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CIRCOSTANZE DEL REATO - LAVORO (RAPPORTO) - MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA - REATO IN GENERE - VIOLENZA SESSUALE
Cass. pen. Sez. III, (ud. 05-06-2008) 07-07-2008, n. 27469
Cass. pen. Sez. III, (ud. 05-06-2008) 07-07-2008, n. 27469
Svolgimento del processo
La
Corte d'appello di Caltanisetta, con sentenza del 5 giugno del 2007,
confermava quella resa dal tribunale di Enna il 13.12.2005, con la quale
l'imputato era stato dichiarato colpevole dei reati di violenza
sessuale e di maltrattamenti, in quest'ultimo reato assorbito quello di
tentata violenza sessuale contestato al capo B) e, ritenuta l'attenuante
del fatto di minore gravità e concesse le attenuanti generiche,
dichiarate prevalenti sull'aggravante contestata, ritenuta la
continuazione tra i predetti reati, condannato alla pena di anni uno e
mesi due di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie ed pagamento
delle spese processuali.
Con la medesima
sentenza era condannato anche al risarcimento del danno, da liquidarsi
in separato giudizio, ed alla rifusione delle spese processuali in
favore della parte civile I.E.;
assegnava alla
predetta una provvisionale di Euro 10.000,00;concedeva il beneficio
della sospensione condizionale della pena subordinandolo al pagamento,
entro il termine di giorni 30 dal passaggio in giudicato della sentenza,
della somma liquidata a titolo di provvisionale. Il D.V. era stato
ritenuto responsabile dei seguenti reati:
A)
del reato p. e p. dall'art. 609 bis c.p. per avere, bloccando la vittima
tra una sedia e il muro della stanza ove entrambi si trovavano e,
profittando di tale situazione volutamente creata, toccando - malgrado
il chiaro dissenso dell'interessata - la gamba sinistra, compiuto atti
di violenza sessuale nei confronti della dipendente I.E., con
l'aggravante (art. 61 c.p., n. 11) di avere commesso il fatto
con abuso della sua qualità di datore di lavoro; fatto ritenuto compiuto
in (OMISSIS) in un giorno imprecisato degli ultimi mesi dell'anno
(OMISSIS).
B) del reato p. e p. dagli artt. 56 e 81 c.p.,
art. 609 bis c.p. per avere, mediante minacce consistite nel ripetuto
rifiuto di regolarizzare la posizione lavorativa della vittima, sua
dipendente, se prima costei non avesse ceduto alle sue avance, tentato
più volte di ottenere da I.E. rapporti sessuali non riuscendo nel suo
intento per cause indipendenti dalla sua volontà, con l'aggravante (art. 61 c.p., n. 11) di avere commesso il fatto con abuso di relazioni di prestazioni d'opera; in (OMISSIS) fino al maggio (OMISSIS);
C) del reato p. e p. dall'art. 572 c.p.
per avere, sottoponendola a continue molestie sessuali sul posto di
lavoro maltrattato la propria dipendente I.E. fino al (OMISSIS).
In quest'ultimo reato come prima accennato i giudici del merito hanno ritenuto assorbito quello di cui al capo b).
Secondo
la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata il
rapporto di lavoro della predetta alle dipendenze del D.V. - iniziato
nel mese di aprile del 2001 e conclusosi nel mese di luglio del 2003 -
era caratterizzato sin dall'inizio da un particolare interesse
manifestato dal D.V. per la dipendente.
A quest'ultima il datore di lavoro chiese infatti se fosse sentimentalmente legata a qualcuno.
Una
mattina, qualche giorno dopo averla assunta, le propose di guardare
insieme una videocassetta che l' I. accettò di visionare.
Questa
resasi conto, però, che la pellicola conteneva immagini pornografiche,
uscì turbata dalla stanza. L'imputato, a fronte di tale reazione, si
scusò con lei per l'accaduto. A tale comportamento, tuttavia, ne
seguirono altri animati dal medesimo intento. Accadeva, infatti, che
l'imputato convocasse l' I. nella sua stanza e dopo una normale
conversazione finisse col proporle in maniera esplicita il compimento di
atti sessuali, dicendole "... che l'aveva stampata nella testa la ...",
che "voleva praticamente farle provare tutte le emozioni per farla
arrivare al settimo cielo".
