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sabato 19 agosto 2023

Agenzia delle Entrate Circ. 18/08/2023, n. 25/E Profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working) e disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri. Novità introdotte dalla legge 13 giugno 2023 n. 83. Emanata dall'Agenzia delle entrate.

 


Agenzia delle Entrate


Circ. 18 agosto 2023, n. 25/E (1)


Profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working) e disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri. Novità introdotte dalla legge 13 giugno 2023 n. 83.


(1) Emanata dall'Agenzia delle entrate.




Premessa


La presente Circolare analizza e sintetizza i più recenti sviluppi - al livello sia nazionale, sia internazionale - riguardanti l'imposizione di talune categorie di lavoratori particolarmente interessate dall'affermarsi di modalità di svolgimento della prestazione che vedono una separazione tra il luogo di svolgimento dell'attività, il luogo della residenza e il luogo in cui si esplicano gli effetti di tale attività lavorativa.


L'intensificarsi del ricorso a tali forme organizzative, che spesso accompagnano fenomeni di lavoro transfrontaliero o "frontaliero", coinvolgendo quindi due o più giurisdizioni, ha generato taluni dubbi interpretativi in merito alle regole di tassazione applicabili.


Dopo l'accelerazione della diffusione dovuta al periodo dell'emergenza pandemica, peraltro, queste modalità di lavoro "agile" o "flessibile", sono divenute o si avviano a diventare - in determinati settori - modalità "ordinarie" di svolgimento della prestazione lavorativa. Di conseguenza, particolarmente rilevante appare l'individuazione dei profili fiscali legati al fenomeno di c.d. "mobility of work".


Con la presente circolare, si forniscono, in particolare, chiarimenti in relazione a due ordini di fenomeni, a ciascuno dei quali è dedicata una specifica elaborazione:


- la prima parte fornisce chiarimenti e istruzioni applicative sui profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working), focalizzando l'attenzione sui più recenti orientamenti della prassi sul punto, anche ai fini dell'applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere un'attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano, disciplinati dall'articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. "regime speciale per lavoratori impatriati"), nonché dall'articolo 44 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 ("regime speciale per docenti e ricercatori");


- la seconda parte è, invece, dedicata alla speciale disciplina concernente i lavoratori "frontalieri", alla luce anche dei recenti sviluppi e del nuovo Accordo internazionale siglato con la Svizzera, e delle novità introdotte dalla relativa legge di ratifica (legge 13 giugno 2023 n. 83, pubblicata nella G.U. n. 151 del 30 giugno 2023).




Parte prima. profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working)


1 Residenza fiscale e smart working


1.1 La residenza ai sensi dell'articolo 2 del TUIR


L'articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche "TUIR") introduce e disciplina il concetto di "residenza fiscale". In particolare, alla luce della disposizione citata, si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):


- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;


- hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;


- hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.


Tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato.


L'alternatività dei criteri, oltre ad essere stata confermata dalla giurisprudenza di legittimità (si vedano, al riguardo, Corte di Cassazione, sez. V, sentenza n. 21970 del 28 ottobre 2015, secondo la quale, ai fini delle imposte dirette, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano "in ogni caso residenti, e pertanto soggetti passivi d'imposta, in Italia"; Corte di Cassazione, sez. V, sentenza n. 677 del 16 gennaio 2015), è stata ribadita in numerosi pareri resi a istanze di interpello, le cui risposte sono pubblicate sul sito internet dell'Agenzia [1].


Al riguardo, si osserva che l'accertamento dei presupposti per stabilire la residenza, diversi dal dato formale dell'iscrizione anagrafica, presuppone un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza come definiti in base alla normativa civilistica (cfr. circolare 1° aprile 2016 n. 9/E).


Nonostante la valenza tributaria, infatti, le nozioni richiamate dall'articolo 2 del TUIR vanno intese, per espressa previsione normativa, ai sensi della disciplina contenuta nel codice civile che, all'articolo 43, definisce il domicilio come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e fa coincidere la dimora abituale con il luogo di residenza.


In particolare, come chiarito già nella circolare ministeriale 2 dicembre 1997, n. 304, per configurare la residenza non è necessaria la continuità o definitività della dimora abituale, con la conseguenza che periodi anche prolungati di assenza non ne escludono il radicamento in Italia. In merito al domicilio, occorre tenere conto anche dei rapporti di natura non patrimoniale, come quelli personali e affettivi, per considerare localizzato in Italia il centro degli affari e degli interessi.


Tali indicazioni sono state recepite e sviluppate dalla giurisprudenza di legittimità, che, in merito al concetto di domicilio, ha chiarito come lo stesso debba essere inteso quale sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi (Cass. 8 ottobre 2020, n. 21694; Cass.15 giugno 2010, n. 14434; Cass. 7 novembre 2001, n. 13803). Il concetto di domicilio va valutato, quindi, in relazione al luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici (Cass., SS UU, 29 novembre 2006 n. 25275; recentemente, anche Cass. 14 maggio 2021, n. 14240), dovendo il concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, intendersi comprensivo anche degli interessi personali (Cass. 1 marzo 2019, n. 6081; Cass. 29 dicembre 2011, n. 29576). Secondo l'elaborazione della giurisprudenza si tratta di una situazione di fatto che presuppone l'esistenza di un duplice requisito, oggettivo e soggettivo, vale a dire, rispettivamente, la permanenza in un determinato luogo e l'intenzione di abitarvi in modo stabile, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (tra le altre, Cass. n. 25726/2011).


Con riferimento alla dimora abituale, la giurisprudenza di legittimità, riconosciuto che affinché sussista il requisito della "abitualità della dimora" non è necessaria la continuità o la definitività (Cass. n. 2561/1975; Cass. SS UU n. 5292/1985), ha chiarito che detto requisito permane anche se il soggetto lavora o svolge altre attività al di fuori del comune di residenza (del territorio dello Stato), purché conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l'intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Cass. n. 1738/1986, richiamata dalla più recente Cass. n. 25726/2011). La residenza, dunque, non viene meno per assenze più o meno prolungate, dovute alle particolari esigenze della vita moderna, quali ragioni di studio, di lavoro, di cura o di svago (Cass. n. 435/1973). Più recentemente, i giudici di legittimità hanno altresì precisato che "il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile da terzi" (Cass. n. 25189/2022, che richiama Cass. n. 6501/2015).


In base alla previsione recata dall'articolo 3, comma 1, del TUIR, le persone residenti in Italia devono sottoporre ad imposizione nel nostro Paese tutti i loro redditi, ovunque prodotti (c.d. worldwide taxation principle).


Ai non residenti, invece, si applicano le disposizioni dell'articolo 23 del TUIR e gli stessi saranno assoggettati a imposizione in Italia sulla base dei criteri di territorialità indicati nel predetto articolo.


Il comma 2-bis dell'articolo 2 del TUIR introduce, infine, una presunzione relativa di residenza fiscale; in particolare, salvo prova contraria, si considerano residenti in Italia le persone cancellate dall'anagrafe della popolazione residente in Italia e trasferite in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati nel decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999.


Il menzionato comma 2-bis è stato introdotto dall'articolo 10 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, al fine di contrastare il fenomeno della frequente migrazione fittizia verso Paesi a fiscalità privilegiata.


Come è stato chiarito dalla circolare 24 giugno 1999, n. 140, la modifica normativa ha previsto un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, senza incidere sulle circostanze e gli elementi dimostrativi della residenza indicati nella circolare n. 304 del 1997. La predetta circolare del 1999 precisa, quindi, che "soltanto la piena dimostrazione, da parte del contribuente, della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel paese fiscalmente privilegiato, indipendentemente dall'assolvimento nello stesso paese di obblighi fiscali, attestano il venire meno della residenza fiscale in Italia e la conseguente legittimità della posizione di non residente".


Pertanto, anche a seguito della formale iscrizione all'Anagrafe degli Italiani residenti all'estero (di seguito, "AIRE"), nei confronti di cittadini trasferiti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata continua a sussistere una presunzione (relativa) di residenza fiscale in Italia per effetto del citato comma 2-bis.


Si evidenzia che per tener conto dell'evoluzione del contesto internazionale, l'elenco recato dal decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999 è stato modificato una prima volta dall'articolo 2 del decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze del 27 luglio 2010 e, successivamente, dall'articolo 1 del decreto sempre del Ministero dell'Economia e delle finanze del 12 febbraio 2014.


Da ultimo, l'articolo 12 della legge 13 giugno 2023, n. 83, ha previsto, al comma 3, che "Alla luce del rafforzamento dei rapporti economici tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera in virtù della ratifica dell'Accordo relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri, con Protocollo aggiuntivo e Scambio di lettere, fatto a Roma il 23 dicembre 2020, nonché in considerazione delle disposizioni specifiche in materia di scambio di informazioni contenute nell'articolo 7 del suddetto Accordo, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede all'eliminazione della Svizzera dall'elenco di cui all'articolo 1 del decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999".


È stato quindi emanato il decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze del 20 luglio 2023, con cui è stata disposta l'eliminazione della Svizzera dal predetto elenco.


L'efficacia delle modifiche previste dal citato articolo 12, comma 3, decorre, per espressa previsione normativa, dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di pubblicazione del suddetto decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze. Sul punto, si rinvia ai chiarimenti contenuti nella Parte Seconda.



