambito le deduzioni della @@ appaiono disarticolate e non
convincenti.
E difatti il
tentativo di elevare ad elementi probatori di un preordinato animus nocendi
della p.a:
- il non aver tenuto conto che essa ricorrente “è stata borseggiata del portadocumenti”;
- l’utilizzo, nel corpo del provvedimento avversato, di espressioni quale “smarriva” e “portafogli”.
si rivela fallace
alla luce del riscontro che la @@ stessa, nel relazionare l’accaduto al
Direttore del proprio Ufficio, ha prospettato un borseggio quale causa
presumibile (e non certa) del mancato ritrovamento del proprio portadocumenti;
e che è essa stessa nella memoria di replica alla contestazione degli addebiti
ad usare anche l’espressione “smarrimento” come descrittiva
dell’accaduto (cfr. pag. 3, rigo 8).
Parimenti
incondivisibile è poi la tesi che fa leva sul distinguo
portadocumenti/portafoglio e che sembra imperniata sull’assunto che la
custodia dei documenti sia da considerare manifestazione di massima diligenza
solo se avviene in un portadocumenti ( e non in un portafoglio). E difatti che
tale contegno sia espressivo della “massima diligenza della funzionaria e
non certo negligenza” è opinione che rimane relegata sul piano
strettamente personale di chi la enuncia, potendosi banalmente osservare che
non appare necessario un diverso grado di abilità nel sottrarre da una borsa
un portadocumenti ovvero un portafoglio.
Manifestamente
smentita poi dagli atti di causa è la deduzione con cui si evoca a sostegno
dello sviamento di potere e del consumato travisamento dei fatti “una
recidiva che non esiste”. In realtà la @@ risulta già sanzionata il
17.2.1999 per una condotta analoga a quella punita con l’atto qui avversato.
Prive di consistenza
sono altresì le ulteriori doglianze collocate nel corrente mezzo di gravame.
E così tanto dicasi
in ordine alla singolare assimilazione del tesserino di riconoscimento ad un
documento privato: tesi questa che si scontra con il Regolamento di Servizio
dell’amministrazione della P.S. (d.P.R. n.782 del 1985) che prevede che la
tessera di riconoscimento deve essere sempre portata al seguito sia in
uniforme che in abito civile e che la stessa deve essere restituita all’atto
della cessazione dal servizio e ritirata in caso di sospensione dal servizio
ovvero in caso di aspettativa determinata da infermità neuro psichica
(art.48). La tessera, dunque, non è un documento privato né tanto meno
equipollente ad un documento privato ( gli adempimenti sopra ricordati sono
espressione di poteri ed obblighi incompatibili con l’assunta natura privata
del documento in questione). E’ invece un documento dell’amministrazione che è
affidato all’agente in ragione del servizio che istituzionalmente svolge:
documento nei confronti del quale il possessore, al pari di quanto accade per
le armi, è tenuto ad osservare la massima diligenza segnalando per iscritto ai
propri superiori eventuali danneggiamenti, deterioramenti, sottrazioni e
smarrimenti (art.25).
Incompatibili con
tali puntuali precetti si rivelano poi – senza che sia necessaria la spendita
di ulteriori considerazioni – quegli altri profili censori che traggono
ispirazione dall’assunta insussistenza, in capo all’agente della P.S., di un
obbligo di non farsi derubare ovvero dalla circostanza che la sottrazione del
portadocumenti sarebbe avvenuta all’infuori dell’orario di servizio ( come se
quest’ultima circostanza rendesse lecita la riduzione della soglia di
attenzione e diligenza).
III.3)-
Residua da trattare, con riguardo al ric. n.14636/2001, la censura rubricata
sotto il secondo mezzo di gravame ed affidata alla violazione dell’art.4 comma
6 del d.P.R. n.737 del 1981. Sostiene la ricorrente che l’Ufficio ove è
impiegata è un Ufficio interno della Segreteria del Dip.to della P.S. e,
pertanto, il Direttore di tale Ufficio non è il “Direttore del Servizio”
che, invece, deve identificarsi, solo ed esclusivamente, nel Capo della
Segreteria cui, a mente del predetto art.4, spettava la competenza ad
adottare, - (non detenendo la ricorrente qualifica dirigenziale e/o direttiva
ed essendo in servizio presso il Dip.to della P.S.) – il provvedimento
sanzionatorio avversato.
