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LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 17-09-2008, n. 23739 |
Svolgimento del processo
Con
sentenza del 26 luglio 2005 la Corte d'appello di Torino, in riforma
della decisione emessa dal Tribunale, rigettava la domanda proposta da
U.M.P. contro la datrice di lavoro s.p.a. Uniriscossioni onde ottenere
la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli per
motivi disciplinari e precisamente per i reati di furto, in concorso, di
alcuni moduli di quietanze, di falso materiale e di truffe continuate
ai danni di diverse persone fisiche.
La Corte
d'appello, quanto al principio di immediata contestazione dell'illecito
disciplinare, accertava questa serie di fatti: il 13 febbraio 2001 l'
U.M. aveva comunicato alla datrice di lavoro di aver ricevuto
un'informazione di garanzia dalla Procura della Repubblica senz'altre
precisazioni; il successivo 19 febbraio egli aveva scritto di aver
ricevuto un invito a presentarsi in Procura per imputazioni di truffa in
concorso; il 5 marzo 2004 aveva aggiunto di essere stato informato dal
proprio legale di essere stato sottoposto a procedimento penale; sempre
nel marzo 2004 la s.p.a. Con. ri. t, dante causa della Uniriscossioni,
era stata informata dal Tribunale, quale parte offesa, dell'udienza
preliminare in cui figurava quale coimputato l' U.M.; il successivo 24
maggio la s.p.a. Uniriscossioni aveva contestato per iscritto il
licenziamento. Tutto ciò esposto, la Corte d'appello riteneva che la
società non avesse violato il principio di immediatezza poichè
legittimamente aveva atteso di acquisire sufficienti elementi di
valutazione prima di irrogare la più grave delle sanzioni disciplinari.
La
pendenza del procedimento penale non impediva l'autonoma valutazione
dei fatti da parte della datrice di lavoro, a norma dell'art. 33, e art.
67, lett. c e d, del contratto collettivo nazionale. Fatti accertati
con sufficiente precisione attraverso i documenti acquisiti agli atti,e
in particolare attraverso la copia dei verbali di interrogatorio e delle
denunce, sia dei coimputati sia delle parti lese; v'era inoltre la
sentenza pronunciata da( Giudice per le indagini preliminari di Torino
ad esito del rito abbreviato contro i coimputati dell' U.M..
Contro
la sentenza questi ricorre per cassazione mentre la s.p.a.
Uniriscossioni resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da
memoria. Anche il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362 e segg., 2119 c.c., L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7,
e vizi di motivazione, per avere la Corte d'appello negato la
violazione del principio di immediatezza della contestazione del
licenziamento "prescindendo volutamente dalle risultanze fattuali e
documentali acquisite agli atti di causa, di cui ha fornito una lettura a
dir poco parziale". Il ricorrente nota che, dopo avere egli dato
notizia nel febbraio 2001 di essere stato accusato in sede penale, la
datrice di lavoro soltanto il 24 maggio 2004 aveva contestato l'illecito
disciplinare, malgrado che l'art. 33 del contratto collettivo nazionale
di lavoro imponesse all'impresa di rispondere immediatamente per
iscritto, comunicando l'eventuale rinvio della valutazione dei fatti e
dei conseguenti provvedimenti. Ad avviso del ricorrente, la datrice di
lavoro avrebbe prima mostrato disinteresse verso gli asseriti illeciti e
poi, contraddicendosi, avrebbe inflitto la più grave delle sanzioni
disciplinari. Il motivo non è fondato.
La L. n. 300 del 1970,
invocato art. 7, detta alcune disposizioni procedimentali per
l'irrogazione di sanzioni disciplinari al lavoratore subordinato, la
quale non può avvenire senza previa contestazione dell'addebito ed
audizione e difesa (comma 2) con eventuale assistenza di un
rappresentante sindacale (comma 3). In ogni caso i provvedimenti
disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere
applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione
per iscritto del fatto che vi ha dato causa. (comma 5).
Benchè
questo art. 7, non prescriva espressamente l'immediatezza della
contestazione, ossia la sua formulazione subito dopo l'accertamento del
fatto illecito, questa Corte ha da tempo ravvisato la corrispondente
regola sulla base di interpretazione non letterale ma sistematica.
Nel
caso in cui si tratti di licenziamento per giusta causa soggettiva,
ossia senza necessità di preavviso, la necessità di una "causa che non
consenta la prosecuzione anche provvisoria" del rapporto di lavoro,
richiesta dall'art. 2119 c.c., comma 1, può fondatamente ed in
concreto ritenersi insussistente qualora il datore di lavoro non abbia
osservato la regola qui in questione.