1.2 La residenza dei lavoratori da remoto nell'ordinamento interno


Come anticipato in premessa, negli ultimi anni si è assistito a un costante incremento dell'impiego di forme di lavoro definite "agili", ossia caratterizzate da prestazioni rese in modalità "virtuale", ovvero da remoto, senza che sia necessaria la presenza fisica nei locali messi a disposizione dal datore di lavoro o, comunque, in un determinato luogo (forme di lavoro che, per semplicità, nel prosieguo della circolare verranno indicate come "smart working" o lavoro agile, a prescindere dal significato giuslavoristico di tale locuzione).


Si tratta di un fenomeno favorito dal progresso tecnologico e fortemente accelerato dall'emergenza pandemica da Covid-19 che ha costretto la maggioranza dei settori (pubblici e privati) a ridefinire le modalità lavorative.


A fronte di significative revisioni organizzative che hanno coinvolto imprese, professionisti e comparto pubblico, non sono state apportate alla normativa interna modifiche che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza a fini fiscali.


Di conseguenza, i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall'articolo 2 del TUIR (come illustrati nel precedente paragrafo) e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono un'attività lavorativa in smart working. In altri termini, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale, che restano ancorati all'integrazione di almeno una delle suesposte condizioni di cui all'articolo 2 del TUIR.


Di seguito, si forniscono alcune esemplificazioni per chiarire meglio le implicazioni conseguenti alla configurazione della residenza in Italia, fatto salvo quanto sarà successivamente precisato rispetto all'applicazione di un'eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni.


Si ipotizzi, ad esempio, il caso di un cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, che lavora dall'Italia in smart working per un datore di lavoro estero, permanendo per la maggior parte dell'anno solare presso un'abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente al coniuge e ai figli. In tale circostanza, sebbene non risulti soddisfatto il requisito formale di iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, non si può non considerare che per la maggior parte del periodo d'imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi (familiari) e la sua dimora abituale. Pertanto, considerato che - come anticipato - i criteri previsti dall'articolo 2, comma 2, del TUIR risultano tra loro alternativi, nell'ipotesi di cui sopra, il soggetto avrà radicato la propria residenza fiscale in Italia.


Ancora, si consideri il caso di una cittadina italiana che si è trasferita all'estero, dove svolge un'attività lavorativa in smart working, e ha mantenuto l'iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d'imposta. Tale contribuente, anche qualora avesse trasferito all'estero il suo domicilio e la sua dimora abituale, continuerà a qualificarsi come residente in Italia in ragione del requisito anagrafico, per cui dovrà sottoporre a tassazione tutti i suoi redditi nello Stato italiano, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile (si veda, nel prosieguo, par. 4.1).


Analogamente, il cittadino italiano iscritto all'AIRE per la maggior parte del periodo di imposta, che abbia sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale sia indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante dall'iscrizione all'AIRE (o altro Stato estero), potrà considerarsi fiscalmente residente in Italia qualora vi mantenga la dimora abituale, dalla quale svolga la prestazione lavorativa con modalità agile.


Tali principi sono stati coerentemente applicati nella prassi più recente, maturata a seguito dell'emergenza pandemica.


A tal riguardo si rinvia, tra le altre, alla risposta a interpello n. 458/2021, resa a fronte di un quesito riguardante il trattamento fiscale da applicare alle retribuzioni da lavoro dipendente erogate a soggetti non residenti che a causa dell'emergenza hanno svolto, per la maggior parte del periodo d'imposta, l'attività lavorativa in Italia, in smart working, invece che nel Paese estero.


La scrivente ha dapprima ribadito che l'attività di lavoro dipendente è esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente mentre svolge il lavoro a fronte del quale gli è corrisposto il reddito, per poi precisare che una persona fisica iscritta all'AIRE e rientrata in Italia unicamente a seguito dell'emergenza Covid-19 è considerata fiscalmente residente in Italia secondo le vigenti disposizioni interne, in quanto ha il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d'imposta.


Ancora, nella risposta a interpello n. 626/2021 è stato chiarito che il reddito percepito da una cittadina italiana iscritta all'AIRE a fronte di un'attività di lavoro svolta in smart working dall'Italia alle dipendenze di una società estera, è imponibile, secondo il dettato della normativa interna, nel luogo di prestazione dell'attività lavorativa, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile (si veda, nel prosieguo, par. 4.2.1).


Del pari, una persona che si è cancellata dalle anagrafi della popolazione residente in Italia e si è trasferita in uno degli Stati o territori individuati nel decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999 per svolgere un'attività di lavoro da remoto per un datore di lavoro localizzato in un terzo Stato, salvo prova contraria, continuerà ad essere considerata residente e soggetta a tassazione in Italia per tutti i suoi redditi.


Coerentemente non si considera assoggettabile ad imposizione il soggetto non residente in Italia (in quanto non integra alcuno dei presupposti di cui all'articolo 2 del TUIR) che dal suo Paese di residenza rende le prestazioni per un datore di lavoro italiano. In tal caso, il lavoratore continua a mantenere la residenza all'estero a prescindere dalla sede in Italia del datore di lavoro.



2. Regimi speciali applicabili in caso di svolgimento dell'attività lavorativa in Italia


Al precedente paragrafo 1.2 viene chiarito che, a fronte dell'incremento, negli ultimi anni, dell'impiego di forme di lavoro definite "agili" che ha coinvolto imprese, professionisti e comparto pubblico, non sono state apportate modifiche alla normativa interna che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza delle persone fisiche a fini fiscali. Continuano, pertanto, ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 2 del TUIR e, al riguardo, nessuna valenza rettificativa va ascritta alla modalità con la quale viene prestata l'attività lavorativa (i.e. lavoro da remoto o smart working).


Tale assunto rileva anche ai fini dell'applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere un'attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano, disciplinati dall'articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. "regime speciale per lavoratori impatriati") nonché dall'articolo 44 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 ("regime speciale per docenti e ricercatori").


Chiarimenti in ordine all'applicazione dei predetti regimi sono stati forniti con la circolare 23 maggio 2017, n. 17/E, con la circolare 28 dicembre 2020, n. 33/E e con la circolare 25 maggio 2022, n. 17/E.


Prima di approfondire separatamente i due regimi, va rilevato che entrambi presuppongono il trasferimento della residenza in Italia da parte del soggetto che ne fruisce, ossia l'instaurazione di un collegamento sostanziale con il territorio dello Stato, che implichi un'interazione effettiva con la realtà italiana. Inoltre, è altresì necessario che prima del trasferimento in Italia la persona fisica abbia mantenuto la residenza fiscale all'estero per un periodo di tempo minimo, variabile a seconda dell'agevolazione interessata.


In particolare, nell'individuare i soggetti che possono beneficiare dei predetti regimi agevolativi, le disposizioni applicabili richiedono espressamente il trasferimento della residenza in Italia, ai sensi del citato articolo 2 del TUIR, rilevando a tal riguardo la nozione di residenza applicabile ai fini reddituali. L'accesso ai regimi agevolativi è consentito, altresì, alle persone fisiche in grado di superare la presunzione di residenza in Italia di cui al comma 2-bis del medesimo articolo 2 del TUIR (cfr. circolare n. 17/E del 2017).


In particolare si osserva che l'articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, prevede, al comma 1, che "I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:


a) i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni;


b) l'attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano".


L'accesso a detto regime speciale, ai sensi del successivo comma 2, è consentito anche ai cittadini dell'Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, a condizione che:


a) siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto "continuativamente" un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero


b) abbiano svolto "continuativamente" un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una "specializzazione post lauream".


Secondo quanto previsto dal successivo comma 3 del citato articolo 16, detto regime è applicabile in via temporanea, a partire dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i successivi periodi di imposta agevolabili, relativamente ai soli redditi che si considerano "prodotti in Italia". Tale previsione è in linea con la finalità delle norme, tese ad agevolare i soggetti che si trasferiscono in Italia per svolgervi la loro attività e, in particolare, con il tenore letterale del citato articolo 16 - norma di carattere generale per l'ampiezza dei destinatari ai quali si rivolge - in base al quale sono agevolabili i redditi prodotti in Italia. Per individuare tali redditi si rinvia ai criteri di collegamento con il territorio dello Stato previsti dall'articolo 23 del TUIR, il quale considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero. In linea generale, quindi, l'esenzione non spetta per i redditi derivanti da attività di lavoro prestata fuori dai confini dello Stato (cfr. circolare n. 17/E del 2017).


In definitiva, può accedere al "regime speciale per lavoratori impatriati" il soggetto che trasferisce la propria residenza in Italia, pur continuando a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, a partire dal periodo d'imposta in cui avviene il trasferimento in Italia.


Al contrario, non potrà continuare a fruire dell'agevolazione in esame il soggetto che, trasferitosi a lavorare in Italia, successivamente traslochi all'estero pur continuando a svolgere dalla nuova località la propria prestazione lavorativa per il medesimo datore di lavoro italiano in modalità smart working, in quanto in tal caso i redditi si considerano prodotti fuori dal territorio italiano.


Il regime speciale per docenti e ricercatori è, invece, disciplinato dal citato articolo 44 del decreto legge n. 78 del 2010, ai sensi del quale "Ai fini delle imposte sui redditi è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il novanta per cento degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all'estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato".