La censura è
infondata. Occorre difatti ricordare:
- che l’art.5 della legge n.121 del 1981 affida alle Autorità ivi indicate il compito di determinare il numero e le competenze degli Uffici, Servizi e Divisioni in cui si articola il Dip. to della P.S. precisando che alla direzione degli Uffici e delle Direzioni centrali sono preposti dirigenti generali;
- che il d.P.R. n.335 del 1982 (Reg. to del Personale della P.S. che espleta funzioni di polizia) nell’allegata tab. “A” individua tra le funzioni del dirigente superiore quella di Direttore di Servizio nell’ambito del Dip. to della P.S. e tra le funzioni del Primo dirigente quella di Direttore di Divisione; (funzioni rimaste confermate anche in esito alle modifiche apportate dal d.lgs. n.334 del 2000);
- che a mente dell’art.6 del d.lgs. n.29 del 1993 ( e successivamente dell’art.6 del d.lgs. n.165 del 2001) l’assetto organizzativo delle amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa, sicurezza, polizia e giustizia, è rimasto soggetto alle particolari disposizioni di settore [e dunque, per quanto di interesse ai fini dell’odierna controversia, la riforma ordinamentale apportata dai citati testi ha lasciato invariata, in seno al Dip. to della P.S., la propria articolazione in Uffici e Direzioni centrali (dirette da un dirigente generale), Servizi (diretti da un dirigente superiore o funzionario con qualifica equiparata: Viceprefetto) e Divisioni (dirette da un Primo dirigente o funzionario prefettizio con qualifica equiparata)];
- che il d.P.R. n.208 del 22.3.2001 nel dettare disposizioni per il riordino delle strutture centrali e periferiche dell’amministrazione della P.S. ha specificato che l’Ordinamento centrale dell’amministrazione della P.S. continua ad essere disciplinato dalle disposizioni della legge n.121 del 1981 e dalle altre disposizioni in materia;
- che il d.P.R. n.398 del 7.9.2001, nel dettare disposizioni sull’organizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell’Interno ha previsto che il Dip.to della P.S. è articolato, secondo i criteri di organizzazione di cui alla legge n.121 del 1981, in Direzioni Centrali ed Uffici di pari livello fra i quali (lett. “a”) la Segreteria del Dipartimento.
Alla sovra estesa
configurazione e delineazione del quadro normativo, ratione temporis
applicabile alla fattispecie in esame, accede la sicura infondatezza della
doglianza in trattazione posto che, nell’organizzazione ministeriale, la
Segreteria del Dip. to della P.S. non costituisce un Servizio (alla cui
direzione è preposto un dirigente superiore o un Viceprefetto: qualifica
quest’ultima rivestita dal sottoscrittore dell’atto impugnato) ma è un
Ufficio di livello pari ad una direzione centrale (diretta da un dirigente
generale). E’ dunque errata la tesi di parte ricorrente in cui si sostiene che
solo il Capo di tale Segreteria (“che nel suo insieme costituisce il
Servizio”) era, nel caso di specie, l’autorità competente all’irrogazione
della sanzione disciplinare concretamente inflitta.
III.4)-
Conclusivamente il primo dei ricorsi in epigrafe è manifestamente infondato e
dunque da respingere.
IV)- La
seconda domanda di giustizia origina, come in narrativa ricordato, dalla
circostanza che la @@, in pendenza del giudizio introdotto dal primo dei
ricorsi in epigrafe, presentava (escludendo peraltro acquiescenza alcuna
avverso la misura punitiva sopra detta) istanza di riabilitazione ex art.87
del d.P.R. n.3 del 1957: istanza che, filtrata dal parere reso tanto
dal Consiglio Centrale di Disciplina quanto dalla Commissione per il personale
del Ruolo Ispettori della P.S., veniva respinta (traendone argomento dalla
condivisibilità dei predetti pareri) con decreto direttoriale del 14.5.2007.
IV.1)- La
prima censura evoca a sostegno la violazione dell’art.10 bis della legge n.241
del 1990; illegittimità questa che la ricorrente esclude sia sanabile per
effetto dell’art.21 octies della stessa legge atteso che, ove fosse stata
partecipata dalla p.a. dell’intendimento di respingere la propria istanza di
riabilitazione, sarebbe potuta intervenire nel procedimento rappresentando
circostanze idonee a mutarne l’esito.
La tesi, per quanto
ampiamente articolata, non convince.
