T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 31-01-2013, n. 1102
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente ha rappresentato che in data 01.04.11 gli è stata notificata la riservata amministrativa datata 30.03.11, contenente contestazione di addebiti disciplinari.
In particolare, il Vice Questore Aggiunto, Dott. (Lpd)., nominato Funzionario Istruttore nel procedimento disciplinare de quo, ha contestato al (Lpd) di essere stato coinvolto in un'indagine ed in una conseguente vicenda giudiziaria in materia di pornografia minorile e che in data 13.10.05 era stato condannato dal Tribunale di Roma perché ritenuto responsabile di avere divulgato materiale pedopornografico operando con il nickname "(...)". Detta sentenza di primo grado, proseguiva il Funzionario Istruttore, era stata riformata parzialmente, in data 02.04.08, dalla Corte di Appello di Roma, che aveva ritenuto sussistente l'ipotesi attenuata di cui al comma 4 dell'art. 600-ter c.p., riducendo la pena. Specificava, altresì, che la sentenza della Corte di Appello, a seguito del ricorso proposto dall'esponente, era stata annullata dalla Corte di Cassazione in data 05.02.09, con rinvio ad altra sezione della medesima Corte di Appello, la quale, con sentenza del 21.07.09, depositata il 22.12.10, aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell'esponente per intervenuta prescrizione del reato.
Ciò posto, il Funzionario Istruttore ha contestato che, dalla lettura della sentenza di primo grado del 13.10.05 e di quella di secondo grado del 02.04.08, il Giudice aveva stigmatizzato la condotta tenuta dal (Lpd) nel corso del giudizio, affermando che la sua qualifica lavorativa ed il suo comportamento processuale inducevano ad applicare la pena detentiva (pur sospesa), anziché quella alternativa pecuniaria, e che "alla luce di tali schiaccianti emergenze processuali" si era sottratto al contraddittorio, non sottoponendosi all'esame e rimanendo assente nel processo.
Il Funzionario Istruttore ha considerato che le suddette condotte configurassero la mancanza disciplinare prevista dall'art. 7, nn. 1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981 (destituzione).
Il (Lpd), ha presentato le proprie giustificazioni, eccependo, preliminarmente, la perenzione del procedimento per mancato rispetto del termine di cui all'art. 9, comma 6, del D.P.R. n. 737 del 1981 e, nel merito, la mancanza di elementi di prova certi circa l'identità del soggetto che aveva inviato il materiale in questione per via telematica; evidenziava, inoltre, di non essersi sottratto al contraddittorio, avendo anzi reso interrogatorio e spontanee dichiarazioni, mentre il P.M. non aveva chiesto l'esame dell'imputato, il quale, comunque, aveva diritto sia a non rispondere che a rimanere contumace, e che tale comportamento non avrebbe potuto essere valutato negativamente dal Giudice o dall'Amministrazione.
E' stata, poi, fissata la riunione del Consiglio di Disciplina per la trattazione del procedimento, con invito alla nomina di un difensore.
In tale sede, l'Isp. (Lpd) ha chiesto di poter essere assistito da un avvocato del Foro di Roma, al fine di poter esercitare appieno il diritto di difesa, ma, essendogli stata negata tale possibilità (con fonogramma a vista n. 19/11 del 28.06.11 del Consiglio Provinciale di Disciplina), si è fatto assistere da un appartenente all'Amministrazione, nella persona del Sost. Comm. (Lpd)
Il Consiglio di Disciplina, ritenendo di non accogliere le argomentazioni difensive del (Lpd), ha deliberato, a maggioranza di 3/5, di proporre l'applicazione della sanzione della destituzione.
In data 18.08.11, a conclusione del procedimento disciplinare, è stato notificato all'interessato il decreto n. 333-C-1/Se. 2^/n. 17675/2 alo del 28.07.11, con il quale gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della destituzione, ai sensi dell'art. 7, nn. 1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981, sottoscritto da un soggetto diverso dal Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, senza indicazione del nominativo, della qualifica e dell'esistenza di una eventuale delega.
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall'Amministrazione, la parte ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.
L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
Con ordinanza del 1.12.2011 n. 4483, è stata respinta la domanda cautelare avanzata dal ricorrente e sono stati chiesti all'Amministrazione documentati chiarimenti in merito ad alcune circostanze oggetto di causa.
