Nuova pagina 1
- Corte di Cassazione Sezione Penale, Sentenza n. 39888 del 23 ottobre 2008
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 08-10-2008) 23-10-2008, n. 39888
Svolgimento del processo
Con
sentenza in data 12.2.2007 il Giudice monocratico del Tribunale di
Treviso ha dichiarato D.T.A. colpevole del delitto di lesioni colpose in
danno di K.A., fatto verificatosi il (OMISSIS) (art. 590 c.p., commi 2 e 3, in relazione all'art. 583 cod. pen.) e lo ha condannato alla pena di mesi tre di reclusione, oltre statuizioni accessorie.
Il
K. era dipendente della Tesse s.r.l., della quale il D. T. era legale
rappresentante, e, secondo l'impostazione accusatoria, al momento
dell'incidente, stava eseguendo la pulizia della macchina per la
lavorazione del legno denominata "scorniciatrice", senza l'uso di idonee
precauzioni ed attrezzature soprattutto per la mancanza di formazione e
di adeguate istruzioni sul corretto uso del macchinario, per cui
riportava gravi lesioni alla mano sinistra, con indebolimento permanente
dell'organo della prensione.
Tali omissioni, configuranti sia la violazione della specifica norma sulla formazione dei lavoratori (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 22) sia quella della norma generale di cui all'art. 2087 cod. civ.,
venivano ravvisate dal G.M. del Tribunale di Treviso, che approfondiva
anche l'argomento della mancanza di vigilanza sull'operato del
dipendente, richiamando ampia giurisprudenza di questa Sezione della
Corte di Cassazione. La sentenza di condanna di primo grado si fondava
quindi su varie omissioni del datore di lavoro, attinenti alla
formazione, alla informazione ed alla vigilanza o controllo del
comportamento dei dipendenti. Veniva anche precisato che la condotta
distratta del K. non eliminava il dovere del D.T. di adoperare
macchinari sicuri o comunque di informare adeguatamente i dipendenti dei
pericoli che potevano derivare dall'uso di macchinali, per così dire "a
rischio".
Con sentenza in data 18.12.2007 la
Corte di Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado,
ha assolto il D.T. dal delitto ascrittogli perchè il fatto non
costituisce reato.
La Corte territoriale ha
rilevato che gli argomenti sostenuti dal giudice di primo grado per
ritenere colpevole l'imputato non potessero essere condivisi.
Per
ciò che concerne il primo argomento, e cioè la mancanza di formazione,
la Corte territoriale ha ritenuto che essa non era tale da precludere la
conoscenza della pericolosità della macchina scorniciatrice alla quale
il K. era addetto e delle corrette modalità di uso della stessa.
La
Corte di merito, pur dando atto della pericolosità del macchinario, se
non correttamente usato, e della sicura assenza della frequentazione da
parte del K. di un cd. "corso di formazione istituzionalizzato", ha
rilevato che dalla espletata istruttoria, e anche dalle dichiarazioni
della stessa parte offesa, era risultato che il lavoratore si era
formato tramite un "apprendimento diretto", operando, anche al momento
dell'infortunio, insieme ad un operaio esperto, e cioè C.U.. Inoltre, lo
stesso K. aveva ammesso di conoscere i due comandi di sicurezza, molto
semplici, da utilizzare per scongiurare infortuni come quello
verificatosi, e cioè l'apertura del cofano per fermare le linee di
guida, e cioè le ruote, e soprattutto il pulsante di emergenza, che, se
premuto, avrebbe fermato le frese, che avevano causato l'incidente.
Infine, sul primo punto, nella sentenza di appello si precisa che il
testimone F.A., funzionario del Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza
Ambienti di Lavoro (S.P.I.S.A.L.), aveva lamentato la mancata
partecipazione del lavoratore ad un corso di "formazione specifica",
obbligo a cui avrebbe dovuto ottemperare il datore di lavoro, pur
precisando che non esiste una "scuola prevista".
Il
secondo argomento esaminato è l'esistenza di una prassi contraria alle
esigenze di sicurezza, che si è ritenuto di escludere essendo la prova
basata sulle sole dichiarazioni della parte offesa, senza alcun
riscontro, e ritenendosi la non piena attendibilità del testimone per
avere serbato rancore nei confronti del D.T., avendo la società da lui
amministrata risolto il rapporto di lavoro dopo l'infortunio.
