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venerdì 28 giugno 2013

Cassazione: Passò col rosso, "beccato" da un apparecchio non omologato: niente risarcimento dopo l'oblazione Bocciata la sentenza che riconosceva il danno ex articolo 2043 Cc. Il pagamento in misura ridotta esclude la successiva proposizione di pretese civilistiche come "condictio indebiti" e "actio damni"




Passò col rosso, "beccato" da un apparecchio non omologato: niente risarcimento dopo l'oblazione
Bocciata la sentenza che riconosceva il danno ex articolo 2043 Cc. Il pagamento in misura ridotta esclude la
successiva proposizione di pretese civilistiche come "condictio indebiti" e "actio damni"
 (Sezione seconda, sentenza n. 16222/07;
depositata il 23 luglio)
Cass. civ. Sez. II, 23-07-2007, n. 16222


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni - Presidente

Dott. PICCIALLI Luigi
- Consigliere

Dott. ATRIPALDI Umberto - Consigliere

Dott. CORRENTI
Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere

ha
pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI
TORRE ANNUNZIATA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA G.G. PORRO 8, presso lo studio associato degli
avv.ti Zimatore-Abbamonte, rappresentato e difeso dall'avvocato FREGA
Davide, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

G.A.;

- intimata -

avverso la sentenza n. 795/05 del Giudice di Pace
di TORRE ANNUNZIATA del 24.2.05, depositata il 03/03/05;

udita la
relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 09/02/07 dal
Consigliere Dott. Vincenzo CORRENTI;

lette le conclusioni scritte del
Sostituto Procuratore Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso.

E' presente il P.G. in
persona del Dr. DARIO CAFIERO che chiede l'accoglimento del ricorso.


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Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
Il Comune di Torre Annunziata impugna per cassazione la
sentenza n. 795/05 con la quale il G.d.P. del luogo, accogliendo la
domanda di G.A., l'ha condannato al risarcimento dei danni ex art. 2043
c.c., nei confronti della parte attrice, nella misura di Euro 74,89,
per avergli quest'ultima corrisposto pari somma, ex art. 202 C.d.S., a
seguito di contestatele infrazioni all'art. 41 C.d.S., in relazione
all'art. 146 C.d.S., comma 3; somma che l'attrice aveva sostenuto
essere stata corrisposta ingiustificatamente, attesa l'invalidità della
contestazione in quanto effettuata sulla base di documentazione
proveniente da apparecchiatura elettronica non omologata all'epoca
delle pretese infrazioni e, quindi, inidonea all'accertamento delle
stesse senza la presenza d'un agente all'uopo addetto.

A tale
decisione il Giudice a quo è pervenuto sulla considerazione che il
pagamento della sanzione pecuniaria non costituisse nè ammissione di
colpa nè rinunzia all'impugnazione; che la proposta azione fosse da
qualificare come domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c.; che alla data
delle contestate infrazioni l'accertamento delle stesse a mezzo
dell'apparecchiatura in questione senza la presenza d'un agente addetto
al servizio fosse illegittimo; che il Comune, asserendo nel verbale
notificato l'insussistente legittimità dell'accertamento mediante
apparecchiatura elettronica, avesse artatamente indotto in errore il
destinatario della comunicazione sulla consequenziale legittimità della
pretesa e sulla convenienza del pagamento immediato; che tale
comportamento avesse determinato un danno ingiusto all'interesse
legittimo alla correttezza dell'azione amministrativa; che tale danno
fosse da considerare risarcibile ex art. 2043 c.c..

