Translate

venerdì 8 febbraio 2013

TAR:"Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente - già appartenente ai ruoli della Polizia di Stato dal 3 giugno 1987 -, ha rappresentato che al momento dell'applicazione della sanzione della destituzione rivestiva la qualifica di Ispettore Capo ed era in servizio presso la Questura di (Lpd) - Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico, Sezione di P.G.."



T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 04-02-2013, n. 1159
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente - già appartenente ai ruoli della Polizia di Stato dal 3 giugno 1987 -, ha rappresentato che al momento dell'applicazione della sanzione della destituzione rivestiva la qualifica di Ispettore Capo ed era in servizio presso la Questura di (Lpd) - Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico, Sezione di P.G..
L'Ispettore (Lpd), nel corso della propria carriera, si è distinto per il suo impegno in servizio, come dimostrato dai risultati conseguiti, che trovano riscontro nel foglio matricolare.
In data 26.05.2003, il Questore di (Lpd), con decreto n. 17339.1.2.8 ha disposto la sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, ex art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 737 del 1981, con decorrenza dal 26.05.2003, poiché questi era stato tratto in arresto in esecuzione della ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nel corso del procedimento penale n. 932/2001 R.G.N.R. in data 23.05.2003, pendente dinanzi al Tribunale Penale di (Lpd).
In data 06.06.2003, il Questore di (Lpd), con decreto n. 17339.1.2.8, ha disposto la sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, per la durata di mesi due, con decorrenza dal 29.05.2003, in esecuzione dell'ordinanza con la quale la misura della custodia cautelare in carcere era stata revocata e sostituita con la diversa misura della sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio per mesi due
In data 15.11.2004, il Pubblico Ministero ha chiesto il rinvio a giudizio del ricorrente, unitamente ad altri coimputati.
All'udienza dell'11.07.2005, il Tribunale di (Lpd), ha pronunciato la sentenza di applicazione della pena (ex art. 444 c.p.p.) di mesi otto di reclusione nei confronti del ricorrente, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena, per il reato di cui all'art. 416 c.p. per essersi associato, con altri imputati e con altre persone rimaste ignote, al fine di commettere reati di truffa in danno delle Compagnie di Assicurazione --, riscuotendo ingenti importi relativi a liquidazioni per risarcimento danni alle persone relative a falsi sinistri stradali, attraverso l'utilizzo di falsi contratti d 'assicurazione e di false denunce di sinistri stradali (art. 479 ex artt. 481 e 489 c.p.), di falsi certificati medici rilasciati dal Pronto Soccorso (art. 479 ex art. 476 c.p.), la denuncia (art. 485 c.p.), l'istruzione ed il pagamento degli stessi sulla base di false perizie medico-legali (art. 481 c.p.), l'incasso delle relative somme attraverso 1'utilizzo di falsi documenti d'identità (art. 477 c.p.) o in assenza degli stessi; con l'aggravante del numero degli associati superiore a dieci (art. 416 c.p. (Lpd) c.).
In sostanza, il ricorrente è stato incriminato e condannato per il delitto di cui all'art. 416 c.p. per avere fatto parte (secondo la tesi accusatoria) di una associazione criminosa, svolgendo attività di monitoraggio e di acquisizione di notizie circa le indagini in corso, per poi riferirle al capo dell'associazione criminale (Lpd).
In realtà, dagli atti d'indagine e dalle intercettazioni telefoniche, risulta che l'(Lpd) ha effettivamente avuto contatti con il N., ma non ha preso parte all'associazione criminale.
Il ricorrente è stato sospeso cautelarmente dal servizio in occasione della custodia cautelare in carcere del 26.05.2003, ex art. 9, comma 1, D.P.R. n. 737 del 1981, e, subito dopo, per la revoca della precedente misura della custodia con sostituzione con la misura della sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio per mesi due: i provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio sono stati adottati, rispettivamente, con decreti del 26.5.2003 e del 6.6.2003.