La
Corte territoriale ha poi ricostruito la fase degli eventi che ha
portato alle lesioni, distinguendo l'attività dell'altro operaio C.U. di
rimuovere una scheggia rimasta incastrata nelle linee di guida e per la
quale non era necessario fermare anche le frese, e la successiva opera
di pulizia da parte del K., che ha approfittato della circostanza che la
macchina era aperta, senza arrestare il movimento delle frese. La tesi
di una prassi tollerante nell'intervenire in tale modo imprudente non è
stata dimostrata in alcun modo.
Infine, la
Corte territoriale ha rilevato che i funzionari dello S.P.I.S.A.L. hanno
attestato la conformità della macchina scorniciatrice alle norme di
sicurezza.
Il Procuratore Generale presso la
Corte di Appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione avverso
la succitata sentenza di assoluzione per i seguenti motivi.
Con
i primi due motivi di gravame, il P.G. ricorrente ha dedotto
l'inosservanza di molteplici norme inerenti alla formazione e
all'addestramento specifico dei dipendenti (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 21, comma 1, lett. a) e c), art. 22, commi 1 e 2, artt. 34, 37 e 38), nonchè della norma generale di cui all'art. 2087 cod. civ.,
inerente all'obbligo del datore di lavoro di tutela e di sicurezza nei
confronti dell'apprendista, nonchè il vizio di motivazione.
In
particolare, il P.G. ha censurato sia la mancata valutazione della
normativa antinfortunistica, che l'efficacia di tali valutazioni
sull'infortunio in questione.
Con il terzo
motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto la violazione di legge e
la mancanza di motivazione sulla circostanza che l'infortunato era un
apprendista, per cui era applicabile la L. 19 gennaio 1955, n. 25, artt. 11 e 16, nella parte in cui dispongono l'obbligo di frequenza per corsi di insegnamento complementare.
Inoltre,
come costantemente ritenuto dal giudice di legittimità, il grado di
formazione e di vigilanza sull'operato degli apprendisti deve essere
particolarmente elevato per garantire la sicurezza del lavoro, e lo
stesso non deve essere adibito ad attività su macchinari particolarmente
pericolosi come la scorniciatrice.
Con il quarto motivo di ricorso, il P.G. ha eccepito la violazione dell'art. 2087 cod. civ. e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. f),
ed il relativo vizio di motivazione, in quanto il datore di lavoro non
solo deve fornire le direttive per evitare incidenti sul lavoro, ma deve
anche vigilare che le prescrizioni antinfortunistiche siano osservate,
soprattutto in caso di lavoratore inesperto, quale l'apprendista.
Con
il quinto motivo di gravame, il ricorrente, dopo avere citato la
violazione di numerose norme, ha sostanzialmente ricordato
l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale il nesso causale viene
interrotto dal comportamento imprudente del lavoratore solo in presenza
di una condotta abnorme e assolutamente imprevedibile.
Con il sesto motivo di impugnazione, il P.G. ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen.
e la manifesta illogicità della motivazione per la ritenuta
inattendibilità della testimonianza della parte offesa, non avendo il
giudice di appello tenuto conto delle seguenti circostanze: a) il K. non
si è neppure costituito parte civile; b) risulta pacifico che le frese
erano in movimento, come ritenuto dalla stessa Corte territoriale; c)
che le dichiarazioni sono conformi a quelle rilasciate al funzionario
dello S.P.I.S.A.L il 30.7.2003, allorchè il K. non era stato ancora
licenziato; d) il licenziamento nell'apprendistato può essere disposto
senza giusta causa e senza giustificato motivo.
Con il settimo e ottavo motivo di gravame, il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione in relazione all'art. 2087 cod. civ. e al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 47 e 48, i
quali dispongono che è vietata la pulizia dei macchinari in movimento, a
meno che non sia richiesto da particolari esigenze tecniche, nel qual
caso deve essere fatto uso di mezzi idonei ad evitare ogni pericolo,
situazione alla quale il datore di lavoro non ha ottemperato nella
fattispecie.
In data 24.9.2008 il difensore
del D.T. ha depositato memoria, con la quale ha censurato i motivi di
ricorso del P.G. territoriale.
Con riferimento
ai primi due motivi la difesa ha censurato la ritenuta non conoscenza
da parte del K. del corretto uso dei macchinari, come risulta dalle sue
stesse dichiarazioni, dalle quali si evince che egli sapeva che le frese
non andavano pulite se tenute in movimento.
