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Cass. pen. Sez. VI, (ud. 22-09-2005) 03-11-2005, n. 39927 |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TROJANO Pasquale - Presidente
Dott. AGRO' Antonio S. - Consigliere
Dott. MILO Nicola - Consigliere
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere
Dott. ROSSI Agnello - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
(omissis) nato a (omissis) il (omissis) avverso la sentenza 23/3/2004 della Corte d'Appello di Torino;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Nicola Milo;
Udito
il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.
FAVALLI M., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, avv. non è comparso;
Udito il difensore avv. non è comparso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1
- La Corte d'Appello di Torino, con sentenza 23/03/2004, confermava
quella in data 07/09/2001 dei Tribunale della stessa città, che aveva
dichiarato (omissis) colpevole dei delitti
di cui agli art. 81 cpv.- 582 - 572 c.p., per avere, in esecuzione di
uno stesso disegno criminoso, sottoposto a maltrattamenti, nel periodo
1996 - 10/06/1998, i figli minori (omissis) e (omissis)
e provocato alla prima lesioni personali guaribili in gg. 21 e
consistite in una tumefazione alla regione periorbitale sinistra, e, in
concorso delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla
recidiva, lo aveva condannato alla pena di un anno e nove mesi di
reclusione, con sospensione dall'esercizio della potestà genitoriale sui
detti figli per la durata di tre anni e sei mesi, oltre al risarcimento
dei darmi in favore dei detti discendenti, costituitisi parte civile.
2 - Rilevava la Corte territoriale che dalla missiva 28/02/2004 inviata dallo stesso imputato e sicuramente utilizzabile ex art. 237 c.p.p.
si evinceva l'ammissione di costui di avere fatto ricorso, sia pure per
asseriti fini educativi e pedagogici, ad atti di violenza ai danni dei
figli minori (omissis) e (omissis)
onde controllarne le incontenibili intemperanze; che la principale
fonte di accusa a carico dell'imputato erano le testimonianze dei due
minori, i quali, nonostante il vissuto familiare molto travagliato (la
ragazza era stata fatta oggetto di attenzioni sessuali da parte dei
fratelli maggiorenni), erano pienamente attendibili, avendo riferito i
fatti con coerenza, costanza, pacatezza e avendo dimostrato anche senso
critico nel riconoscere i loro comportamenti irrequieti ed intemperanti;
che tali testimonianze avevano trovato puntuale riscontro in quelle di
altre persone qualificate ed estranee all'ambiente familiare (teste (omissis) sulla difficoltà della bambina a sedersi per una dolenzia alla schiena provocata dalle percosse del padre; teste (omissis)
che aveva rilevato evidenti segni di percosse sui bambini, tanto da
avere investito della vicenda il Tribunale per i Minori; teste (omissis) che aveva riferito sull'episodio ultimo delle lesioni all'occhio sinistro della bimba; teste (omissis) che aveva constatato lesioni sul bambino); che quasi tutti i testi estranei avevano precisato che la (omissis)
istintivamente aveva sempre cercato di "coprire" il padre, asserendo
che le lesioni se le era procurate occasionalmente e, quando ne aveva
rivelato la vera causa, aveva sollecitato la complicità della sua
interlocutrice nel mantenere il massimo riserbo al riguardo, per evitare
reazioni del padre; che la minore, in particolare, aveva vissuto un
vero e proprio periodo di terrore all'interno della famiglia a causa
dell'atteggiamento violento del padre e che tale soggezione psicologica
della minore aveva trovato riscontro documentale nei certificati medici
rilasciati dall'Ospedale, in occasione della visita sanitaria a cui era
stata sottoposta, per iniziativa dei Servizi Sociali, in relazione alla
lesione all'occhio sx procuratale il 10/6/1998 (due certificati: su uno
erano state riportate le dichiarazioni della accompagnatrice (omissis)
che aveva riferito la reale causa delle lesioni; sull'altro quelle
della bimba, che aveva fatto riferimento ad una caduta accidentale dalla
bicicletta);
che sintomaticamente, nei
periodi di detenzione del padre, i bambini si erano mostrati più sereni e
sul loro corpo non erano state rilevate lesioni; che gli episodi di
violenza erano stati numerosi e costanti nell'arco temporale preso in
considerazione; che (omissis) per
sottrarsi alle violenze del padre, si era spesso rifugiato nella sua
stanza, fingendo di studiare; che non era configurabile nel
comportamento tenuto dall'imputato il meno grave reato di cui all'art
571 c.p., il quale postula l'abuso di mezzi di correzione "consentiti" e
tali non sono certamente gli atti di violenza, che mortificano comunque
la dignità della persona minore e non ne favoriscono l'armonico
sviluppo psicologico; che il clima di terrore fatto respirare ai due
bambini aveva trovato conferma negli interventi del Tribunale per i
Minori, che aveva disposto l'allontanamento dalla famiglia dei due
minori; che nessun dubbio era legittimo in ordine alla sussistenza
dell'elemento soggettivo del reato in capo all'imputato, posto che
costui aveva indotto i bambini a scegliere il silenzio o addirittura la
bugia sulle violenze e prevaricazioni subite, il che dimostrava la
perfetta consapevolezza dell'agente circa l'illecito comportamento
tenuto e gli effetti che ne derivavano; che la misura della pena era
rapportata alla gravità dei fatti e alla negativa personalità
dell'imputato.
