CONFISCA - MISURE DI SICUREZZA
Cass. pen. Sez. Unite, (ud. 25-10-2005) 22-11-2005, n. 41936 |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARVULLI Nicola - Presidente
Dott. MORELLI Francesco - Consigliere
Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere
Dott. SIERENA Pietro A. - Consigliere
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere
Dott. BRUSCO Carlo G. - Consigliere
Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere
Dott. ROTELLA Mario - Consigliere
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
(omissis), n. 04/03/1966 a Nardo;
avverso l'ordinanza emessa in data 09.04.2004 dal Tribunale di Lecce;
Visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;
Udita la relazione del Consigliere Dott. Arturo Cortese;
Udito
il Pubblico Ministero nella persona dell'Avvocato Generale, Dott.
ESPOSITO Vitaliano, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori, avv.ti Sambati e Gaito, che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 9 aprile 2004 il Tribunale di Lecce, decidendo sul riesame proposto da (omissis), indagato per i reati di cui all'art. 416 cod. pen., commi 1, 2, artt. 81 e 110 c.p., art. 640 bis c.p., art. 61 c.p.
n. 7, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 16 marzo
2004 dal locale Gip, rigettava il gravame relativamente ad alcuni beni
immobili e mobili nella disponibilità del predetto, ritenendo che gli
stessi fossero soggetti a confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 322
ter c.p., e art. 640 quater c.p., siccome di valore corrispondente
all'ingiusto profitto conseguito (oltre 1.200.000 euro). Rilevava in
particolare il Tribunale che l'art. 640 quater c.p., nel richiamare la
disciplina contenuta nell'art. 322 ter cod. pen., consente la confisca
per equivalente in riferimento non solo al prezzo ma anche al profitto
del reato, posto tra l'altro che una diversa soluzione determinerebbe
una interpretatio abrogans della citata disposizione, avendo rilievo nel
reato di truffa il solo riferimento al profitto.
Ha
proposto ricorso il (omissis), per erronea applicazione dell'art. 640
quater c.p. in relazione all'art. 322 ter c.p., deducendo che, a sensi
di quest'ultima norma, fatta eccezione per la sola fattispecie
delittuosa di cui all'art. 321 c.p. (prevista nel secondo
comma), per la quale il vincolo reale può ricadere anche su beni di
valore equivalente al "profitto", lo spostamento del vincolo reale è
consentito solo su beni di valore equivalente al "prezzo" del reato
(art. 322 ter c.p., comma 1), non configurabile in relazione ai reati
contestati all'indagato ( art. 640 c.p., art. 640 bis c.p.).
Il ricorrente ha lamentato anche la sommaria quantificazione del valore dei beni sottoposti a sequestro.
Con
motivi ulteriori il difensore del (omissis), oltre a rafforzare le
suesposte argomentazioni (in particolare evocando i lavori preparatori
alla legge e l'esplicita menzione della confisca per equivalente del
profitto nella diversa ipotesi contemplata dal D.lgs. n. 231 del 2001),
ha dedotto l'illegittimità del sequestro, anche sotto il profilo della
mancanza della prova in ordine all'infruttuosità della ricerca del
profitto del reato.
La seconda Sezione di
questa S.C., assegnataria del ricorso, ha rilevato alla udienza camerale
dell'11 maggio 2005 come, in ordine all'ambito applicativo della
confisca c.d. per equivalente, prevista, con formulazioni diverse, nei
primi due commi dell'art. 322 ter c.p., al quale si richiama in via
generale l'art. 640 quater c.p., si siano formati due orientamenti nella
giurisprudenza di legittimità: l'uno, maggioritario e più restrittivo
(espresso in particolare da Sez. 1^, 28/05/2003, dep. 18/06/2003, n.
26046, est. Chieffi, ric. P.M. in proc. Silletti, RV. 226137 e da Sez.
2^, 15/2/2005, dep. 4/3/2005, n. 8717, est. Macchia, ric. Napolitano,
non massimata), secondo il quale la confisca de qua, al di fuori della
fattispecie di cui all'art. 321 c.p., regolata in modo separato
e specifico nel secondo comma dell'art. 322 ter c.p., può trovare
applicazione, alla stregua del disposto generale, di cui alla parte
finale del primo comma di tale articolo ("è sempre ordinata la confisca
dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, ovvero di beni
per un valore corrispondente a tale prezzo"), relativo a una pluralità
di reati e al quale deve necessariamente intendersi riferito il richiamo
di cui all'art. 640 quater c.p., solo in correlazione al (non più
aggredibile) "prezzo" del reato; l'altro, fatto proprio da Sez. 1^,
12/1/2005, dep. 9/3/2005, n. 79, est. Giordano, ric. Cacciavillani, RV.