Tuttavia, decorsi due mesi (ed, in particolare, in data 29.07.2003), con decreto del Questore di (Lpd), l'(Lpd) è stato riammesso in servizio ed è rimasto in servizio dal 29.07.2003 e sino alla destituzione (08.08.2006), per circa tre anni, prestando regolarmente servizio, con ottimi risultati, continuando a svolgere servizio presso la Questura di (Lpd) - Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico - Sezione di P.G., ottenendo il 04.04.2005 una lettera di compiacimento del Questore, il quale ha espresso apprezzamento per la professionalità mostrata dal ricorrente nello svolgimento di attività d'indagine che aveva portato, il 14.01.2005, alla individuazione ed alla cattura di un individuo colpito da ordine di custodia cautelare, e conseguendo un elogio in data 28.05.2005, in occasione dell'arresto di tre pericolosi pregiudicati fuggiti dall'Istituto di pena minorile "Malaspina".
Malgrado ciò, in data 10.02.2006, il Questore di (Lpd) ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti dell'(Lpd).
Il Funzionario incaricato, con nota del 02.03.2006 comunicata al ricorrente in pari data, ha provveduto alla contestazione degli addebiti ed, in particolare, dell'illecito di cui all'art. 7, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 737 del 1981.
In data 11.03.2006, l'Ispettore (Lpd) ha chiesto la proroga di giorni dieci per produrre scritti difensivi ed il 17.03.2006 ha rassegnato le proprie giustificazioni.
Il Funzionario Istruttore ha condotto la propria istruttoria acquisendo esclusivamente la documentazione relativa alle indagini e quella relativa al procedimento penale e redigendo la relazione istruttoria del 29.03.2006.
Il 15.05.2006 si è tenuta la prima riunione del Consiglio Provinciale di Disciplina ed il 26.05.2006 si è svolta la trattazione orale del procedimento.
In tale occasione, il ricorrente ha prodotto una memoria difensiva ed in pari data il Consiglio di disciplina ha deliberato nel senso di destituire dal servizio l'interessato.
A ciò ha fatto seguito il decreto di destituzione.
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall'Amministrazione, il ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.
L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
Con ordinanza del 22 dicembre 2006 n. 7048 il TAR ha accolto la domanda cautelare proposta dal ricorrente, sospendendo l'efficacia del decreto di destituzione.
Con ordinanza del 5 giugno 2007 n. 2895, il Consiglio di Stato ha respinto l'appello proposto avverso l'ordinanza cautelare indicata.
Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive difese.
All'udienza del 17 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione
1. Avverso gli atti impugnati il ricorrente ha proposto i motivi di ricorso di seguito indicati.
I) - Illegittimità per violazione di legge e regolamento; violazione dell'art. 7 comma 1, del D.P.R. n. 737 del 1981.
L'art. 7 del D.P.R. n. 737 del 1981, al comma 1, stabilisce che la destituzione è una sanzione che viene inflitta quando la condotta illecita tenuta dal dipendente renda incompatibile la permanenza in servizio del medesimo.
Nella fattispecie, invece, il ricorrente è stato destituito in assenza di un preventivo giudizio di compatibilità della condotta tenuta con la prosecuzione nel servizio ed, anzi, dopo che l'Amministrazione (scaduti i termini della misura cautelare penale) lo aveva riammesso in servizio presso il priprio reparto di appartenenza.
II) - Illegittimità per violazione di legge e regolamento; violazione dell'art. 19, comma 3, del D.P.R. n. 737 del 1981; carenza /insufficienza d'istruttoria.
L'esame del fascicolo disciplinare mostra una evidente carenza di istruttoria, posto che il funzionario istruttore si è limitato ad acquisire la documentazione ritenuta rilevante, consistente negli gli atti delle indagini preliminari, nel fascicolo del procedimento penale e nella sentenza adottata, ma non ha compiuto alcun autonomo ed ulteriore accertamento istruttorio.
Pur rilevando che gli artt. 415 e 653, co. l bis, c.p.p.. stabiliscono che la sentenza di patteggiamento è da ritenersi equiparata alla sentenza penale di condanna, va considerato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 197/1999, ha affermato che "l'applicazione della pena su richiesta delle parti non presuppone quella compiutezza nella raccolta degli elementi di prova che è tipica del rito ordinario; le parti, infatti, possono chiedere il patteggiamento in qualunque momento delle indagini preliminari e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado". Pertanto, "Non si può escludere, allora, che l'amministrazione debba effettuare autonomi accertamenti, e che la pronuncia penale sia richiamata soltanto per i fatti non controversi".