Ai fini dell'applicazione di questa agevolazione è richiesto che sussista un collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia del docente o del ricercatore e lo svolgimento dell'attività produttiva del reddito agevolabile. La verifica di detto collegamento risponde alla ratio della norma di agevolare tutti i residenti all'estero, sia italiani che stranieri, i quali per le loro particolari conoscenze scientifiche possono favorire lo sviluppo della ricerca e la diffusione del sapere in Italia, trasferendovi il know how acquisito attraverso l'attività svolta all'estero (cfr. circolare n. 17/E del 2017). Da ciò deriva che, contrariamente ai chiarimenti forniti per il regime impatriati, un docente o un ricercatore trasferitosi in Italia che intrattenga un rapporto di lavoro con un Ente o con una Università situata in uno Stato estero, per cui svolge la propria attività di docenza o ricerca in modalità smart working non potrà beneficiare dell'agevolazione in commento per i relativi redditi in quanto non sussiste un collegamento tra il trasferimento in Italia e lo svolgimento di una attività di docenza e/o ricerca nel territorio dello Stato.



3. I trasferimenti fittizi di residenza all'estero


La necessità di fornire chiarimenti interpretativi in relazione a fattispecie connotate dalla prestazione di attività lavorativa in modalità agile è strettamente connessa all'esigenza di contrastare casi di residenze all'estero non genuine.


Seppur il fenomeno dei trasferimenti fittizi di residenza è risalente, a seguito della diffusione di modalità di lavoro agile esso risulta ulteriormente acuito, in quanto la modalità di prestazione lavorativa a distanza rende meno immediata l'individuazione del luogo di presenza fisica del lavoratore nel corso dell'anno. Inoltre, sono stati riscontrati fenomeni nuovi, come i casi di persone che in epoca pre-pandemica avevano trasferito la residenza all'estero (anche ai fini anagrafici) e, rientrate in Italia durante l'emergenza sanitaria, sono rimaste a lavorare in modalità agile nel nostro Paese anche dopo la cessazione dello stato di crisi, omettendo, però, di rettificare il dato formale dell'iscrizione anagrafica.


Al riguardo si osserva che la circolare 20 giugno 2022, n. 21, al paragrafo 1.5.2, ribadisce che "La fittizia allocazione all'estero della residenza fiscale continua ad essere oggetto di specifica analisi investigativa, sfruttando, in modo mirato e sistematico, le informazioni disponibili nelle banche dati in uso e i dati di fonte estera, anche di natura finanziaria, derivanti in particolare dallo scambio automatico, quali, inter alia, le informazioni pervenute tramite il Common Reporting Standard (CRS). In merito, è previsto un costante monitoraggio dei soggetti (AIRE), sviluppando nuovi dispositivi di contrasto del fenomeno illecito mediante nuove e più avanzate forme di analisi di rischio e valorizzando al contempo dati esterni detenuti, inter alia, dai Comuni con i quali l'Agenzia stipula appositi protocolli operativi".


Le criticità derivanti dalle residenze estere fittizie sono state ben evidenziate già nella citata circolare ministeriale del 2 dicembre 1997, n. 304 (risalente ma ancora attuale nelle indicazioni rese), in cui è affermata la necessità di "dare impulso ad attività di tipo investigativo e di "intelligence" che consentano di individuare i casi in cui il trasferimento della residenza anagrafica rappresenta un facile espediente posto in essere da cittadini italiani che di fatto hanno mantenuto la residenza o il domicilio in Italia".


La circolare n. 304 rileva, altresì, come in presenza del requisito formale della cancellazione anagrafica (con contestuale iscrizione all'AIRE), l'indagine deve concentrarsi sulla verifica dei criteri alternativi di residenza e domicilio, da intendersi secondo l'approccio qualitativo sopra ricordato.


L'obiettivo da perseguire attraverso le indagini è "l'accertamento della simulazione di un soggetto che: - nonostante le risultanze anagrafiche attestanti il trasferimento della residenza all'estero, mantenga il centro dei propri interessi rilevanti in Italia". In altri termini, occorre che "dalle indagini scaturisca una valutazione d'insieme dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro Paese".


Da quanto precede, quindi, emerge che il dato formale dell'iscrizione all'AIRE e la circostanza di prestare l'attività lavorativa parzialmente o integralmente da remoto per un soggetto estero non sono di per sé elementi sufficienti a escludere la residenza fiscale in Italia qualora, da una valutazione complessiva dei rapporti economici, patrimoniali e affettivi, risultino integrati i più volte citati criteri di individuazione della residenza fiscale nel nostro Paese.


Del pari, lo svolgimento a distanza dell'attività lavorativa in un Paese diverso da quello di stabilimento dell'operatore economico non esclude la possibilità che tale attività venga valutata sotto il profilo sostanziale.



4. Applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni


4.1 La residenza fiscale nella normativa convenzionale


La normativa interna deve essere coordinata con le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia con i singoli Stati esteri, la cui prevalenza sul diritto interno è pacificamente riconosciuta nell'ordinamento italiano e, in ambito tributario, sancita dall'articolo 169 del TUIR e dall'articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, oltre ad essere stata affermata dalla giurisprudenza costituzionale (si vedano, sentenze della Corte Cost. 26 novembre 2009, n. 311, e 24 ottobre 2007 n. 348 e n. 349).


Con riferimento alla residenza fiscale, viene in rilievo l'articolo 4 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, sostanzialmente mutuata dai Trattati internazionali conclusi dall'Italia.


Il paragrafo 1 della disposizione convenzionale citata stabilisce che "ai fini della presente Convenzione, l'espressione "residente in uno stato contraente" designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta a motivo del suo domicilio, residenza, sede di direzione o di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono assoggettate ad imposta in questo Stato soltanto per il reddito che esse ricavano da fonti situate in detto Stato".


Per l'individuazione della residenza fiscale si rimanda, dunque, innanzitutto alla definizione adottata nella legislazione degli Stati contraenti.


Solo ove le normative domestiche degli Stati contraenti entrino in conflitto, qualificando entrambe la persona come residente, il successivo paragrafo 2 interviene stabilendo che la fattispecie debba essere risolta con l'attribuzione della residenza ad uno solo dei due Paesi, mediante l'applicazione, secondo un criterio gerarchico, di specifiche regole (c.d. tie breaker rules).


Questo potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui un soggetto acquisisca la residenza del Paese in cui è contrattualmente fissata la propria sede lavorativa, ma mantenga, in virtù di quanto sopra precisato, la dimora abituale o il domicilio in Italia, anche in virtù della possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in tutto o in parte con modalità agili.


In siffatte circostanze, le regole convenzionali fanno prevalere il criterio dell'abitazione permanente cui seguono, in via subordinata, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.


Riguardo alla nozione di abitazione permanente, nella risposta a interpello n. 173/2023 è stato operato un rinvio al Commentario all'articolo 4, paragrafo 2, del Modello OCSE, in cui si chiarisce, ai punti 12 e 13, la nozione di abitazione che una persona fisica mantiene ed organizza per un utilizzo permanente. Si tratta, dunque, di un immobile attrezzato e reso idoneo ad una lunga permanenza nello stesso. A prescindere dalla tipologia dell'abitazione e dal titolo giuridico in base al quale se ne dispone, ciò che rileva è la circostanza che la persona fisica abbia predisposto l'abitazione per utilizzarla in modo duraturo e continuo e non occasionalmente ai fini di una breve permanenza (come ad esempio per un viaggio di piacere, un viaggio di affari o per fini di studio etc.).


Inoltre, come chiarito nella risposta n. 294/2019, quando la persona fisica dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, sarà considerata residente, in virtù del criterio del centro degli interessi vitali, nel Paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette. Ove non sia possibile individuare la residenza del contribuente in base ai due criteri sopra citati, una persona fisica sarà considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente (criterio della dimora abituale). Quando i primi tre criteri non sono dirimenti, il contribuente sarà considerato residente dello Stato contraente la Convenzione di cui possiede la nazionalità. Quando, infine, una persona fisica ha la nazionalità di entrambi i Paesi o di nessuno di essi, gli Stati contraenti la Convenzione risolveranno la questione di comune accordo.


L'applicazione della normativa convenzionale presenta particolare rilevanza proprio per le implicazioni sullo smart working, tenuto conto della possibilità di lavorare per un soggetto stabilito in uno Stato estero, partner negoziale di un Trattato, senza per questo modificare la propria residenza.


A titolo esemplificativo, si rinvia al caso suesposto del cittadino italiano che si è trasferito all'estero, dove svolge un'attività lavorativa in smart working, e che ha mantenuto l'iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d'imposta. Si ipotizzi che il contribuente abbia venduto l'appartamento che manteneva in Italia e acquistato un immobile nello Stato estero come sua abitazione permanente. Si ipotizzi, altresì, che la medesima persona sia iscritta anche all'anagrafe dello Stato di trasferimento e che, pertanto, tale Stato la consideri residente in base alla sua normativa interna. Per dirimere il conflitto di residenza trovano applicazione le tie breaker rules stabilite nel Trattato tra l'Italia e lo Stato estero. In particolare, l'abitazione permanente in quest'ultimo, dove il lavoratore svolge smart working, può configurare il criterio dirimente ai fini della determinazione della residenza.


In un differente caso, nella risposta ad interpello n. 127/2023, l'Agenzia ha chiarito che il soggetto iscritto all'AIRE, che rientra in Italia, presso l'abitazione dei genitori, a svolgere da remoto (in smart working) un'attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro inglese, trasferendo nel territorio dello Stato la propria residenza (ai sensi del codice civile) e la propria abitazione permanente (rilevante ai fini dell'articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito), per la maggior parte del periodo d'imposta, si qualifica fiscalmente residente in Italia. Pertanto, i redditi erogati dal datore di lavoro del Regno Unito, a fronte dell'attività lavorativa svolta nel nostro Paese in modalità smart working, devono essere assoggettati ad imposizione esclusiva in Italia, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione tra Italia e Regno Unito (in quanto il contribuente risulta residente in Italia e l'attività lavorativa viene svolta nel nostro Paese).