All'udienza del 29 novembre 2012 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione
1. Avverso il provvedimento impugnato la parte ricorrente ha proposto i motivi di ricorso di seguito indicati.
I) - Violazione di legge per inosservanza degli artt. 7, ultimo comma, e 21, comma 3, del D.P.R. n. 737 del 1981.
La sanzione della destituzione deve essere inflitta dal Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, a norma degli artt. 7, ultimo comma (che rinvia alle modalità previste dal precedente articolo 6, relativo alla sospensione dal servizio) e 21, comma 3, del D.P.R. n. 737 del 1981.
Nel caso di specie, invece, il provvedimento di destituzione del (Lpd) risulta sottoscritto non dal Capo della Polizia, ma da un altro soggetto che, dopo aver sbarrato il gruppo firma "Il Capo della Polizia Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Manganelli", ha apposto la propria sottoscrizione, senza indicare il proprio nome e la propria qualifica e/o funzione e senza utilizzare alcuna dicitura da cui si evinca che si tratta di soggetto delegato alla firma in nome e per conto del Capo della Polizia.
La mancanza di tali elementi rende illegittimo il provvedimento impugnato, non risultando firmato su delega del Capo della Polizia, soggetto a cui è demandata per legge la sua emanazione, come previsto dagli artt. 7, ultimo comma, e 21, comma 3, del D.P.R. n. 737 del 1981.
Ciò incide anche sulla formazione del provvedimento, in quanto il citato articolo 21 prevede che il Capo della Polizia possa discostarsi dalla delibera del Consiglio di Disciplina, decidendo in maniera pin favorevole all'incolpato, circostanza che rende necessaria l'effettiva valutazione delle risultanze del procedimento disciplinare da parte dello stesso titolare, mentre, nella specie, non risultando il provvedimento sottoscritto in nome e per conto del Capo della Polizia, non si ha neppure la certezza che questi abbia compiuto data valutazione.
II) Violazione di legge; violazione degli artt. 3, 24, comma 2, e 97 Cost.; illegittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, del D.P.R. n. 737 del 1981.
Il (Lpd), edotto della facoltà di nominare un difensore per la trattazione orale del procedimento avanti al Consiglio di Disciplina, aveva chiesto di essere assistito da un avvocato, ma tale possibilità gli è stata negata, poiché, secondo quanto previsto dall'art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981, l'appartenente alla Polizia di Stato sottoposto a procedimento disciplinare può essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'Amministrazione della Pubblica Sicurezza.
Tale norma è in contrasto con gli artt. 3 e 24, comma 2, della Costituzione, essendo incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa costituzionalmente tutelato, esteso anche alla garanzia dell'assistenza tecnica che può, tipicamente e professionalmente, essere assicurata, oltre che da un dipendente della P.A., da un avvocato del libero Foro, come peraltro già riconosciuto, ad esempio, agli appartenenti albi Polizia Penitenziaria e, dopo la sentenza n. 497/00 della Corte Costituzionale, anche ai Magistrati per i quali la Corte Costituzionale, con sentenza n. 497/00, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 34, comma 2, del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, il quale, al pari dell'art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981, imponeva all'incolpato di farsi assistere soltanto da un difensore appartenente alla sua Amministrazione.
Dunque, come già rilevato dal T.A.R. Sicilia, sez. distaccata di Catania, con ordinanza n. 180 del 02.04.07, la limitazione dell'ufficio difensivo ai soli appartenenti all'Amministrazione della P.S., con esclusione degli avvocati del libero Foro, è da considerarsi priva di giustificazione.
Il ricorrente ha, pertanto, eccepito l'incostituzionalità della norma indicata, chiedendo al Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 per violazione degli artt. 3, 24, comma 2, e 97 Cost..
III) - Violazione di legge per inosservanza dell'art. art. 9, comma 6, del D.P.R. n. 737 del 1981, mancato rispetto del termine di avvio del procedimento disciplinare.
In caso di procedimento disciplinare connesso a procedimento penale conclusosi con sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato, si applica l'art. 9, comma 6, del D.P.R. n. 737 del 1981, che prevede il termine di avvio del procedimento di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza (o di 40 giorni dalla sua notifica all'Amministrazione).
Tale termine, come precisato dalla circolare del Ministero dell'Interno n. 333- A/U.C./9825.2 del 13.05.08, è di natura perentoria.
A norma dell'art. 545 c.p.p., "la sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante lettura de/dispositivo".