Di detta decisione
si duole il ricorrente denunziando: con un primo motivo, nel quale
deduce la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 e artt.
203, 204 e 204 bis C.d.S., nonchè vizi di motivazione, che il Giudice a
quo non abbia considerato come le invocate norme consentano i ricorsi
amministrativo e giurisdizionale solo ove non sia stato effettuato il
pagamento in misura ridotta e, quindi, precludano la contestazione per
altra via dell'accertamento, specie una volta decorsi i termini per
l'adempimento e per le impugnazioni espressamente previstivi; con un
secondo motivo, nel quale deduce la violazione della L. n. 2248 del
1865, artt. 4 e 5, all. E, nonchè vizi di motivazione, che il Giudice a
quo abbia illegittimamente disapplicato il provvedimento amministrativo
e riconosciuto la risarcibilità del preteso danno; con un terzo motivo,
nel quale deduce la violazione di norme di diritto e vizi di
motivazione, che il Giudice a quo non abbia rilevato l'effetto
preclusivo del pagamento della sanzione; con un quarto motivo, nel
quale deduce il travisamento del thema decidendum e vizi di
motivazione, che il Giudice a quo abbia deciso della disapplicazione in
via principale e non incidentale; con un quinto motivo, denunziando la
violazione dell'art. 112 c.p.c., che il Giudice a quo abbia deciso ex
art. 2043 c.c., una domanda proposta ex art. 2033 c.c.; con un sesto
motivo, denunziando vizi di motivazione, che il giudice a quo abbia
erroneamente provveduto sulle spese.

Segue anche memoria.

Parte
intimata non resiste con controricorso.

Attivatasi procedura ex art.
375 c.p.c., il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta
nella quale, non concordando con il parere espresso nella nota di
trasmissione, conclude chiedendo l'inammissibilità del ricorso,
richiesta, poi modificata dal P.G. d'udienza nel senso
dell'accoglimento.

Tale conclusione, conforme alla scheda valutativa,
è da condividere.

Preliminarmente, va disattesa l'eccezione,
originariamente formulata dal P.G., d'inammissibilità del ricorso per
difetto di valida procura ad litem, per mancanza di autorizzazione al
Sindaco da parte della Giunta per la proposizione dell'impugnazione.

Nelle brevi note conclusionali e di discussione il Comune ha chiarito
di stare in giudizio in virtù di procura a margine del ricorso e di
Delib. G.M. 1 giugno 2005, n. 101.

Il quinto motivo di ricorso, da
trattare preliminarmente in quanto attiene alla nullità in rito della
sentenza, è manifestamente fondato ed assorbente.

Risulta dalla stessa
sentenza impugnata che parte attrice aveva citato il Comune "onde
ottenere la restituzione della somma di Euro 74,89 indebitamente
pagata".

E' ben vero che, nell'esercizio del potere d'interpretazione
e qualificazione della domanda, il Giudice del merito ha il potere, ma
anche il dovere, d'accertare e valutare il contenuto sostanziale della
pretesa, quale risulta desumibile non solo dal tenore letterale degli
atti, ma anche dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla
parte istante e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del
giudizio, nonchè di tener conto del provvedimento richiesto in
concreto; ma è anche vero che tale potere incontra il limite, imposto
dall'art. 112 c.p.c., di rispettare i principi, da un lato, della
corrispondenza della pronunzia alla richiesta e, dall'altro,
dell'insostituibilità ex officio d'una diversa azione a quella
formalmente proposta, dacchè, in caso di violazione dei detti principi,
non d'eventualmente erronee interpretazione e conseguente
qualificazione della domanda tratterebbesi, bensì d'immutazione, per
alterazione o sostituzione, d'uno o d'entrambi gli elementi
identificativi dell'azione, petitum e/o causa petendi, e,
correlativamente, di decisione estranea al thema decidendum
effettivamente introdotto in giudizio e d'omessa pronunzia su di esso.

Nella specie, pertanto, espressamente propostasi un'azione di
ripetizione d'indebito ex art. 2033 c.c., non poteva il Giudice
immutare d'ufficio il thema decidendum giudicando d'un'azione
risarcitoria ex art. 2043 c.c., non proposta e, comunque, estranea ad
esso.

Del pari manifestamente fondati, per quanto di ragione, sono gli
altri motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per palese
connessione.