231063, secondo cui la previsione della confisca per equivalente del
valore del profitto, contenuta nel secondo comma dell'art. 322 ter c.p.,
è applicabile, in forza del richiamo di cui all'art. 640 quater c.p.,
che, altrimenti, risulterebbe svuotato di ogni significato, anche alla
fattispecie di cui all'art. 640 bis c.p..
La
Sezione stessa, quindi, dopo aver altresì osservato come una recente
decisione quadro del Consiglio U.E. del 24 febbraio 2005 (2005/212/GAI),
relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, ha
imposto agli Stati la previsione in termini generali della confisca per
equivalente con riferimento ai "proventi di reato" nella prospettiva di
armonizzare la normativa dei paesi dell'UE' sul tema specifico della
confisca penale, ha disposto la rimessione del ricorso alle Sezioni
Unite, recepita e formalizzata con decreto del 28 giugno 2005 del Primo
Presidente.
Con nuove note illustrative, la
difesa del (omissis), oltre a richiamare nuovamente, a conforto delle
proprie tesi, i lavori preparatori della L. 300/2000, ha rilevato, in relazione alla ricordata decisione quadro 2005/212/GAI, che la stessa:
- non ha affatto introdotto definizioni nuove circa il provento del reato;
-
ha previsto in generale, per l'obbligo di applicazione della confisca
"estesa", la necessità di una qualche correlazione del bene con
l'attività criminosa;
- non consente comunque
forzature interpretative del diritto interno incompatibili con una
ermeneusi corretta del medesimo e con i principi della certezza del
diritto e di non retroattività delle disposizioni penali (quale è
certamente da considerare quella relativa alla "punitiva" confisca per
equivalente).
Motivi della decisione
La
questione giuridica rimessa a questo Collegio è se, in forza del
richiamo all'art. 322 ter cod. pen., contenuto nell'art. 640 quater cod.
pen., la confisca di beni per un valore equivalente al profitto del
reato possa e debba essere disposta anche nel caso di condanna per uno
dei delitti previsti dall'art. 640 c.p., comma 2 n. 1, art. 640 bis c.p. e art. 640 ter cod. pen..
Orbene,
va rilevato che l'art. 322 ter, oltre a rendere obbligatoria per taluni
delitti anche la confisca del profitto (secondo una linea di rigore,
che troverà il suo completamento nell'art. 335 bis c.p., introdotto
dalla L. 27 marzo 2001 n. 97), ha previsto anche, per gli
stessi delitti, la confisca obbligatoria "per equivalente" (o "di
valore"), differenziandone però la disciplina, fra il primo e il secondo
comma, in relazione al suo collegamento al prezzo ovvero al profitto
del reato.
La confisca per equivalente,
caldeggiata a più riprese, a partire dagli anni '80, e via via con
intensità crescente, in vari atti internazionali (di cui l'ultimo è la
ricordata decisione quadro del Consiglio U.E. del 24 febbraio 2005), in
funzione di neutralizzazione dei vantaggi economici derivanti
dall'attività criminosa, fu introdotta per la prima volta nel nostro
ordinamento (se si eccettua la previsione di cui all'art. 735 bis c.p.p.
- conseguente alla ratifica, con L. 9 agosto 1993 n. 328,
della Convenzione n. 141 del Consiglio d'Europa relativa al riciclaggio,
al rintracciamento, al sequestro o alla confisca dei proventi di reato,
aperta alla firma a Strasburgo l'8 novembre 1990 - della esecuzione
della confisca di valore in sede di cooperazione giudiziaria passiva),
in relazione al reato di usura, dalla L. 7 marzo 1996, n. 108,
che, novellando l'art. 644 c.p., stabilì, oltre alla obbligatorietà
della confisca del prezzo e del profitto del reato di usura, che la
stessa potesse estendersi a "somme di denaro, beni o utilità di cui il
reo ha la disponibilità anche per interposta persona, per un importo
pari al valore degli interessi, o degli altri vantaggi o compensi
usurari").
