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venerdì 29 marzo 2013

Niente violenza con i figli nemmeno se a "fin di bene"




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Cass. pen. Sez. VI, (ud. 22-09-2005) 03-11-2005, n. 39927
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TROJANO Pasquale - Presidente
Dott. AGRO' Antonio S. - Consigliere
Dott. MILO Nicola - Consigliere
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere
Dott. ROSSI Agnello - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
(omissis) nato a (omissis) il (omissis) avverso la sentenza 23/3/2004 della Corte d'Appello di Torino;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Nicola Milo;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. FAVALLI M., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, avv. non è comparso;
Udito il difensore avv. non è comparso.

 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1 - La Corte d'Appello di Torino, con sentenza 23/03/2004, confermava quella in data 07/09/2001 dei Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato (omissis) colpevole dei delitti di cui agli art. 81 cpv.- 582 - 572 c.p., per avere, in esecuzione di uno stesso disegno criminoso, sottoposto a maltrattamenti, nel periodo 1996 - 10/06/1998, i figli minori (omissis) e (omissis) e provocato alla prima lesioni personali guaribili in gg. 21 e consistite in una tumefazione alla regione periorbitale sinistra, e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, lo aveva condannato alla pena di un anno e nove mesi di reclusione, con sospensione dall'esercizio della potestà genitoriale sui detti figli per la durata di tre anni e sei mesi, oltre al risarcimento dei darmi in favore dei detti discendenti, costituitisi parte civile.
2 - Rilevava la Corte territoriale che dalla missiva 28/02/2004 inviata dallo stesso imputato e sicuramente utilizzabile ex art. 237 c.p.p. si evinceva l'ammissione di costui di avere fatto ricorso, sia pure per asseriti fini educativi e pedagogici, ad atti di violenza ai danni dei figli minori (omissis) e (omissis) onde controllarne le incontenibili intemperanze; che la principale fonte di accusa a carico dell'imputato erano le testimonianze dei due minori, i quali, nonostante il vissuto familiare molto travagliato (la ragazza era stata fatta oggetto di attenzioni sessuali da parte dei fratelli maggiorenni), erano pienamente attendibili, avendo riferito i fatti con coerenza, costanza, pacatezza e avendo dimostrato anche senso critico nel riconoscere i loro comportamenti irrequieti ed intemperanti; che tali testimonianze avevano trovato puntuale riscontro in quelle di altre persone qualificate ed estranee all'ambiente familiare (teste (omissis) sulla difficoltà della bambina a sedersi per una dolenzia alla schiena provocata dalle percosse del padre; teste (omissis) che aveva rilevato evidenti segni di percosse sui bambini, tanto da avere investito della vicenda il Tribunale per i Minori; teste (omissis) che aveva riferito sull'episodio ultimo delle lesioni all'occhio sinistro della bimba; teste (omissis) che aveva constatato lesioni sul bambino); che quasi tutti i testi estranei avevano precisato che la (omissis) istintivamente aveva sempre cercato di "coprire" il padre, asserendo che le lesioni se le era procurate occasionalmente e, quando ne aveva rivelato la vera causa, aveva sollecitato la complicità della sua interlocutrice nel mantenere il massimo riserbo al riguardo, per evitare reazioni del padre; che la minore, in particolare, aveva vissuto un vero e proprio periodo di terrore all'interno della famiglia a causa dell'atteggiamento violento del padre e che tale soggezione psicologica della minore aveva trovato riscontro documentale nei certificati medici rilasciati dall'Ospedale, in occasione della visita sanitaria a cui era stata sottoposta, per iniziativa dei Servizi Sociali, in relazione alla lesione all'occhio sx procuratale il 10/6/1998 (due certificati: su uno erano state riportate le dichiarazioni della accompagnatrice (omissis) che aveva riferito la reale causa delle lesioni; sull'altro quelle della bimba, che aveva fatto riferimento ad una caduta accidentale dalla bicicletta);
che sintomaticamente, nei periodi di detenzione del padre, i bambini si erano mostrati più sereni e sul loro corpo non erano state rilevate lesioni; che gli episodi di violenza erano stati numerosi e costanti nell'arco temporale preso in considerazione; che (omissis) per sottrarsi alle violenze del padre, si era spesso rifugiato nella sua stanza, fingendo di studiare; che non era configurabile nel comportamento tenuto dall'imputato il meno grave reato di cui all'art 571 c.p., il quale postula l'abuso di mezzi di correzione "consentiti" e tali non sono certamente gli atti di violenza, che mortificano comunque la dignità della persona minore e non ne favoriscono l'armonico sviluppo psicologico; che il clima di terrore fatto respirare ai due bambini aveva trovato conferma negli interventi del Tribunale per i Minori, che aveva disposto l'allontanamento dalla famiglia dei due minori; che nessun dubbio era legittimo in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in capo all'imputato, posto che costui aveva indotto i bambini a scegliere il silenzio o addirittura la bugia sulle violenze e prevaricazioni subite, il che dimostrava la perfetta consapevolezza dell'agente circa l'illecito comportamento tenuto e gli effetti che ne derivavano; che la misura della pena era rapportata alla gravità dei fatti e alla negativa personalità dell'imputato.