Nella specie, la sentenza della Corte di Appello n. 5508/09, che ha dichiarato la prescrizione del reato, è stata pubblicata mediante lettura del dispositivo all'udienza del 21.07.09.
Invece, la contestazione degli addebiti (che segna l'inizio del procedimento disciplinare) è stata notificata all'esponente solo in data 01.04.11 e, dunque oltre il predetto termine perentorio di 120 giorni previsto dall'art. 9, comma 6, del D.P.R. n. 737 del 1981, con la conseguenza che l'Amministrazione deve ritenersi decaduta dall'esercizio del potere disciplinare.
IV) - Violazione di legge per falsa applicazione dell'art. 14 del D.P.R. n. 737 del 1981, mancata corrispondenza tra fatti contestati e fatti posti a base della sanzione.
Ai sensi dell'art. 14 del D.P.R. n. 737 del 1981, la contestazione deve indicare succintamente e con chiarezza tutti i fatti e la specifica trasgressione di cui l'incolpato deve rispondere.
Quindi, l'Amministrazione deve contestare in modo rigoroso ed esauriente i fatti oggetto del procedimento disciplinare, in ordine ai quali l'incolpato è chiamato a produrre giustificazioni, al fine di consentirgli un'effettiva ed efficace difesa, in ossequio al fondamentale principio di cui all'art. 24 della Costituzione.
I fatti posti a fondamento della sanzione disciplinare devono esattamente coincidere con quelli oggetto della contestazione.
Nel caso di specie, invece, l'Amministrazione ha posto alla base del proprio provvedimento anche fatti non contestati all'interessato: l'atto di contestazione degli addebiti disciplinari, infatti, nell'individuare le condotte di cui il (Lpd) è stato chiamato a rispondere, fa espresso riferimento al fatto di cui al capo a) dell'imputazione formulata in sede penale a carico del ricorrente, che, come risulta dagli atti del procedimento, consisteva soltanto nella cessione di materiale pedopornografico avvenuta in data 29.08.01 ad Ufficiali di P.(Lpd) sotto copertura. Solo per questo episodio di cessione del 29.08.01 l'esponente è stato tratto a giudizio e non anche per ulteriori fatti, asseritamente contenuti negli atti di indagine, come emerge anche dalla sentenza della Corte di Appello di Roma n. 2416/08.
Invece, il Consiglio di Disciplina, ai fini di motivare il provvedimento impugnato, ha preso in considerazione ulteriori fatti (asserita cessione del 29.04.01 di un file a (Lpd), asserita assidua frequentazione di chat finalizzate allo scambio di materiale pedopornografico), che, a prescindere dalla circostanza che possano o non possano ritenersi provati, non sono mai stati contestati all'esponente, né nel procedimento penale da cui è scaturito quello disciplinare, né in quest'ultimo, in quanto non compresi nel capo di imputazione e mai citati come fatti a sé stanti nella contestazione degli addebiti.
Anche il decreto impugnato, che recepisce la delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina, nell'infliggere la sanzione, ritiene l'esponente responsabile di almeno due episodi di cessione, in contrasto con quanto inizialmente contestato con riferimento al capo di imputazione che riguardava solo la cessione del 29.08.01.
V) - Eccesso di potere per travisamento e/o erronea valutazione dei fatti; carenza di motivazione.
Riguardo al singolo episodio contestato, il (Lpd) è stato ritenuto responsabile di avere ceduto, in data 29.08.01, due foto di contenuto pedopornografico ad Ufficiali di P.(Lpd) che agivano sotto copertura.
Ma, come emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione, dagli atti processuali risulta che detta cessione del 29.08.01 avvenne da parte di un utente con nickname "Sampei979",_ mentre le indagini avevano accertato che il nickname riferibile al (Lpd) era "(...)" (suo numero di matricola).
Dunque, non vi è prova che tale cessione sia stata effettuata dal ricorrente.
Inoltre, l'Amministrazione è incorsa in un travisamento dei fatti laddove individua il (Lpd) come autore della cessione del 29.08.01, senza considerare che non è stato accertato chi, nella circostanza, abbia inviato le due foto. Infatti, il computer posto nell'abitazione del ricorrente era in uso anche agli altri membri della sua famiglia ed, in particolare, alla moglie (Lpd)C., la quale ha ammesso di essere in grado di utilizzare il computer e di averlo utilizzato in concreto.