Devesi ricordare: come l'art. 202 C.d.S., comma 1,
preveda che "Per le violazioni per le quali il presente codice
stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria, ferma restando
l'applicazione delle eventuali sanzioni accessorie, il trasgressore è
ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla
notificazione, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme.";
come l'art. 203 C.d.S., comma 1, preveda che "Il trasgressore o gli
altri soggetti indicati nell'art. 196, nel termine di giorni sessanta
dalla contestazione o dalla notificazione, qualora non sia stato
effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito,
possono proporre ricorso al prefetto ..."; come l'art. 204 C.d.S. bis,
comma 1, preveda che "Alternativamente alla proposizione del ricorso di
cui all'art. 203 C.d.S., il trasgressore o gli altri soggetti indicati
nell'art. 196, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura
ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al
Giudice di Pace...".

In riferimento alla ricordata normativa, il
principio richiamato dal Giudice a qua, per il quale "in tema di
sanzioni amministrative il pagamento della somma portata dall'ordinanza-
ingiunzione, potendo ricollegarsi alla volontà dell'intimato di
sottrarsi all'esecuzione forzata esperibile in base a detto
provvedimento (il quale è titolo esecutivo e la cui efficacia non è di
regola sospesa dall'opposizione) non comporta di per sè acquiescenza nè
incide sull'interesse ad insorgere avverso il provvedimento medesimo",
è all'evidenza non pertinente, in quanto, nella specie, il pagamento
non è avvenuto a seguito d'intimazione mediante ordinanza- ingiunzione
ma a seguito di contestazione mediante verbale d'accertamento
notificato ed, inoltre, il detto principio opera in relazione alle
sanzioni amministrative irrogate, appunto, a mezzo d'ordinanza-
ingiunzione sulla base di normative diverse dal codice della strada,
per le quali non è consentita l'impugnazione immediata in sede
giudiziaria del verbale ma solo quella dell'ordinanza- ingiunzione
stessa, mentre le impugnazioni tanto in sede amministrativa quanto in
sede giudiziaria sono autonomamente regolate dal codice della strada
con la normativa surrichiamata che consente, tra l'altro, l'immediata
impugnazione del verbale così in sede amministrativa come in sede
giudiziaria e connette il potere dell'Amministrazione di formare il
titolo esecutivo, diverso ed autonomo rispetto al verbale (del che in
seguito) solo all'acquiescenza del destinatario.

Per il che risulta
del tutto priva di giustificazione la tesi per cui l'ammissibilità d'un
pagamento della sanzione con riserva, non previsto dalla richiamata
normativa, troverebbe la propria ragion d'essere e la propria
ammissibilità nello scopo d'evitare la riscossione coattiva della
sanzione, riscossione che non può verificarsi sino all'esito dei
procedimenti oppositori amministrativo e giurisdizionale, mentre il
pagamento ex art. 202 C.d.S., proprio perchè previsto in misura
ridotta, costituisce solo una forma d'agevolazione accordata al
contravventore in considerazione della sua rinunzia ad avvalersi dei
mezzi oppositivi.

In vero, la normativa posta con il C.d.S., regolando
compiutamente la materia, si pone con carattere di specialità e,
quindi, con vis derogatoria, rispetto a quella generale sulle
impugnazioni delle sanzioni amministrative di cui alla L. n. 689 del
1981.

Va, pertanto, anzi tutto sottolineato come il tenore letterale
dell'art. 203 C.d.S., comma 1 e art. 204 bis C.d.S., comma 1, non
consenta altra lettura se non quella per cui, una volta effettuato il
pagamento in misura ridotta consentito dal precedente art. 202 C.d.S.,
comma 1, entro sessanta giorni dalla contestazione o notificazione del
verbale, id est entro il medesimo termine nel quale sono consentiti,
alternativamente, i ricorsi in sede amministrativa o giurisdizionale,
rimane preclusa la possibilità d'impugnare l'accertamento dell'
infrazione nell'una come nell'altra sede.