Su tale forma di misura ablatoria
(che, senza mai essere introdotta in via generale, ha nel frattempo
trovato ulteriori applicazioni specifiche nel nostro ordinamento con il
D.Lgs. 6 giugno 2001 n. 231, relativo alla responsabilità delle persone
giuridiche, con il D.Lgs.
11 aprile 2002 n.
61, contenente la disciplina degli illeciti penali e amministrativi
riguardanti le società commerciali, e con la L. 11 agosto 2003 n. 228, che ha novellato l'art. 600 septies c.p.), la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che essa:
-
esime dallo stabilire quel "rapporto di pertinenzialità" tra reato e
provvedimento ablatorio dei proventi illeciti, che caratterizza invece
la misura ex art. 240 c.p.: fermo restando, cioè, il
presupposto della consumazione di un reato, non è più richiesto alcun
rapporto tra il reato e i beni da confiscare, potendo essere detti beni
diversi dal "provento (profitto oprezzo)" del reato stesso (Cass.
19/01/2005, PM in proc. Nocco; 27.01.2005, Baldas);
-
costituendo una "forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi
illeciti", viene ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio
(Cass. 16/01/2004, Napolitano);
- richiede,
oltre alla ravvisabilità di uno dei reati per i quali è consentita e
alla non appartenenza dei beni a un terzo estraneo, che nella sfera
giuridico-patrimoniale del responsabile non sia stato rinvenuto, per una
qualsivoglia ragione, il prezzo o profitto (di cui sia però "certa"
l'esistenza) del reato (Cass 16/01/2004, Napolitano; 03.07.2002, PM in
proc. Silletti);
- è applicabile, nell'ipotesi
di concorso di persone nel reato, nei confronti di uno qualsiasi tra i
concorrenti per l'intero importo del ritenuto prezzo o profitto del
reato, anche se lo stesso non sia affatto transitato, o sia transitato
in minima parte, nel suo patrimonio e sia stato, invece, materialmente
appreso da altri (Cass. 02/12/2004, Ricciotti).
Per
quanto concerne le nozioni di profitto e prezzo del reato, palesemente
presupposte nella loro valenza tecnica dall'art. 322 ter c.p., la
giurisprudenza assolutamente dominante, chiamata a chiarirne la
distinzione in relazione al diverso trattamento fattone nell'art. 240
c.p. e, di riflesso, nella previgente formulazione dell'art. 445 c.p.p.
(che consentiva, in presenza di una pena patteggiata, l'applicazione
della sola confisca obbligatoria), ha avuto modo di precisare che,
mentre per "profitto" deve intendersi l'utile ottenuto in seguito alla
commissione del reato, il "prezzo" va identificato in quello pattuito e
conseguito da una persona determinata, come "corrispettivo"
dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Sez. Un. 3/7/1996, dep.
17/10/1996, ric. Chabrui, n. 09149, est. Papadia, RV. 205707). Per
"prodotto" del reato, invece, si intende il risultato, cioè il frutto
che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita.
Un
carattere onnicomprensivo tende invece a darsi alla locuzione "provento
del reato", che ricomprenderebbe quindi "tutto ciò che deriva dalla
commissione del reato" e pertanto le diverse nozioni indicate nell'art. 240 c.p.,
comma 1, 2 di "prezzo", "prodotto" e "profitto" (Sez. Un., 28/4/1999,
dep. 8/6/1999, n. 9, est. Silvestri, ric. Bacherotti, in motivazione).
In
coerenza con la suddetta definizione del prezzo del reato, la S.C. ha
escluso, fra l'altro, che in esso possano identificarsi la cosa
incautamente acquistata (Sez. 2^, 24/09/1998, dep. 05/10/1998, n. 10456,
est. Carmenini, ric. Asseliti, RV. 211662), il danaro consegnato dalla
prostituta al suo sfruttatore (Sez. 3^, 10/2/2000, dep. 07/04/2000, n.
661, est. Di Nubila, ric. Brunetti, RV. 216455), le somme ricavate dalla
vendita di terreni abusivamente lottizzati (Sez. 6^, 06/04/1988, dep.
04/06/1988, n. 6644, est. Battaglini, ric. Grasso, RV. 178526), il
denaro esposto nel gioco d'azzardo (Sez. Un. 15/12/1992, dep.
24/02/1993, n. 1811, est. Satta Flores, ric. Bissoli, RV. 192493).