Oltretutto, risulta accertato che dai computer in uso esclusivo al ricorrente (quello che aveva in dotazione in ufficio ed il proprio pc portatile) non è mai stato effettuato alcun invio di foto.
Ulteriore profilo di eccesso di potere per travisamento e/o erronea valutazione dei fatti si ravvisa nella circostanza che, a fronte di un unico episodio contestato (la citata cessione del 29.08.01), il (Lpd) è stato dipinto come un soggetto privo di senso morale e assiduo frequentatore del mondo della pedopornografia on-line.
Anche tali elementi di giudizio, infatti, sono frutto di mere supposizioni sfornite di qualsivoglia prova.
Al riguardo, del resto, non può prendersi in considerazione (come erroneamente fatto dall'Amministrazione) l'asserita cessione di foto con altro utente in data 29.04.01, episodio che non è mai stato contestato al ricorrente né in sede penale, né in sede disciplinare.
Peraltro, tale cessione di foto non è neppure provata, ma solo presunta in base ad una conversazione in chat tra i nickname "(Lpd)" e "(...)".
Il Consiglio Provinciale di Disciplina ritiene, inoltre, di poter affermare "con ragionevole certezza", che il (Lpd) frequentasse attivamente il mondo telematico della pedopornografia e che "è verosimile' ritenere che l'attività dello stesso durasse da tempo.
Anche tali affermazioni non hanno alcun riscontro probatorio e non trovano conferma negli atti del procedimento.
Addirittura, per corroborare l'impianto accusatorio in carenza di elementi effettivi che potessero giustificare un provvedimento di destituzione, il Funzionario istruttore, nella sua relazione conclusiva, cita anche episodi che nulla hanno a che vedere con il procedimento disciplinare (come il fatto che il (Lpd), nel 2002, insieme alla moglie, fu coinvolto in un'altra indagine, in cui furono sequestrate "cassette VHS pornografiche e lettere riguardanti lo scambio di coppia") senza considerare che tale episodio è stato oggetto di archiviazione in sede penale, e non ha avuto seguito in sede disciplinare.
Altra circostanza a cui sia il Funzionario istruttore (nella contestazione degli addebiti), che il Consiglio di Disciplina (nella propria delibera), attribuiscono erroneamente particolare importanza, è l'asserita sottrazione al contraddittorio da parte del ricorrente.
In realtà, neppure ciò corrisponde al vero in quanto, in data 02.03.02, il ricorrente si è sottoposto ad interrogatorio presso gli uffici del Compartimento della Polizia Postale di Mestre, rispondendo senza riserve a tutte le domande formulate dagli inquirenti (il verbale dell'interrogatorio è stato acquisito nel processo all'udienza del 31.05.05).
Inoltre, nella fase successiva delle indagini, il (Lpd) ha reso spontanee dichiarazioni al P.M., che in precedenza non aveva ritenuto necessaria la sua audizione.
Infine, nel processo, il P.M. non ha mai chiesto l'esame del (Lpd), il quale ha partecipato a tutte le udienze alle quali il suo difensore ha ritenuto necessaria la sua presenza.
In ogni caso, le modalità di partecipazione al processo dell'imputato rappresentano estrinsecazione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost. e, quindi, da una condotta lecita e costituzionalmente garantita non possono in alcun modo derivare conseguenze pregiudizievoli per l'incolpato, né in sede penale, né in quella disciplinare.
L'Amministrazione, sin dalla contestazione degli addebiti, ha considerato le sentenze penali come se fossero coperte da giudicato, omettendo di prendere in considerazione la sentenza della Corte di Cassazione da cui emerge la mancanza di prova circa la riferibilità al ricorrente della cessione del file avvenuta il 29.08.01.
Da ciò emerge, nei confronti dell'esponente, un clima di sfavore e pregiudizio che caratterizza tutto lo svolgimento del procedimento disciplinare.
VI) - Violazione di legge per inosservanza dell'art. 1, comma 2, del D.P.R. n. 737 del 1981 (principio di gradualità della sanzione), per falsa applicazione dell'art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981 e per carente e/o apparente motivazione (art. 3 della (Lpd) n. 241 del 1990).
Il provvedimento impugnato appare viziato sotto il profilo della violazione dei principi di logicità, congruità e graduazione della pena.
