E P U B B L I C A I T A L I A N A
N.3094/2007
Reg. Dec.
N. 6041 Reg. Ric.
Anno 2005
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello proposto da ...omissisvld... ...omissisvld...,
rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Montanaro e Guido
Francesco Romanelli, presso lo studio dell’ultimo elettivamente
domiciliata in Roma Via Cosseria n. 5;
contro
il Comune di Castellamonte, non costituito in giudizio;
e nei confronti
dell’Impresa
Edile Fratelli Bracco Antonio e Giuseppe s.n.c., in persona del legale
rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo
Ludogoroff e Francesco Pecora, con domicilio eletto in Roma Via Gavinana
n. 1 presso lo studio dell’ultimo;
nonchè nei confronti
della Regione Piemonte, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte 8.6.2005 n. 2020 resa inter partes;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione dell’Impresa intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore
alla pubblica Udienza del 17 aprile 2007 il Consigliere Antonino
Anastasi; uditi l’avvocato Ludogoroff, l’avvocato Pecora e l’avvocato
G. F. Romanelli;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Nel
2005 il comune di Castellamonte ha rilasciato all’Impresa appellata una
concessione edilizia (n. 10/2005) con successiva variante (n. 60/2005)
per la costruzione di un edificio residenziale e di una autorimessa
interrata sul fondo confinante con quello ove insiste un immobile di
proprietà della sig.ra ...omissisvld....
Questa
ha quindi impugnato avanti al T.A.R. Piemonte i citati permessi,
deducendo in primo luogo che l’autorimessa, in realtà non completamente
interrata, dista meno di dieci metri dalla frontistante parete
finestrata dell’abitazione.
In
secondo luogo la ricorrente ha dedotto che l’edificio principale
supera il limite di altezza di m. 10,50 fissato nella zona dalla tab. 7
allegata all’art. 6 delle N.T.A., nonchè il numero dei piani ammessi
nella zona.
Con
la sentenza semplificata in epigrafe indicata il Tribunale ha respinto
il ricorso rilevando da un lato che il muro perimetrale dell’autorimessa
non può essere considerato, per la sua modesta sporgenza al di sopra
del muro di confine, una parete soggetta al rispetto del limite di
distanza fissato dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968; dall’altro che
l’edificio, ove la sua altezza sia calcolata ai sensi delle N.T.A.,
rispetta il massimo legale della zona anche per quanto riguarda il
numero dei piani.
La
sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dalla
soccombente la quale ne ha chiesto l’integrale riforma nel merito,
eccependo peraltro l’errore di procedura in cui è incorso il Tribunale
allorchè ha deciso la causa con sentenza semplificata nonostante
l’incompletezza del materiale istruttorio versato dal comune.
Si è costituita l’Impresa intimata, insistendo per il rigetto del gravame.
Con
ord.za n. 4106 del 2005 la Sezione ha sospeso l’esecutorietà della
sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971.
Le Parti hanno presentato memorie.
All’Udienza del 17 aprile 2007 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con
il primo motivo l’appellante deduce il vizio di procedura in cui
sarebbe incorso il Tribunale, decidendo la causa nel merito nonostante
l’inadeguatezza del materiale istruttorio acquisito.
Questo mezzo è infondato.
Infatti,
come la Sezione ha già avuto modo di precisare, il Tribunale
amministrativo regionale ha un ampio potere valutativo in ordine alla
completezza o meno dell' istruttoria processuale e siffatto potere non
può essere sindacato in appello, dovendosi in questa fase valutare i
singoli aspetti di una erronea o ingiusta statuizione della sentenza
impugnata in relazione alle singole censure prospettate.
Il
relativo esame deve essere effettuato dal giudice di appello in
concreto, con riferimento a ciascuno dei motivi di ricorso, con la
conseguenza che, qualsivoglia difetto di istruttoria nel giudizio di
primo grado, lungi dal configurare un vizio di procedura, vale solo a
demandare al giudice di appello la questione della completezza
dell'istruttoria compiuta, al fine di una eventuale integrazione. (cfr.
IV Sez. n. 8028 del 2004).
Nè
può ritenersi, in difetto di riserve o richieste iscritte a verbale,
che l’adozione della decisione di merito nella Camera di consiglio
fissata per la discussione dell’incidente cautelare abbia comportato una
lesione del principio del contraddittorio, essendo ormai acquisito che
la mancata opposizione delle parti costituite in giudizio in ordine
alla possibilità di definire immediatamente il ricorso con sentenza in
forma semplificata, ai sensi dell' art. 9 L. 21 luglio 2000 n. 205,
consente la detta definizione anche nel caso in cui non siano decorsi i
termini a difesa. (cfr. VI Sez. n. 2538 del 2003).