In
ordine al terzo motivo, la difesa ha assunto che la macchina era
perfettamente regolare, come accertato dalla S.P.I.S.A.L., e che il K.
non aveva partecipato ai corsi di formazione perchè assente per
infortunio alla prima convocazione.
In
relazione al quarto motivo, la difesa ha ritenuto adempiuto l'obbligo di
vigilanza con la presenza del C., tenendo altresì presente il
comportamento imprevedibile e sconsiderato della parte offesa, che ha
eseguito una manovra che sapeva vietata.
Per
ciò che concerne il quinto motivo, la difesa, con ampia esposizione di
ragioni di fatto e di diritto, ha valutato la condotta abnorme ed
imprudente del lavoratore come idonea ad interrompere il nesso di
causalità - pur ribadendosi comunque l'assenza di responsabilità del
datore di lavoro - così ponendosi come causa unica dell'evento lesivo.
Infine,
in relazione al sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso la difesa ha
posto in evidenza, sulla attendibilità della parte offesa, che la
stessa non si è costituita parte civile, in quanto ha promosso azione
per il risarcimento dei danni in sede civile, ed ha sottolineato come la
Corte di merito abbia correttamente ritenuto che il C. abbia operato
sulle frese in movimento per togliere la scheggia, mentre la pulizia
andava eseguito con il macchinario fermo.
Motivi della decisione
Si
osserva, in primo luogo, che la sentenza di appello ha riformato del
tutto la sentenza di condanna di primo grado, dichiarando al contrario
la assoluzione dell'imputato D.T.A.. Come hanno ritenuto le sezioni
unite di questa Corte con la sentenza n. 33748 del 12.7.2005 (riv.
231679), confortando la giurisprudenza prevalente di legittimità (Cass.
9.6.2005 n. 28583; Cass. 20.4.2005 n. 6221;
Cass.
27.6.1995 n. 8009; Cass. 16.12.1994 n. 1381; Cass. 9.6.1994 n. 9425;
Cass. 9.2.1990 n. 4333), in relazione al vizio previsto dall'art. 606 c.p.p.,
lett. e), il giudice di appello è libero, nella formazione del suo
convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato
ed il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione,
con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o
giuridici, le ragioni del suo convincimento, obbligo che, in caso di
decisione difforme da quella del giudice di primo grado, impone anche
l'adeguata confutazione delle ragioni poste a base della sentenza
riformata.
Infatti, l'alternatività della
spiegazione di un fatto non attiene al mero possibilismo, come tale
esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realtà
processuale, ma a specifici dati fattuali che rendano verosimile la
conclusione di un iter logico cui si perviene senza affermazioni
apodittiche.
Nel caso di contrasto (come nella
specie, totale) tra due decisioni di merito in ordine allo stesso
fatto, e cioè tra la sentenza di primo grado e quella di appello, il
giudice di secondo grado deve analizzare congruamente ed analiticamente
le argomentazioni della sentenza appellata, e spiegare perchè ritenga
che le ragioni ivi addotte non siano condivisibili, ed altro sia il
ragionamento in direzione della verità.
Il
giudice di legittimità, in tale situazione di contrasto da parte dei
giudici di merito, ben può esaminare la sentenza di primo grado e
valutare se il secondo giudice, nel sostituire il proprio modo di vedere
a quello risultante dalla sentenza appellata (sorretta, fino a quel
momento, da una presunzione di giustizia), abbia tenuto nel debito
conto, sia pure per disattenderle, le argomentazioni esposte da
quest'ultima: la valutazione del giudice di secondo grado, soprattutto
se la difformità concerne l'affermazione o l'esclusione della
responsabilità dell'imputato, non può essere infatti superficiale o
arbitraria e tale invece si rivelerebbe qualora disattendesse in modo
irragionevole o se omettesse persino di prendere in esame i contrari
argomenti del primo giudice.
Nella specie, la
sentenza di appello, pur contenendo una motivazioneampia ed analizzando
le risultanze probatorie in modo particolareggiato, è motivata in modo
manifestamente illogico, e soprattutto contiene interpretazioni di
diritto delle norme sulla sicurezza del lavoro del tutto in contrasto
con la giurisprudenza costante dalla Corte di Cassazione, come
esattamente rilevato dal P.G. ricorrente.