Sulla
nozione di profitto di reato, queste SS.UU. hanno di recente
puntualizzato che esso si identifica nel "vantaggio di natura economica"
ovvero nel "beneficio aggiunto di tipo patrimoniale" di "diretta
derivazione causale" dall'attività del reo, senza che possa addivenirsi a
"un'estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e
qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa
comunque scaturire da un reato" (sent. 24/05/2004, dep. 09/07/2004, n.
29951, est. Fiale, ric. Curatela Fall, in proc. Focarelli, RV. 228166 ed
in motivazione).
Venendo ora specificamente
al contrasto che ha determinato la rimessione del ricorso a questo
Collegio, si osserva che la tesi che esclude la confiscabilità "per
equivalente" del profitto dei reati indicati nell'art. 640 quater c.p.
si basa essenzialmente sull'assunto che il rinvio operato dall'art. 640
quater c.p. riguarderebbe soltanto le disposizioni di tipo generale
contenute nel primo comma dell'art. 322 ter, in cui si prevede la
confisca per equivalente del prezzo del reato, e non quelle invece del
secondo comma, che sarebbero state dettate "esclusivamente" per il
delitto di cui all'art. 321 c.p. e non sarebbero quindi
estensibili (in ragione dell'inciso "in quanto applicabili") alle
diverse fattispecie di truffa. Stante poi la ricordata differenza
sostanziale sotto il profilo giuridico dei termini "profitto" e "prezzo"
del reato, il profitto dei reati di frode di cui all'art. 640 quater
c.p. (quale è indubbiamente quello conseguito, in ipotesi accusatoria,
dal (omissis)) non potrebbe in ogni caso coincidere con il concetto di
prezzo del reato.
In tal senso si è espressa
la Corte con Sez. 1^, 28/05/2003, dep. 18/06/2003, est. Chieffi, ric.
P.M. in proc. Silletti, RV. 226137, alla quale si è riportata
espressamente di recente Sez. 2^, 1 marzo 2005, dep. 18 marzo 2005, n.
10875, est. Cardella, ric. Geremicca, non massimata.
Anche
secondo Sez. 2^, 28/4/2004, dep. 09/02/2005, nn. 4852 e 4853, est.
Conzatti, ric. Napolitano G., non massimate, la confisca del "tantundem"
prevista dall'art. 640 quater c.p. non può essere riferita al profitto
del reato per cui si procede, stante la limitazione di tale forma di
confisca, nel richiamato art. 322 ter c.p., alla sola fattispecie di cui
all'art. 321 c.p..
La tesi in esame
viene corroborata dalle sentenze n. 8717 e 8718, della Sez. 2^,
15/02/2005, ric. Napolitano, non massimate, col richiamo ai lavori
parlamentari della L. 29 settembre 2000, n. 300, che,
nell'autorizzare la ratifica di vari atti internazionali, avrebbe, per
quel che riguarda la confisca, dato specifica attuazione all'art. 3,
comma 3, della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione, prevedendo
la confisca per equivalente essenzialmente con riferimento alla
"tangente" della corruzione ed ai benefici che dal patto corruttivo sono
derivati. In tale ricostruzione, l'eliminazione dal primo comma
dell'art. 322 ter del riferimento al profitto, originariamente previsto
nel testo del disegno di legge presentato dal Governo, fu l'effetto "non
di un semplice errore di coordinamento", ma di "una precisa scelta,
derivante dall'allargamento della platea dei reati presi in
considerazione e dalla ritenuta esigenza di differenziare il regime
della confisca proprio in ragione della diversa tipologia delle
fattispecie considerate". In particolare, l'inserimento del nuovo
delitto previsto dall'art. 316-ter c.p. fra quelli per i quali operava il regime particolare stabilito dall'art. 322-ter c.p.,
avrebbe reso necessaria la previsione di un regime di analogo rigore
per la figura finitima prevista dall'art. 640 bis c.p. La diversa
formulazione del D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, art. 19, che ha
espressamente previsto la confisca per equivalente avente ad oggetto
"somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o
al profitto del reato", confermerebbe che nei casi in cui la confisca
per equivalente può riguardare tanto il profitto che il prezzo del
reato, ciò deve emergere univocamente dal testo della norma.
Nè, ovviamente, alla clausola di compatibilità - enunciata dall'art. 640-quater c.p.
nel richiamo all'art. 322 ter c.p. - potrebbe essere annessa una
portata di estensione "analogica" dell'eccezionale istituto della
confisca per equivalente, estensione costituzionalmente inibita in campo
penale.