Tanto
premesso, e passando perciò al merito, fondati sono il secondo e il
terzo motivo mediante i quali l’appellante deduce l’illegittimità, per
violazione delle norme sulle distanze, del permesso di costruire, nella
parte in base alla quale è stata edificata l’autorimessa sul terreno
confinante.
In
punto di fatto, è sostanzialmente pacifico che la parete perimetrale
dell’autorimessa dista circa cm. 230 dalla parete finestrata est
dell’immobile della appellante.
Questa
parete dell’autorimessa si estende in larghezza per circa 26 metri
lineari ed ha un’altezza la cui esatta misura è invece oggetto di
contestazione.
In
sostanza, in un contesto in cui una parte della parete in questione è
ricoperta da un riporto di terra, si disputa in primo luogo sull’altezza
effettiva della nuova opera (comprensiva cioè anche della parte
ricoperta).
Per
altro verso, esistendo sul confine un muro di recinzione di altezza
sostanzialmente incontestata salvo marginali differenze, si disputa
conseguentemente sull’elevazione complessiva della nuova opera (riporto
più edificato sporgente) rispetto a detto muro.
Confrontando
i dati offerti dalla sig.ra ...omissisvld... (e la attendibile perizia
giurata da questa versata in primo grado) con quelli meramente allegati
dalla Impresa, e tenuto conto degli atti, osserva al riguardo il
Collegio come non possa ragionevolmente dubitarsi che la nuova opera si
eleva dal terreno per circa cm. 200 in parte coperti dal riporto e
soprattutto che la stessa sovrasta il muro di confine – che è alto
circa cm. 100 – per una misura ben superiore ai cm. 55 stimati dal
Tribunale sulla base di quanto dichiarato dalla controinteressata.
Come
sia di ciò, il punto non merita ulteriore approfondimento in quanto lo
scarto riscontrabile tra le due diverse versioni non influisce comunque
sulla soluzione del problema di diritto qui effettivamente controverso,
che va peraltro deciso tenendo conto – per le ragioni che ora si
esporranno – dell’altezza complessiva della nuova opera e non soltanto
della quota di essa emergente dal muro di confine.
Come
è noto, l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 prescrive che, nella
costruzione di nuovi immobili non ricompresi (come quelli in
controversia) in zona A di P.R.G. deve osservarsi la distanza minima
inderogabile di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti.
Tale
distanza standard è volta non alla tutela della riservatezza, come
l’appellante sembra ritenere, ma alla salvaguardia di imprescindibili
esigenze igienico sanitarie ed è dunque tassativa ed inderogabile (a
differenza delle distanze dal confine) per via di private pattuizioni.
Conseguentemente,
essa deve operare per un verso anche nel caso, qui ricorrente, in cui
una sola delle due pareti frontistanti sia finestrata; per l’altro,
anche nel caso in cui la nuova opera sia di altezza inferiore rispetto
alle preesistenti vedute o parzialmente nascosta dal muretto e dalla
recinzione di confine.
L’interesse
pubblico presidiato dalla norma è infatti quello della salubrità
dell’edificato e non va confuso con l’interesse privato del frontista a
mantenere la riservatezza o la prospettiva.
La
preesistenza di un muro a confine (che già precluda in parte il
prospicere al titolare della veduta) è dunque sostanzialmente
irrilevante, ove come nel caso in questione si controverta del rispetto
della norma sulle distanze tra edifici e frontistanti pareti
finestrate.
In
tal senso è stato infatti chiarito che la disposizione di cui all’art. 9
primo comma n. 2 del citato D.M., essendo tassativa ed inderogabile,
impone al proprietario dell’area confinante col muro finestrato altrui
di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza
alcuna deroga neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia
destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle
finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle
previsioni dell’art. 907, 3º comma, cod. civ. (cfr. Cass. II Sez. n.
11013 del 2002).
Ne
deriva da un lato che ha errato il Tribunale allorchè ha tenuto conto
solo della porzione di parete sovrastante la recinzione; dall’altro che
in ogni caso – ciò che qui conta - il permesso di costruire rilasciato
all’Impresa appellata viola in parte qua l’art. 9 del ridetto D.M. n.
1444.
Tanto
chiarito, e venendo all’esame della normativa urbanistica comunale, si
premette che per consolidata giurisprudenza le norme di cui al D.M. in
questione, emanate in forza dell' art. 17 L. 6 agosto 1967 n. 765,
traggono da questa la forza di integrare con efficacia precettiva il
regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l' inderogabile distanza
di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti
vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli
strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione
regolamentare in contrasto con l' anzidetto limite minimo è illegittima e
va annullata ove oggetto di impugnazione o, secondo l’indirizzo
prevalente, comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione
con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata.