Una volta il D.V.
aveva cercato insistentemente di convincere l' I. a denudare una parte
del proprio corpo in cui la stessa aveva riportato una scottatura. In
occasione del compleanno della predetta le aveva regalato un profumo ed
aveva insistito affinchè lo usasse e gli consentisse di annusarlo sul
collo. Altro comportamento dell'imputato, interpretato dall' I. come
volto a persuaderla a cedere alle sue proposte, consisteva nel ripetuto
rifiuto di regolarizzare il rapporto di lavoro, regolarizzazione che,
secondo l'accordo tra le parti, sarebbe dovuta avvenire sei mesi dopo
l'assunzione. Le anzidette condotte - verificatesi per tutta la durata
del rapporto di lavoro e tenute, principalmente, nei giorni di venerdì e
sabato mattina - ed altre riferite in dibattimento dalla I., anch'esse,
sia pure in minor misura, sintomatiche dell'intento dell'imputato di
ottenere i favori sessuali della predetta - quali i frequenti inviti a
prendere insieme un caffè, l'offerta di passaggi o l'invito ad
accompagnarla fuori città - si alternavano ad aspri e mortificanti
rimproveri per gli errori che la dipendente commetteva nell'espletamento
delle sue mansioni e per il suo carattere, a dire dell'imputato,
superbo e prepotente.
Tra la fine del 2002 ed i
primi mesi del 2003, secondo quanto precisato in dibattimento dalla
parte lesa, si era verificato l'episodio del toccamento della gamba
descritto al capo a), che non aveva avuto seguito perchè la I. si era
messa ad urlare.
In epoca successiva a tale
episodio si colloca la regolarizzazione del rapporto di lavoro, avvenuta
nel mese di maggio del 2003 e seguita a breve dalla cessazione del
rapporto stesso determinata dal rifiuto della I. di percepire una
retribuzione inferiore rispetto a quella indicata nella busta paga.
Tanto
premesso, la Corte dopo avere rilevato che i fatti sessuali erano
comunque perseguibili d'ufficio perchè connessi con il delitto di
maltrattamenti, osservava che le parte lesa era attendibile anche perchè
le sue dichiarazioni erano state confermate dai propri genitori e dalle
altre persone alle quali i fatti erano stati raccontati.
Ricorre per Cassazione l'imputato per mezzo del suo difensore sulla base di quattro mezzi d'annullamento.
Motivi della decisione
Con
il primo motivo il ricorrente ripropone l'eccezione di tardività della
querela: assume che questa era stata presentata il 13 luglio del 2002
per un presunto abuso sessuale, quello di cui al capo a), che
inizialmente era stato riferito come accaduto alla fine del (OMISSIS) e
che non v'è alcuna connessione sostanziale con il delitto di cui all'art. 572 c.p., peraltro insussistente;
Con
il secondo motivo deduce la violazione dei criteri di valutazione della
prova perchè la parte lesa era inattendibile, sia perchè le sue
dichiarazioni erano state inspirate dal malanimo indotto dalla
conflittualità insorta con il proprio datore di lavoro, sia per le sue
deficienze psichiche che determinavano errate percezioni della realtà
con conseguenti errori di giudizio.
Con il
terzo motivo deduce la violazione della norma incriminatrice perchè il
fatto attribuito al capo a) non configurava gli estremi del reato
contestato nè nella forma consumata nè in quella tentata, trattandosi di
toccamento fugace di una zona non erogena.
Con il quarto motivo deduce la violazione dell'art. 572 c.p. per la non configurabilità del reato.
Il ricorso è fondato parzialmente solo con riferimento al terzo motivo che sarà esaminato dopo gli altri.
Il
primo motivo è infondato. Al dibattimento la parte offesa ha precisato
che il reato di cui al capo a) non si era verificato alla fine del
(OMISSIS), come risultava dal verbale, bensì tra la fine del (OMISSIS) e
gli inizi del (OMISSIS).
Inoltre il tentativo
di violenza sessuale di cui al capo b) era stato commesso nel mese di
maggio del 2003 ossia in occasione della regolarizzazione del rapporto
e, quindi, per tale fatto la querela era sicuramente tempestiva. Infine
entrambi i reati erano connessi con quello di cui all'art. 572 c.p.p.,
che è perseguibile d'ufficio Secondo l'orientamento di questa Corte ai
fini della perseguibilità d'ufficio dei delitti contro la libertà
sessuale,la connessione di cui all'art. 609 septies c.p.p., comma 3, tra
due o più fatti costituenti reato non è solo quella di cui all'art. 12 c.p.p., ma anche quella investigativa di cui all'art. 371 c.p.p., comma 2 (cfr Cass. n. 2876 del 2006; n. 32971 del 2005, n. 43139 del 2003).
La
connessione in definitiva sussiste non solo in presenza di reati
commessi in occasione di altri ovvero allorchè la prova di un reato o di
una circostanza influisce sulla prova di altro reato, ma in genere in
tutti i casi in cui viene meno l'esigenza di riservatezza posta a base
dell'attribuzione del diritto di querela alla persona offesa.