La ratio di tale
disposizione è evidente ed analoga a quella dell'istituto
dell'oblazione - beneficio che, come evidenziato dalla Corte
Costituzionale riconoscendo la legittimità proprio dell'art. 202 C.d.S.
in esame (sent. 25.7.94 n. 350), è offerto al contravventore in
funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi
che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre
discipline processuali - con la quale s'intende estinguere la specifica
controversia con il versamento d'una somma di danaro, precludendo,
peraltro, ad entrambe parti qualsivoglia possibilità di contestazione
in ordine ai presupposti ed alle condizioni d'applicazione delle
sanzioni; per il che, come già evidenziato da questa Corte, la
formulazione dell'art. 202 C.d.S., prevedendo, al pari della L. 24
novembre 1981, n. 689, art. 16, il "pagamento in misura ridotta"
corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legge da parte
dell'indicato (nel processo verbale di contestazione) autore della
violazione, implica necessariamente l'accettazione della sanzione e,
quindi, il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria
responsabilità e, conseguentemente, nel sistema delineato dal
legislatore anche a fini, di deflazione dei processi, la rinuncia ad
esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale, esperibile
anche immediatamente avverso i verbali di contestazione delle
violazioni alle norme del C.d.S.. (Cass. 11.2.05 n. 2862).

Devesi,
infatti, al riguardo ulteriormente precisare che il processo verbale
d'accertamento e contestazione delle violazioni al C.d.S. non
costituisce atto impositivo e non determina di per sè l'assoggettamento
concreto ed attuale del contravventore all'obbligo di pagamento della
sanzione pecuniaria conseguente alla violazione constatata dagli agenti
verbalizzanti - com'è invece per l'ordinanza- ingiunzione che consegue
alla reiezione del ricorso in sede amministrativa - ma costituisce solo
il primo atto d'un procedimento a formazione progressiva, all'esito del
quale, in mancanza d'impugnazione da parte dell'interessato in sede
amministrativa o giudiziaria nel prescritto termine di sessanta giorni,
l'Amministrazione cui appartengono gli agenti accertatori può procedere
all'iscrizione a ruolo della somma corrispondente alla sanzione
effettivamente irrogata, determinata tra il minimo ed il massimo
edittali, e predisporre così il titolo esecutivo in base al quale far
luogo all'esazione forzata previa notificazione della cartella
esattoriale che del ruolo costituisce un estratto.

Il contravventore,
ove ritenga che i rilievi dei verbalizzanti siano infondati od
ingiustificati, può esporre le sue ragioni e sollevare le sue
contestazioni nello stesso verbale e, comunque, può proporle e
riproporle, sia in sede amministrativa con il ricorso al Prefetto, sia
direttamente in sede giudiziaria con l'opposizione, innanzi al G.d.P.,
per far riconoscere l'infondatezza, totale o parziale, della
contestazione, come in concreto in quell'atto verbalizzata, così per
quanto riguarda l'infrazione propriamente detta, come per quanto
riguarda la sua contestazione e la sanzione indicata.

Quanto a
quest'ultima, peraltro, la legge, con la disposizione contenuta
nell'art. 202 C.d.S., ammette a favore del contravventore la
possibilità di prevenirne l'irrogazione e di impedirne l'esercizio,
mediante il versamento all'Amministrazione, nel termine di sessanta
giorni dalla data della contestazione immediata o della notificazione
del verbale, id est nello stesso termine stabilito per la proposizione
delle impugnazioni in sede amministrativa o giurisdizionale, di una
somma pari al minimo della sanzione pecuniaria edittale prevista dalla
legge per le violazioni contestate nel verbale stesso.

Si tratta d'una
facoltà d'oblazione concessa dalla legge, il cui esercizio è rimesso
alla libera valutazione e determinazione del contravventore, con
funzione ed effetto di chiudere immediatamente e definitivamente, in
termini e secondo modalità e parametri oggettivi prefissati dalla
stessa legge, il rapporto tra contravventore ed Amministrazione in
ordine alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni rilevate,
definizione dalla quale l'Amministrazione trae il vantaggio della
pronta e incontestata riscossione d'una somma oggettivamente
commisurata nel minimo della sanzione pecuniaria edittale, ed il
contribuente quello dell'abbandono totale ed incondizionato d'ogni
altra e maggiore pretesa sanzionatoria da parte dell'Amministrazione.