Con i
primi quattro motivi di ricorso, nonchè con il settimo e l'ottavo, il
P.G. presso la Corte di Appello di Venezia ha censurato sia per
violazione di legge che per difetto di motivazione la ritenuta adozione
"concreta" (anche se palesemente in difformità delle norme vigenti)
degli obblighi di formazione, informazione e vigilanza del lavoratore.
Sostanzialmente
nella motivazione della sentenza impugnata è stato ritenuto che il K.,
pur lavoratore apprendista, non aveva seguito alcun corso teorico, ma si
era formato con l'esperienza diretta. Inoltre, era stato adeguatamente
informato delle modalità di esecuzione della pulizia della
"scorniciatrice". Infine, era stato affidato a lavoratore esperto, quale
il C., che pertanto vigilava sul suo operato.
Ritiene
il Collegio che le questioni non possono essere trattate
disgiuntamente, ma vanno valutate, pur negli indispensabili riferimenti
al fatto specifico, nel loro complesso, in quanto, come è stato
costantemente ritenuto, anche una diligente formazione ed informazione
(che nella specie comunque non si ravvisano) non dispensa il datore di
lavoro dagli obblighi di controllo e di vigilanza affinchè il
lavoratore, soprattutto se poco esperto perchè apprendista, non corra il
rischio di eventi lesivi.
Le norme fondamentali di riferimento sono, per l'informazione, il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 21,
e, per la formazione, il successivo art. 22. La prima norma dispone,
nella prima parte che "il datore di lavoro provvede affinchè ciascun
lavoratore riceva un'adeguata informazione su: a) i rischi per la
sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale; b)
i rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le
normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia; c) i
rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le
normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia". Nella
specie, dalla sentenza impugnata risulta che il K., come da sua stessa
ammissione, era stato informato sulla circostanza che la pulizia del
macchinario dovesse avvenire dopo avere premuto il pulsante che ferma le
frese in movimento. Tale informazione (tenuto anche conto di quanto
espresso nel successivo art. 37), che, se riferita con particolare
diligenza, tale da sensibilizzare il dipendente sui rischi dell'operare
sul macchinario in movimento, potrebbe essere sufficiente, risulta
invece inconsistente, se non accompagnata da una seria formazione sui
pericoli dello svolgimento di un'attività lavorativa in difformità del
citato criterio di prudenza, e soprattutto in assenza di una seria
vigilanza sull'operato del dipendente, come risulta essersi verificato
nella specie.
Infatti, il D.Lgs. n. 626 del 1994,
successivo art. 22 dispone che "il datore di lavoro, i dirigenti ed i
preposti, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze,
assicurano che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui
all'art. 1, comma 3, ricevano una formazione sufficiente ed adeguata in
materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio
posto di lavoro e alle proprie mansioni". Il successivo art. 38, stesso
Decreto dispone un principio di carattere generale, attinente alla
formazione adeguata dell'uso dei macchinari impiegati, e altro specifico
riguardante le "conoscenze e responsabilità particolari" di
attrezzature che possono causare maggiori rischi, anche a terze
persone,, e in ordine alle quali il datore di lavoro deve curare che i
lavoratori ricevano un addestramento adeguato e specifico.
Nella
specie, è pacifico che il K., pour lavorando su macchinari pericolosi,
tali da potere procurare grave danno alle persone, non ha ricevuto
nessuna formazione, e non è certamente argomento convincente quello
sostenuto nella sentenza impugnata, secondo il quale non esistevano
"corsi specializzati", in quanto, come esattamente rilevato dal teste
F., funzionario dello S.P.I.S.A.L., ciò non impediva al datore di lavoro
di procedere ad "una formazione specifica per macchine particolarmente
pericolose", come impone non solo la specifica norma sulla sicurezza, ma
anche la norma generale di cui all'art. 2087 cod. civ., espressamente richiamata nel capo di imputazione.
Ma,
l'argomento poi determinante in ordine al quale la sentenza impugnata
fornisce una risposta del tutto illogica è la riduzione, per non dire
l'annientamento, del dovere di vigilanza a carico del datore di lavoro
nei confronti del dipendente che lavora su macchine pericolose.
Ammesso
che vi sia stata informazione, e comunque essendo palese che non vi è
mai stata formazione del lavoratore in relazione alla normativa
antinfortunistica, ciò che appare essere mancato del tutto è il
controllo sull'osservanza da parte del lavoratore delle norme
antinfortunistiche. Nella sentenza impugnata tale questione viene
ridotta alla "non provata" esistenza di una prassi inosservante della
disciplina antinfortunistica.