A favore della confiscabilità per
equivalente del profitto dei reati contemplati dall'art. 640 quater c.p.
si è schierata invece altra giurisprudenza, sviluppata in particolare
da Sez. 1^, 12/01/2005, dep. 09/03/2005, n. 9395, est. Giordano, ric.
Cacciavillani, RV. 231063, che considera la tesi negativa contraria alla
ratio della citata norma, tendente a più efficacemente contrastare il
fenomeno criminoso della indebita percezione di fondi, e ritiene
legittimo, sotto il profilo tecnico-giuridico, il collegamento del
richiamo contenuto nell'art. 640 quater c.p., comma 2, art. 322 ter
c.p., escludendo che a tanto possa ostare la circostanza che tale ultima
disposizione contenga, ai fini della determinazione dei beni
confiscabili, anche un riferimento a un termine di raffronto - il denaro
o altra utilità dati o promessi per realizzare la corruzione - estraneo
alla fattispecie di cui all'art. 640 bis c.p.: e ciò in quanto
"l'applicazione a tale delitto della parte della norma funzionale al suo
principale obbiettivo, che è quello di rendere suscettibili di confisca
beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a
quello del profitto del reato commesso ", è autonoma "dalla operatività
della disposizione secondo cui tale valore non deve comunque essere
inferiore a quello individuabile solo mediante il suddetto termine di
raffronto".
Ad avviso del Collegio, è fondata
la tesi che sostiene la confiscabilità per equivalente del profitto dei
reati contemplati dall'art. 640 quater c.p., in forza della riferibilità
(diretta e non analogica) del rinvio di cui ivi all'art. 322 ter, c.p.
comma 2.
A favore di tale tesi milita
anzitutto la lettera di tale norma, che fa un rinvio indifferenziato
("in quanto applicabili") alle disposizioni contenute nell'art. 322 ter
c.p..
Nè può sostenersi che il primo comma
dell'art. 322 ter c.p. rappresenterebbe la norma di carattere generale,
disciplinante la confisca per equivalente, mentre il secondo comma
riguarderebbe solo una fattispecie delittuosa specifica.
Anche
la norma del primo comma, infatti, è formulata non in termini generali
ma con specifico riferimento a singole fattispecie delittuose.
Neppure
ha pregio, in senso contrario, l'obiezione che fa leva sulla
circostanza che ai delitti compresi nell'art. 640 quater c.p. non è
applicabile l'ultima parte del secondo comma dell'art. 322 ter c.p.,
relativa al limite minimo rappresentato dal quantum dato o promesso al
pubblico operatore. L'inciso in questione, infatti - come ha
correttamente rilevato la sentenza Cacciavillani, sopra ricordata -, non
è per nulla essenziale ai fini dell'autonoma operatività del resto
della disposizione, e la sua disapplicazione ai casi di cui all'art. 640
quater c.p. è perfettamente coerente con l'espressa previsione della
clausola di compatibilità ("in quanto applicabili") contenuta in tale
ultima norma.
Ma a favore della tesi
"affermativa" qui sostenuta, al di là del pur significativo trend
internazionale inteso a estendere l'istituto della confisca di valore,
milita in modo decisivo l'esame dei lavori preparatori della legge, con
cui furono introdotte le norme di cui agli artt. 322 ter e 640 quater
cod. pen..
Com'è noto, le norme innovative de quibus sono state introdotte nel nostro ordinamento con la L. n. 300 del 29 settembre 2000,
che autorizzò la ratifica di una serie di importanti convenzioni
internazionali, fra cui, in particolare, la Convenzione sulla tutela
degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il
26 luglio 1995, la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione
nella quale sono coinvolti funzionali delle Comunità europee o degli
Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997, e
la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali
stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta
a Parigi il 17 dicembre 1997.
In quest'ultimo
atto, sulla scia del già ricordato indirizzo inaugurato negli anni '80,
volto a impegnare gli Stati all'adozione di strumenti più incisivi per
colpire i vantaggi economici derivanti dall'attività criminosa, facendo
anche ricorso, oltre che alla confisca in forma specifica dei proventi
(c.d. confisca di proprietà), a quella ricadente su beni di valore ad
essi "equivalente" (c.d. confisca di valore), si prevedeva, fra l'altro
(all'art. 3, par. 3), che ciascuna Parte adottasse le misure necessarie
affinchè la "tangente" ed i "proventi "proceeds", nel testo originale
derivanti dalla corruzione" di un pubblico ufficiale straniero, o "i
beni il cui valore corrisponde a quello di tali proventi", fossero
soggetti a sequestro e a confisca o comunque a sanzioni pecuniarie di
analogo effetto. Il Rapporto esplicativo chiariva che con il termine
"proceeds" dovevano intendersi "i profitti o gli altri benefici derivati
al corruttore dalla transazione" o "gli altri vantaggi ottenuti o
mantenuti attraverso la corruzione".