3 - Ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato, con due distinti atti, e ha dedotto: 1) manifesta illogicità della motivazione sul giudizio di responsabilità: non si era valutata adeguatamente l'attendibilità dei due minori, i quali, proprio per le drammatiche esperienze vissute in seno al contesto familiare, avevano perso la spontaneità e la naturalezza proprie dei ragazzi della loro età;
ciò aveva determinato una ricostruzione deformato della realtà da parte dei minori; non dovevano trascurarsi di considerare la forte paura di (omissis) verso i fratelli e il sentimento di rabbia verso il padre, ritenuto colpevole di non avere creduto alle violenze da lei subite ad opera dei fratelli maggiorenni; contraddittoriamente la sentenza aveva fondato il giudizio di attendibilità dei due minori, per un verso, sul naturale candore e sulla genuinità dei medesimi e, per altro verso, sulla loro "innegabile maturità", determinata dal vissuto; si era enfatizzato il contenuto della missiva inviata alla Corte dall'imputato e se ne era data una interpretazione aprioristicamente indirizzata a sostegno dell'accusa; 2) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (125/3, 54671 lett e c.p.p.), non essendosi offerta una adeguata motivazione sulla ritenuta non attendibilità di quei testi che non avevano percepito segni di maltrattamenti sui minori; 3) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, non essendosi tenuto conto del suo modesto livello culturale, della circostanza che il suo comportamento non si era concretizzato in un atteggiamento abitualmente vessatorio nei confronti dei figli, ma aveva avuto la sola finalità di correggere comportamenti non adeguati di costoro; non si era motivato il mancato giudizio di prevalenza delle accordate attenuanti generiche sulla recidiva.
L'imputato ha fatto pervenire, in data 27/07/2005, memoria con la quale ha ribadito la propria innocenza.
4- Il ricorso non è fondato.
L'impugnata sentenza, analizzando e valutando approfonditamente le emergenze processuali, senza incorrere in vizi logici, ricostruisce i fatti di causa ed evidenzia l'antigiuridica condotta tenuta dall'imputato nei confronti dei figli minori (omissis) e (omissis) fatti oggetto di ripetute e costanti violenze sia fisiche che psichiche, tanto che i predetti avevano interiorizzato una sensazione di vero e proprio terrore verso il padre, del quale temevano un qualsiasi tipo di reazione. Non manca la sentenza - per altro - di sottolineare il clima di degrado morale che caratterizzava l'ambiente familiare e che i minori respiravano e, in particolare, (omissis) vittima anche di "attenzioni particolari" ad opera dei fratelli maggiorenni, situazione questa che, anzichè sollecitare - con interventi opportuni ed equilibrati - la sensibilità dell'imputato nella veste di genitore, aveva reso ancora più difficile ed intollerabile il rapporto dei due minori con il padre, proprio perchè quest'ultimo, pur messo al corrente dalla figlia della brutta esperienza vissuta, non era riuscito a trovare altra soluzione se non quella di picchiare indiscriminatamente i figli, ivi compresa (omissis) La fonte principale di prova a carico dell'imputato è rappresentata dalle dettagliate testimonianze delle due piccole vittime, la cui attendibilità è positivamente apprezzata nella gravata decisione, con motivazione diffusa ed immune da via logici, che pone in evidenza la pacatezza, la coerenza e la costanza dei loro racconti, puntualmente riscontrati dalle testimonianze di persone estranee all'ambiente familiare, ma particolarmente qualificate (trattasi di insegnanti o assistenti sociali), le quali avevano avuto modo di constatare direttamente, in più occasioni, segni evidenti di lesioni sul corpo dei minori, apprendendo dai medesimi, dopo opportuna e ripetuta sollecitazione, che a procurarle era stato il padre.