III) - Illegittimità per violazione di legge e regolamento; violazione dell'art. 1, comma 2, del D.P.R. n. 737 del 1981.
La norma indicata stabilisce l'obbligo di graduazione della sanzione. La sanzione deve essere graduata con riferimento alle conseguenze prodotte dall'illecito in danno dell'Amministrazione o, più in generale, per il servizio.
Dalla condotta illecita contestata al ricorrente non sono derivate conseguenze negative per l'Amministrazione di appartenenza e, tanto meno, per il servizio, né all'epoca della perpetrazione dei fatti addebitati all'interessato, né successivamente, considerati gli ottimi risultati conseguiti dal ricorrente dopo la sua riammissione in servizio.
IV) - Illegittimità per violazione di legge; violazione dell'art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981.
L'Amministrazione ha adottato il provvedimento impugnato omettendo di valutare gli elementi di cui all'art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981.
Il ricorrente, nei propri scritti difensivi, ha fornito elementi di prova circa la sussistenza di tali elementi ed il Funzionario Istruttore ha richiamato l'attenzione circa la necessità di valutare una serie di fattori e, più in generale, la irreprensibile condotta e l'impeccabile stato di servizio del ricorrente, prima e dopo i fatti penali descritti.
Tuttavia, tali circostanze non sono state prese in considerazione, così come non sono stati considerati i seguenti elementi: che il ricorrente non aveva mai riportato sanzioni disciplinari in ben 29 anni di servizio; che vantava brillanti precedenti di servizio, numerose onorificenze e riconoscimenti; il carattere, l'età, la qualifica e l'anzianità di servizio; l'attività lavorativa compiuta dopo la riammissione in servizio e, dunque, dopo la presunta perpetrazione degli illeciti.
V) - Illegittimità per violazione di legge ed, in particolare, dell'art. 20, comma 5 ed ultimo comma, del D.P.R. n. 737 del 1981.
L'art. 20, comma 5, del D.P.R. n. 737 del 1981, stabilisce che in sede di seduta collegiale del Consiglio Provinciale di disciplina, esauriti gli adempimenti previsti dalla stessa norma, sia data la parola al difensore dell'inquisito. E', altresì, previsto che le conclusioni del difensore debbano essere riportate nel verbale della seduta.
Tuttavia, nel verbale del procedimento espletato nei confronti del ricorrente non v'è alcuna traccia delle conclusioni del difensore.
Dalla lettura del verbale in atti risulta esclusivamente che la delibera avente ad oggetto il ricorrente è stata adottata a maggioranza, ma non è chiaro come si sia formata la maggioranza e di che tipo di maggioranza si sia trattato.
VI) - Illegittimità per violazione di legge; violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990; violazione dell'art. 1 del D.P.R. n. 737 del 1981; eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà nella motivazione; ingiustizia manifesta.
Il decreto impugnato è privo di adeguata motivazione, limitandosi a fare riferimento alla sequenza cronologica degli atti: prima quelli penali, poi quelli disciplinari.
L'Amministrazione si è limitata ad affermare che in presenza di sentenza penale di condanna, nel procedimento disciplinare, non sia necessario neanche dimostrare la responsabilità del dipendente.
Il decreto impugnato non risulta motivato neanche per relationem, mediante richiamo della delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina, perché anche questa ultima si presenta carente di adeguata motivazione.
2. L'Amministrazione resistente ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l'infondatezza del ricorso.
3. Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato nei limiti di seguito indicati.
Come correttamente rilevato dal Consiglio di Stato in sede cautelare, (cfr. ordinanza del 5 giugno 2007 n. 2895), l'Amministrazione, nel caso di specie, ha tenuto un atteggiamento contraddittorio che induce a ritenere illegittimo il decreto di destituzione impugnato.
L'art. 7 del D.P.R. n. 737 del 1981, al comma 1, prevede la destituzione nei casi in cui la condotta illecita tenuta dal dipendente sia incompatibile con la permanenza in servizio. In sostanza, la sanzione della destituzione (la più grave delle sanzioni disciplinari applicabile agli appartenenti alla Polizia di Stato), può essere irrogata solo a seguito di un giudizio di incompatibilità tra la condotta tenuta dall'interessato e la prosecuzione del servizio.
