Nuova pagina 1
(Sezione sesta, ordinanza n. 5196/08; depositata il 16 ottobre)
N. 5196/08
N. 5001/08
Reg.Dec.
N. 552-1266 Reg.Ric.
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE e ORDINANZA
sui ricorsi riuniti in appello nn. 552/2003–1266/2003, proposti rispettivamente:
1) ric. n. 552/2003 da @@@@@@@@ @@@@@@@@, rappresentato e difeso dagli Avv. ...
contro
MINISTERO
DELL'INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei
Portoghesi n. 12;
2)
ric. n. 1266/2003 dal MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro
p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con
domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi n. 12;
contro
@@@@@@@@ @@@@@@@@, rappresentato e difeso dagli Avv. ...
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria sede di Genova Sez. II n. 1280/2001.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 30/05/2008 relatore il Consigliere .
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con
la sentenza appellata, indicata in epigrafe, in parziale accoglimento
del ricorso proposto dal commissario di Polizia, dottor @@@@@@@@
@@@@@@@@, è stato annullata la sanzione disciplinare della deplorazione
inflitta al ricorrente, con decreto del Capo della Polizia, in data 7
luglio 1999, mentre è stata respinta la domanda di risarcimento avanzata
dallo stesso dottor @@@@@@@@ per i danni affermati derivanti dal
provvedimento illegittimo.
Il
giudice di primo grado, riportato il fatto contestato (il dottor
@@@@@@@@, in un momento d’ira, letto il rapporto informativo relativo
all’anno 1998, ritenutone il contenuto ingiusto, distruggeva il
documento contenente tale rapporto, dandogli fuoco con l’accendino),
giudicate infondate tutte le altre censure sollevate, ha annullato il
provvedimento sanzionatorio ritenendo sussistente, fra i vizi dedotti,
la sola denunciata violazione dell’art 11 d.P.R. 25 ottobre 1981. Il
T.A.R., ha quindi respinto la domanda di risarcimento dei danni Avverso
tale decisione propongono appello entrambe le parti; il dottor @@@@@@@@
impugna il capo contenente la reiezione della domanda di risarcimento
danni, l’Amministrazione il capo della sentenza di annullamento del
provvedimento per violazione dell’art.11. Entrambe le parti chiedono con
l’accoglimento dell’appello rispettivamente da ciascuna proposto il
rigetto del gravame avversario; la parte privata eccepisce
preliminarmente l’inammissibilità dell’appello avversario in quanto non
proposto in via incidentale, pur essendo stato notificato dopo che
all’Amministrazione era stato notificato l’appello dello stesso
@@@@@@@@.
DIRITTO
Riuniti
i due appelli in quanto proposti avverso la stessa sentenza, ritenuta
infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello
dell’Amministrazione, in quanto appello avente ad oggetto una autonoma
doglianza comunque proposto nel rispetto del termine ordinario (da
ultimo: CdS, sez. IV 18 dicembre 2006, n. 7606), le questioni da
esaminare attengono alla sussistenza della violazione della norma di cui
all’art. 11 d.P.R. 25 ottobre 1981, n.737. E’ preliminare l’esame della
prima questione. Il richiamato articolo 11 facente parte del decreto
legislativo “Decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n.
737 (in Gazz. Uff., 14 dicembre, n. 342). - Sanzioni disciplinari per
il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e
regolamentazione dei relativi procedimenti”, recante titolo
“Procedimento disciplinare connesso con procedimento penale” così
dispone:
“Quando
l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza
viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a
procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione
del procedimento penale con sentenza passata in giudicato.”
Il
giudice di primo grado, premesso che per lo stesso fatto, a seguito
delle indagini preliminari svolte dalla competente Procura della
Repubblica, in relazione ai delitti di cui agli articoli 476 e 490 c.