Infatti, in base al D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, la gradualità della sanzione corrisponde ad uno specifico precetto normativo (art. 1, comma 2 del citato D.P.R. n. 737 del 1981) e l'organo competente ad infliggere la sanzione disciplinare avrebbe dovuto attenersi ai seguenti parametri di giudizio, esplicitati nel successivo art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981: a) considerare tutte le circostanze attenuanti, i precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, il carattere, l'età, la qualifica e l'anzianità di servizio; b) scegliere le conseguenze sanzionatorie più gravi per le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto gravi conseguenze per il servizio, nonché per quelle indicanti scarso senso morale, ovvero commesse in presenza di condotte recidivanti o abituali.
Nel caso di specie, invece, nell'ambito del procedimento di destituzione l'Amministrazione non ha compiuto una valutazione del comportamento del dipendente complessiva ed estesa al periodo ed alla condotta successiva ai fatti contestati, omettendo di considerare che: il (Lpd) non si è reso responsabile di alcuna condotta penalmente e/o disciplinarmente rilevante; la condotta contestata risultava estranea allo svolgimento del suo servizio istituzionale; nel corso degli anni, il ricorrente ha sempre prestato servizio proficuamente, riportando valutazioni positive nei rapporti informativi annuali e, dal 2001 fino al 2009 (ultimo notificato), il giudizio di "OTTIMO" ed il punteggio complessivo di punti 58; nei citati rapporti informativi, alle voci E 2 ed E 4, l'Amministrazione ha assegnato al ricorrente il coefficiente massimo di punti 3 (ELEVATO), riconoscendogli così ottime "qualità morali e di carattere" e alto "senso del dovere".
Da ciò deriva anche la contraddittorietà delle scelte operate dall'Amministrazione decidendo di destituire dal servizio il (Lpd).
Peraltro, il ricorrente, nel corso di tutta la vicenda giudiziaria durata quasi dieci anni, non è mai stato sospeso cautelarmente dal servizio, neppure dopo la condanna penale, segno evidente che l'Amministrazione, a seguito di una valutazione preliminare dei fatti per cui era tratto a giudizio, ha ritenuto che non fosse venuto meno il rapporto di fiducia con il (Lpd).
2. L'Amministrazione resistente ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l'infondatezza del ricorso.
In particolare, è stato osservato che l'Ispettore Capo (Lpd)(Lpd) è stato coinvolto in un'indagine penale in materia dj pornografia minorile, a seguito della quale, in data 13.10.2005, è stato condannato dal Tribunale di Roma a due anni di reclusione, pena sospesa, in quanta ritenuto reo di aver distribuito e scambiato per via telematica materiale pornografico avente ad oggetto minori nel corso di rapporti sessuali fra loro e con adulti (cfr. al(Lpd) 2 p.a.).
Avverso tale sentenza, il (Lpd) ha proposto ricorso in appello e, in data 2.4.2008, la Corte di Appello di Roma lo ha riconosciuto colpevole dei reati ascrittigli, riducendo, però, la pena ad un anno di reclusione (cfr. al(Lpd) 3 p.a.).
Contro questa pronuncia l'interessato ha proposto ricorso per cassazione e la Corte di Cassazione, in data 5.2.2009, ha annullato la sentenza della Corte d'Appello di Roma, con rinvio ad altra Sezione del medesimo giudice (cfr. al(Lpd) 4 p.a.).
Conseguentemente, la Corte d'Appello di Roma, con sentenza emessa il 21.7.2009 e depositata il 22.12.2010, ha affermato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, evidenziando, però, la riferibilità della condotta al (Lpd) (cfr. al(Lpd) 5 p.a.).
Ciò posto, a parere dell'Amministrazione resistente, i competenti uffici e organi del Ministero dell'Interno hanno correttamente operato in quanto, dal tenore delle sentenze di primo e secondo grado (sopra indicate), è emerso un comportamento reprensibile del (Lpd), caratterizzato da circostanze da cui sono stati desunti gli estremi di violazioni disciplinari (cfr. e che nota in data 4.3.2011 del Direttore Centrale per i Servizi Antidroga: al(Lpd) 6 P.A.).
Pertanto, il titolare della potestà disciplinare (Capo della Polizia di Stato), con decreto del 28.3.2011, ha nominato il funzionano istruttore, ai sensi dell'art. 19 del D.P.R. n. 737 del 1981 (cfr. al(Lpd) 7 p.a.), il quale, in data 30.3.2011, ha formulato la contestazione degli addebiti nei confronti del (Lpd), per la violazione dell'art. 7 nn. 1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981 (cfr. al(Lpd) 8 p.a.).