Quanto al licenziamento per giustificato motivo (L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3),
la regola dell'immediatezza della contestazione è fondata anzitutto
sulle esigenze difensive del lavoratore, prima nel procedimento
disciplinare di cui all'art. 7 cit. e poi nell'eventuale procedimento
giudiziario, le quali vengono frustrate dall'ingiustificato indugio del
datore di lavoro nella comunicazione dell'addebito (Cass. 24 giugno 1995
n. 7178, 13 giugno 2006 n. 13621).
Poichè
l'incolpazione ritardata, siccome pregiudizievole al diritto
dell'incolpato a difendersi, si traduce nell'illegittimità del
conseguente licenziamento, l'incolpazione tempestiva è elemento
costitutivo del diritto di licenziare (Cass. 6 settembre 2006 n. 19159,
15 giugno 2006 n. 111000, 20 giugno 2006 n. 14113) e ciò esclude che sul
lavoratore gravi l'onere di provare lo specifico pregiudizio difensivo e
comporta al contrario che questo ben possa essere ravvisato dal giudice
attraverso l'officioso e prudente apprezzamento delle circostanze.
Infine
la contestazione formulata a notevole distanza di tempo dal fatto
addebitato può fondare la presunzione di mancanza di concreto interesse
del datore di lavoro all'esercizio del potere di recesso (Cass. 23
giugno 1999 n. 6408) o, e in altre parole, di pretestuosità del motivo
addotto. Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza
della contestazione è pressochè coincidente con quella che connette
l'onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più
specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa,
generata nel lavoratore, di rinuncia all'esercizio del potere
disciplinare. Si tratta di una sorta di decadenza dal potere (nel
sistema tedesco: Verwirkung), derivante dalla violazione del più
generale divieto di venire contra factum proprium (vedi Cass. 10
novembre 1997 n. 11095).
In ogni caso la
regola in discorso dev'essere intesa in senso relativo ossia tenendo
conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il
definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati, soprattutto
quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti
che, convergendo a comporre un'unica condotta, esigono una valutazione
unitaria: in tal caso l'intimazione del licenziamento può seguire
l'ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale dai
fatti precedenti (Cass. 1 aprile 2000 n. 3948, 6 settembre 2007 n.
18711, 20 ottobre 2007 n. 22066, con riferimento all'incolpazione per
reiterato uso del telefono aziendale per fini personali, 1 gennaio 2008
n. 282, 27 marzo 2008 n. 7983).
Da aggiungere
che il prudente indugio del datore di lavoro, ossia la ponderata e
responsabile valutazione dei fatti può e deve precedere la contestazione
anche nell'interesse del prestatore di lavoro, che sarebbe palesemente
colpito da incolpazioni avventate o comunque non sorrette da una
sufficiente certezza da parte del datore di lavoro (Cass. 11 gennaio
2006 n. 241, 18 gennaio 2007 n. 1101).
Nel
caso di specie il collegio di merito nel suo discrezionale ed in
concreto incensurabile apprezzamento di fatti e circostanze pone in
evidenza come, pur dopo precedenti e parziali informazioni da parte del
lavoratore, la società datrice di lavoro soltanto con la comunicazione
del marzo 2004, proveniente dal Tribunale di Torino, avesse avuto sicura
conoscenza dell'illecito commesso in suo danno, onde la formulazione
dell'incolpazione disciplinare solo dopo questa data non violò la regola
dell'immediatezza.
Anche il mancato esercizio
del potere di sospensione cautelare non costituisce valido argomento a
favore del ricorrente. La durata, eventualmente lunga, del procedimento
giudiziario e quindi del periodo di sospensione, espone il datore di
lavoro al pericolo di dover risarcire il danno, nella misura delle
retribuzioni non corrisposte, senza aver ricevuto la prestazione
lavorativa. Ne deriva la piena legittimità della decisione di non
sospendere, espressione di discrezionalità pura.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5, artt. 116, 244, 192, 75 c.p.c., e vizi di motivazione in ordine ai fatti illeciti, penali e disciplinari, a lui addebitati.
Neppure questo motivo può essere accolto.
L'irrogazione
della sanzione disciplinare, anche espulsiva, richiede un accertamento
dei fatti riservato alla discrezionalità del giudice di merito e, quando
trattisi di fatti con rilevanza anche penale, la rilevanza disciplinare
spetta alla valutazione del giudice civile.
Nel
caso di specie la Corte d'appello ha accertato i fatti in modo
esauriente, con riferimento a documenti e testimonianze acquisite nel
processo penale e liberamente valutate, mentre il ricorrente tenta,
anche riportando testualmente brani di interrogatorio, di ottenere da
questa Corte di legittimità nuovi, impossibili apprezzamenti dei fatti
di causa.
Rigettato il ricorso, la complessità
delle questioni di diritto, resa evidente anche dall'alterno andamento
delle fasi di merito, giustifica la compensazione delle spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2008
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