Nella
Relazione illustrativa del progetto di iniziativa governativa (A.C.
5491) della legge di ratifica dei suddetti atti internazionali,
presentato alla Camera dei deputati il 4 dicembre 1998, si sottolineava,
con riferimento alla Convenzione OCSE sulla corruzione dei funzionali
stranieri, la necessità di un apposito intervento di adeguamento sia per
"stabilire l'obbligatorietà della confisca dei proventi dei fatti di
corruzione" - in quanto la disposizione generale dell'art. 240 c.p.,
comma 1, prevedeva la confisca del "profitto" del reato soltanto come
meramente facoltativa -, sia per "introdurre la possibilità della
confisca cosiddetta "di valore", destinata ad operare nei casi in cui la
confisca "diretta" della tangente o dei "proventi della corruzione"
fosse risultata, per qualunque ragione, non praticabile, ed avente ad
oggetto beni del reo di pregio corrispondente.
Il
progetto di legge, nel prevedere l'introduzione della confisca di
valore, ne aveva esteso il campo di applicazione - per non "dar luogo a
disparità di trattamento prive di razionale giustificazione" - a tutte
le ipotesi di corruzione (e di concussione) già contemplate
dall'ordinamento, non limitandolo a quelle specificamente prese in
considerazione dallo strumento internazionale, riguardanti il solo
funzionario straniero.
Il testo del D.L. con riferimento all'art. 322 ter c.p. era per l'esattezza il seguente:
"Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale,
per alcuno dei reati previsti dagli articoli da 317 n. 322-bis, è
sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o
il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero,
quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la
disponibilità, per un valore corrispondente a tale profitto o prezzo".
Nei
successivi passaggi dei lavori parlamentari la disposizione sulla
confisca contenuta nell'art. 322 ter c.p. fu oggetto di ripetuti
assestamenti.
Il primo significativo passaggio
si ebbe nel corso dei lavori del Senato, dopo che la Camera aveva
approvato la versione dell'art. 322 ter c.p. proposta dal disegno di
legge. In seno alle Commissioni riunite 2^ (Giustizia) e 3^ (Affari
esteri) del Senato, il Comitato ristretto presentò una nuova versione
dell'art. 322 ter c.p., nella quale si introdusse una distinzione
formale e sostanziale fra la disciplina della confisca relativa alla
fattispecie del pubblico ufficiale corrotto e quella riguardante invece
il corruttore. Per il primo, la confisca obbligatoria veniva estesa,
oltre che al prezzo ed al profitto, alle "altre utilità indebitamente
ricevute", e la confisca per equivalente veniva parametrata al valore
corrispondente a quello "del denaro o delle altre utilità ricevute".
Nella diversa ipotesi del corruttore (di cui all'art. 321 c.p.),
la confisca obbligatoria riguardava il solo "profitto" del reato, e
quella per equivalente era commisurata al valore corrispondente a quello
di detto profitto ed in ogni caso non inferiore a quello del denaro o
delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale corrotto.
Il nuovo testo proposto era precisamente il seguente:
1. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale,
per alcuno dei reati previsti dagli articoli da 317 a 320, anche se
commessi dai soggetti indicati nell'articolo 322 bis c.p., primo comma, è
sempre ordinata la confisca del denaro, dei beni che costituiscono il
profitto o il prezzo, delle altre utilità indebitamente ricevute, ovvero
quando ciò non è possibile, di somme di denaro, di beni ed utilità
facenti parte del patrimonio del reo per un valore corrispondente a
quello del denaro o delle altre utilità ricevute.
2. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per il reato previsto dall'articolo 321 c.p., anche se commesso ai sensi dell'articolo 322-bis c.p.,
secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono
il profitto del reato, ovvero, quando ciò non è possibile, di somme di
denaro o beni facenti parte del patrimonio del reo per un valore
corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a
quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico
ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti
indicati nell'articolo 322- bis c.p., comma 2. 3. Nei casi di cui ai
commi procedenti, il giudice con la sentenza di condanna, determina le
somme di denaro o i beni oggetto di confisca.