L'orientamento a favore di un ampio concetto di connessione ha trovato
un'implicita conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
Questa, invero, con la decisione n. 64 del 1998, ha ritenuto infondata
la questione relativa alla procedibilità d'ufficio per connessione con
reato procedibile d'ufficio estinto prima dell'esercizio dell'azione
penale, in quanto l'estinzione non esclude la sopravvivenza del reato
come fatto giuridico ai fini di qualsiasi altro effetto diverso dalla
punibilità. In definitiva ai fini della sussistenza della connessione è
sufficiente che nella denuncia di un reato sessuale si indichi un
delitto perseguibile d'ufficio, il cui accertamento implichi l'esame
anche del fatto sessuale.
Nella fattispecie il
pubblico ministero per indagare sulle molestie sessuali e sugli altri
atti vessatori commessi in danno della dipendente (rifiuto di
regolarizzare il rapporto di lavoro, corresponsione di una retribuzione
inferiore a quella dovuta) era necessariamente costretto a prendere in
esame gli abusi sessuali trattandosi di fatti che assorbono le semplici
molestie.
Il secondo motivo si risolve in
censure in fatto sull'apprezzamento delle prove da parte dei giudici del
merito le cui motivazioni, che si integrano a vicenda, non presentano
incongruenze o manifeste illogicità.
Anche il quarto motivo è infondato. L'art. 572 c.p.p.,
rispetto all'analoga norma contenuta nel codice del 1989, ha ampliato
la categoria delle persone che possono essere vittima di maltrattamenti,
aggiungendo nella previsione normativa ogni persona sottoposta
all'autorità dell'agente, ovvero al medesimo affidata per ragioni
d'istruzione, educazione, ecc..
Sussiste il
rapporto d'autorità ogni qualvolta una persona dipenda da altra mediante
un vincolo di soggezione particolare (ricovero, carcerazione, rapporto
di lavoro subordinato, ecc).
Invero non v' è
dubbio che all'imprenditore o a chi lo rappresenti spetti l'autorità sui
propri dipendenti riconosciuta da precise norme di legge (artt. 2086, 2106 e 2134 c.c.).
Il
rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e
lavoratore subordinato, essendo caratterizzato dal potere direttivo e
disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del
lavoratore dipendente, pone quest'ultimo nella condizione,
specificamente prevista dalla norma penale testè richiamata di "persona
sottoposta alla sua autorità", il che, sussistendo gli altri elementi
previsti dalla legge, permette di configurare a carico del datore di
lavoro il reato di maltrattamenti in danno del lavoratore dipendente.
La
fattispecie in esame a differenza del maltrattamento in famiglia non
richiede la convivenza ma la semplice sussistenza di un rapporto
continuativo. In definitiva, gli atti vessatori, che possono essere
costituiti anche da molestie o abusi sessuali, nell'ambiente di lavoro,
oltre al cosiddetto fenomeno del mobbing, risarcibile in sede civile, nei casi più gravi, possono configurare anche il delitto di maltattamenti (Cass. 33624 del 2007).
Nella
fattispecie le vessazioni si erano protratte per tutta la durata del
rapporto e consistevano oltre che in ripetute e petulanti molestie
sessuali, nell'abuso sessuale contestato al capo a) nonchè nel rifiuto
di regolarizzare il rapporto di lavoro e nella pretesa di corrispondere
la retribuzione in misura inferiore a quella risultante dalla busta
paga.
Come accennato nella premessa parzialmente fondato è solo il terzo motivo.
Secondo
la contestazione e secondo la sentenza di primo grado l'imputato si era
limitato a toccare la gamba sinistra della parte offesa desistendo
subito dopo per la pronta reazione della vittima.
La parte del corpo presa di mira non era la gamba ma la coscia e la zona genitale o comunque una zona erogena.
Orbene
il problema che pone la fattispecie consiste nello stabilire se
l'iniziale toccamento della gamba, finalizzato a raggiungere altre parti
corporee qualificate come erogene, configuri di per sè l'abuso sessuale
nella forma consumata ovvero in quella tentata.
In
definitiva si tratta di stabilire se, fermo restando lo scopo
libidinoso del toccamento,che deve comunque sussistere, per la
consumazione del reato sia indispensabile che il contatto riguardi una
zona erogena o ritenuta tale dall'agente, perchè idonea a suscitare il
desiderio sessuale, o debba considerarsi sufficiente un qualsiasi
contatto con il copro della vittima ancorchè diverso da quello
considerato erogeno o effettivamente preso di mira.