p, il G.I.P aveva pronunciato decreto di archiviazione in data 15
maggio 2000, successivamente, quindi alla conclusione del procedimento
disciplinare (il provvedimento sanzionatorio fu adottato il 7 luglio
1999), ha giudicato che la norma di cui al riportato articolo fosse
stata violata, in quanto il procedimento disciplinare era stato avviato e
concluso contemporaneamente al parallelo procedimento disciplinare. La
pronuncia appellata si fonda sul presupposto che l’espressione
procedimento penale “secondo il costante orientamento della dottrina
processualpenalistica ed alla luce delle norme dettate dal codice di
procedura penale, abbraccia anche lo svolgimento delle indagini
preliminari”. La Amministrazione appellante, argomentatamente, sostiene in contrario, “che
l’art. 11 debba essere interpretato nel senso che presupposto ostativo
alla prosecuzione ovvero alla attivazione del procedimento disciplinare,
sia l’esercizio dell’azione penale, con la relativa assunzione della
qualità di imputato, da parte del soggetto al quale è attribuito il
reato, ciò anche in armonia con quanto previsto dal [l’…………….] art. 117
del D.P.R. n.3/1957”.
Ciascuna delle parti fa riferimento a decisioni del Consiglio di Stato a sostegno della propria tesi.
Il
Consiglio si è espresso nel senso della comprensione della fase delle
indagini preliminari nell’espressione procedimento penale, con la
decisione della IV sezione n. 878/2007 a proposito della norma di cui
all’art 91, primo comma d.P.R: n. 3/1957 (“secondo un ormai
consolidato indirizzo giurisprudenziale (C. Stato, IV, 8.9.1995, n.
660), al fine della adozione di un provvedimento di sospensione
facoltativa, ex 91 comma 1 t.u.imp.civ.St. (d.P.R. 10 gennaio 1957 n.
3), è richiesta la sottoposizione a procedimento penale del pubblico
dipendente (e non anche l'acquisizione della qualità d'imputato, che
corrisponde con il processo), procedimento che coincide con la fase
delle indagini preliminari ed, in particolare, inizia con l'acquisizione
della "notitia criminis" (art. 330 c.p.p.) e con la conseguente
immediata iscrizione dell'indagato nell'apposito registro tenuto presso
l'ufficio del p.m”), con le decisioni n. 5421/2005 e n.115/2007
entrambe della VI sezione specificamente sull’interpretazione
dell’articolo in esame (ad es. così la decisione 5421: “la nozione
di "procedimento penale" recepita dall'art. 11 del d.P.R. n. 737/1981
non va ristretta alle soli fasi processuali in cui si determina
l'ascrizione della "notitia criminis" ad un soggetto determinato (inizio
dell'azione penale in senso formale), ma è comprensivo anche delle
precedenti attività istruttorie e di indagine in base alle quale può
pervenirsi o all' istanza di archiviazione o alla formale richiesta di
rinvio a giudizio per il prosieguo dell'accusa.
L'art.
11 del d.P.R. n. 737/1981 enuclea, invero, una norma di garanzia
chiamata ad operare in raccordo con l'art. 653 c.p.p. che, nel testo
vigente all'epoca di adozione degli atti di cui è controversia,
attribuiva alla sentenza penale di assoluzione efficacia di giudicato
nel giudizio di responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche
autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste e che
l'imputato non lo ha commesso. Non ha senso quindi distinguere, agli
effetti dell'applicazione dell'art. 11 del d.P.R. n. 737/1981,
all'interno del processo penale le fasi procedimentali di istruttoria ed
indagine indirizzate verso un soggetto determinato rispetto al momento
di inizio formale dell'azione penale, poiché in entrambe casi ricorre l'
"eadem ratio" sottesa all'art. 11, che è quella di prevenire antinomie
fra gli esiti del procedimento penale e di quello disciplinare e di
consentire all'inquisito di avvalersi della pronunzia assolutoria a
discarico dell'addebito di trasgressione del codice disciplinare”). Si è anche espressa in tal senso la decisione della VI sezione n. 3488/08.
