COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE - SENTENZA CIVILE
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 17-06-2013, n. 15116
COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE
Giurisdizione
in genere
SENTENZA CIVILE
Sentenza definitiva e no
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto - Primo Presidente f.f. -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente di sez. -
Dott. SETTIMJ Giovanni - Presidente di sez. -
Dott. RORDORF Renato - Presidente di sez. -
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -
Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. VIRGILIO Biagio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18377/2009 proposto da:
MINISTERO DELLA DIFESA, MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
- ricorrenti -
contro
-
- controricorrente -
avverso la sentenza non definitiva n. 442/2007 depositata il 19/06/2007 e la definitiva n. 318/2009 depositata il 05/06/2009, entrambe della Corte d'appello di Lecce;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2013 dal Consigliere Dott. BIAGIO VIRGILIO;
uditi gli avvocati Daniela GIACOBBE dell'Avvocatura Generale dello Stato, Rodolfo PETRUCCI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. (Lpd) convenne, nel 1995, dinanzi al Tribunale di Lecce il Ministero della difesa ed il Ministero del Tesoro chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al ritardato riconoscimento del diritto a pensione e al conseguente ritardato pagamento delle relative somme dovute al defunto marito a titolo di pensione privilegiata dipendente da causa di servizio, riconosciuta con sentenza della Corte dei Conti del 1991.
Il Ministero della difesa, costituitosi, eccepì in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Il Tribunale, dapprima, con ordinanza del 1 dicembre 2001, "verificata preliminarmente la propria giurisdizione", dispose consulenza tecnica d'ufficio, e poi, con sentenza del 26 gennaio 2004, ribadita la propria giurisdizione, accolse la domanda e condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 298.839,79, "da imputarsi a capitale ed interessi (...), quale importo risarcitorio" spettante all'attrice, "oltre al pagamento degli ulteriori importi dovuti per rivalutazione ed interessi dalla data della relazione peritale a quella dell'effettivo soddisfo".
2. A seguito di appello proposto dal Ministero della difesa e dal Ministero dell'economia e delle finanze, la Corte d'appello di Lecce, con sentenza non definitiva del 19 giugno 2007, dichiarò l'inammissibilità dei primi tre motivi di appello in quanto concernenti questioni, tra le quali quella di giurisdizione, già risolte dalla sopra citata ordinanza del Tribunale del dicembre 2001, avente contenuto sostanziale di sentenza e quindi efficacia di giudicato, e, in accoglimento del quarto motivo, affermò l'applicabilità nella specie del normale regime delle obbligazioni pecuniarie, qualificando il credito "come di valuta, riferibile al modesto consumatore".
Con sentenza del 5 giugno 2009, infine, la Corte rideterminò la somma dovuta alla G., sulla base di un supplemento di consulenza tecnica d'ufficio, in Euro 69.436,41 per capitale, "oltre interessi legali dalla maturazione di ciascuna competenza periodica al soddisfo e maggior danno ex art. 1224 cod. civ., nella misura in cui eventualmente l'indice ISTAT dei prezzi al consumo superi l'interesse legale".
3. Avverso entrambe le dette sentenze hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi ed illustrato con memoria, il Ministero della difesa ed il Ministero dell'economia e delle finanze.
4. (Lpd) ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 279 cod. proc. civ., censurano la sentenza non definitiva del 19 giugno 2007 nella parte in cui il giudice d'appello ha ritenuto inammissibile il gravame sulla questione di giurisdizione, attribuendo all'ordinanza del Tribunale del 2001 natura di sentenza non definitiva, passata in giudicato in assenza di riserva di impugnazione.
Formulano, in conclusione, il quesito "se, per individuare in un'ordinanza il contenuto di sentenza e per ritenerla, quindi, impugnabile nei modi di legge, sia necessario che tale ordinanza abbia deciso in modo irrevocabile ed immodificabile le questioni in essa affrontate", e, pertanto, "se sia priva di tale contenuto l'ordinanza che, ai soli fini dell'ammissione di una CTU, dichiari sussistente la giurisdizione del giudice ordinario ed il danno lamentato da parte attrice e inserisca, poi, tale dichiarazione nella parte dispositiva della sentenza che definisce il giudizio".
Il motivo è infondato.