Ai fini della decisione del presente procedimento, s'impongono, a tal punto, due rilievi.
Anzitutto,
va osservato che con la nuova formulazione licenziata la norma, sia
pure in maniera un po' contorta, mirava ad allinearsi più strettamente a
quanto imposto dalla Convenzione OCSE, che aveva tenuto distinti, quali
oggetti della sanzione apprensiva auspicata, la "tangente" del pubblico
funzionario e i "proventi" del privato corruttore.
In
secondo luogo, è importante sottolineare che nello stesso contesto in
cui si approdò alla formulazione anzidetta (e allo scopo di uniformare
la nuova disciplina della confisca con l'oggetto degli atti
internazionali in via di ratifica, riguardanti anche lo specifico
settore delle frodi comunitarie), il Comitato ristretto introdusse
un'ulteriore previsione - quella dell'art. 640 quater c.p. - diretta ad
estendere l'applicazione della confisca obbligatoria per i reati di cui all'art. 640 c.p.,
comma 2, numero 1, artt. 640 bis e 640 ter c.p., comma 2, prima parte,
per la quale dovevano osservarsi "in quanto applicabili", le
disposizioni contenute nell'articolo 322 ter c.p. Il testo della nuova
norma recitava:
"Nei casi di cui all'articolo 640, comma 2, numero 1, artt. 640-bis e 640-ter c.p., comma 2, prima parte, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nell'articolo 322 ter c.p.".
Ora,
non c'è dubbio che, tra la figura del funzionario pubblico corrotto o
concussore, rispetto al quale veniva soprattutto in rilievo, in
particolare al fine della commisurazione della confisca per equivalente,
il quantum "ricevuto", e quella del privato corruttore, di cui si
perseguiva esclusivamente l'apprensione, in via diretta o per
equivalente (e salvo il limite minimo del quantum dato), del profitto
(il tutto in tendenziale maggiore aderenza alla Convenzione OCSE), fosse
quest'ultima, per la qualità dell'agente e la natura del vantaggio
illecito derivante dal reato, quella maggiormente assimilabile ai
responsabili di truffe in danno di soggetto pubblico, ai quali dalla
nuova disposizione veniva, con generico richiamo, estesa l'osservanza,
in quanto possibile, delle disposizioni contenute nell'art. 322 ter
c.p..
E' importante ricordare che, in quel
momento, non era ancora stato introdotto il nuovo art. 316 ter c.p. e il
testo del primo comma dell'art. 322 ter c.p. comprendeva solo i delitti
di corruzione (passiva) e concussione. Di tal che non può sostenersi
che la previsione dell'art. 640 quater c.p. sia derivata dall'esigenza
di assimilare il regime della confisca relativo ai delitti in esso
previsti a quello (che risulterà solo in seguito) applicabile (nella più
blanda forma di cui al testo definitivo del primo comma dell'art. 322
ter) alla più lieve fattispecie dell'art. 316 ter c.p., nè che la
differenziazione di disciplina della confisca fra il primo e il secondo
comma dell'art. 322 ter c.p. sia stata introdotta a causa
dell'allargamento (che avverrà solo in seguito) della platea dei reati
compresi nel primo comma.
Nei successivi passaggi dei lavori parlamentari, mentre nessun intervento subiva l'art. 640 quater c.p., si ebbero, via via:
-
nella norma corrispondente all'attuale art. 322 ter c.p., comma 1, - il
temporaneo isolamento dalle previsioni di cui agli attuali commi 2 e 3;
- l'inserimento, fra i reati richiamati, di quello di cui all'articolo
316 bis c.p.; - il recupero della formulazione originaria quanto
all'indicazione dell'oggetto della confisca diretta ("beni che ne
costituiscono il profitto o il prezzo"); l'espresso riferimento al
"prezzo" quale parametro di corrispondenza del valore dei beni da
assoggettare alla confisca per equivalente, con conseguente miglior
definizione tecnica - in rapporto alla precedente formula della
corrispondenza al valore "del denaro o delle altre utilità ricevute" -
dei concreti termini di operatività, in parte qua, della nuova misura
ablatoria;
- il ripristino del secondo comma dell'articolo 322 ter c.p., relativo alla fattispecie di cui all'art. 321 c.p.,
con la confermata necessità di operare una distinzione "tra le diverse
situazioni del corruttore e del corrotto rispetto all'applicazione della
confisca";
- il ripristino della disposizione (di cui al terzo comma) sui compiti "indicativi" del giudice;
- l'inclusione nel primo comma del riferimento al reato di peculato;
- ulteriori riformulazioni del terzo comma;
-
l'automatica inclusione, nella finale formulazione del primo comma,
anche della nuova fattispecie (nel frattempo introdotta) dell'art. 316
ter c.p., intesa a comminare, per ipotesi simili ma di minore gravità,
sanzioni più miti di quelle previste dall'art. 640 bis c.p..