La
giurisprudenza di legittimità ha condivisibilmente sostenuto che, in
tema di prevenzione di infortuni, il datore di lavoro deve controllare
che siano osservate le disposizioni di legge e a quelle, eventualmente
in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, nell'esercizio dell'attività
lavorativa, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del
datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e
informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di
sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra
il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme
antinfortunistiche (Cass. 29.10.2003 n. 49492;
Cass. 16.1.2004 n. 18638 riv. 228344; Cass. 12.4.2005 n. 20595 riv.
231370; Cass. 16.11.2006 n. 41951 riv. 235540).
E'
infatti il datore di lavoro che, quale responsabile della sicurezza del
lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i
lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre
presente, di sottrarvisi anche instaurando prassi di lavoro non
corrette.
Tali conclusioni si evincono non solo dallo stesso, richiamato dal ricorrente, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4,
che non pone a carico del datore di lavoro il solo obbligo di allestire
le misure di sicurezza, ma anche una serie di controlli diretti o per
interposta persona, atti a garantirne l'applicazione, ma soprattutto
dalla norma generale di cui all'art. 2087 c.c., la quale
dispone che "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio
dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica
e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
Ne
consegue che, nella specie, pur potendosi ravvisare una informazione,
anche se superficiale, e sussistendo una totale assenza di formazione, e
la mancanza di vigilanza, essendo risultata del tutto inadeguata quella
operata dal C., che certamente non è valsa ad impedire la condotta
imprudente del K., per ragioni che in questa sede non è necessario
specificare, occorre una seria revisione dei principi affermati nella
sentenza impugnata, che sono in violazione non solo della giurisprudenza
di legittimità, ma anche e soprattutto delle norme speciali indicate e
di quella generale di cui all'art. 2087 cod. civ..
Il
quinto motivo di impugnazione riguarda l'inidoneità della condotta
imprudente del dipendente ad interrompere il nesso di causalità ex art. 40 c.p., comma 2, artt. 41 e 42 cod. pen., non potendosi certamente dubitare che al verificarsi dell'evento abbia contribuito anche l'imprudenza del K..
Questa
Corte ha costantemente ritenuto che il datore di lavoro è esonerato da
responsabilità quando il comportamento del dipendente presenti o
caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto
al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute (ex
plurimis Cass. 22.6.2005 n. 38840; Cass. 25.9.1995 n. 10733).
Nella
specie, non solo l'insufficienza della formazione rendeva prevedibile
una possibile condotta in violazione delle norme antinfortunistiche, ma
il tentativo di procedere ad un'operazione di pulitura in modo
inosservante della disciplina antinfortunistica, talvolta anche per mera
fretta, avrebbe dovuto sensibilizzare il datore di lavoro ad un
maggiore controllo, non potendosi certo ritenere del tutto imprevedibile
razione incauta del K..
Il sesto motivo,
inerente al giudizio di credibilità delle dichiarazioni della parte
offesa è questione di merito, che comunque non appare avere rilievo
nella fattispecie, e che è assorbito dalle precedenti valutazioni.
Infatti, nella sentenza impugnata, il K. è stato ritenuto non credibile
solo per ciò che concerne una prassi di pulire la macchina mentre era in
movimento, circostanza che non influisce sul dovere di vigilanza del
datore di lavoro, che comunque non ha controllato, o fatto controllare,
nell'episodio specifico, l'attenta esecuzione dell'opera di pulitura da
parte del K..
Pertanto, per le ragioni esposte, la sentenza impugnata va annullata a norma dell'art. 623 c.p.p.,
lett. c), e il giudice di rinvio dovrà applicare i principi esposti in
questa sentenza, che sono peraltro conformi all'orientamento
giurisprudenziale di questa Corte. La difesa, alla pubblica udienza, ha
chiesto che la Corte di Appello esamini - se necessario - i motivi di
appello attinenti alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale (art. 603 cod. proc. pen.), ed alla
determinazione della pena, ritenuti assorbiti dall'accoglimento del
principale motivo di appello, e cioè l'assoluzione dell'imputato. E'
evidente che con la decisione di annullamento con rinvio, il giudice di
appello dovrà esaminare, in maniera gradata, tutti i motivi di
impugnazione della sentenza di primo grado.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Venezia.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2008
Nessun commento:
Posta un commento