Va ribadito, in primo luogo, il principio generale in virtù del quale, al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre aver riguardo, non già alla forma adottata, ma al suo contenuto, in base al principio di prevalenza della sostanza sulla forma; pertanto, al provvedimento - pur avente veste formale di ordinanza - con cui il giudice non si limiti ad una sommaria delibazione incidentale della questione di giurisdizione in funzione dell'adozione di altro provvedimento, bensì affermi - decidendo la questione senza definire il giudizio - la propria giurisdizione, deve riconoscersi natura di sentenza non definitiva, ai sensi dell'art. 279 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, con conseguente preclusione, in mancanza di riserva di impugnazione (la cui omissione determina il passaggio in giudicato della relativa decisione), della riproposizione della questione di giurisdizione attraverso l'impugnazione della sentenza definitiva, non rilevando che, con quest'ultima, lo stesso giudice abbia poi ribadito la propria giurisdizione (Cass., Sez. un., nn. 3816 e 20470 del 2005, 8949 e 25837 del 2007).
E' stato poi precisato che il giudice che intenda pronunciare separatamente sulla giurisdizione o sulla competenza deve invitare le parti a precisare le conclusioni, sicchè il provvedimento che abbia emesso in difetto di detto invito assume natura meramente ordinatoria (Cass., Sez. un., n. 25798 del 2009; cfr., in tema di competenza, Cass., Sez. un., n. 11657 del 2008, nonchè Cass. nn. 15109 del 2007, 6825 del 2010, 4986 del 2011).
Orbene, nella fattispecie, non può negarsi natura decisoria, in punto di giurisdizione, ex art. 279 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, all'ordinanza del Tribunale di Lecce del dicembre 2001 : ciò non solo, e non tanto, per il tenore della statuizione ("verificata preliminarmente la propria giurisdizione, considerato che la stessa è stata confermata, ormai pacificamente, dalle concordanti sentenze sia della Corte dei conti che della Cassazione"), ma per il decisivo rilievo che il provvedimento, come risulta dalla sentenza definitiva del gennaio 2004, era stato preceduto dall'invito alle parti alla precisazione delle conclusioni.
2. Con il secondo motivo si censura nuovamente la sentenza non definitiva del 19 giugno 2007 per omessa motivazione sulla questione di cui al primo motivo.
La doglianza è inammissibile, poichè il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l'interpretazione e l'applicazione delle norme giuridiche, giacchè - ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendone una inadeguata, illogica o contraddittoria - la Corte, nell'esercizio del potere correttivo attribuitole dall'ari. 384 cod. proc. civ., u.c., deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata (Cass., Sez. un., n. 28054 del 2008).
3. Con il terzo ed il quarto motivo, è oggetto di censura la sentenza definitiva del 5 giugno 2009, nella parte in cui il giudice d'appello, dopo aver rideterminato la somma dovuta alla G. dagli attuali ricorrenti in Euro 69.436,41 per capitale, li ha anche condannati agli "interessi legali dalla maturazione di ciascuna competenza periodica al soddisfo" e al "maggior danno ex art. 1224 c.c., nella misura in cui eventualmente l'indice ISTAT dei prezzi al consumo superi l'interesse legale".
In particolare, con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 1283 cod. civ., formulando il quesito se, ai sensi di detta norma, "sia errata la sentenza che, nel liquidare una somma a titolo di interessi legali e maggior danno ex art. 1224 c.c., su ratei di pensione pagati in ritardo, liquidi, su tale somma, ulteriori interessi legali"; e, con il quarto motivo, si lamenta la violazione dell'art. 1224 cod. civ., formulando l'analogo quesito se, ai sensi di questa norma, "sia errata la sentenza che, nel liquidare una somma a titolo di interessi legali e maggior danno ex art. 1224 c.c., su ratei di pensione pagati in ritardo, liquidi, su tale somma, ulteriore rivalutazione monetaria".
I motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili per inidoneità dei relativi quesiti di diritto.
Il quesito di diritto, secondo il costante orientamento di questa Corte, deve essere formulato, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile nella fattispecie ratione temporis), in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, al fine, quindi, del miglior esercizio della funzione nomofilattica: ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (tra le tante, Cass., Sez. un., nn. 26020 del 2008,19444 del 2009).
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2013
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