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giovedì 22 maggio 2014

Cassazione:Legittimo il licenziamento disciplinare anche a tre anni dall'avviso di garanzia al dipendente La tempestività della contestazione va intesa in senso relativo. Non viola il principio il datore che attende il rinvio a giudizio per irrogare la massima sanzione: la prudenza garantisce anche il lavoratore



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LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 17-09-2008, n. 23739
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26 luglio 2005 la Corte d'appello di Torino, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, rigettava la domanda proposta da U.M.P. contro la datrice di lavoro s.p.a. Uniriscossioni onde ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli per motivi disciplinari e precisamente per i reati di furto, in concorso, di alcuni moduli di quietanze, di falso materiale e di truffe continuate ai danni di diverse persone fisiche.
La Corte d'appello, quanto al principio di immediata contestazione dell'illecito disciplinare, accertava questa serie di fatti: il 13 febbraio 2001 l' U.M. aveva comunicato alla datrice di lavoro di aver ricevuto un'informazione di garanzia dalla Procura della Repubblica senz'altre precisazioni; il successivo 19 febbraio egli aveva scritto di aver ricevuto un invito a presentarsi in Procura per imputazioni di truffa in concorso; il 5 marzo 2004 aveva aggiunto di essere stato informato dal proprio legale di essere stato sottoposto a procedimento penale; sempre nel marzo 2004 la s.p.a. Con. ri. t, dante causa della Uniriscossioni, era stata informata dal Tribunale, quale parte offesa, dell'udienza preliminare in cui figurava quale coimputato l' U.M.; il successivo 24 maggio la s.p.a. Uniriscossioni aveva contestato per iscritto il licenziamento. Tutto ciò esposto, la Corte d'appello riteneva che la società non avesse violato il principio di immediatezza poichè legittimamente aveva atteso di acquisire sufficienti elementi di valutazione prima di irrogare la più grave delle sanzioni disciplinari.
La pendenza del procedimento penale non impediva l'autonoma valutazione dei fatti da parte della datrice di lavoro, a norma dell'art. 33, e art. 67, lett. c e d, del contratto collettivo nazionale. Fatti accertati con sufficiente precisione attraverso i documenti acquisiti agli atti,e in particolare attraverso la copia dei verbali di interrogatorio e delle denunce, sia dei coimputati sia delle parti lese; v'era inoltre la sentenza pronunciata da( Giudice per le indagini preliminari di Torino ad esito del rito abbreviato contro i coimputati dell' U.M..
Contro la sentenza questi ricorre per cassazione mentre la s.p.a. Uniriscossioni resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria. Anche il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362 e segg., 2119 c.c., L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, e vizi di motivazione, per avere la Corte d'appello negato la violazione del principio di immediatezza della contestazione del licenziamento "prescindendo volutamente dalle risultanze fattuali e documentali acquisite agli atti di causa, di cui ha fornito una lettura a dir poco parziale". Il ricorrente nota che, dopo avere egli dato notizia nel febbraio 2001 di essere stato accusato in sede penale, la datrice di lavoro soltanto il 24 maggio 2004 aveva contestato l'illecito disciplinare, malgrado che l'art. 33 del contratto collettivo nazionale di lavoro imponesse all'impresa di rispondere immediatamente per iscritto, comunicando l'eventuale rinvio della valutazione dei fatti e dei conseguenti provvedimenti. Ad avviso del ricorrente, la datrice di lavoro avrebbe prima mostrato disinteresse verso gli asseriti illeciti e poi, contraddicendosi, avrebbe inflitto la più grave delle sanzioni disciplinari. Il motivo non è fondato.
La L. n. 300 del 1970, invocato art. 7, detta alcune disposizioni procedimentali per l'irrogazione di sanzioni disciplinari al lavoratore subordinato, la quale non può avvenire senza previa contestazione dell'addebito ed audizione e difesa (comma 2) con eventuale assistenza di un rappresentante sindacale (comma 3). In ogni caso i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. (comma 5).
Benchè questo art. 7, non prescriva espressamente l'immediatezza della contestazione, ossia la sua formulazione subito dopo l'accertamento del fatto illecito, questa Corte ha da tempo ravvisato la corrispondente regola sulla base di interpretazione non letterale ma sistematica.
Nel caso in cui si tratti di licenziamento per giusta causa soggettiva, ossia senza necessità di preavviso, la necessità di una "causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria" del rapporto di lavoro, richiesta dall'art. 2119 c.c., comma 1, può fondatamente ed in concreto ritenersi insussistente qualora il datore di lavoro non abbia osservato la regola qui in questione.
