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venerdì 28 giugno 2013

Consiglio di Stato: Inderogabile la distanza minima tra pareti finestrate ed edifici antistanti




  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A
N.3094/2007
Reg. Dec.
N. 6041 Reg. Ric.
Anno 2005
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da ...omissisvld... ...omissisvld..., rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Montanaro e Guido Francesco Romanelli, presso lo studio dell’ultimo elettivamente domiciliata  in Roma Via Cosseria n. 5;
contro
il Comune di Castellamonte, non costituito in giudizio;
e nei confronti
dell’Impresa Edile Fratelli Bracco Antonio e Giuseppe s.n.c., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo Ludogoroff e Francesco Pecora, con domicilio eletto in Roma Via Gavinana n. 1 presso lo studio dell’ultimo;
nonchè nei confronti
della Regione Piemonte, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
   della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale  per il Piemonte 8.6.2005 n. 2020 resa inter partes;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l’atto di costituzione dell’Impresa intimata;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore alla pubblica Udienza del 17 aprile 2007 il Consigliere  Antonino Anastasi;  uditi l’avvocato Ludogoroff, l’avvocato Pecora e l’avvocato G. F. Romanelli;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Nel 2005 il comune di Castellamonte ha rilasciato all’Impresa appellata una concessione edilizia (n. 10/2005) con successiva variante (n. 60/2005) per la costruzione di un edificio residenziale e di una autorimessa interrata sul fondo confinante con quello ove insiste un immobile di proprietà della sig.ra ...omissisvld....
Questa ha quindi impugnato avanti al T.A.R. Piemonte i citati permessi, deducendo in primo luogo che l’autorimessa, in realtà non completamente interrata, dista meno di dieci metri dalla frontistante parete finestrata dell’abitazione.
In secondo luogo la ricorrente ha dedotto che l’edificio principale  supera il limite di altezza di m. 10,50 fissato nella zona dalla tab. 7 allegata all’art. 6 delle N.T.A., nonchè il numero dei piani ammessi nella zona.
Con la sentenza semplificata in epigrafe indicata il Tribunale ha respinto il ricorso rilevando da un lato che il muro perimetrale dell’autorimessa non può essere considerato, per la sua modesta sporgenza al di sopra del muro di confine, una parete soggetta al rispetto del limite di distanza fissato dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968; dall’altro che l’edificio, ove la sua altezza sia calcolata ai sensi delle N.T.A., rispetta il massimo legale della zona anche per quanto riguarda il numero dei piani.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dalla soccombente la quale ne ha chiesto l’integrale riforma nel merito, eccependo peraltro l’errore di procedura in cui è incorso il Tribunale allorchè ha deciso la causa con sentenza semplificata nonostante l’incompletezza del materiale istruttorio versato dal comune.
Si è costituita l’Impresa intimata, insistendo per il rigetto del gravame.
Con ord.za n. 4106 del 2005 la Sezione ha sospeso l’esecutorietà  della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971.
Le Parti hanno presentato memorie.
All’Udienza del 17 aprile 2007 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo l’appellante deduce il vizio di procedura in cui sarebbe incorso il Tribunale, decidendo la causa nel merito nonostante l’inadeguatezza del materiale istruttorio acquisito.
Questo mezzo è infondato.
Infatti, come la Sezione ha già avuto modo di precisare, il Tribunale amministrativo regionale ha un ampio potere valutativo in ordine alla completezza o meno dell' istruttoria processuale e siffatto potere non può essere sindacato in appello, dovendosi in questa fase valutare i singoli aspetti di una erronea o ingiusta statuizione della sentenza impugnata in relazione alle singole censure prospettate.
Il relativo esame deve essere effettuato dal giudice di appello in concreto, con riferimento a ciascuno dei motivi di ricorso, con la conseguenza che, qualsivoglia difetto di istruttoria nel giudizio di primo grado, lungi dal configurare un vizio di procedura, vale solo a demandare al giudice di appello la questione della completezza dell'istruttoria compiuta, al fine di una eventuale integrazione. (cfr. IV Sez. n. 8028 del 2004).
Nè può ritenersi, in difetto di riserve o richieste iscritte a verbale, che l’adozione della decisione di merito nella Camera di consiglio fissata per la discussione dell’incidente cautelare abbia comportato una lesione del principio del contraddittorio, essendo ormai acquisito che la  mancata opposizione delle parti costituite in giudizio in ordine alla possibilità di definire immediatamente il ricorso con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell' art. 9 L. 21 luglio 2000 n. 205, consente la detta definizione anche nel caso in cui non siano decorsi i termini a difesa.  (cfr. VI Sez. n. 2538 del 2003).