3 - Ha proposto ricorso per
Cassazione l'imputato, con due distinti atti, e ha dedotto: 1) manifesta
illogicità della motivazione sul giudizio di responsabilità: non si era
valutata adeguatamente l'attendibilità dei due minori, i quali, proprio
per le drammatiche esperienze vissute in seno al contesto familiare,
avevano perso la spontaneità e la naturalezza proprie dei ragazzi della
loro età;
ciò aveva determinato una
ricostruzione deformato della realtà da parte dei minori; non dovevano
trascurarsi di considerare la forte paura di (omissis)
verso i fratelli e il sentimento di rabbia verso il padre, ritenuto
colpevole di non avere creduto alle violenze da lei subite ad opera dei
fratelli maggiorenni; contraddittoriamente la sentenza aveva fondato il
giudizio di attendibilità dei due minori, per un verso, sul naturale
candore e sulla genuinità dei medesimi e, per altro verso, sulla loro
"innegabile maturità", determinata dal vissuto; si era enfatizzato il
contenuto della missiva inviata alla Corte dall'imputato e se ne era
data una interpretazione aprioristicamente indirizzata a sostegno
dell'accusa; 2) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di
nullità (125/3, 54671 lett e c.p.p.), non essendosi offerta una adeguata
motivazione sulla ritenuta non attendibilità di quei testi che non
avevano percepito segni di maltrattamenti sui minori; 3) inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale, non essendosi tenuto conto del
suo modesto livello culturale, della circostanza che il suo
comportamento non si era concretizzato in un atteggiamento abitualmente
vessatorio nei confronti dei figli, ma aveva avuto la sola finalità di
correggere comportamenti non adeguati di costoro; non si era motivato il
mancato giudizio di prevalenza delle accordate attenuanti generiche
sulla recidiva.
L'imputato ha fatto pervenire, in data 27/07/2005, memoria con la quale ha ribadito la propria innocenza.
4- Il ricorso non è fondato.
L'impugnata
sentenza, analizzando e valutando approfonditamente le emergenze
processuali, senza incorrere in vizi logici, ricostruisce i fatti di
causa ed evidenzia l'antigiuridica condotta tenuta dall'imputato nei
confronti dei figli minori (omissis) e (omissis)
fatti oggetto di ripetute e costanti violenze sia fisiche che
psichiche, tanto che i predetti avevano interiorizzato una sensazione di
vero e proprio terrore verso il padre, del quale temevano un qualsiasi
tipo di reazione. Non manca la sentenza - per altro - di sottolineare il
clima di degrado morale che caratterizzava l'ambiente familiare e che i
minori respiravano e, in particolare, (omissis)
vittima anche di "attenzioni particolari" ad opera dei fratelli
maggiorenni, situazione questa che, anzichè sollecitare - con interventi
opportuni ed equilibrati - la sensibilità dell'imputato nella veste di
genitore, aveva reso ancora più difficile ed intollerabile il rapporto
dei due minori con il padre, proprio perchè quest'ultimo, pur messo al
corrente dalla figlia della brutta esperienza vissuta, non era riuscito a
trovare altra soluzione se non quella di picchiare indiscriminatamente i
figli, ivi compresa (omissis) La fonte
principale di prova a carico dell'imputato è rappresentata dalle
dettagliate testimonianze delle due piccole vittime, la cui
attendibilità è positivamente apprezzata nella gravata decisione, con
motivazione diffusa ed immune da via logici, che pone in evidenza la
pacatezza, la coerenza e la costanza dei loro racconti, puntualmente
riscontrati dalle testimonianze di persone estranee all'ambiente
familiare, ma particolarmente qualificate (trattasi di insegnanti o
assistenti sociali), le quali avevano avuto modo di constatare
direttamente, in più occasioni, segni evidenti di lesioni sul corpo dei
minori, apprendendo dai medesimi, dopo opportuna e ripetuta
sollecitazione, che a procurarle era stato il padre.