Si
sono pronunciate per la tesi contraria le decisioni n.780 /1998 e
1573/1999 della IV sezione, nonché, pronunciando specificamente
sull’interpretazione del riportato articolo 11, le decisioni n.2005/7095
e n.3069/2006 della VI sezione. Anche se tratta il diverso tema della
decorrenza del termine di decadenza annuale per la proposizione
dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato, escludendo, ai
fini dell’applicazione degli articoli 28 e 29 della legge sulle
Guarentigie ( R. D. L.vo n. 511/1946), in dichiarato dissenso con la
sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 7406 dell’8
agosto 1997, l’equiparazione fra sentenze di proscioglimento e
archiviazione, va fatto riferimento alla decisione del Consiglio di
Stato, IV sezione, n. 3161 del 26 maggio 2006, a sostegno della tesi
contraria alla sospensione del procedimento disciplinare nella fase
delle indagini, preliminari (“La giurisprudenza amministrativa -
approfondendo le implicazioni connesse al sistema dei rapporti tra il
procedimento disciplinare e quello penale delineato dagli artt. 91 e
segg. del T.U. n. 3 del 1957 - si è infatti ormai consolidata nel
ritenere che l'esistenza di un procedimento penale al quale l'incolpato
sia sottoposto va valutata in base ai criteri formali divisati dal nuovo
codice di procedura, con la conseguenza che di azione penale in senso
proprio non può parlarsi con riferimento alla fase preprocessuale delle
indagini preliminari.
In
altri termini, il richiamo a nozioni o istituti processualpenalistici
disposto da vecchie normative deve adeguarsi alla evoluzione del rito
penale, nel quale oggi la soggezione al procedimento in senso tecnico (e
cioè l'acquisto della veste di imputato) non deriva dall'esperimento
delle indagini preliminari né dall'iscrizione nel registro degli
indagati ma dalla richiesta di rinvio a giudizio all'esito di queste
formulata dal Pubblico Ministero.
In
senso opposto non vale ricordare che ai sensi dell'art. 17 disp. att.
cod. proc. penale e dall'art. 1 comma 8 D.L. n. 361 del 1995 convertito
in legge n. 437 del 1995 il procedimento disciplinare a carico dei
magistrati è rimasto (sino alla recentissima riforma) assoggettato alle
regole stabilite dal vecchio codice di procedura penale del 1930.
Al
riguardo si osserva infatti, in primo luogo, che la salvezza dei rinvii
al codice abrogato contenuti nella normativa di settore concerne
propriamente l'articolazione procedurale e strutturale dell'iter
disciplinare a carico dei magistrati e non la qualificazione della
portata di atti giurisdizionali (sentenze o decreti) del tutto esterni
rispetto al procedimento, pur se di fatto rilevanti per l'avvio di
questo.
In
secondo luogo, comunque non sembra convincente la tesi che predica una
completa assimilazione tra decreto di archiviazione (secondo il nuovo
c.p.p.) e sentenza di proscioglimento istruttorio (secondo l'abrogato
codice di rito).
Infatti,
il Decreto di archiviazione - emesso al termine di un procedimento
preordinato sì all'esercizio della potestà punitiva statale ma collocato
in un momento antecedente all'inizio dell'azione penale - non risulta
formalmente assimilabile alla vecchia sentenza di proscioglimento
istruttorio.
Tale
sentenza infatti presupponeva avvenuto, mediante la formulazione
precisa dell'imputazione, il superamento del limite al di là del quale
l'attività d'indagine o preistruttoria del pubblico ministero sfociava
nell'istruzione sommaria e quindi nel processo.
Il
decreto interviene invece quando nessuna imputazione è mai stata
formulata e chiude un segmento procedimentale (e non processuale)
finalizzato alla ricerca ed assicurazione delle fonti di prova e non
alla formazione di questa.
Né
può ritenersi che l'informazione di garanzia prevista dall'art. 369
c.p.p. equivalga nella sostanza ad un atto di contestazione del reato:
l'informativa in questione infatti mira soltanto a salvaguardare i
diritti e le facoltà difensive dell'indagato e spiega dunque effetti
solo nei rapporti interni tra questi ed il P.M..
In
conclusione, a giudizio del Collegio, l'atto cui si riferisce la legge
sulle Guarentigie va oggi individuato nella sentenza di cui al vigente
c.p.p..
In
ogni caso, anche volendo applicare in senso non nominalistico la
sistematica del vecchio c.p.p., il decreto di archiviazione non è
assimilabile ad una sentenza di proscioglimento”).