A seguito della giustificazioni dell'interessato (cfr. al(Lpd) 9 p.a.), il funzionario istruttore ha acquisito ulteriore documentazione concernente l'indagine penale (cfr. al(Lpd) 10 p.a.) ed in data 25.5.2011 ha redatto la relazione conclusiva di propria competenza trasmettendo gli atti al Consiglio Provinciale di Disciplina (cfr. al(Lpd)ti 11 e 12 p.a.).
Con Delib. in data 12 luglio 2011 (cfr. al(Lpd) 14 p.a.), il Consiglio Provinciale di Disciplina, a seguito della riunione dedicata al caso di specie (cfr. al(Lpd) 13 p.a.), ha valutato le risultanze istruttorie, ha ascoltato l'interessato ed ha proposto l'applicazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio (cfr. al(Lpd)ti 15 e 16 p.a.).
Quindi, con decreto del Capo della Polizia datato 28.7.2011 (cfr. al(Lpd) 1 p.a.), su conforme parere espresso dal Consiglio Provinciale di Disciplina (cfr. al(Lpd) 16 p.a.), è stata irrogata la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, ai sensi dell'art. 7, nn. 1. 2 e 4, del D.P.R. n. 737 del 1981.
3. Il Collegio ritiene che le censure di parte ricorrente siano infondate e debbano essere respinte.
3.1. Il ricorrente ha lamentato, anzitutto, la violazione degli artt. 7, ultimo comma, e 21, comma 3, del D.P.R. n. 737 del 1981, in quanto il provvedimento di destituzione non sarebbe stato sottoscritto dal Capo della Polizia ma da un altro soggetto non identificabile e, comunque, incompetente in quanto privo di delega.
Al riguardo, in ottemperanza all'ordinanza istruttoria in data 1 dicembre 2011, n. 4483, l'Amministrazione, con nota del 27.11.2011, depositata il 13.1.2012, ha chiarito che il decreto n. 333-C-I/Sez.2^/n. 17675/2 del Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, emesso in data 28.07.2011, è stato firmato dal Vice Direttore Generale della Pubblica Sicurezza con funzioni vicarie, Prefetto N.I..
Come correttamente evidenziato dall'Amministrazione resistente, tale sottoscrizione risulta legittima alla luce di quanto stabilito dall'art. 5, co. 4, della (Lpd) n. 121 del 1981 (recante il Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), il quale, nel disciplinare l'organizzazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, stabilisce che "Al dipartimento sono assegnati due vice direttori generali, di cui uno per l'espletamento delle funzioni vicarie e l'altro per l'attività di coordinamento e di pianificazione.".
Ne consegue l'infondatezza delle censura di parte ricorrente, in quanto il Vice Capo con funzioni vicarie ha il potere di sostituire il Capo della Polizia, senza che sia richiesta una specifica delega, poiché lo stesso gli deriva direttamente dalla legge e dall'atto di nomina.
3.2. Risulta infondata anche la censura con la quale il (Lpd) lamenta che gli sarebbe stata negata la possibilità di farsi assistere, in sede di trattazione orale del procedimento dinanzi al Consiglio Provinciale di Disciplina, da un legale del libero Foro, in applicazione di una norma (l'art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981) da ritenere illegittima ed incostituzionale.
Tale disposizione - che prevede che il dipendente sottoposto a procedimento disciplinare può essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'Amministrazione della Pubblica Sicurezza -, è stata ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale, la quale, con sentenza n. 182 del 2008, ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità sollevata con l'ordinanza del TAR Sicilia, Catania n. 180/2007 (citata da parte ricorrente), precisando che la garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.) è limitata al procedimento giurisdizionale e non può essere invocata in materia di procedimento disciplinare (che ha natura amministrativa e si conclude con l'adozione di un provvedimento non giurisdizionale).
Conseguentemente, con specifico riferimento ai procedimenti disciplinari riguardanti gli appartenenti alle Forze Armate, la Consulta ha precisato che "deve essere salvaguardata una possibilità di contraddittorio che garantisca il nucleo essenziale di valori inerenti ai diritti inviolabili della persona ... quando possono derivare per essa sanzioni che incidono su beni, quale il mantenimento del rapporto di servizio o di lavoro, che hanno rilievo costituzionale".