Si tratta ancora una volta di fornire la nozione dell'atto sessuale e di distinguere l'ipotesi consumata da quella tentata.
Secondo
l'opinione prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza (cfr in
giurisprudenza per tutte: Cass. 22 luglio 2007 n. 19718;
44246
del 2005), la nozione di atto sessuale è la risultante della somma dei
concetti di congiunzione carnale ed atti di libidine, previsti dalle
previgenti fattispecie di violenza carnale ed atti di libidine violenti,
per cui essa viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso
comune e l'elaborazione giurisprudenziale, esprimono l'impulso sessuale
dell'agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo.
Orbene
se la nozione di atto sessuale è riconducibile alla fusione delle
precedenti nozioni di congiunzione carnale ed atti di libidine, la
soluzione più lineare è quella di leggere l'atto sessuale come
equivalente o della congiunzione carnale o dell'atto di libidine
escludendo le condotte non rientranti in una di tali categorie.
Devono
pertanto essere inclusi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti
sulle parti intime delle vittime, o comunque su zone erogene
suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non
completo e/o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della
consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione
erotica.
I toccamenti di parti corporee
diverse dai genitali o dalle zone che la scienza medica, psicologica,
antropologica, qualifica come zone erogene, o comunque diverse da quelle
che l'agente considera tali, configurano l'ipotesi del tentativo
allorchè, per la pronta reazione della vittima o per altre ragioni,
l'agente non riesca a toccare la parte corporea presa di mira. In
definitiva se il contatto corporeo riguardi una zona diversa da quella
erogena o comunque diversa da quella effettivamente presa di mira
dall'agente, perchè quest'ultimo è costretto ad interrompere l'azione
criminosa per la reazione della vittima o per altre ragioni, l'agente
risponderà del solo tentativo, se l'intenzione era comunque libidinosa.
Opinando diversamente dovrebbe rispondere del delitto consumato colui il
quale afferri per le braccia una ragazza per baciarla senza raggiungere
lo scopo per la reazione della vittima o per altre ragioni. In
conclusione si può affermare il principio in forza del quale il
tentativo di violenza sessuale sussiste, non solo quando gli atti idonei
diretti in modo non equivoco alla perpetrazione dell'abuso sessuale non
si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il
contatto corporeo, superficiale e fugace, non ha potuto raggiungere una
zona erogena o comunque considerata tale e presa di mira dal reo per la
reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla sua
volontà.
Il fatto contestato al prevenuto al
capo a) non può essere qualificato come molestia sessuale, che è cosa
diversa dall'abuso sessuale sia pure nella forma tentata. La molestia
sessuale che è attualmente una forma particolare di molestia già
prevista come reato dall'art. 660 c.p., prescinde da contatti
fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti Corteggiamenti
non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni
volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un
momento della condotta.
In definitiva coincide
con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall'abuso
sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di
instaurazione di un rapporto interpersonale. Nel momento in cui dalle
espressioni volgari a sfondo sessuale o dal Corteggiamento invasivo ed
insistito si passa a toccamenti non casuali suscettibili di eccitare la
concupiscenza sessuale si è fuori della molestia e si realizza quanto
meno il tentativo di atto sessuale. Quest'ultimo, a sua volta, si
distingue dal reato consumato, che come sopra precisato può prescindere
dalla congiunzione carnale e può estrinsecarsi anche mediante un atto
libidinoso, allorchè la condotta, pure in mancanza di atti di contatto
fisico tra imputato e persona offesa, denoti il requisito soggettivo di
raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo
dell'idoneità a violare la libertà di autoderminazione della vittima
(Cass. sez. 3, 24 aprile 2001, Schiraldi), il che si può verificare sia
quando il contatto fisico sia impedito dalla reazione della vittima sia
quando esso non abbia raggiunto una zona erogena o comunque quella
ritenuta tale dall'agente per la pronta reazione della vittima o per
altra causa.
Alla stregua delle considerazioni
svolte il reato di cui al capo a) va qualificato come tentativo. Di
conseguenza la sentenza va annullata con rinvio limitatamente a tale
punto. Il giudice del rinvio, ferma restando l'affermazione di
responsabilità per gli altri reati contestati e per lo stesso tentativo
di abuso sessuale, così qualificato il delitto di cui al capo a), dovrà
limitarsi a rideterminare la pena.
La liquidazione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, va rimessa al giudice del rinvio.
P.Q.M.
LA CORTE Letto l'art. 623 c.p.p..
Annulla
la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo a), che
qualifica come tentativo, con rinvio ad altra sezione della Corte
d'appello di Caltanisetta Rigetta nel resto il ricorso.
Rimette la liquidazione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile al giudice del rinvio.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2008
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