Ma proprio per ciò, perchè la detta funzione non venga ad essere
vanificata, una volta che la facoltà di oblazione sia stata esercitata,
essa, impedendo in maniera definitiva l'esercizio del potere
sanzionatorio da parte dell'ufficio, non può non comportare
correlativamente, stante la sua sostanziale natura transattiva, la
definitiva preclusione per il contravventore di contestare e mettere in
discussione i presupposti di fatto della sanzione, id est la
legittimità dell'accertamento della violazione, e la sua applicabilità
in concreto; in caso contrario, essendosi ormai estinto il potere
sanzionatorio dell'Amministrazione, che non può più determinare la
misura della sanzione pecuniaria questa rapportando alla concreta
gravità della violazione, sia pur tra il minimo ed il massimo edittali,
ne deriverebbe un inammissibile ed ingiustificabile privilegio per il
contravventore.

D'altra parte - espressamente preclusi, come
inequivocamente precisato dal primo comma sia dell'art. 203 C.d.S., sia
dell'art. 204 bis C.d.S., entrambi i mezzi oppositori nell'ipotesi in
cui il contravventore si sia avvalso della facoltà di pagamento ridotto
e non prevedendo le disposizioni citate alcuna possibilità di
pagamento, con riserva di ripetizione - l'operata soluzione comporta la
legittimità dell'incasso della somma da parte dell'amministrazione
titolare della pretesa sanzionatoria, la cui fondatezza non può più
essere rimessa in discussione attraverso un tardivo sindacato sul
pregresso accertamento dell'illecito;

diversamente argomentando,
sarebbero surrettiziamente aggirati i termini e le preclusioni previsti
dalle norme sul relativo contenzioso sia in sede amministrativa sia in
sede giurisdizionale e si darebbe ingresso ad un inammissibile
sindacato - peraltro diretto ad hoc e non meramente incidentale, quale
previsto dalle fondamentali regole di riparto poste dalle disposizioni
della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E - sul diritto-
dovere della P.A. a far proprie le somme derivanti dal pagamento delle
sanzioni, ormai divenute inoppugnabili con conseguente liceità della
relativa percezione e ritenzione.

Per tutte le esposte ragioni,
l'effetto di definitività e preclusione dell'oblazione s'estende, poi,
a qualsiasi attività delle parti, onde anche un'eventuale revisione
della situazione ad iniziativa dell'Amministrazione, con annullamento
d'altri provvedimenti ancora in itinere, non consentirebbe interventi
sui procedimenti ormai definiti con oblazione.

Tale conclusione vale,
parimenti, per le azioni di qualsivoglia natura con le quali il
contravventore pretenda di rimettere in discussione la legittimità
dell'accertamento dell'infrazione - sulla quale, per quanto sopra
evidenziato, con il pagamento in misura ridotta ha fatto acquiescienza
- e, quindi, non solo per l'impugnazione ex art. 204 bis C.d.S., ma
anche per eventuali pretese civilistiche quali la condictio indebiti e
l'actio damni.

Le ulteriori ragioni di censura restano assorbite.

Il
ricorso va, pertanto, accolto per le esposte ragioni e l'impugnata
sentenza va, consequenzialmente, cassata, peraltro senza rinvio,
potendo la rilevata improponibilità dell'originaria domanda essere
dichiarata in questa sede ex art. 384 c.p.c., comma 1, con reiezione
della domanda, stessa.

Le spese, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza.

P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso, cassa
senza rinvio l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge
l'originaria domanda; condanna parte intimata alle spese che liquida in
Euro 100,00 per esborsi ed Euro 400,00 per onorari oltre ad accessori
di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9
febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2007



 

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