Le
testimoni estranee avevano riferito di ecchimosi, lividi e segni di
violenza fisica rilevati sul corpo dei minori; della circostanza che (omissis)
in una certa occasione, non aveva potuto sedersi nel banco di scuola
per la dolenzia avvertita alla schiena a causa delle botte ricevute dal
padre; della lesione all'occhio sx riportata dalla stessa (omissis)
il 10/06/1998 e riscontrata oggettivamente dalla certificazione
sanitaria acquisita; della istintiva tendenza dei due bambini a
nascondere alle proprie insegnanti o alle assistenti sociali reffettiva
genesi delle lesioni su di loro rilevate, riconducendole a cadute
casuali; della confidenza ricevuta dai minori, dopo ripetute
sollecitazioni, circa la vera origine delle lesioni, con invito a non
farne parola con alcuno, per timore della prevedibile reazione del
padre; del fatto sintomatico che, nei periodi in cui l'imputato era
ricoverato in ospedale o ristretto in carcere, nessun segno di violenza
era stato rilevato sui minori.
Dal complesso
degli elementi acquisiti e posti in evidenza dal giudice a quo è
innegabile che i due minori siano stati sottoposti dal padre ad una
serie di trattamenti mortificanti, di inqualificabili atti di violenza,
spesso immotivati, ammesso che la violenza verso i bambini possa avere
una motivazione, ad un regime complessivo di vita particolarmente
vessatorio e doloroso, tanto da determinare l'intervento del Tribunale
per i Minori e il conseguente allontanamento dei bambini dal contesto
familiare.
Il giudizio di attendibilità dei
minori non può certo ritenersi, come si sostiene in ricorso,
contraddittorio soltanto perchè il giudice di merito si è fatto carico
di valutare, in concreto, la personalità dei predetti, i quali, per il
particolare 'Vissuto", avevano evidenziato una "maturità" superiore alla
loro età, senza tuttavia perdere il "candore" e la "genuinità" propri
di tale età.
Da ciò non può semplicisticamente
ed apoditticamente inferirsi l'inaffidabilità del racconto dei
predetti, che - secondo il ricorrente - potrebbero avere deformato la
realtà, circostanza questa da escludersi perentoriamente alla luce degli
altri elementi probatori acquisiti, ivi compresa la missiva autografa
28/02/2004 inviata dall'imputato alla Corte d'Appello e nella quale il
medesimo riconosce di avere tenuto comportamenti oggettivamente violenti
e non ortodossi, anche se - a suo dire - dettati da soli intenti
educativi.
Sia la sentenza impugnata che
quella di primo grado non trascurano di analizzare altre testimonianze
acquisite, sottolineandone motivatamente la neutralità o la
inattendibilità (come quelle di (omissis) o di (omissis)).
4a
- Residua il problema della qualificazione giuridica del fatto, avendo
il ricorrente insistito, con riferimento all'ipotesi contestata di
maltrattamenti, nella tesi, già sostenuta in sede di merito, dell'abuso
di mezzi di correzione, essendo stata la sua azione ispirata
esclusivamente da finalità educative.
Osserva
la Corte che l'intenzione soggettiva dell'agente non è elemento
dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in
essere ai danni dei figli minori nella previsione dell'abuso di cui all'art. 571 c.p., considerato che tali atti devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla medesima previsione.
E'
vero che, in passato, la dottrina prevalente e la giurisprudenza erano
concordi nell'individuare il criterio discretivo tra il delitto di
maltrattamenti e quello di cui all'art. 571 c.p. nell'animus
corrigendi, vale a dire nel fine educativo che contraddistinguerebbe il
secondo e sarebbe estraneo al primo, ma tale impostazione deve ritenersi
superata, alla luce dell'evoluzione culturale in tema di metodi
educativi da adottare nei confronti dei minori e del nuovo assetto
normativo che, a seguito della riforma del 1975, regola i rapporti
familiari, in coerenza con i principi costituzionali e con le
Convenzioni internazionali (Convenzione di New York del 1989, ratificata
in Italia con legge n. 176/91), da cui risulta che il minore
"non è più considerato oggetto di protezione e tutela, ma un soggetto di
diritto, che va aiutato a crescere, assecondato nelle sue inclinazioni,
rispettato, vedendo in lui una persona in formazione, che ha bisogno di
una guida", che lo aiuti a superane la naturale fragilità e
vulnerabilità e ne rispetti la dignità di persona.