Tanto premesso, e passando perciò al merito, fondati sono il secondo e il terzo  motivo mediante i quali l’appellante deduce l’illegittimità, per violazione delle norme sulle distanze, del permesso di costruire, nella parte  in base alla quale è stata edificata l’autorimessa sul terreno confinante.
In punto di fatto, è sostanzialmente pacifico che la parete perimetrale dell’autorimessa dista circa cm. 230 dalla parete finestrata est dell’immobile della appellante.
Questa parete dell’autorimessa si estende in larghezza per circa 26 metri lineari ed ha un’altezza la cui esatta misura è invece oggetto di contestazione.
In sostanza, in un contesto in cui una parte della parete in questione è ricoperta da un riporto di terra, si disputa in primo luogo sull’altezza effettiva della nuova opera (comprensiva cioè anche della parte ricoperta).
Per altro verso, esistendo sul confine un muro di recinzione di altezza sostanzialmente incontestata salvo marginali differenze, si disputa conseguentemente sull’elevazione complessiva della nuova opera (riporto più edificato sporgente) rispetto a detto muro.
Confrontando i dati offerti dalla sig.ra ...omissisvld... (e la attendibile perizia giurata da questa versata in primo grado) con quelli meramente allegati dalla Impresa, e tenuto conto degli atti, osserva al riguardo il Collegio come non possa ragionevolmente dubitarsi che la nuova opera si eleva dal terreno per circa cm. 200 in parte coperti dal riporto e soprattutto che la stessa sovrasta il  muro di confine – che è alto circa cm. 100 – per una misura ben superiore ai cm. 55  stimati dal Tribunale sulla base di quanto dichiarato dalla controinteressata.
Come sia di ciò, il punto non merita ulteriore approfondimento in quanto lo scarto riscontrabile tra le due diverse versioni non influisce comunque sulla soluzione del problema di diritto qui effettivamente controverso, che va peraltro deciso tenendo conto – per le ragioni che ora si esporranno – dell’altezza complessiva della nuova opera e non soltanto della quota di essa emergente dal muro di confine.
Come è noto, l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 prescrive che, nella costruzione di nuovi immobili non ricompresi (come quelli in controversia) in zona A di P.R.G. deve osservarsi la distanza minima inderogabile di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Tale distanza standard è volta non alla tutela della riservatezza, come l’appellante sembra ritenere, ma alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico sanitarie ed è dunque tassativa ed inderogabile (a differenza delle distanze dal confine) per via di private pattuizioni.
Conseguentemente, essa deve operare per un verso anche nel caso, qui ricorrente, in cui una sola delle due pareti frontistanti sia finestrata; per l’altro, anche nel caso in cui la nuova opera sia di altezza inferiore rispetto alle preesistenti vedute o parzialmente nascosta dal muretto e dalla recinzione di confine.
L’interesse pubblico presidiato dalla norma è infatti quello della salubrità dell’edificato e non va confuso con l’interesse privato del frontista a mantenere la riservatezza o la prospettiva.
La preesistenza di un muro a confine (che già precluda in parte il prospicere al titolare della veduta) è dunque sostanzialmente irrilevante, ove come nel caso in questione si controverta del rispetto della norma sulle distanze tra edifici  e frontistanti pareti finestrate.
In tal senso è stato infatti chiarito che la disposizione di cui all’art. 9 primo comma n. 2 del citato D.M., essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell’area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell’art. 907, 3º comma, cod. civ. (cfr. Cass. II Sez. n. 11013 del 2002).
Ne deriva da un lato che ha errato il Tribunale allorchè ha tenuto conto solo della porzione di parete sovrastante la recinzione; dall’altro che in ogni caso – ciò che qui conta - il permesso di costruire rilasciato all’Impresa appellata viola in parte qua l’art. 9 del ridetto D.M. n. 1444.
Tanto chiarito, e venendo all’esame della normativa urbanistica comunale, si premette che per consolidata giurisprudenza le norme di cui al D.M. in questione, emanate in forza dell' art. 17 L. 6 agosto 1967 n. 765, traggono da questa la forza di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l' inderogabile distanza di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l' anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione o, secondo l’indirizzo prevalente, comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata.