Le testimoni estranee avevano riferito di ecchimosi, lividi e segni di violenza fisica rilevati sul corpo dei minori; della circostanza che (omissis) in una certa occasione, non aveva potuto sedersi nel banco di scuola per la dolenzia avvertita alla schiena a causa delle botte ricevute dal padre; della lesione all'occhio sx riportata dalla stessa (omissis) il 10/06/1998 e riscontrata oggettivamente dalla certificazione sanitaria acquisita; della istintiva tendenza dei due bambini a nascondere alle proprie insegnanti o alle assistenti sociali reffettiva genesi delle lesioni su di loro rilevate, riconducendole a cadute casuali; della confidenza ricevuta dai minori, dopo ripetute sollecitazioni, circa la vera origine delle lesioni, con invito a non farne parola con alcuno, per timore della prevedibile reazione del padre; del fatto sintomatico che, nei periodi in cui l'imputato era ricoverato in ospedale o ristretto in carcere, nessun segno di violenza era stato rilevato sui minori.
Dal complesso degli elementi acquisiti e posti in evidenza dal giudice a quo è innegabile che i due minori siano stati sottoposti dal padre ad una serie di trattamenti mortificanti, di inqualificabili atti di violenza, spesso immotivati, ammesso che la violenza verso i bambini possa avere una motivazione, ad un regime complessivo di vita particolarmente vessatorio e doloroso, tanto da determinare l'intervento del Tribunale per i Minori e il conseguente allontanamento dei bambini dal contesto familiare.
Il giudizio di attendibilità dei minori non può certo ritenersi, come si sostiene in ricorso, contraddittorio soltanto perchè il giudice di merito si è fatto carico di valutare, in concreto, la personalità dei predetti, i quali, per il particolare 'Vissuto", avevano evidenziato una "maturità" superiore alla loro età, senza tuttavia perdere il "candore" e la "genuinità" propri di tale età.
Da ciò non può semplicisticamente ed apoditticamente inferirsi l'inaffidabilità del racconto dei predetti, che - secondo il ricorrente - potrebbero avere deformato la realtà, circostanza questa da escludersi perentoriamente alla luce degli altri elementi probatori acquisiti, ivi compresa la missiva autografa 28/02/2004 inviata dall'imputato alla Corte d'Appello e nella quale il medesimo riconosce di avere tenuto comportamenti oggettivamente violenti e non ortodossi, anche se - a suo dire - dettati da soli intenti educativi.
Sia la sentenza impugnata che quella di primo grado non trascurano di analizzare altre testimonianze acquisite, sottolineandone motivatamente la neutralità o la inattendibilità (come quelle di (omissis) o di (omissis)).
4a - Residua il problema della qualificazione giuridica del fatto, avendo il ricorrente insistito, con riferimento all'ipotesi contestata di maltrattamenti, nella tesi, già sostenuta in sede di merito, dell'abuso di mezzi di correzione, essendo stata la sua azione ispirata esclusivamente da finalità educative.
Osserva la Corte che l'intenzione soggettiva dell'agente non è elemento dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in essere ai danni dei figli minori nella previsione dell'abuso di cui all'art. 571 c.p., considerato che tali atti devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla medesima previsione.
E' vero che, in passato, la dottrina prevalente e la giurisprudenza erano concordi nell'individuare il criterio discretivo tra il delitto di maltrattamenti e quello di cui all'art. 571 c.p. nell'animus corrigendi, vale a dire nel fine educativo che contraddistinguerebbe il secondo e sarebbe estraneo al primo, ma tale impostazione deve ritenersi superata, alla luce dell'evoluzione culturale in tema di metodi educativi da adottare nei confronti dei minori e del nuovo assetto normativo che, a seguito della riforma del 1975, regola i rapporti familiari, in coerenza con i principi costituzionali e con le Convenzioni internazionali (Convenzione di New York del 1989, ratificata in Italia con legge n. 176/91), da cui risulta che il minore "non è più considerato oggetto di protezione e tutela, ma un soggetto di diritto, che va aiutato a crescere, assecondato nelle sue inclinazioni, rispettato, vedendo in lui una persona in formazione, che ha bisogno di una guida", che lo aiuti a superane la naturale fragilità e vulnerabilità e ne rispetti la dignità di persona.