Nel caso di specie, a tali conclusioni si è giunti in modo contraddittorio perché il ricorrente è stato sospeso cautelarmene dal servizio (prima, in quanto era stata adottata la misura della custodia cautelare in carcere e, dopo, perché la misura era stata revocata e sostituita con la sospensione dall'esercizio del pubblico impiego per due mesi) ma, poi, malgrado la gravità delle contestazioni mosse in sede penale (con l'imputazione del reato di cui all'art. 416 c.p.), scaduti i termini della misura cautelare di natura penale, il ricorrente è stato riammesso in servizio e non più sospeso, neanche in occasione della richiesta di rinvio a giudizio nel 2004.
Peraltro, l'Amministrazione ha deciso di mantenere l'interessato in servizio presso l'originario reparto di appartenenza (Questura di (Lpd) - Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico - Sezione di P.G.) e, quindi, non ha ritenuto necessario trasferirlo altrove.
A ciò si deve aggiungere che in questo periodo di servizio che ha preceduto l'adozione del decreto di destituzione (di durata quasi triennale, posto che l'(Lpd) è stato riammesso in servizio ed è rimasto in servizio dal 29.07.2003 e sino alla destituzione intervenuta in data 8.8.2006), l'Amministrazione ha riconosciuto che il ricorrente ha conseguito apprezzabili risultati, ottenendo il 4.4.2005 una lettera di compiacimento del Questore di (Lpd) (il quale ha espresso apprezzamento per la professionalità mostrata dal ricorrente nello svolgimento di attività d'indagine che aveva portato, il 14.01.2005, all'individuazione ed alla cattura di un individuo colpito da ordine di custodia cautelare) e conseguendo un elogio in data 28.05.2005 (in occasione dell'arresto di tre pericolosi pregiudicati fuggiti dall'Istituto di pena minorile "Malaspina").
Tali circostanze non risultano essere state adeguatamente valutate in sede disciplinare e, comunque, inducono a ritenere illegittimo per contraddittorietà ed in contrasto con il citato art. 7 del D.P.R. n. 737 del 1981 l'operato dell'Amministrazione che - contestualmente ai fatti appena descritti - è sfociato nell'adozione del decreto di destituzione impugnato.
Al riguardo, va considerato che è vero che la sentenza di patteggiamento (ex art. 415 c.p.p.) è da ritenersi equiparata alla sentenza penale di condanna, e che l'art. 653, co. l bis, c.p.p., stabilisce che "La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso", ma ciò non elimina l'obbligo dell'Amministrazione di valutare i fatti accertati in sede penale al fine di stabilire se irrogare una sanzione disciplinare e di individuare la sanzione più adeguata al caso di specie.
Tale esame e valutazione non sono stati adeguatamente espletati nella fattispecie, considerato che l'Amministrazione sembra aver fatto scaturire la destituzione, quasi in modo automatico, dal precedente penale dell'interessato, pur avendo (come detto) ammesso e consentito che l'(Lpd) restasse, per anni, in servizio presso il proprio reparto di appartenenza e pur avendo riconosciuto ed apprezzato il servizio dallo stesso svolto in tale periodo.
4. All'annullamento del decreto di destituzione consegue l'obbligo dell'Amministrazione della restitutio in integrum, mediante versamento delle somme non corrisposte all'interessato, con esclusione di quanto maturato nel periodo di efficacia delle misure cautelari disposte dall'Autorità giudiziaria penale e nel periodo di pena comminata all'esito del processo penale (come, peraltro, richiesto dallo stesso ricorrente).
Alle somme dovute vanno aggiunti interessi legali e rivalutazione monetaria.
5. Il Collegio dichiara, invece, inammissibile la domanda di risarcimento danni avanzata dal ricorrente, in quanto del tutto generica e proposta senza fornire elementi di valutazione al riguardo.
6. Sussistono gravi ed eccezionali motivi - legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate - per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- accoglie la domanda di annullamento degli atti impugnati;
- accoglie la domanda tesa ad ottenere la restiututio in integrum, sotto il profilo economico, nei limiti indicati in motivazione;
- dichiara inammissibile la domanda di risarcimento danni;
- dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

Nessun commento: