Nuova pagina 1
INFORTUNI SUL LAVORO - OMICIDIO COLPOSO
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 31-01-2008) 27-02-2008, n. 8620
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 31-01-2008) 27-02-2008, n. 8620
Svolgimento del processo
1.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano
confermava la condanna alla pena di Euro 500,00 di multa di S.M.,
dichiarato in primo grado colpevole del reato di lesioni personali
colpose (frattura delle falangi di tre dita di una mano) commesso, con
violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4 e art. 35, comma 4, lettera a),
in (OMISSIS) il 25 giugno 2001 in danno di C.M., dipendente della
S.p.A. Novaresin. 1.1. L'imputato, consulente esterno delegato
all'applicazione della normativa antinfortunistica, veniva ritenuto
responsabile di non avere dotato di efficace protezione la macchina
calandra alla quale era addetto il lavoratore.
Questi,
nel compiere la normale manovra di posizionamento del tessuto, aveva
infilato le dita della mano tra i due rulli poichè la barra di
protezione "non era stata montata in modo tale da impedire il contatto".
Come accertato dal tecnico ASL, la barra di protezione, allocata
davanti ai due rulli, era stata posta ad una distanza dal tessuto
maggiore di quella prevista dal manuale d'uso della macchina (40 - 50
millimetri invece di 4).
Da qui l'affermata violazione del citato D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 4, lett. a),
non essendo state "le attrezzature di lavoro ... installate in
conformità alle istruzioni del fabbricante". 1.2. Al S., consulente
esterno, era stata conferita dalla società procura affinchè provvedesse a
predisporre un piano di sicurezza aziendale, controllasse il rispetto
della normativa ambientale ed antinfortunistica e verificasse
"l'efficienza dei dispositivi di sicurezza installati".
La
procura era stata formalizzata il 17 maggio 1999 ed il S., pertanto,
avrebbe dovuto ispezionare con regolarità i macchinari, accertandosi che
fossero montati ed utilizzati sia nel rispetto delle prescrizioni
impartite dal fabbricante, sia in osservanza di eventuali ulteriori
regole contenute nel piano di sicurezza aziendale. Ma su quella
macchina, installata nell'aprile 2000, S. non aveva effettuato ispezione
alcuna; non si era, pertanto, avveduto dell'erroneo posizionamento
della barra, sicchè non si era attivato "per il ripristino della sua
corretta funzione".
L'imputato aveva, anzi,
riferito di essersi limitato a sporadici accessi sul luogo di lavoro e
di non essere stato neppure a conoscenza della presenza di quella
macchina.
1.3. Poichè l'atto di appello
contestava sotto vari profili l'efficacia della procura a trasferire in
capo all'imputato gli obblighi connessi alla posizione di garanzia
gravanti sul datore di lavoro, la Corte osservava:
che l'ammissibilità della delega trova conferma nel disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4
ter, che laddove individua soltanto determinati adempimenti non
delegabili dal datore di lavoro ("tutti attinenti alla programmazione
generale della sicurezza"), ammette - a contrario - la delegabilità di
quelli non specificamente menzionati;
- che,
in particolare, sono delegabili "gli obblighi di prevenzione,
assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro", sicchè il
delegato subentra a costui, ferme restando le condizioni di validità
della delega, nella posizione di garanzia;
che ciò naturalmente non comporta un "automatico ed inevitabile" esonero totale da responsabilità del datore di lavoro;
-
che effettivamente, nel caso di specie, erano stati delegati anche
compiti indelegabili, il che tuttavia "non travolgeva la validità e
l'efficacia dell'atto institorio", ma la "limitava agli obblighi
delegabili", tra i quali era ben individuato quello di "controllare,
esigere e verificare l'efficienza dei dispositivi di sicurezza
installati", obbligo che implicava la necessità di attivarsi per
ispezionare regolarmente i macchinari in uso (corretta installazione ed
effettiva operatività) e per verificare il concreto utilizzo delle
cautele prescritte dal fabbricante;
- che, in ogni caso, la procura era valida ed efficace;
-
che, invero, sotto il profilo oggettivo, le dimensioni dell'impresa
giustificavano il decentramento di compiti e di responsabilità;
-
che al delegato erano stati attribuiti autonomi poteri decisionali (i
"più ampi poteri in materia di sicurezza del lavoro, sia ordinari che
straordinari" da esercitare nella "completa autonomia, senza ingerenza
alcuna nella conduzione del settore antinfortunistico") e conferita
autonomia di spesa;
- che, sotto il profilo
soggettivo, l'imputato era persona "qualificata" che svolgeva da anni
l'attività di consulente della società per la prevenzione incendi e per
le emissioni atmosferiche.
2. Avverso
l'anzidetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato per
mezzo del difensore, chiedendone l'annullamento.
2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 1, comma 1
ter, e dei principi in materia di delega di funzioni, nonchè mancanza o
manifesta illogicità sul punto della motivazione della sentenza
impugnata.
Il difensore del ricorrente
sostiene che non fosse dovere gravante sull'imputato quello della
"corretta installazione delle attrezzature di lavoro", quindi anche
della macchina calandra.
La Corte non avrebbe
"motivato" - prosegue il ricorrente - l'affermazione secondo cui sono
indelegabili gli obblighi che riguardano la "programmazione della
sicurezza in generale" e non lo è, invece, l'obbligo di "corretta
installazione dell'attrezzatura che ha provocato l'infortunio", nè
spiegato quale sia il contenuto della "programmazione generale della
sicurezza" e perchè all'interno di questo compito non rientri
l'installazione della macchina.
A norma del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 1, comma 4
ter, la corretta installazione del macchinario va collocata all'interno
della valutazione dei rischi ed è, pertanto, indelegabile.
Mettere
in sicurezza quella macchina spettava, in conclusione, al datore di
lavoro e soltanto dopo l'adempimento di detto dovere sarebbe stato
possibile "trasferire per delega l'obbligo di gestire correttamente la
macchina".
Il datore di lavoro avrebbe, nel
caso di specie, delegato in blocco i compiti prevenzionali senza
tuttavia approntare un'effettiva organizzazione della sicurezza,
nell'ambito della quale avrebbe potuto trovare posto un'effettiva delega
di funzioni.
2.2. Con il secondo motivo il
difensore sostiene, denunciando i vizi sopraindicati, che la Corte di
appello avrebbe violato il principio cd. di effettività secondo il
quale, nell'individuazione dei soggetti responsabili, è necessario
accertare chi, materialmente ed effettivamente, abbia il potere
decisionale in materia di gestione aziendale e delle risorse economiche.
Il
datore di lavoro - prosegue il ricorrente - può trasferire gli obblighi
delegabili ad altro soggetto purchè questi svolga effettivamente,
all'interno dell'azienda, la propria attività in modo continuativo,
specifico e costante, esercitando poteri decisionali, di spesa e
disciplinari.
La Corte di merito avrebbe,
dunque, violato il principio secondo il quale, in presenza di delega
inefficace, il delegato può essere chiamato a rispondere, unitamente al
datore di lavoro, soltanto se "rientri tra i soggetti, con funzioni
dirigenziali, interni all'organizzazione aziendale".
Ma
se il delegato è estraneo all'organizzazione aziendale, non è cioè,
neppure di fatto, un dirigente o un preposto, ma è soltanto un
consulente esterno, egli, in presenza di un atto di delega solo formale e
non effettivo, non potrà essere chiamato a rispondere, non gravando su
di lui alcun obbligo giuridico diretto.
Motivi della decisione
3. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
3.1. Il primo motivo del ricorso è infondato.
Fermo
restando che l'avvenuto conferimento al delegato anche di poteri-doveri
per legge indelegabili non può comunque rendere invalida ed inefficace
la delega nella parte relativa ai poteri ed ai doveri delegabili, deve
osservarsi che il più volte citato D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4
ter, (nella parte in cui richiama il contenuto dell'art. 4, comma 1)
prevede, per quanto rileva nel caso in esame, che sia indelegabile la
valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori nella
"scelta" delle attrezzature di lavoro.
Non
contempla, invece, che sia indelegabile l'esecuzione di attività che
abbiano formato oggetto della anzidetta valutazione, segnatamente gli
obblighi che possono emergere successivamente alla scelta
dell'attrezzatura di lavoro, in relazione, ad esempio, proprio alla
corretta installazione ed al funzionamento della medesima.
Nè può fondatamente sostenersi che la sentenza impugnata sia carente di motivazione sul punto.
La Corte di merito osserva, invero, correttamente che è lo stesso D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 ter, a sancire l'ammissibilità della delega nei casi menzionati.
E,
in effetti, escludendo la possibilità di ricorrere alla delega soltanto
con riferimento ad una ristretta categoria di funzioni, la norma
ammette - a contrario - la delegabilità di quelle non menzionate, in
particolare di tutti gli altri doveri (di prevenzione, assicurazione,
sorveglianza, ecc.) imposti al datore di lavoro.
Colui
che, in forza di una delega (dal contenuto certo), sia stato, in modo
effettivo, investito di una posizione di garanzia nella struttura
organizzativa dell'impresa va considerato penalmente responsabile.
Va
detto, per completezza, che del tutto irrilevante è la circostanza che,
nel caso di specie, la macchina sia stata materialmente installata da
soggetti diversi dal delegato alla sicurezza, gravando pur sempre sul
medesimo i correlati doveri di controllo e verifica della corretta
installazione.
3.2. Anche il secondo motivo del ricorso è destituito di fondamento.
Che
il datore di lavoro possa legittimamente ricorrere alla delega
conferendola a soggetti esterni all'impresa è principio comunemente
affermato anche in giurisprudenza (v. ad esempio Cass. 3, 8 febbraio
1991, Bortolozzi).
Il difensore pone, infatti,
più che altro in discussione che l'imputato sia stato investito in modo
effettivo della posizione di garanzia.
Sotto
tale profilo la doglianza è, peraltro, basata su una circostanza di
fatto indimostrata, che cioè l'imputato non abbia posto in essere atti
di esercizio della delega.
L'imputato stesso
ha ammesso - come si evince dalla sentenza di primo grado - di avere
effettuato, in esecuzione della delega ricevuta, accessi, seppur
sporadici, sul luogo di lavoro e, d'altra parte, il fatto lesivo si è
verificato più di un anno dopo l'avvenuta installazione della macchina e
ben due anni dopo il conferimento della delega.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2008
Nessun commento:
Posta un commento