Pertanto, non può essere considerata manifestamente irragionevole la norma che consentire all'accusato di ricorrere ad un difensore dipendente della stessa Amministrazione dell'incolpato.
3.3. Il (Lpd) ha anche contestato che non sarebbe stato rispettato il termine di avvio del procedimento previsto dalla normativa applicabile alla fattispecie, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza.
Al riguardo, il termine in questione (pari a 120, entro il quale l'Amministrazione deve avviare il procedimento disciplinare) non può farsi decorrere (come vorrebbe il ricorrente) dalla data in cui la Corte d'Appello ha dato lettura del dispositivo della sentenza (udienza 21.7.2009).
L'art. 9, co. 6, del D.P.R. n. 737 del 1981, stabilisce che "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione.".
Come correttamente rilevato dall'Amministrazione, pur a voler far decorrere tale termine dalla pubblicazione della sentenza, anziché dalla comunicazione della stessa, va rilevato, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che la pubblicazione della decisione penale coincide con il deposito in cancelleria della stessa e non dalla lettura in udienza del dispositivo (cfr. Cons. St. n. 3151/2008; Cons. St., IV, n. 762/1999; TAR Lazio, I^ Ter, n. 5343/2005).
Ciò posto, va considerato che la sentenza della Corte d'Appello di Roma che ha definito la vicenda penale del (Lpd) (con l'affermazione dell'estinzione del reato per prescrizione), è stata depositata in data 22.12.2011, mentre, la notificazione della lettera di contestazione degli addebiti è stata effettuata in data 1.4.2011.
Pertanto, il termine di 120 di cui all'art. 9, comma 6, del D.P.R. n. 737 del 1981, risulta essere stato rispettato.
3.4. Con apposita ulteriore censura, il (Lpd) ha affermato che l'Amministrazione avrebbe posto a fondamento della sanzione disciplinare anche circostanze non contestate con la lettera di addebito. In particolare, il ricorrente ha rilevato che la lettera di incolpazione fa riferimento alla sola cessione di materiale pedopornografico avvenuta in data 29.8.2001 ad ufficiali di P.(Lpd) sotto copertura, mentre il provvedimento sanzionatorio farebbe riferimento anche all'asserita cessione di un file in data 29.4.2001 ed alla frequentazione di chat finalizzate allo scambio di materiale pedopornografico.
A parere del Collegio, anche questa censura è infondata in quanto - in materia disciplinare -, come rilevato dall'Amministrazione resistente, la divergenza tra fatti contestati e fatti sanzionati si verifica solo quando il nucleo centrale delle circostanze poste a fondamento della sanzione risulta differente da quello contestato.
In sostanza, fermo restando il nucleo centrale della fattispecie, è ovvio che i fatti addebitati al ricorrente pongono essere precisati, ampliati o ridotti, all'esito degli elementi di valutazione acquisiti nel corso dell'istruttoria.
Nella fattispecie, non emergono decisive divergenze tra quanto contestato e quanto posto a fondamento del provvedimento sanzionatorio, perché i fatti contestati ai sensi dell'art. 7, nn. 1, 2 e 4, del D.P.R. n. 737 del 1981 risultano in linea con quanto emerge dalla motivazione del decreto di destituzione, posto che con la lettera di contestazione, l'Amministrazione, nell'affermare il coinvolgimento del (Lpd) in una indagine penale avente ad oggetto pornografia minorile, imputava all'interessato di avere operato telematicamente, con il nick name (...), distribuendo e divulgando materiale pornografico relativo a minori di diciotto anni nel corso di rapporti sessuali tra loro e con adulti.
Tale condotta - ritenuta da subito deprecabile e contraria, oltre che al senso dell'onore ed al senso morale, con i dover assunti con il giuramento -, è stata posta in relazione alla fattispecie di cui all'art. 7, nn. 1, 2 e 4, del D.P.R. n. 737 del 1981, ed alle norme generali di condotta ed ai doveri assunti con il giuramento (artt. 12, 13 e 2 del D.P.R. n. 782 del 1985).
Nella sostanza, il provvedimento di destituzione fa riferimento ai medesimi fatti, consistenti nella cessione telematica di materiale pedopornografico avente ad oggetto minori degli anni diciotto nel corso di rapporti sessuali fra loro e con adulti.