Il testo finale risultava il seguente:
Art. 322 ter c.p. - (Confisca). - Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale,
per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se
commessa dai soggetti indicati nell'articolo 322 bis c.p., primo comma,
èsempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o
il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero,
quando essa non èpossibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la
disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo.
Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall'articolo 321 c.p.,
anche se commesso ai sensi dell'articolo 322 bis c.p., secondo comma, è
sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto
salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa
non èpossibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità,
per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non
inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al
pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio o agli altri
soggetti indicati nell'articolo 322 bis c.p., comma 2.
Nei
casi di cui ai commi primo e secondo, il giudice, con la sentenza di
condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a
confisca in quanto costituenti il profitto a il prezzo del reato ovvero
in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato".
Appare
evidente che, nella formulazione ultima dell'articolo, il dichiarato
disegno - che è alla base della separazione e del diverso tenore dei
commi primo e secondo - di tenere distinte, rispetto all'applicazione
della confisca, la situazione del corrotto (cui veniva assimilato il
concussore) e quella del corruttore, è rimasto in parte offuscato
dall'estensione della applicazione della disposizione del primo comma a
fattispecie delittuose in cui non è normalmente ravvisabile la
percezione di un quantum, erogato da terzi, da parte di un pubblico
operatore o addirittura neppure un'attività criminosa propria di
quest'ultimo.
Tale circostanza rende
indubbiamente "stonata", rispetto alle fattispecie aggiunte, la
limitazione al solo "prezzo" del parametro di riferimento per il calcolo
del valore dei beni da assoggettare alla confisca per equivalente (e
tale stonatura si è accresciuta a seguito dell'emanazione del D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231,
che, nello stabilire la responsabilità dell'ente in ordine a taluni
delitti, per lo più coincidenti con quelli richiamati dagli artt. 322
ter e 640 quater c.p., ha in via generale - in attuazione di una
specifica delega contenuta nella stessa L. 300 del 2000 - previsto, all'art. 19 c.p.,
in caso di condanna, la obbligatoria confisca nei confronti dell'ente
del prezzo o del profitto del reato, salvo per la parte che possa essere
restituita al danneggiato, ed, in caso di impossibilità, la confisca di
"somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o
al profitto del reato").
Non per questo,
tuttavia, può ritenersi venuto meno l'obiettivo e funzionale
collegamento già esistente fra il rinvio dell'art. 640 quater c.p. e
art. 322 ter c.p., comma 2: collegamento che anzi deve considerarsi
confermato dal tenore invariato di tali norme e, in particolare, dal
fatto che, nonostante il ricordato allargamento del campo di
applicazione del primo comma dell'art. 322 ter c.p., con l'inclusione,
fra l'altro, della nuova affine fattispecie dell'art. 316 ter c.p., non
si è mai pensato di eliminare la detta norma di rinvio, inserendo anche i
delitti in essa contemplati nell'elenco delle fattispecie di cui al
primo comma dell'articolo richiamato.
Discende
da quanto sopra che il sequestro contestato dal ricorrente, in quanto
prodromico e funzionale alla (obbligatoria) confisca per equivalente, è
pienamente legittimo.
Non esaminabili in
questa sede sono le deduzioni relative all'erronea valutazione dei beni
sottoposti a sequestro e alla mancata prova dell'irrintracciabilità del
profitto.
Quanto alla prima, invero, è
generica, involge una quaestio facti e richiama una consulenza di parte
attinente a beni dissequestrati.
La seconda è
stata tardivamente formulata ed è comunque resistita dal rilievo,
contenuto nell'ordinanza impugnata, che del denaro costituente il
profitto del reato non c'è più traccia.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e 616 c.p.p..
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2005.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2005
c.p. art. 322-ter
c.p. art. 640
c.p. art. 640-bis
c.p. art. 640-ter
c.p. art. 640-quater
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