Va rimarcato che, in assenza di conflitto con le normative interne di Stati che hanno concluso una Convenzione con l'Italia, oppure in assenza di una specifica Convenzione contro le doppie imposizioni, la disposizione di riferimento per la determinazione della residenza fiscale resta unicamente il citato articolo 2 del TUIR.



4.2 Applicazione delle Convenzioni allo smart working


Come anticipato, le nuove modalità di lavoro agile sono per lo più connotate da una parziale o totale recisione dei vincoli di presenza fisica del prestatore nel territorio di un determinato Stato per lo svolgimento dell'attività.


Questo nuovo modello organizzativo necessita di alcuni chiarimenti di coordinamento con le disposizioni convenzionali che ripartiscono la potestà impositiva in relazione a determinati redditi, con particolare riferimento agli articoli del Modello OCSE: 15 (Redditi di lavoro dipendente), 7 (Utili d'impresa), 5 (Stabile organizzazione), e 14 (Professioni Indipendenti) [2] come recepiti nei Trattati conclusi dall'Italia.



4.2.1 Redditi di lavoro dipendente


L'articolo 15 del Modello OCSE, sostanzialmente recepito nelle Convenzioni negoziate dall'Italia, prevede, al paragrafo 1, la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro subordinato nello Stato di residenza del contribuente, a meno che tale attività lavorativa non venga svolta nell'altro Stato contraente; in tale ultima ipotesi i predetti redditi devono essere assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi.


Le disposizioni contenute nel paragrafo 1 del citato articolo 15 stabiliscono, in primo luogo, la tassazione esclusiva dei redditi di lavoro dipendente nello Stato di residenza quando l'attività è ivi svolta. Nel caso in cui lo Stato di residenza e quello della fonte (ossia lo Stato in cui è stata svolta l'attività lavorativa che ha prodotto il reddito) non coincidano, si applica un regime di imposizione concorrente.


Si osserva, poi, che, ai sensi del paragrafo 2 dell'articolo 15 del Modello, viene ripristinata la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche quando l'attività lavorativa è svolta nello Stato della fonte, ove ricorrano congiuntamente tre condizioni:


- il beneficiario dei redditi di lavoro dipendente soggiorna nello Stato della fonte per periodi che non oltrepassano in totale i 183 giorni nell'anno fiscale considerato;


- le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente nello Stato della fonte;


- l'onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato della fonte.


In applicazione delle disposizioni convenzionali, quindi, un soggetto non residente che svolge la sua attività di lavoro dipendente in Italia è assoggettato a imposizione nel nostro Paese in relazione ai redditi imputabili all'attività prestata nel territorio dello Stato. Tale conclusione non è inficiata dalle modalità di svolgimento della prestazione. In altri termini, anche qualora questa venga svolta da remoto per un datore di lavoro estero, si considera comunque prestata in Italia, con conseguente riconoscimento della potestà impositiva italiana.


Infatti, come precisato nel paragrafo 1 del Commentario all'articolo 15 del Modello OCSE, "Paragraph 1 establishes the general rule as to the taxation of income from employment (other than pensions), namely, that such income is taxable in the State where the employment is actually exercised. […] Employment is exercised in the place where the employee is physically present when performing the activities for which the employment income is paid. One consequence of this would be that a resident of a Contracting State who derived remuneration, in respect of an employment, from sources in the other State could not be taxed in that other State in respect of that remuneration merely because the results of this work were exploited in that other State".


In sintesi, il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato, indipendentemente dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell'altro Stato contraente.


La disposizione convenzionale è, inoltre, coerente con l'articolo 23, comma 1, lett. c), del TUIR che considera prodotti in Italia "i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato".


Esemplificando, si ipotizzi il caso di un cittadino italiano che prima della pandemia da Covid-19 sia stato assunto da un'impresa stabilita nello Stato X (con cui l'Italia ha in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni), dove ha provveduto a trasferire la residenza. In occasione dell'emergenza sanitaria, il lavoratore ha iniziato a fruire del lavoro agile, che ha svolto in Italia per sua scelta o per l'impossibilità di rientrare nello Stato X a causa delle limitazioni alla circolazione dettate da ragioni sanitarie. Cessate le restrizioni alla circolazione, il lavoratore continua a svolgere comunque in Italia le sue prestazioni in smart working.


In tal caso, prescindendo da qualunque valutazione sulla effettiva residenza del lavoratore, i redditi da quest'ultimo percepiti per il lavoro svolto da remoto nel territorio dello Stato, sia durante l'emergenza pandemica sia successivamente alla cessazione della crisi, sono imponibili in Italia.


Non assume, quindi, rilevanza né la circostanza che, in assenza di accordi di smart working, il lavoratore si dovrebbe recare fisicamente presso i locali dell'impresa nello Stato X, né l'eventuale origine forzosa dello stabilimento a causa delle restrizioni alla circolazione.


Tale conclusione trova riscontro nella risposta ad interpello n. 50/2023, in cui è stato chiarito che il reddito da lavoro dipendente, erogato ad un soggetto fiscalmente residente in Italia da parte di un datore di lavoro irlandese, a fronte di una attività lavorativa svolta in parte dall'Italia, in modalità smart working, e in parte in Irlanda, presso la sede della società, deve, ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Irlanda, essere assoggettato a tassazione esclusiva in Italia (Stato di residenza), per la parte derivante dall'attività svolta in smart working in Italia, ed a tassazione concorrente, sia in Italia (Stato di residenza) che in Irlanda (Stato di svolgimento dell'attività), per la parte derivante dall'attività svolta in Irlanda.


In senso analogo, nella risposta a interpello n. 626/2021, in cui, come anticipato al par. 1.2, è stato esaminato il caso di un soggetto non residente percettore di redditi a fronte di un'attività di lavoro dipendente svolta in smart working dall'Italia, l'Agenzia ha ritenuto che ricorra una imposizione concorrente in Italia (Stato di prestazione dell'attività lavorativa) e in Lussemburgo (Stato di residenza), ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra i due Stati, con riconoscimento del credito di imposta da parte del Lussemburgo.



4.2.2 Lo smart working nel periodo emergenziale causato dall'epidemia da Covid-19


Il Segretariato dell'OCSE, con la Guidance del 3 aprile 2020, successivamente aggiornata il 21 gennaio 2021, ha pubblicato i risultati di un'analisi sull'impatto della crisi da Covid-19 sull'applicazione delle Convenzioni in ambito tributario, in cui ha focalizzato l'attenzione sugli effetti che le misure sanitarie restrittive, adottate dai Paesi a seguito della pandemia, hanno avuto sui trattati internazionali.


Nello specifico, l'analisi del Segretariato riguarda le conseguenze fiscali delle misure di contrasto alla pandemia rispetto alla residenza (di persone fisiche e giuridiche), ai redditi di lavoro e alla configurabilità di una stabile organizzazione.


In considerazione dell'eccezionalità e della temporaneità della crisi, il documento propone un approccio volto alla "sterilizzazione" delle modifiche organizzative resesi necessarie a causa della pandemia.


Nel documento pubblicato dall'OCSE è stato precisato che l'analisi ivi contenuta rappresenta il punto di vista del Segretariato sull'interpretazione delle disposizioni convenzionali, riconoscendo ad ogni giurisdizione la possibilità di adottare proprie indicazioni per fornire certezza fiscale ai contribuenti.


Le predette indicazioni, inoltre, riguardano unicamente i canoni ermeneutici delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni e, pertanto, non sono rilevanti al fine di interpretare la normativa interna.


Alcuni Paesi hanno adottato misure, amministrative o legislative, in linea con quelle prospettate dal Segretariato, il cui elenco è rinvenibile sul sito OCSE.


Con riferimento all'Italia, la competente autorità fiscale ha tenuto conto dell'analisi svolta dal Segretariato dell'OCSE concludendo Accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell'articolo 15 (lavoro subordinato) delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, con i seguenti Stati:


- Austria: Accordo concluso il 24/26 giugno 2020, concernente i soli lavoratori frontalieri, ed applicabile alle attività lavorative svolte tra l'11 marzo 2020 e il 30 giugno 2022;


- Francia: Accordo concluso il 16/23 luglio 2020, concernente i lavoratori subordinati e i frontalieri, applicabile dal 12 marzo 2020 fino al 30 giugno 2022;


- Svizzera: Accordo concluso il 18/19 giugno 2020, concernente i lavoratori subordinati e frontalieri, applicabile dal 24 febbraio 2020 al 31 gennaio 2023. Per i soli lavoratori frontalieri rientranti nell'ambito dell'applicazione dell'Accordo e nei limiti del 40 per cento del tempo di lavoro, gli effetti del medesimo Accordo sono stati sostanzialmente estesi al 30 giugno 2023 dall'articolo 12 della legge 13 giugno 2023, n. 83. Inoltre, l'articolo 24, comma 5-ter, del decreto legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito in legge 10 agosto 2023 n. 112, ha previsto che le disposizioni di cui all'articolo 12 della legge 13 giugno 2023, n. 83, si applichino fino al 31 dicembre 2023 ai soli lavoratori frontalieri che, alla data del 31 marzo 2022, svolgevano la loro attività lavorativa in modalità di telelavoro (sul punto si rinvia alla Parte Seconda).