La nuova formulazione dell'art. 147 c.c.
si muove in questa ottica, prevedendo che i genitori, nell'ambito del
loro obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, debbono tenere
conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni
dei figli, con conseguente attenuazione dello ius corrigendi così come
in passato inteso e con l'effetto naturale ed ulteriore che dalle
relazioni familiari deve ritenersi bandita ogni forma di violenza, quale
legittimo strumento al quale fare ricorso a fini educativi, potendosi
tollerare, solo eccezionalmente e in casi estremi, una vis modicissima
nei confronti dei figli minori, la quale sia compatibile con la finalità
di "correzione", termine quest'ultimo che va inteso come sinonimo di
"educazione", il che implica che il minore deve avvertire l'intervento
genitoriale come adeguato e proporzionato alla manchevolezza commessa,
si da non reiterarla nel futuro, e non già come ingiustificata o
immotivata mortificazione del proprio modo naturale di essere bambino,
con una personalità in corso di formazione.
Non
può ritenersi che costituiscano mezzi educativi tutti quei mezzi, di
qualunque specie, che vengano usati a tale fine, ma soltanto quelli per
loro natura a ciò deputati. Il ricorso ad un mezzo oggettivamente non
consentito, anche se utilizzato con scopo emendativo, non rientra
neppure nella previsione dell'art. 571 c.p., ma integra, a seconda degli effetti che produce, altre ipotesi incriminatici. L'abuso di cui parla l'art. 571 c.p.
implica, infatti, il tradimento della importante e delicata funzione
educativa e presuppone l'uso consentito e legittimo di mezzi correttivi,
con l'effetto che l'esercizio del potere di correzione fuori dei casi
consentiti o con mezzi di per se illeciti o contrari allo scopo fa
venire meno la stessa materialità del reato in questione e va inquadrato
in altro paradigma criminoso..
Conclusivamente, l'animus corrigendi va concettualmente tenuto distinto dalla materialità del delitto di cui all'art. 571 c.p.,
dovendosi definitivamente ripudiare la tesi che individua nella
proiezione soggettiva dell'agente una sorta di legittimazione del mezzo
usato, quale che esso sia.
E' pure vero che il
concetto di liceità di un mezzo di correzione porta in sè un certo
tasso di relatività, ma questa non può essere ancorata all'intenzione
soggettiva dell'agente, bensì al dato oggettivo del complesso normativo
del nostro ordinamento giuridico, cosi come evolutosi nel corso degli
anni, il quale ha bandito ogni forma di violenza fisica o psichica quale
legittimo mezzo di correzione o di disciplina.
Quando
il ricorso alla violenza, poi, come nel caso in esame, è sistematico,
tanto da imporre al minore un regime di vita pesante, doloroso ed
insopportabile e da determinare in lui un vero e proprio stato di
terrore, è fin troppo evidente che, al di là delle soggettive intenzioni
dell'agente, si versa nell'ambito del delitto di maltrattamenti. La
presenza del fine educativo, infatti, non può di per sè comportare
l'inquadrabilità della detta condotta nella fattispecie di cui all'art. 571 c.p.,
proprio perchè la natura del mezzo di correzione prescelto è la
negazione della stessa finalità perseguita, considerato che l'esercizio
della funzione correttiva con modalità particolarmente afflittive o
mortificanti della personalità stride "con la pratica pedagogica e con
la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da
renderlo capace, nel contesto di solidarietà dell'organizzazione
statuale, di integrale e libera espressione delle sue capacità,
inclinazioni ed aspirazioni", contraddice i valori di pacifica
convivenza, di tolleranza, di solidarietà e di rispetto della dignità
umana, che devono presiedere all'armonico sviluppo di una personalità in
formazione.
L'asserita finalità perseguita
dall'imputato non esclude la presenza, nella condotta dal medesimo
tenuta, dell'elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti. Questo,
invero, è punito a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza
e nella volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di
sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di
sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la personalità della
vittima. Il dolo funge da elemento unificatore della pluralità dei vari
atti lesivi ed assume una connotazione unitaria, il che non significa
che deve essere preesistente al primo atto di maltrattamento, ma che
deve abbracciare il complesso dei fatti lesivi progressivamente posti in
essere nel tempo, nel senso che vi sia una proiezione soggettiva dal
presente al passato e l'agente abbia consapevolezza delle preesistenti
condotte illecite e del persistere nel "cattivo trattamento" riservato
alla vittima.
Non può dubitarsi che l'imputato
si sia reso perfettamente conto dell'illiceità del suo comportamento,
ove si consideri, come puntualmente rilevato dalla Corte territoriale,
che impose alle sue vittime, ridotte in uno stato di totale soggezione,
il "silenzio" sulle violenze e prevaricazioni subite.
4b
- Il giudizio di bilanciamento, in termini di equivalenza, tra
attenuanti generiche e recidiva, in quanto espressione di una adeguata e
logica valutazione di merito sia in ordine alla gravità dei fatti che
alla negativa personalità del prevenuto, si sottrae a qualunque censura
di legittimità. 5 - Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2005
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