Nel
caso in esame, però, le N.T.A. del P.R.G. del comune di Castellamonte
hanno fedelmente recepito l’impostazione regolamentare standard,
prescrivendo appunto (art. 6) la distanza minima di m. 10 tra le pareti
finestrate.
Come
già osservato dalla Sezione in sede cautelare, tale espressa
prescrizione non trova deroga nel caso di manufatti c.d. interrati (cioè
sporgenti ma ricoperti di terra per una altezza massima di cm. 120 dal
piano stradale) per i quali l’art. 36 delle N.T.A. consente solo lo
sforamento delle distanze minime standard dai confini.
Dal
punto di vista ora in esame, quindi, che una parte della parete sia
destinata ad essere coperta dal riporto è del tutto irrilevante.
Ne
consegue, in conclusione, che i permessi di costruire n. 10 e n. 60 del
2005, nella parte relativa al locale autorimessa, sono
irrimediabilmente illegittimi, nella misura in cui violano l’art. 9 D.M.
n. 1444 e l’art. 6 delle N.T.A. e la distanza minima ivi prescritta tra
pareti finestrate.
In accoglimento dei mezzi ora esaminati gli stessi vanno quindi annullati per quanto di ragione.
Con
il quarto motivo l’appellante deduce l’illegittimità del permesso di
costruire n. 10/2005 anche nella parte relativa all’immobile
residenziale, per violazione dell’altezza massima consentita e del
numero di piani edificabili.
Il mezzo non è fondato.
Per
quanto riguarda l’altezza, l’appellante si limita a dichiarare
genericamente che la stessa raggiunge m. 11,80 a fronte dei m. 10,50
legalmente consentiti, senza nulla dedurre in ordine al disposto –
richiamato in sentenza - dell’art. 5 N.T.A. il quale prescrive che
l’altezza degli edifici sia in pratica calcolata all’ultimo solaio
orizzontale.
Essendo
pacifico che l’ultimo piano dell’immobile è mansardato, per questa
parte il mezzo risulta, come si è detto, del tutto generico e va perciò
disatteso.
Per
quanto riguarda il numero dei piani consentiti, il punto da decidere è
se l’art. 39 delle N.T.A. – il quale prevede in sostanza che il piano
mansardato non è computato ai fini del rispetto del numero massimo di
piani consentito nelle varie zone tabellari – si applichi anche alle
nuove costruzioni o solo nel caso di riutilizzo dei sottotetti
esistenti, come sostiene l’appellante.
Al
riguardo si osserva che il citato articolo presenta obiettivamente una
formulazione non del tutto perspicua, dettando al primo cpv.
prescrizioni riferibili solo al caso del riutilizzo di sottotetti
esistenti e invece all’ultimo periodo del n.1 prescrizioni di carattere
più generale, suscettibili di essere estese anche alle nuove
costruzioni.
Nell’incertezza testuale, il criterio sistematico porta però a disattendere la prospettazione dell’appellante.
Da
un lato, infatti, non è ragionevole ipotizzare che il criterio legale
di computo dei piani ammessi possa valere solo per le costruzioni
preesistenti e non per quelle da edificare, non essendo possibile
intravedere la logica di una simile differenziazione.
Dall’altro,
e soprattutto, il richiamo generalizzato (e cioè senza ulteriori
specificazioni) di cui all’ultimo periodo del n. 2 al metodo di calcolo
degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio della concessione
depone – come rilevato in Udienza dalla Difesa dell’appellata – per
l’applicabilità della disposizione di favore anche al caso di nuove
costruzioni.
Il mezzo in esame va quindi disatteso.
Sulla
scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi accolto:
ne segue la riforma della sentenza impugnata e, in accoglimento del
ricorso originario, l’annullamento dei permessi di costruire impugnati
per quanto di ragione, e cioè nella parte relativa al locale
autorimessa.
Le spese e gli onorari del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidati forfettariamente in dispositivo.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta,
definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto, in
riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario ed
annulla gli atti impugnati nella parte relativa al locale autorimessa.
Condanna
in solido il comune di Castellamonte e l’Impresa Edile Fratelli Bracco
Antonio e Giuseppe s.n.c. al pagamento in favore dell’appellante di Euro
5.000,00 (cinquemila//00) oltre IVA e accessori per le spese e onorari
del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 17 aprile 2007, con l'intervento dei signori:
Paolo SALVATORE Presidente
Luigi MARUOTTI Consigliere
Pier Luigi LODI Consigliere
Antonino ANASTASI Consigliere, est.
Vito POLI Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonino ANASTASI Paolo SALVATORE
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio CARNABUCI
- - N.R.G. 6041/2005
TRG
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