Occorre difatti
tenere presente che la riabilitazione invocata dalla ricorrente si riflette,
ove accordata dalla p.a., sulla sanzione disciplinare comportando la
caducazione non della sanzione (che continua ad esistere) ma degli effetti
dalla stessa rivenienti ( con esclusione di quelli di quelli retroattivamente
già maturati); ci si trova di fronte, altrimenti detto, ad un procedimento
sostanzialmente di secondo grado che non può essere in alcun modo assimilato
alla reiezione di un'istanza di parte la quale unicamente costituisce, invece,
l'oggetto della disciplina di cui all'art. 10-bis, cit. (cfr. sul principio:
Tar Lecce n.3288 del 2006; Tar Salerno n.1215 e n.346 del 2006; Tar Lazio, I^,
n.13562 del 2005; cfr., inoltre, per l’orientamento che esclude la tassatività
dell’elenco dei procedimenti estranei alla sua applicazione indicato
nell’art.10 bis: Cons.St.n.4828 del 2007; Tar Veneto, II^, n.3418 del 2005;
Tar Milano, II^, n.587 del 2006; indirizzo questo cui presta adesione Cons.St.
Comm. Spec. N.2518/2007 del 26.2.2008 che, specificamente, esclude la
doverosità del preavviso di rigetto in materia di ricorso gerarchico).
La seconda censura
prospetta dell’art.87 d.P.R. n.3/1957 un’esegesi che approda – ove sussistenti
i requisiti, temporale (due anni dalla data della sanzione) e sostanziale
(qualifica di “ottimo” nei rapporti riguardanti il dipendente nei predetti due
anni), prescritti dalla norma – nell’assegnazione di natura rigidamente
vincolata al provvedimento riabilitativo.
Ora, ed
impregiudicata la contraddittorietà della corrente doglianza con quella
precedente (in tanto ha senso lamentare la carenza dell’apporto partecipativo
e l’impraticabilità dell’art.21 octies proprio in quanto l’atto finale non ha
natura vincolata), la sua incondivisibilità deriva da una serena lettura
dell’art.87 citato a mente del quale i due requisiti, temporale e sostanziale
dianzi richiamati, costituiscono congiuntamente il presupposto che la norma
richiede per poter invocare l’applicazione dell’istituto. Rimane dunque ferma
la successiva valutazione amministrativa (la norma usa l’espressione: “possono
essere resi nulli” e “possono altresì essere modificati”)
che spazia in un ambito ampiamente discrezionale e la cui manifestazione è
sindacabile dal Giudice amministrativo ove illogica, irrazionale o viziata da
evidente travisamento dei fatti.
Le residue doglianze
della ricorrente assumono a riferimento i pareri resi dagli Organi collegiali
sentiti in seno al procedimento ultimatosi col provvedimento avversato: pareri
con i quali:
- il Consiglio Centrale di disciplina, pur avendo accertato, che l’istante, nel febbraio 2005, era stata riabilitata dal richiamo oralmente impartitogli per mancanza analoga risalente al febbraio 1999, si è espresso in senso contrario alla concessione del beneficio premiale traendone argomento dalla sostanziale analogia delle mancanze nonché dal breve lasso di tempo trascorso dalla data dell’ultima sanzione;
- la Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori della P.S. si è espressa in senso contrario alla concessione della riabilitazione traendone argomento nella reiterazione, a breve distanza di tempo, di condotte analoghe e nella doverosa considerazione di tale “recidiva” alla luce della norma dell’art.87.
Uno dei profili di
doglianza che, trasversalmente, investe entrambi i predetti pareri attiene
alla violazione e falsa applicazione dell’art.87 del T.u. n.3 del 1957 la cui
corretta interpretazione, ad avviso della ricorrente, avrebbe dovuto
comportare la cancellazione di ogni effetto della condotta oggetto del
beneficio premiale già concesso: il che non è stato con conseguenze
inaccettabili sul piano giuridico.
La tesi della
ricorrente non convince; e ciò in quanto l'istituto della riabilitazione, di
cui all'art. 87 t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, riguarda soltanto gli "effetti"
delle sanzioni disciplinari, le quali continuano giuridicamente ad esistere,
non essendo annullate o estinte dal successivo provvedimento riabilitativo. E’
d’altronde il Consiglio di Stato, pronunciandosi in ordine all’art.75 del
d.P.R. n.545 del 1986 (che, con norma del tutto analoga a quello contenuta nel
citato art.87 del T.U. n.3/1957, disciplina la cessazione degli effetti delle
sanzioni disciplinari di corpo inflitte ai militari esplicitamente prevedendo
che “In caso di accoglimento dell'istanza le annotazioni relative alla
sanzione inflitta sono eliminate dalla documentazione personale, esclusa
peraltro ogni efficacia retroattiva”)
ha costantemente ribadito il principio, perfettamente applicabile alla
analoga fattispecie dell’art.87 del T.U. n.3/1957, secondo il quale
(testualmente Cons.St. n.2403 del 2008) “il tenore testuale della norma
appare chiaro nell’elidere soltanto ogni efficacia retroattiva consentendo
quindi che il provvedimento sanzionatorio possa coinvolgere anche gli sviluppi
professionali…” del dipendente (cfr., altresì, Cons.St. nn.3351 e 2115 del
2005; n.7241 del 2002). Altrimenti detto gli effetti delle sanzioni
disciplinari – che rimangono impregiudicati sia dall’accoglimento dell’istanza
mirata ad ottenere la loro cancellazione dalla documentazione matricolare
(art.75 d.P.R. n.545 del 1986) che dall’accoglimento dell’istanza di
riabilitazione di cui all’art.87 del d.P.R.n. 3 del 1957 – e la sopravvivenza
giuridica delle sanzioni stesse consentono di ritenere non privi di rilevanza
i fatti storici essenziali (id est: la condotta lesiva di doveri d’ufficio e
la sua eventuale reiterazione) in tutti casi in cui le determinazioni
discrezionali dell’amministrazione richiedono la previa ricostruzione (e
l’apprezzamento) del profilo di personalità morale e professionale del
dipendente ( o del militare). A tanto accede l’infondatezza di quei profili
censori che con riguardo sia all’uno che all’altro dei pareri, ne assumono il
contrasto con l’art.87 citato.
