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venerdì 29 marzo 2013

Comunione E Condominio - Danni In Materia Civ. E Pen





Nuova pagina 2
CASSAZIONE CIVILE   -   COMUNIONE E CONDOMINIO   -   DANNI IN MATERIA CIV. E PEN.
Cass. civ. Sez. II, 09-12-2004, n. 23071
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VELLA Antonio - Presidente
Dott. NAPOLETANO Giandonato - Consigliere
Dott. DE LULIO Rosario - Consigliere
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere
Dott. TROMBETTA Francesca - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
(omissis), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RUGGERO FIORE 27, presso lo studio dell'avvocato SILVIO (omissis), che la difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
(omissis), (omissis);
- intimati -
avverso la sentenza n. 18853/01 del Giudice di pace di ROMA, depositata il 02/07/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/04 dal Consigliere Dott. Francesca TROMBETTA;
udito l'Avvocato (omissis) Silvio, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione, ritualmente notificato, Alessandra (omissis) ed Andrea (omissis) convennero in giudizio davanti al G.D.P. di Roma, Maria Luisa (omissis) perchè fosse dichiarata unica responsabile dei danni provocati nell'appartamento di loro proprietà, adiacente a quello della convenuta, da infiltrazioni provenienti da impianti idrici di proprietà esclusiva della convenuta; e perchè fosse conseguentemente condannata all'esecuzione dei lavori ed al risarcimento dei danni nella misura di L. 1.500.000, oltre interessi, svalutazione monetaria e spese legali.
La convenuta costituitasi, contestava la domanda, chiedendone il rigetto, asserendo che il rapporto di contiguità degli immobili non era, di per sè sufficiente a provare il nesso di causalità tra il fatto e l'evento, tanto più che notoriamente, le acque da infiltrazione seguono i percorsi più svariati.
Disposta la comparizione personale dell'amministratore del condominio, che veniva sentito a chiarimenti quale persona informata dei fatti, il G.D.P. con sentenza 2.7.01, dichiarava la convenuta responsabile dei danni e la condannava al pagamento in favore delle attrici della somma di L. 750.000, comprensiva di interessi fino alla pubblicazione della sentenza, nonchè al pagamento delle spese del giudizio. Afferma il G.D.P. che i chiarimenti offerti dall'Amministratore del condominio, hanno confermato che le infiltrazioni-provenienti dall'appartamento della convenuta, sono stati causa dei danni riportati dall'appartamento di proprietà degli attori, per cui, visti i lavori elencati nel preventivo prodotto per L. 1.700.000, tenuto conto dei prezzi di mercato e delle regole di comune esperienza, appare equo, secondo il G.D.P., liquidare per il ripristino la somma di L. 750.000 comprensiva di interessi.
Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione la (omissis). Nessuna attività difensiva hanno svolto le appellate.

Motivi della decisione

Deduce la ricorrente a motivi di impugnazione:
1) la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto art. 2697 c.c., artt. 191, 246, 251 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c..
- per avere il G.D.P., senza ammettere alcun mezzo istruttorio, deciso la causa sulla base dei chiarimenti forniti dall'amministratore del condominio, quale persona informata dei fatti, NONOSTANTE:
a) i chiarimenti non possano assurgere a rango di "prova";
b) l'amministratore del condominio NON è un C.T.U.; nè avrebbe mai potuto deporre come teste in quanto portatore di un interesse giuridico, che avrebbe potuto determinare l'evocazione in giudizio del convenuto su istanza attorca, o quale chiamato in causa.
2) la nullità della sentenza per motivazione apparente art. 132 n. 4 c.p.c., art. 360 n. 4 c.p.c; omessa - e/o insufficiente motivazione art. 360 n. 5 c.p.c..
- per avere il G.D.P., dando rilevanza giuridica alle dichiarazioni di un soggetto, al di fuori delle modalità di acquisizione delle prove tipizzate dall'ordinamento, motivato solo apparentemente la decisione, sostituendosi d'ufficio agli attori nella loro funzione probatoria, precludendo alla convenuta la possibilità di avvalersi di prova contraria, violando i principi costituzionali dell'uguaglianza e del diritto di difesa nonchè i principi generali dell'ordinamento afferenti alla difesa ed alla ritualità del contraddittorio; senza spiegare quale fosse l'efficacia probatoria delle dichiarazioni, non asseverate da giuramento, di una persona infermata dei fatti;
3) la violazione dell'art. 91 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. per avere il G.D.P. condannato la convenuta al pagamento delle spese del giudizio, nonostante la totale irritualità e/o insussistenza dell'accertamento in ordine alla responsabilità della medesima nella causazione dei danni. Il ricorso è inammissibile.
Occorre, in proposito, ricordare che la difesa degli attori, con l'atto di citazione aveva chiesto al Giudice di pace di dichiarare la convenuta responsabile dei danni all'origine della controversia e di condannarla all'esecuzione di lavori in conto risarcimento danni "nella misura di L. 1.500.000 o in quella minore o maggiore somma che risulterà di giustizia, oltre gli interessi e svalutazione monetaria".
Come questa S.C. ha avuto occasione di affermare il valore della causa, per stabilire se la stessa debba essere decisa secondo equità (perchè non superiore ad euro 1.032, 91) va individuato applicando le norme relative alla competenza per valore, con la conseguenza che, se la parte, oltre ad indicare una somma specifica non superiore ad euro 1.032, 91, abbia anche richiesto, in via alternativa o subordinata, una somma maggiore o minore, da determinarsi in corso di causa, il valore della causa, in forza del principio stabilito dall'art. 14 cod. proc. Civ., si deve presumere, in difetto di tempestiva contestazione, nei limiti della competenza del giudice adito (sent. 20 settembre 2002 n. 13795), il che significa che nella specie (essendo il valore da individuare in lire 5.000.000) la sentenza emessa dal giudice di pace doveva essere impugnata con l'appello e non con il ricorso per Cassazione, che deve essere dichiarato inammissibile.
Nessuna pronuncia sulle spese è dovuta non avendo le intimate svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2004.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2004

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