Nel caso in esame, però, le N.T.A. del P.R.G. del comune di Castellamonte hanno fedelmente recepito l’impostazione regolamentare standard, prescrivendo appunto (art. 6) la distanza minima di m. 10 tra le pareti finestrate.
Come già osservato dalla Sezione in sede cautelare, tale espressa prescrizione non trova deroga nel caso di manufatti c.d. interrati (cioè sporgenti ma ricoperti di terra per una altezza massima di cm. 120 dal piano stradale) per i quali l’art. 36 delle N.T.A. consente solo lo sforamento delle distanze minime standard dai confini.
Dal punto di vista ora in esame, quindi, che una parte della parete sia destinata ad essere coperta dal riporto è del tutto irrilevante.
Ne consegue, in conclusione, che i permessi di costruire n. 10 e n. 60 del 2005, nella parte  relativa al locale autorimessa, sono  irrimediabilmente illegittimi, nella misura in cui violano l’art. 9 D.M. n. 1444 e l’art. 6 delle N.T.A. e la distanza minima ivi prescritta tra pareti finestrate.
In accoglimento dei mezzi ora esaminati gli stessi vanno quindi annullati per quanto di ragione.
Con il quarto motivo l’appellante deduce l’illegittimità del permesso di costruire n. 10/2005 anche nella parte relativa all’immobile residenziale, per violazione dell’altezza massima consentita e del numero di piani edificabili.
Il mezzo non è fondato.
Per quanto riguarda l’altezza, l’appellante si limita a dichiarare genericamente che la stessa raggiunge m. 11,80 a fronte dei m. 10,50 legalmente consentiti, senza nulla dedurre in ordine al disposto – richiamato in sentenza - dell’art. 5 N.T.A. il quale prescrive che l’altezza degli edifici sia in pratica calcolata all’ultimo solaio orizzontale.
Essendo pacifico che l’ultimo piano dell’immobile è mansardato, per questa parte il mezzo risulta, come si è detto, del tutto generico e va perciò disatteso.
Per quanto riguarda il numero dei piani consentiti, il punto da decidere è se l’art. 39 delle N.T.A. – il quale prevede in sostanza che il piano mansardato non è computato ai fini del rispetto del numero massimo di piani consentito nelle varie zone tabellari – si applichi anche alle nuove costruzioni o solo nel caso di riutilizzo dei sottotetti esistenti, come sostiene l’appellante.
Al riguardo si osserva che il citato articolo presenta obiettivamente una formulazione non del tutto perspicua, dettando al primo cpv. prescrizioni riferibili solo al caso del riutilizzo di sottotetti esistenti e invece all’ultimo periodo del n.1 prescrizioni di carattere più generale, suscettibili di essere estese anche alle nuove costruzioni.
Nell’incertezza testuale, il criterio sistematico porta però a disattendere la prospettazione dell’appellante.
Da un lato, infatti, non è ragionevole ipotizzare che il criterio legale di computo dei piani ammessi possa valere solo per le costruzioni preesistenti e non per quelle da edificare, non essendo possibile intravedere la logica di una simile differenziazione.
Dall’altro, e soprattutto, il richiamo generalizzato (e cioè senza ulteriori specificazioni) di cui all’ultimo periodo del n. 2 al metodo di calcolo degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio della concessione depone – come rilevato in Udienza dalla Difesa dell’appellata – per l’applicabilità della disposizione di favore anche al caso di nuove costruzioni.
Il mezzo in esame va quindi disatteso.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi accolto: ne segue la riforma della sentenza impugnata e, in accoglimento del ricorso originario, l’annullamento dei permessi di costruire impugnati per quanto di ragione, e cioè nella parte relativa al locale autorimessa.
Le spese e gli onorari del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidati forfettariamente in dispositivo.
P.Q.M.
   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario ed annulla gli atti impugnati nella parte relativa al locale autorimessa.
   Condanna in solido il comune di Castellamonte e l’Impresa Edile Fratelli Bracco Antonio e Giuseppe s.n.c. al pagamento in favore dell’appellante di Euro 5.000,00 (cinquemila//00) oltre IVA e accessori per le spese e onorari del giudizio.
   Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
     Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 17 aprile 2007, con l'intervento dei signori:
Paolo SALVATORE   Presidente
Luigi MARUOTTI    Consigliere
     Pier Luigi LODI     Consigliere
Antonino ANASTASI   Consigliere, est.
       Vito POLI     Consigliere
 
     L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE
Antonino ANASTASI   Paolo SALVATORE
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio CARNABUCI
- - 
N.R.G. 6041/2005


TRG

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