Seguono poi le
censure specificamente rivolte avverso l’operato del Consiglio di disciplina
ovvero della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori della P.S.
Il primo parere si
ritiene viziato da contraddittorietà interna osservandosi che se fino a pochi
mesi prima la ricorrente aveva fruito del beneficio premiale ( con ciò
riconoscendosi il ravvedimento nella relativa condotta) “non si vede per
quale motivo a breve distanza di tempo” –e di fronte a condotta
ineccepibile della dipendente - tale ravvedimento sarebbe venuto meno
impedendole di conseguire la riabilitazione; si ravvede inoltre una lacuna
motivazionale nella mancata considerazione delle circostanze di fatto che
avevano originato la misura sanzionatoria.
La prima deduzione
coglie un elemento di apparente distonia nell’impianto del parere che però non
consente di condividerne l’assunta illogicità; e ciò in quanto essa evoca un
vizio del quale potrebbe ritenersi affetto il precedente beneficio premiale (
accordato nonostante la reiterazione di analoga condotta a breve distanza di
tempo) ma non l’attuale parere che ha preso atto non solo della concessione
del beneficio ma anche della rinnovazione della condotta e del lasso di tempo
(intercorso tra quest’ultima e la richiesta del beneficio), ritenuto ancora
insufficiente ad assicurare la meritevolezza della riabilitazione. Né,
contrariamente all’assunto della ricorrente, il Consiglio avrebbe dovuto
riesaminare le circostanze di fatto che avevano originato il provvedimento
disciplinare trattandosi di circostanze afferenti ed inerenti il relativo
procedimento e del tutto estranee all’ambito valutativo proprio dell’istituto
premiale di cui trattasi.
Il secondo parere si
ritiene viziato – oltre che per l’indebita considerazione riservata alla
precedente sanzione disciplinare (profilo questo da ritenersi infondato per le
considerazioni già sviluppate e cui si rinvia) – per l’interpretazione (in
esso parere contenuta) della sanzione disciplinare impartita alla @@:
sanzione che, assume parte ricorrente, non contiene, contrariamente a quanto
inteso dalla Commissione, alcun riferimento ad una pretesa recidiva nella
condotta.
Sennonché tale trama
– che fa discendere il vizio inficiante dall’erronea lettura del provvedimento
sanzionatorio cui si riferisce la riabilitazione– non trova concorde il
Collegio. E ciò in quanto la considerazione della pregressa mancanza della
ricorrente rinviene, in seno alla misura punitiva, testimonianza in due
puntuali elementi:
- l’evocazione, nel suo dispositivo, al fatto che la punizione inflitta è la seconda;
- il richiamo, nel suo preambolo, all’art.13 del d.P.R. n.737 del 1981 che impone all’Autorità competente, nel graduare la sanzione alla mancanza commessa, di tenere conto “dei precedenti disciplinari….”.
IV.2)-
Conclusivamente anche il secondo dei ricorsi in epigrafe è infondato e deve
essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio sez. I^ ter, previa riunione dei ricorsi in
epigrafe, respinge gli stessi.
Condanna la
ricorrente al pagamento delle spese di lite che, forfetariamente, liquida in
€1500,00 a beneficio della resistente amministrazione.
Ordina che la
presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma,
dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sez. I^ ter nella Camera di
Consiglio del 19.6.2008, con l’intervento dei sigg.ri Giudici :
Dott. Patrizio
Giulia - Presidente
Dott. Pietro Morabito -
Giudice rel.ed est.re
Dott. Ada Russo - I°
Referendario
IL PRESIDENTE
IL MAGISTRATO
ESTENSORE
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