La nuova formulazione dell'art. 147 c.c. si muove in questa ottica, prevedendo che i genitori, nell'ambito del loro obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, debbono tenere conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli, con conseguente attenuazione dello ius corrigendi così come in passato inteso e con l'effetto naturale ed ulteriore che dalle relazioni familiari deve ritenersi bandita ogni forma di violenza, quale legittimo strumento al quale fare ricorso a fini educativi, potendosi tollerare, solo eccezionalmente e in casi estremi, una vis modicissima nei confronti dei figli minori, la quale sia compatibile con la finalità di "correzione", termine quest'ultimo che va inteso come sinonimo di "educazione", il che implica che il minore deve avvertire l'intervento genitoriale come adeguato e proporzionato alla manchevolezza commessa, si da non reiterarla nel futuro, e non già come ingiustificata o immotivata mortificazione del proprio modo naturale di essere bambino, con una personalità in corso di formazione.
Non può ritenersi che costituiscano mezzi educativi tutti quei mezzi, di qualunque specie, che vengano usati a tale fine, ma soltanto quelli per loro natura a ciò deputati. Il ricorso ad un mezzo oggettivamente non consentito, anche se utilizzato con scopo emendativo, non rientra neppure nella previsione dell'art. 571 c.p., ma integra, a seconda degli effetti che produce, altre ipotesi incriminatici. L'abuso di cui parla l'art. 571 c.p. implica, infatti, il tradimento della importante e delicata funzione educativa e presuppone l'uso consentito e legittimo di mezzi correttivi, con l'effetto che l'esercizio del potere di correzione fuori dei casi consentiti o con mezzi di per se illeciti o contrari allo scopo fa venire meno la stessa materialità del reato in questione e va inquadrato in altro paradigma criminoso..
Conclusivamente, l'animus corrigendi va concettualmente tenuto distinto dalla materialità del delitto di cui all'art. 571 c.p., dovendosi definitivamente ripudiare la tesi che individua nella proiezione soggettiva dell'agente una sorta di legittimazione del mezzo usato, quale che esso sia.
E' pure vero che il concetto di liceità di un mezzo di correzione porta in sè un certo tasso di relatività, ma questa non può essere ancorata all'intenzione soggettiva dell'agente, bensì al dato oggettivo del complesso normativo del nostro ordinamento giuridico, cosi come evolutosi nel corso degli anni, il quale ha bandito ogni forma di violenza fisica o psichica quale legittimo mezzo di correzione o di disciplina.
Quando il ricorso alla violenza, poi, come nel caso in esame, è sistematico, tanto da imporre al minore un regime di vita pesante, doloroso ed insopportabile e da determinare in lui un vero e proprio stato di terrore, è fin troppo evidente che, al di là delle soggettive intenzioni dell'agente, si versa nell'ambito del delitto di maltrattamenti. La presenza del fine educativo, infatti, non può di per sè comportare l'inquadrabilità della detta condotta nella fattispecie di cui all'art. 571 c.p., proprio perchè la natura del mezzo di correzione prescelto è la negazione della stessa finalità perseguita, considerato che l'esercizio della funzione correttiva con modalità particolarmente afflittive o mortificanti della personalità stride "con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace, nel contesto di solidarietà dell'organizzazione statuale, di integrale e libera espressione delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni", contraddice i valori di pacifica convivenza, di tolleranza, di solidarietà e di rispetto della dignità umana, che devono presiedere all'armonico sviluppo di una personalità in formazione.
L'asserita finalità perseguita dall'imputato non esclude la presenza, nella condotta dal medesimo tenuta, dell'elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti. Questo, invero, è punito a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e nella volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la personalità della vittima. Il dolo funge da elemento unificatore della pluralità dei vari atti lesivi ed assume una connotazione unitaria, il che non significa che deve essere preesistente al primo atto di maltrattamento, ma che deve abbracciare il complesso dei fatti lesivi progressivamente posti in essere nel tempo, nel senso che vi sia una proiezione soggettiva dal presente al passato e l'agente abbia consapevolezza delle preesistenti condotte illecite e del persistere nel "cattivo trattamento" riservato alla vittima.
Non può dubitarsi che l'imputato si sia reso perfettamente conto dell'illiceità del suo comportamento, ove si consideri, come puntualmente rilevato dalla Corte territoriale, che impose alle sue vittime, ridotte in uno stato di totale soggezione, il "silenzio" sulle violenze e prevaricazioni subite.
4b - Il giudizio di bilanciamento, in termini di equivalenza, tra attenuanti generiche e recidiva, in quanto espressione di una adeguata e logica valutazione di merito sia in ordine alla gravità dei fatti che alla negativa personalità del prevenuto, si sottrae a qualunque censura di legittimità. 5 - Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2005

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