Quanto al licenziamento per giustificato motivo (L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3), la regola dell'immediatezza della contestazione è fondata anzitutto sulle esigenze difensive del lavoratore, prima nel procedimento disciplinare di cui all'art. 7 cit. e poi nell'eventuale procedimento giudiziario, le quali vengono frustrate dall'ingiustificato indugio del datore di lavoro nella comunicazione dell'addebito (Cass. 24 giugno 1995 n. 7178, 13 giugno 2006 n. 13621).
Poichè l'incolpazione ritardata, siccome pregiudizievole al diritto dell'incolpato a difendersi, si traduce nell'illegittimità del conseguente licenziamento, l'incolpazione tempestiva è elemento costitutivo del diritto di licenziare (Cass. 6 settembre 2006 n. 19159, 15 giugno 2006 n. 111000, 20 giugno 2006 n. 14113) e ciò esclude che sul lavoratore gravi l'onere di provare lo specifico pregiudizio difensivo e comporta al contrario che questo ben possa essere ravvisato dal giudice attraverso l'officioso e prudente apprezzamento delle circostanze.
Infine la contestazione formulata a notevole distanza di tempo dal fatto addebitato può fondare la presunzione di mancanza di concreto interesse del datore di lavoro all'esercizio del potere di recesso (Cass. 23 giugno 1999 n. 6408) o, e in altre parole, di pretestuosità del motivo addotto. Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza della contestazione è pressochè coincidente con quella che connette l'onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare. Si tratta di una sorta di decadenza dal potere (nel sistema tedesco: Verwirkung), derivante dalla violazione del più generale divieto di venire contra factum proprium (vedi Cass. 10 novembre 1997 n. 11095).
In ogni caso la regola in discorso dev'essere intesa in senso relativo ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati, soprattutto quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un'unica condotta, esigono una valutazione unitaria: in tal caso l'intimazione del licenziamento può seguire l'ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale dai fatti precedenti (Cass. 1 aprile 2000 n. 3948, 6 settembre 2007 n. 18711, 20 ottobre 2007 n. 22066, con riferimento all'incolpazione per reiterato uso del telefono aziendale per fini personali, 1 gennaio 2008 n. 282, 27 marzo 2008 n. 7983).
Da aggiungere che il prudente indugio del datore di lavoro, ossia la ponderata e responsabile valutazione dei fatti può e deve precedere la contestazione anche nell'interesse del prestatore di lavoro, che sarebbe palesemente colpito da incolpazioni avventate o comunque non sorrette da una sufficiente certezza da parte del datore di lavoro (Cass. 11 gennaio 2006 n. 241, 18 gennaio 2007 n. 1101).
Nel caso di specie il collegio di merito nel suo discrezionale ed in concreto incensurabile apprezzamento di fatti e circostanze pone in evidenza come, pur dopo precedenti e parziali informazioni da parte del lavoratore, la società datrice di lavoro soltanto con la comunicazione del marzo 2004, proveniente dal Tribunale di Torino, avesse avuto sicura conoscenza dell'illecito commesso in suo danno, onde la formulazione dell'incolpazione disciplinare solo dopo questa data non violò la regola dell'immediatezza.
Anche il mancato esercizio del potere di sospensione cautelare non costituisce valido argomento a favore del ricorrente. La durata, eventualmente lunga, del procedimento giudiziario e quindi del periodo di sospensione, espone il datore di lavoro al pericolo di dover risarcire il danno, nella misura delle retribuzioni non corrisposte, senza aver ricevuto la prestazione lavorativa. Ne deriva la piena legittimità della decisione di non sospendere, espressione di discrezionalità pura.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5, artt. 116, 244, 192, 75 c.p.c., e vizi di motivazione in ordine ai fatti illeciti, penali e disciplinari, a lui addebitati.
Neppure questo motivo può essere accolto.
L'irrogazione della sanzione disciplinare, anche espulsiva, richiede un accertamento dei fatti riservato alla discrezionalità del giudice di merito e, quando trattisi di fatti con rilevanza anche penale, la rilevanza disciplinare spetta alla valutazione del giudice civile.
Nel caso di specie la Corte d'appello ha accertato i fatti in modo esauriente, con riferimento a documenti e testimonianze acquisite nel processo penale e liberamente valutate, mentre il ricorrente tenta, anche riportando testualmente brani di interrogatorio, di ottenere da questa Corte di legittimità nuovi, impossibili apprezzamenti dei fatti di causa.
Rigettato il ricorso, la complessità delle questioni di diritto, resa evidente anche dall'alterno andamento delle fasi di merito, giustifica la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2008

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