Oltre
a quanto emerso attraverso la giurisprudenza riportata, il Collegio
rileva come possa essere utile un’interpretazione sistematica che tenga
conto degli interessi da tutelare in modo da individuare la norma che
con maggior coerenza si integri nel sistema sanzionatorio
dell’Amministrazione della pubblica sicurezza e del pubblico impiego in
genere. Si deve in proposito avere riguardo anche alla circostanza che
la disposizione oggetto di interpretazione era relativa al precedente
codice di procedura penale, in cui il processo penale si articolava
nella fase degli atti preliminari all’istruzione, che poteva concludersi
con l’archiviazione o con la formulazione dell’imputazione, nella fase
dell’istruzione (formale o sommaria) ed eventualmente, nel dibattimento.
Questa notazione può indicare l’insufficienza di una interpretazione
fondata esclusivamente sul significato che le espressioni “procedimento”
e “processo” hanno assunto secondo il codice di procedura penale del
1988.
Sotto
l’aspetto indicato elemento rilevante, a sostegno della tesi seguita
dal giudice di primo grado, è quello secondo il quale tale tesi è la più
idonea a “prevenire antinomie fra gli esiti del procedimento penale e
di quello disciplinare e di consentire all’inquisito di avvalersi della
pronunzia assolutoria a discarico dell’’addebito di trasgressione del
codice disciplinare”(CdS, VI sezione, 6 ottobre 2005, n. 5421, sopra
citata). Si tratta di un argomento dal quale non può prescindersi,
tenuto conto anche della sentenza della CEDU ( ric. n. 35522/04 in data
27 luglio 2007, Stavropoulos c. Grecia) che ha giudicato che la
presunzione di innocenza di cui all’art 6, secondo comma, della
Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali
vincoli l’autorità disciplinare alla ricostruzione del fatto operata dal
giudice penale anche se in forma dubitativa in favore dell’imputato.
Argomenti a favore della tesi opposta, sostenuta dalla parte pubblica, sono:
1)
la circostanza che la Amministrazione nella maggior parte dei casi (ove
siano state applicate misure cautelari) non sa che sono in corso
indagini preliminari a carico del pubblico dipendente da parte del
pubblico ministero;
2)
la previsione di cui all’art. 129 norme di attuazione c.p.p. che, nella
prima parte del comma 1 prevede che: “Quando esercita l’azione penale
nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il
pubblico ministero informa l’autorità da cui l’impiegato dipende, dando
notizia dell’imputazione”. Poichè tale previsione ha la finalità
principale di portare a conoscenza dell’Amministrazione fatti che
possono avere rilievo disciplinare, consentendo così la promozione
dell’azione disciplinare, la fase precedente, delle indagini preliminari
dovrebbe rimanere neutra rispetto all’azione disciplinare assumendo
rilievo a tali fini la formale promozione dell’azione penale (artt. 405 e
60 c.p.p.);
3)
la considerazione che la lunga durata della fase delle indagini
preliminari e, poi del processo penale attenua fortemente l’efficacia
dell’azione disciplinare (va considerato che il relativo procedimento
disciplinare deve essere iniziato e concluso in termini ristretti),
svalutando sia l’aspetto punitivo che quello preventivo.
L’adesione
a questa interpretazione obbliga l’ Amministrazione a tener conto delle
eventuali, successive sentenze irrevocabili del giudice penale sullo
stesso fatto, ove esse rilevino ai fini disciplinari. e ciò può essere
ottenuto attraverso il procedimento di autotutela. Tale procedimento,
nell’ipotesi all’esame, dovrebbe essere sottoposto ai termini del
procedimento disciplinare, considerando la conoscenza legale della
sentenza irrevocabile alla stregua del fatto generatore della
responsabilità disciplinare.
Alla
luce delle esposte considerazioni, il Collegio, riuniti i ricorsi,
ritenuta infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello
dell’Amministrazione, ritiene di rimettere la decisione della
controversia all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 45, secondo
comma, r.d. 26 giugno1924 n. 1054, come sostituito dall’art. 5, l. 21
dicembre 1950, n. 1018.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riuniti i
ricorsi in epigrafe, respinta l’eccezione di inammissibilità
dell’appello della Amministrazione, rimette la decisione della
controversia alla Adunanza plenaria.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, il 30 maggio 2008 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento
dei Signori:.
Presidente est.
.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/10/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
.
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della SegreteriaErrata corrige: a pag. 10, rigo 9, fra le parole “ove” e “siano” aggiungere “non”. Roma 23 ottobre 2008 .
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/10/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
.
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 552-1266/2003
FF |
Nessun commento:
Posta un commento