3.5. In relazione al merito del provvedimento di destituzione, il ricorrente contesta che le determinazioni dell'Amministrazione sono state assunte in assenza di sufficienti elementi probatori circa la sua responsabilità; in presenza di elementi dubbi (riguardanti, in particolare, l'individuazione del soggetto che, in concreto, ha inviato le foto pedopornografiche) e sopravvalutando le risultanze delle sentenze penali di primo e di secondo grado, senza operare valutazioni autonome.
Per disattendere tale censura va rilevato che la sentenza penale definitiva (Corte d'Appello di Roma 21.7.2009 e depositata il 22.12.2010) emerge che il giudice penale non ha ritenuto sussistenti gli estremi utili per assolvere nel merito il (Lpd), ai sensi dell'art. 129 c.p.p., in considerazione del "quadro probatorio emergente agli atti".
Correttamente, quindi, l'Amministrazione ha utilizzato tale quadro probatorio e gli elementi di valutazione emersi in sede penale, per valutare sotto il profilo disciplinare la condotta del dipendente e porre tali risultanze a fondamento del provvedimento disciplinare.
Ciò posto, a parer del Collegio, nella fattispecie non emergono valutazioni abnormi o palesemente irragionevoli dell'Amministrazione, posto che, proprio dagli elementi di valutazioni emersi in sede penale e autonomamente apprezzati in sede disciplinare, l'Amministrazione ha pronunciato la destituzione del (Lpd), all'esito di un iter logico-procedurale corretto e adeguato al caso di specie, considerato che le condotte e le responsabilità del ricorrente erano emerse nel corso dei primi due gradi di giudizio e, quindi, correttamente l'Amministrazione ha posto tali elementi a base del provvedimento sanzionatorio, a prescindere dal decorso del termine di prescrizione del reato, ininfluente a fini disciplinari.
3.6. Si rivela infondata anche l'ultima censura avanzata dal ricorrente e consistente nell'asserita violazione, da parte dell'Amministrazione, dei principi di gradualità e proporzionalità della sanzione, e nell'omessa considerazione di tutti gli elementi del caso di specie (tra i quali, in particolare,l'età, i precedenti disciplinari e di servizio, l'anzianità di servizio del dipendente, l'assenza di misure cautelari relative alla vicenda oggetto di causa).
Sul punto va considerato che nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, ivi compreso il personale della Polizia di Stato, le valutazioni circa la gravità della condotta posta in essere dal dipendente e l'individuazione della conseguente sanzione, costituiscono espressione di un'ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo sotto il profilo dell'eccesso di potere, quando vi sia stato un travisamento dei fatti ovvero la relativa motivazione risulti sprovvista di logicità e di coerenza, ovvero inficiata da grave irrazionalità.
Nel caso di specie, a parere del Collegio, tali vizi non sono rinvenibili nell'istruttoria compiuta, nelle valutazioni eseguite e nella scelta della sanzione irrogata dall'Amministrazione, tenuto conto di quanto emerge dalle sentenze del giudice penale e dagli atti istruttori richiamati per relationem nel provvedimento impugnato.
Da ciò emerge che la sanzione della destituzione dal servizio non è stata applicata automaticamente (a seguito dei pronunciamenti del giudice penale), ma risulta frutto di un corretto procedimento disciplinare e di autonome valutazioni eseguite dall'Amministrazione ed aventi ad oggetto il caso concreto, nel suo complesso.
Pertanto, correttamente l'Amministrazione ha rilevato che tutti gli elementi del caso concreto sono stati presi in considerazione e, tuttavia, la condotta del ricorrente è stata ritenuta tanto grave da indurre l'Amministrazione a ritenere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro con l'Ispettore Capo della Polizia di Stato (Lpd)(Lpd), il quale aveva dimostrato mancanza di senso dell'onore e dell'etica, operando in contrasto con i doveri imposti dal ruolo ricoperto e dalle funzioni svolte.
In questo contesto, anche la mancata adozione di misure cautelari amministrative (sia nel corso della vicenda penale, che nell'ambito del procedimento disciplinare), non assume particolare rilievo, in quanto non è sintomo di condotte contraddittorie dell'Amministrazione.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
5. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo respinge;
- condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell'Amministrazione resistente, che si liquidano in complessivi 3.000,00 (tremila/00) Euro, compresi gli onorari di causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
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