Proprio in relazione a tale ultimo Accordo, nella risposta ad interpello n. 55/2023, riguardante redditi da lavoro dipendente per l'annualità 2021, l'Agenzia ha chiarito che, ai fini dell'interpretazione dell'articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione, in via eccezionale e provvisoria, i giorni di lavoro svolti a domicilio nello Stato di residenza del Contribuente a causa delle misure adottate per impedire la diffusione del Covid-19, alle dipendenze di un datore di lavoro situato nell'altro Stato contraente la Convenzione, devono essere considerati come giorni di lavoro svolti nello Stato in cui la persona avrebbe lavorato e ricevuto in corrispettivo il reddito di lavoro dipendente in assenza di tali misure.


Come rilevato nella risposta ad interpello n. 99/2023, l'analisi del Segretariato OCSE sull'impatto del Covid-19 sui Trattati è stata accolta dall'Italia unicamente nei limiti dei richiamati Accordi amministrativi con Austria, Francia e Svizzera; tali accordi non possono esplicare effetti nei riguardi di altri Stati.


Ad oggi, peraltro, con la dichiarata fine dello stato di pandemia, i menzionati Accordi internazionali hanno cessato di avere efficacia; pertanto, risultano applicabili le ordinarie disposizioni contenute nelle rispettive Convenzioni contro le doppie imposizioni ed accordi internazionali. Per la disciplina speciale transitoria introdotta, in relazione ai frontalieri svizzeri, dalla legge n. 83 del 2023, si rinvia alla Parte Seconda.



4.3 Stabile organizzazione e base fissa


Considerazioni analoghe a quelle svolte per i redditi da lavoro dipendente valgono anche ai fini del riconoscimento di una stabile organizzazione o una base fissa.


L'articolo 7 del Modello OCSE dispone che i redditi d'impresa siano tassati esclusivamente nello Stato di residenza, a meno che nell'altro Stato sussista una stabile organizzazione che l'articolo 5 definisce come una sede fissa attraverso cui l'impresa non residente svolge in tutto o in parte la sua attività.


L'articolo 14 stabilisce che i redditi da lavoro autonomo sono tassati esclusivamente nello Stato di residenza, salvo il caso in cui tali redditi siano imputabili a una base fissa che il professionista mantiene nell'altro Stato contraente.


Sulla base di quanto emerge nel Commentario al Modello OCSE [3], il concetto di "base fissa" non differisce da quello di "stabile organizzazione", né ai fini della configurabilità, né con riguardo ai criteri di attribuzione dei redditi.


Pertanto, secondo i chiarimenti resi nel Commentario all'articolo 5, i presupposti di esistenza di una stabile organizzazione (o base fissa) possono sintetizzarsi in:


1) esistenza della sede d'affari nella disponibilità dell'impresa o del professionista;


2) fissità spaziale e temporale della sede d'affari;


3) svolgimento dell'attività d'impresa o professionale in tutto o in parte per mezzo della sede fissa d'affari.


I requisiti suesposti si ritengono integrati anche nel caso di una persona fisica che svolge, nel territorio dello Stato, attività d'impresa o di lavoro autonomo da remoto.


Ad esempio, qualora un architetto che dispone di uno studio professionale nello Stato Z decida di trascorrere parte dell'anno in Italia dove continua a elaborare progetti che poi spedisce tramite email ai committenti con i quali effettua videochiamate, occorre valutare l'esistenza di una base fissa.


In buona sostanza, come per i redditi di lavoro dipendente, non si ritiene che la modalità agile alteri i tradizionali criteri di attribuzione della potestà impositiva dettati dalle previsioni convenzionali.


Tali conclusioni sono coerenti con i criteri di territorialità dettati, a livello interno, dall'articolo 23 del TUIR che considera prodotti in Italia:


- i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato (comma 1, lettera d);


- i redditi d'impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni (comma 1, lettera e).


I chiarimenti resi, riguardanti la configurabilità di una stabile organizzazione in Italia, non incidono sulla presunzione di indipendenza di cui all'articolo 162, comma 7-ter, del TUIR.


Come noto, infatti, la legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023) ha introdotto nell'ordinamento italiano la cosiddetta Investment Management Exemption (la cui trattazione sarà oggetto di un altro specifico documento di prassi). Nello specifico, l'articolo 162, comma 7-ter, del TUIR stabilisce che si considera indipendente dal veicolo di investimento non residente, con conseguente esclusione di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, il soggetto, residente o non residente anche operante tramite propria stabile organizzazione nel territorio dello Stato, che, in nome o per conto del veicolo di investimento non residente o di sue controllate, dirette o indirette, e anche se con poteri discrezionali, abitualmente concluda contratti di acquisto, di vendita o di negoziazione, o comunque contribuisca, anche tramite operazioni preliminari o accessorie, all'acquisto, alla vendita o alla negoziazione di strumenti finanziari, anche derivati e comprese le partecipazioni al capitale o al patrimonio, e di crediti. La presunzione di cui al comma 7-ter opera al ricorrere delle condizioni di cui al successivo comma 7-quater.


Si ribadisce, in conclusione, che, ai fini dell'applicazione della presunzione introdotta dal legislatore al comma 7-ter dell'articolo 162 del TUIR, non sono rilevanti i chiarimenti forniti nella presente circolare.


[1] A titolo meramente esemplificativo, data l'ampiezza della casistica, si menzionano le risposte pubblicate nel mese di gennaio 2023: n. 50 e n. 55 del 17 gennaio 2023, n. 75 del 18 gennaio 2023, n. 127 del 20 gennaio 2023, n. 171 del 26 gennaio 2023.


[2] L'articolo 14 è stato stralciato dal Modello OCSE 2020 il 29 aprile 2020, sulla base del Report "Issues Related to Article 14 of the OECD Model Tax Convention" adottato dalla Commissione Affari Fiscali il 27 gennaio 2020, nell'assunto che non sussista una differenza significativa con il concetto di stabile organizzazione di cui all'articolo 5 del medesimo Modello. L'articolo 14 è tuttavia presente nelle Convenzioni concluse dall'Italia.


[3] Si veda, in particolare, la parte di Commentario relativa alla precedente versione dell'articolo 7, in cui sono chiarite le ragioni dell'eliminazione dell'articolo 14.




Parte seconda. la disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri. le novità introdotte dalla legge 13 giugno 2023 n. 83


La definizione di lavoratore frontaliere non ha valenza univoca per tutte le aree del diritto, variando a seconda del settore oggetto di analisi.


La normativa europea fornisce, ad esempio, una specifica definizione di lavoratore frontaliere applicabile ai fini della legislazione sulla sicurezza sociale [4].


Per questo specifico settore, il lavoratore frontaliere viene inquadrato come quel lavoratore, sia dipendente che autonomo, che svolge la propria attività in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede e che ritorna nello Stato di residenza, in linea di massima, quotidianamente o almeno una volta alla settimana.


Tale inquadramento non è tuttavia automaticamente estensibile al settore tributario, per il quale la disciplina del lavoratore frontaliere, tanto ai fini definitori, quanto ai fini della regolamentazione della tassazione, deve essere ricercata nelle legislazioni nazionali e nelle singole Convenzioni contro le doppie imposizioni e/o accordi stipulati tra gli Stati di volta in volta interessati.



1. La definizione di "frontaliere" nella normativa interna e i relativi profili impositivi


La normativa tributaria italiana dedica una specifica disposizione ai lavoratori frontalieri, all'articolo 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, il quale prevede che tali soggetti, relativamente al reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all'estero, usufruiscono di una franchigia da imposizione dall'IRPEF di 7.500 euro. Tale franchigia, peraltro, è stata aumentata, a decorrere dal 2024, a 10.000 euro per effetto dell'articolo 4 della legge 13 giugno 2023, n. 83 (sul punto, si veda il successivo paragrafo 2.4.4 della Parte Seconda).


Il regime in discorso, come chiarito dalla prassi dell'Agenzia delle entrate concernente le previgenti disposizioni di contenuto analogo - e pertanto tutt'ora valida [5] - è applicabile, esclusivamente ai lavoratori dipendenti che:


- sono residenti in Italia;


- quotidianamente, si recano all'estero per svolgere la propria prestazione lavorativa, in zone di frontiera (quali ad esempio quelle in Francia, Austria, San Marino, Stato Città del Vaticano), o in Paesi limitrofi (quali ad esempio il Principato di Monaco).


Con specifico riferimento ai lavoratori residenti in Italia che lavorano nello Stato della Città del Vaticano, si ricorda che la franchigia - fermo restando i requisiti di cui sopra - trova applicazione solo per coloro le cui retribuzioni non sono esenti dall'IRPEF ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 601, in quanto corrisposte da soggetti diversi dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede.



2. La definizione del lavoratore frontaliere nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni e negli Accordi internazionali stipulati dall'Italia e profili di tassazione


La disciplina tributaria del lavoratore frontaliere è contenuta anche in alcune Convenzioni contro le doppie imposizioni e accordi stipulati dall'Italia con gli Stati confinanti. In particolare, discipline specifiche sono previste nei seguenti Trattati e Accordi:


- Convenzione tra Italia e Austria per evitare le doppie imposizioni e relativo Protocollo aggiuntivo, firmata a Vienna il 29 giugno 1981 e ratificata con legge 18 ottobre 1984 n. 762, e Protocollo di modifica firmato a Vienna il 25 novembre 1987 e ratificato con legge 16 ottobre 1989, n. 365;


- Convenzione tra Italia e Francia per evitare le doppie imposizioni e relativo Protocollo, firmata a Venezia il 5 ottobre 1989 e ratificata con legge 7 gennaio 1992, n. 20;


- Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni e relativo Protocollo, firmata a Roma il 21 marzo 2002 e ratificata con legge 19 luglio 2013, n. 88, e Protocollo di modifica firmato a Roma il 13 giugno 2012 e ratificato con legge 19 luglio 2013 n. 88;


- Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni e relativo Protocollo, firmata a Roma il 9 marzo 1976 e ratificata con legge 23 dicembre 1978, n. 943, e Protocollo di modifica firmato a Milano il 23 dicembre 2015 e ratificato con legge 4 maggio 2016 n. 69; Accordo relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine, firmato a Roma il 3 ottobre 1974, ratificato con legge 26 luglio 1975, n. 386; Accordo relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri, firmato a Roma il 23 dicembre 2020, ratificato con legge 13 giugno 2023 n. 83, pubblicata nella G.U. n. 151 del 30 giugno 2023.


La normativa internazionale contenuta nelle suddette Convenzioni è in linea con la facoltà riconosciuta al paragrafo 10 del Commentario OCSE all'articolo 15 del Modello di Convenzione, secondo cui "It should be noted that no special rules regarding the taxation of income of frontier workers (…) are included as it would be more suitable for the problems created by local conditions to be solved directly between the States concerned."


Ferma restando la prevalenza sull'ordinamento interno, la funzione di tale normativa convenzionale è quella di regolamentare la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati, per cui, una volta attribuita la potestà impositiva allo Stato italiano, l'applicazione della normativa interna resta condizionata alla sussistenza dei requisiti previsti da quest'ultima. Pertanto, l'applicazione della franchigia da imposizione prevista dall'articolo 1, comma 147, della legge 147/2013, richiede la sussistenza di tutte le condizioni applicative individuate nel precedente paragrafo 1.



2.1 La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Austria


La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Austria dedica una specifica disposizione ai lavoratori frontalieri all'interno dell'articolo 15 in materia di lavoro subordinato.


In particolare, il paragrafo 4 del citato articolo 15 dispone che "Allorché una persona fisica residente di uno Stato contraente nei pressi della frontiera svolge un'attività dipendente nell'altro Stato contraente, sempre nei pressi della frontiera, ed attraversa abitualmente la frontiera stessa per recarsi al lavoro, essa è imponibile per il reddito che ritrae da tale attività soltanto nello Stato di cui è residente."


Sotto il profilo definitorio, la Convenzione inquadra come lavoratore frontaliere la persona fisica che possiede i seguenti requisiti:


- è un lavoratore dipendente;


- risiede in Italia o in Austria, nei pressi della frontiera tra i due Stati;


- svolge il proprio lavoro nello Stato contraente in cui non risiede, sempre nei pressi della frontiera tra i due Paesi;


- e attraversa abitualmente la frontiera tra i due Stati per recarsi al lavoro.


Con riferimento a tale ultimo requisito, si precisa che per ricavare il significato dell'espressione "abitualmente", non essendovi un'espressa definizione all'interno della Convenzione, occorre avere riguardo a quanto previsto dall'articolo 3, paragrafo 2, del medesimo Trattato. Tale norma prevede che "Per l'applicazione della Convenzione da parte di uno Stato contraente, le espressioni non diversamente definite hanno il significato che ad esse è attribuito dalla legislazione di detto Stato contraente relativa alle imposte oggetto della Convenzione, a meno che il contesto non richieda una diversa interpretazione."


La richiamata disposizione prevede quindi che, in assenza di una espressa definizione convenzionale, il significato di una determinata espressione debba essere ricavato sulla base della definizione prevista dalla legislazione interna. Alla luce di ciò, dovendosi applicare la definizione italiana, ne deriva che, affinché un lavoratore possa qualificarsi come frontaliere ai sensi della Convenzione tra Italia ed Austria, è necessario che lo stesso si rechi quotidianamente all'estero per svolgere la propria prestazione lavorativa.


Sotto il profilo della regolamentazione della potestà impositiva, la Convenzione stabilisce che il reddito da lavoro dipendente prestato all'estero dai lavoratori frontalieri è soggetto a tassazione esclusiva nello Stato in cui sono residenti.



2.2. La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia


Anche la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia regola il trattamento dei lavoratori frontalieri nell'ambito dell'articolo 15 relativo al lavoro subordinato, fornendo ulteriori precisazioni della disciplina al paragrafo 9 del Protocollo alla Convenzione stessa.


In particolare, l'articolo 15, paragrafo 4, della citata Convenzione prevede che "Nonostante le disposizioni precedenti del presente articolo, i redditi derivanti dal lavoro dipendente di persone abitanti nella zona di frontiera di uno degli Stati, e che lavorano nella zona di frontiera dell'altro Stato, sono imponibili soltanto nello Stato del quale dette persone sono residenti".


Il paragrafo 9 del Protocollo alla Convenzione specifica, inoltre, che "Per quanto concerne il paragrafo 4 dell'articolo 15, per zone frontaliere si intendono, per l'Italia, le Regioni, e per la Francia, i Dipartimenti, confinanti con la frontiera".


Le suindicate disposizioni convenzionali definiscono quindi come lavoratore frontaliere:


- il lavoratore dipendente;


- che risiede nelle Regioni (se in Italia) o nei Dipartimenti (se in Francia) confinanti con la frontiera tra i due Stati;


- e che lavora nello Stato contraente diverso da quello in cui risiede, in un Dipartimento (se in Francia) o in una Regione (se in Italia) confinante con la frontiera tra i due Paesi.


È inoltre necessario che il lavoratore frontaliere si rechi in linea di principio quotidianamente all'estero a svolgere la propria prestazione lavorativa.


Tale circostanza trova indiretta conferma nell'accordo interpretativo stipulato tra le competenti autorità italiane e francesi per regolamentare il trattamento dei frontalieri nel contesto dell'emergenza pandemica da Covid-19 (accordo firmato il 16/23 luglio 2020).


Sotto il profilo della ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati contraenti, la Convenzione stabilisce che i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero dai frontalieri sono soggetti a tassazione esclusiva nello Stato di residenza.



2.3 La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino


La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino regolamenta il trattamento dei soli lavoratori frontalieri residenti in Italia al paragrafo 6 del Protocollo aggiuntivo al Trattato medesimo.


La citata disposizione prevede, in particolare, che "In relazione alle disposizioni dell'Articolo 15, per quanto concerne la tassazione di lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri residenti in Italia, i due Stati contraenti convengono di applicare il sistema di tassazione concorrente, con tassazione definitiva nello Stato di residenza. La Repubblica italiana assoggetterà a tassazione il reddito lordo dei lavoratori frontalieri residenti in Italia conseguito nella Repubblica di San Marino con le modalità che saranno stabilite con legge ordinaria. La legge ordinaria potrà determinare una quota del reddito lordo dei lavoratori frontalieri esente da imposta in Italia.".


Tale disposizione stabilisce che il reddito di lavoro dipendente prestato nella Repubblica di San Marino da lavoratori frontalieri residenti in Italia è sottoposto a tassazione concorrente sia da parte dell'Italia che da parte di San Marino. La doppia imposizione derivante dalla potestà impositiva concorrente è risolta dall'Italia mediante la concessione del credito per le imposte pagate all'estero a San Marino ai sensi dell'articolo 23, paragrafo 2, della citata Convenzione.


Il citato paragrafo 6 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione tra Italia e San Marino non fornisce una precisa definizione dell'espressione "lavoratori frontalieri".


Pertanto, anche in questo caso, occorre, sulla base dei criteri ermeneutici previsti dall'articolo 3, paragrafo 2, del relativo Trattato, ricavare il significato di tale espressione facendo riferimento al significato in quel momento attribuitole dalla normativa italiana.


Di conseguenza, ai fini dell'applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino, la definizione di lavoratore frontaliere corrisponde attualmente a quella individuata al precedente paragrafo 1 della Parte Seconda della presente circolare, con riferimento alla normativa italiana.



2.4. La Convenzione contro le doppie imposizioni e gli Accordi del 1974 e del 2020 stipulati tra Italia e Svizzera


Al fine di regolare l'imposizione dei lavoratori frontalieri, nel 1974 Italia e Svizzera hanno sottoscritto un primo Accordo, costituente parte integrante della relativa Convenzione contro le doppie imposizioni.


Successivamente, il 23 dicembre 2020 i due Stati hanno concluso un nuovo accordo, che sarà applicabile dal 1° gennaio 2024, sostituendo l'Accordo del 1974.


Nei paragrafi seguenti, è illustrata la disciplina contenuta nei suddetti accordi e il regime transitorio previsto per i c.d. "attuali frontalieri".



2.4.1. L'Accordo Italia - Svizzera del 1974 in materia di imposizione del lavoro frontaliero


In data 3 ottobre 1974 Italia e Svizzera hanno sottoscritto l'Accordo relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine (di seguito anche "Accordo del 1974"), entrato in vigore con scambio di note il 27 marzo 1979.


Tale Accordo regolamenta esclusivamente l'imposizione dei frontalieri residenti in Italia che svolgono la propria attività lavorativa in Svizzera.


Come anticipato, l'Accordo in commento costituisce parte integrante della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore dal 27 marzo 1979 tra l'Italia e la Svizzera.


L'articolo 1 dell'Accordo del 1974 fissa un criterio di tassazione esclusiva nello Stato di svolgimento dell'attività lavorativa prevedendo che "i salari, gli stipendi e gli altri elementi facenti parte della rimunerazione che un lavoratore frontaliero riceve in corrispettivo di una attività dipendente" sono "imponibili soltanto nello Stato in cui tale attività è svolta".


Conseguentemente, se un soggetto residente in Italia si qualifica come lavoratore "frontaliere" in Svizzera in base all'Accordo, la sua remunerazione è imponibile soltanto in Svizzera.


L'Accordo del 1974 fornisce una definizione solo generica di lavoratore "frontaliere". Con la Risoluzione del 28 marzo 2017, n. 38/E, è stato tuttavia precisato che "la qualificazione di "frontaliero" svizzero, delineata a livello convenzionale, è da riconoscersi ai lavoratori che siano residenti in un Comune il cui territorio sia compreso, in tutto in parte, nella fascia di 20 Km dal confine con uno dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese, ove si recano per svolgere l'attività di lavoro dipendente.


In particolare, gli articoli del richiamato Accordo stipulato tra l'Italia e la Svizzera il 3 ottobre 1974 prevedono genericamente che i frontalieri "esercitano un'attività dipendente sul territorio di uno dei detti Cantoni" e non richiedono l'ulteriore condizione che l'attività sia prestata in un Cantone "frontista" rispetto al comune di residenza.


Ne consegue che solo qualora il Comune italiano di residenza del lavoratore frontaliero disti più di 20 km dal confine dei tre Cantoni svizzeri, in luogo dell'articolo 1 dell'Accordo del 3 ottobre 1974 troverà applicazione l'articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dal nostro Paese con la Confederazione Svizzera.


In tale ultima ipotesi, l'Italia, quale Stato di residenza, esercita la propria potestà impositiva sui redditi di lavoro dipendente prodotti in Svizzera e, ai sensi dell'articolo 75 della legge n. 147 del 2013, così come modificata dall'art. 1, comma 690 della legge n. 190 del 2014, applica la franchigia di euro 7.500, prevista per i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero in zone di frontiera.


Riconosce, inoltre, il credito per le imposte pagate all'estero ed, in particolare, ai sensi dell'articolo 165, comma 10, del TUIR il credito sarà riconosciuto riducendo l'imposta estera in misura corrispondente al reddito all'estero che ha concorso alla formazione del reddito complessivo".


Al riguardo, si rileva che, secondo le indicazioni fornite dall'Agenzia (cfr. anche circolare del 3 gennaio 2001, n. 1, paragrafo 1.2.2; circolari del 1° febbraio 2002 n, 15, paragrafo 13, e del 15 gennaio 2003, n. 2, paragrafo 9), devono essere riconosciuti quali lavoratori frontalieri esclusivamente quei lavoratori dipendenti che sono residenti in Italia e che quotidianamente si recano all'estero in zone di frontiera o Paesi limitrofi per svolgere la prestazione lavorativa.


Dunque va rilevato che una delle condizioni necessarie al fine di essere considerato un lavoratore frontaliere è costituita dalla circostanza che il lavoratore si rechi "quotidianamente", ossia in tutti i giorni lavorativi, in Svizzera per svolgere la propria attività.



2.4.2 Il nuovo Accordo Italia - Svizzera del 2020 in materia di imposizione del lavoro frontaliero


Tra il 2014 e il 2015, Italia e Svizzera hanno avviato le negoziazioni per un nuovo Accordo sull'imposizione dei redditi di lavoro dipendente percepiti dai frontalieri (di seguito, "nuovo Accordo"), destinato a sostituire l'Accordo del 1974.


Detto nuovo Accordo, firmato il 23 dicembre 2020 e ratificato con legge 13 giugno 2023, n. 83, entrerà in vigore a partire dall'avvenuto scambio di ratifiche tra gli Stati e sarà applicabile dall'anno successivo a tale data (ossia dal 1° gennaio 2024).


La disciplina introdotta dal nuovo Accordo appare innovativa in riferimento sia alla definizione di "lavoratore frontaliere", sia alle regole impositive applicabili. È poi previsto un regime transitorio per i soggetti che già beneficiano del regime (più favorevole) previsto dall'Accordo del 1974.


Per quanto riguarda l'individuazione dei soggetti beneficiari del regime speciale, il nuovo accordo fornisce una nuova definizione, più puntuale di quella tuttora vigente, di "lavoratore frontaliere".


In particolare, l'articolo 2, lett. b) definisce il lavoratore frontaliere come qualsiasi lavoratore residente in uno Stato contraente che:


i. è fiscalmente residente in un Comune il cui territorio si trova, totalmente o parzialmente, nella zona di 20km dal confine con l'altro Stato contraente;


ii. svolge un'attività di lavoro dipendente nell'area di frontiera dell'altro Stato, per un datore di lavoro residente, una stabile organizzazione o una base fissa di detto altro Stato;


iii. ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio principale nello Stato di residenza.


Al fine di delimitare il perimetro territoriale a cui si applica il nuovo regime, l'Accordo, all'articolo 2, lett. a), precisa che con l'espressione "area di frontiera" si indicano:


- per la Svizzera, i Cantoni di Grigioni, Ticino e Vallese, e


- per l'Italia, le Regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e la provincia autonoma di Bolzano.


Viene, dunque, specificato il limite dei 20km dalla zona di frontiera, con la puntuale elencazione dei Cantoni e delle Regioni che rilevano ai fini della qualificazione di "frontaliere".


Per quanto riguarda, invece, il ritorno in linea di principio "quotidiano" presso il proprio domicilio, il Protocollo aggiuntivo all'Accordo, al paragrafo 2, precisa che lo status di frontaliere non viene meno se il soggetto non rientra al proprio domicilio, per motivi professionali, per un massimo di 45 giorni in un anno civile, esclusi i giorni di ferie e di malattia. La disposizione in esame si applica a tutti i frontalieri ("nuovi" e "attuali").


A differenza dell'Accordo del 1974, che regola unicamente il trattamento dei lavoratori frontalieri italiani che lavorano nei Cantoni svizzeri di confine, il nuovo Accordo disciplina tanto il trattamento dei frontalieri elvetici che lavorano in Italia quanto quello dei frontalieri italiani che lavorano in Svizzera, secondo un principio di reciprocità.


La novità principale sta, tuttavia, nel regime impositivo di cui godono i frontalieri: alla tassazione esclusiva nel Paese della fonte prevista dall'Accordo del 1974 subentra la previsione di una tassazione concorrente tra Paese della fonte e Paese di residenza.


L'articolo 3, paragrafo 1, del nuovo Accordo, richiamando l'articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera, stabilisce che il reddito da lavoro dipendente percepito dai lavoratori frontalieri è imponibile nello Stato in cui è prestata l'attività lavorativa mediante ritenuta alla fonte, in misura pari fino a un massimo dell'80 per cento di quanto dovuto in base alle disposizioni sulle imposte sui redditi delle persone fisiche, comprese le imposte locali.


Lo Stato di residenza del lavoratore, a sua volta, tassa per concorrenza il reddito per l'intero ammontare, garantendo tuttavia l'eliminazione della doppia imposizione giuridica secondo quanto previsto dalle disposizioni convenzionali in vigore tra Svizzera e Italia.


Il successivo paragrafo 2 dell'articolo 3 del nuovo Accordo prevede un principio generale per cui il carico fiscale complessivo non può, comunque, essere inferiore rispetto all'imposta che sarebbe prelevata in applicazione dell'Accordo del 1974.


Per quanto riguarda i criteri per l'eliminazione dalla doppia imposizione, si precisa che la Svizzera adotta il c.d. "metodo dell'esenzione", con riserva della progressività. In particolare, un lavoratore residente in Svizzera che rientra nella categoria di frontaliere, ai sensi dell'articolo 2, lett. b) del nuovo Accordo, vedrà la sua imposizione in Italia ridotta del 20 per cento. Per quanto riguarda l'Italia, invece, l'eliminazione della doppia imposizione avviene ricorrendo al meccanismo del credito per le imposte estere (ai sensi dell'articolo 24 della Convenzione Italia-Svizzera e ai sensi dell'articolo 165 del TUIR).


Inoltre, l'articolo 7 del nuovo Accordo prevede una specifica cooperazione amministrativa, introducendo un obbligo di scambio automatico delle informazioni con cadenza annuale. In particolare, lo Stato contraente in cui viene svolta l'attività lavorativa trasmette, entro il 20 marzo dell'anno successivo, allo Stato di residenza le informazioni rilevanti ai fini dell'imposizione del frontaliere. Si tratta di dati anagrafici del lavoratore, relativi alla retribuzione e alle imposte applicate, nonché identificativi del datore di lavoro.


Le informazioni scambiate elettronicamente in base al nuovo Accordo possono essere utilizzate solamente ai fini dell'imposizione di salari, stipendi e remunerazioni analoghe ricevute dai frontalieri.


Considerata la decorrenza dell'efficacia del nuovo Accordo a partire dal 1° gennaio 2024, detto scambio sarà operativo a partire dal 2025.



2.4.3 L'eliminazione della Svizzera dall'elenco degli Stati fiscalmente privilegiati ai fini IRPEF di cui al decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999


L'articolo 12, comma 3, della legge n. 83 del 2023, alla luce del rafforzamento dei rapporti economici tra Italia e Svizzera, in virtù della ratifica del citato Accordo tra i due Stati del 23 dicembre 2020 in materia di imposizione dei lavoratori frontalieri, nonché delle specifiche disposizioni in materia di scambio di informazioni contenute nell'articolo 7 del medesimo Accordo, ha previsto, con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze, da adottare entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge medesima, l'espunzione della Svizzera dall'elenco degli Stati fiscalmente privilegiati ai fini IRPEF previsto dall'articolo 1 del decreto del Ministro delle Finanze 4 maggio 1999 (c.d. black list persone fisiche).


Con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 20 luglio 2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 175 del 28 luglio 2023, si è provveduto a dare attuazione al disposto del predetto articolo 12 e la Svizzera è stata pertanto espunta dal citato elenco degli Stati a regime fiscale privilegiato ai fini IRPEF, nel quale figurava sin dalla sua prima versione pubblicata nel 1999.


In merito alla decorrenza temporale degli effetti dell'eliminazione della Svizzera dalla citata black list, sempre l'articolo 12, comma 3, della legge n. 83 del 2023, stabilisce espressamente che "L'efficacia delle modifiche al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 di cui al primo periodo decorre dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di pubblicazione del suddetto decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Restano ferme tutte le disposizioni dell'ordinamento nazionale applicabili fino al periodo d'imposta in corso alla data di pubblicazione del decreto di cui al presente comma nonché ogni attività di accertamento effettuata in conformità a tali disposizioni."


Alla luce di tale previsione, dal periodo di imposta 2024 (data di efficacia delle modifiche alla black list), ai fini della presunzione di residenza, la Svizzera deve essere considerata esclusa dall'elenco di cui all'articolo 1 del decreto del Ministro delle Finanze 4 maggio 1999.


Restano, tuttavia, fermi gli effetti di ogni attività di accertamento effettuata in conformità alle disposizioni dell'ordinamento nazionale applicabili fino al periodo d'imposta 2023.


Esemplificando, il cittadino italiano che nel 2023 dovesse cancellarsi dall'anagrafe della popolazione residente e trasferirsi in Svizzera, continuerà ad essere considerato - salvo prova contraria - fiscalmente residente in Italia per tale periodo d'imposta ai sensi della normativa interna, trovando applicazione il disposto di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del TUIR.


Ancora, ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del decreto legge 1° luglio 2009 n. 78, le attività di natura finanziaria e gli investimenti che dovessero essere detenuti in Svizzera nel corso del 2023, in violazione degli obblighi del c.d. monitoraggio fiscale di cui all'articolo 4, commi 1, 2 e 3, del decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, continuano a presumersi - salvo prova contraria a carico del contribuente - costituite mediante redditi sottratti a tassazione in Italia. In tal caso, stante il disposto dei commi 2-bis e 2-ter del citato articolo 12 del decreto legge n. 78 del 2009, i termini per la notifica dei relativi atti di accertamento e sanzionatori sono peraltro raddoppiati.


Resta inteso che, anche una volta eliminata la Svizzera dalla black list, permangono in capo agli uffici dell'Amministrazione finanziaria gli ordinari poteri di controllo finalizzati ad accertare l'effettività della residenza all'estero.


Pertanto, il soggetto che si dichiari residente in Svizzera ma che integri uno dei presupposti di cui all'articolo 2 del TUIR, si considera comunque fiscalmente residente nel territorio dello Stato (fatta salva l'applicazione delle disposizioni convenzionali).



2.4.4 Ulteriori disposizioni innovative contenute nella legge di ratifica n. 83 del 2023


La legge n. 83 del 2023 ha introdotto ulteriori nuove disposizioni concernenti la tassazione dei lavoratori frontalieri, applicabili dall'anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del nuovo Accordo, ossia a decorrere dal 1° gennaio 2024.


In particolare, come anticipato al paragrafo 1 della Parte Seconda, l'articolo 4 della citata legge di ratifica ha previsto un innalzamento della soglia di franchigia applicabile ai lavoratori frontalieri dagli attuali 7.500 euro (previsti dall'articolo 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) a 10.000 euro.


Tale innalzamento della franchigia trova applicazione nei confronti di tutti i lavoratori frontalieri, non solo quindi quelli che prestano l'attività lavorativa nelle zone di frontiera in Svizzera.


Inoltre, il successivo articolo 5 ha previsto che i contributi previdenziali per il prepensionamento di categoria, contrattualmente previsti a carico dei lavoratori frontalieri nei confronti degli enti di previdenza dello Stato in cui essi svolgono la propria attività lavorativa, sono deducibili dal reddito complessivo nell'importo risultante da idonea documentazione.


Ancora, l'articolo 6 della citata legge di ratifica prevede la non imponibilità ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli assegni di sostegno al nucleo familiare erogati a favore dei frontalieri dagli enti di previdenza degli Stati in cui il primo presta servizio.


Analogamente alla disposizione di cui all'articolo 4 della legge n. 83 del 2023, anche gli articoli 5 e 6 della medesima legge si applicano nei confronti di tutti i lavoratori frontalieri e non soltanto a quelli che svolgono l'attività in Svizzera.



2.4.5 Il regime transitorio


Il nuovo Accordo prevede, all'articolo 9, uno specifico regime transitorio per i c.d. "attuali frontalieri", ossia i frontalieri che hanno in corso o hanno avuto un rapporto di lavoro al momento dell'entrata in vigore dell'Accordo, e che si differenzia dal regime cui saranno assoggettati i "nuovi frontalieri", ossia coloro i quali entrano nel mercato del lavoro come frontalieri a partire dalla data di entrata in vigore del nuovo Accordo.


In particolare, il nuovo Accordo prevede:


- un regime transitorio, applicabile a coloro che svolgono o hanno svolto un'attività di lavoro dipendente in Svizzera per un datore di lavoro elvetico, tra il 31 dicembre 2018 e la data di entrata in vigore del nuovo Accordo. Questi continueranno a essere assoggettati a imposizione esclusivamente in Svizzera. Come precisato anche dall'articolo 9, comma 2, della legge di ratifica n. 83 del 2023, a titolo di compensazione, i Cantoni Ticino, Vallese e Grigioni provvederanno a redistribuire all'Italia, sino al 2033, il 40 per cento dell'ammontare lordo delle imposte sui salari, sugli stipendi e sulle altre remunerazioni analoghe, pagate durante l'anno fiscale di riferimento dai frontalieri italiani, con le modalità di cui al comma 3 del medesimo articolo 9;


- un regime ordinario, applicabile a coloro che, invece, verranno assunti dopo l'entrata in vigore del nuovo Accordo. L'imposta che la Svizzera applicherà sul reddito di lavoro dipendente per i "nuovi frontalieri" passerà all'80 per cento, mentre l'Italia potrà assoggettare a sua volta a imposizione l'intero reddito, riconoscendo ai frontalieri un credito per l'imposta pagata in Svizzera.


Inoltre, il Protocollo aggiuntivo al nuovo Accordo, al paragrafo 3, prevede che gli Stati contraenti si consulteranno periodicamente per verificare se si rendono necessarie modifiche o integrazioni alla definizione di frontaliere in relazione a un potenziale ulteriore sviluppo del telelavoro. Al medesimo paragrafo si fa salva la facoltà degli Stati contraenti di concordare con procedura amichevole l'interpretazione o l'applicazione dell'Accordo in relazione al telelavoro, ivi incluso in situazioni eccezionali.


Nelle more, l'articolo 12, commi 1 e 2, della citata legge n. 83 del 2023, ha previsto che, a decorrere dal 1° febbraio 2023 e comunque non oltre il 30 giugno 2023, "i giorni di lavoro svolti nello Stato di residenza in modalità di telelavoro, fino al 40 per cento del tempo di lavoro, dai lavoratori frontalieri che rientrano nel campo di applicazione dell'Accordo tra l'Italia e la Svizzera relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri, firmato a Roma il 3 ottobre 1974, reso esecutivo con legge 26 luglio 1975, n. 386, si considerano effettuati nell'altro Stato".


Sul punto, come anticipato, il comma 5-ter dell'articolo 24 (Disposizioni per la funzionalità delle Prefetture - Uffici territoriali del Governo nonché disposizioni in materia di ingresso di lavoratori stranieri per motivi particolari e in materia di lavoratori frontalieri) del decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito in legge 10 agosto 2023, n. 112, prevede l'estensione del periodo di applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 1, della legge 13 giugno 2023, n. 83, fino al 31 dicembre 2023, per i soli lavoratori frontalieri che, alla data del 31 marzo 2022, svolgevano la loro attività lavorativa in modalità di telelavoro.


Le nuove disposizioni, quindi, contengono una disciplina provvisoria, applicabile alle persone fiscalmente residenti in Italia che possiedono i requisiti per qualificarsi come lavoratori frontalieri in Svizzera in base all'Accordo del 1974 (requisiti indicati al precedente paragrafo 2.4.1. della Parte Seconda). Per tali soggetti, ai fini dell'applicazione del citato Accordo del 1974, i giorni di lavoro svolti nel territorio dello Stato in modalità di telelavoro, fino al 40 per cento del tempo di lavoro, si considerano giorni lavorativi svolti in Svizzera.


In considerazione della citata previsione normativa, avente efficacia retroattiva, deve considerarsi superata l'interpretazione fornita con la risposta n. 171/2023. Sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti, in conformità con il precedente quadro normativo e di prassi, nel periodo compreso tra il 1° febbraio 2023 e il 30 giugno 2023.



Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.


[4] In particolare all'articolo 1, paragrafo 1, lettera f), del Regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.


[5] Circolari dell'Agenzia delle entrate n. 1 del 3 gennaio 2001, par.1.2.2, n. 15/E del 1° febbraio 2002, par. 13, e n. 2/E del 15 gennaio 2003, par. 9.



Il Direttore dell'Agenzia


Ernesto Maria Ruffini 

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