Sms indesiderati? Ne bastano una manciata per finire alla sbarra |
Lo sancisce la Cassazione, rendendo definitiva la condanna per molestie nei confronti di un 38enne di Pescara colpevole di avere inviato cinque messaggini di contenuto ingiurioso all'ex moglie |
Cass. pen. Sez. I, (ud. 27-03-2008) 22-04-2008, n. 16692
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1.
- Con sentenza, deliberata il 23 novembre 2006 e depositata il 22
gennaio 2007, il Tribunale di Pescara, in composizione monocratica, in
esito al giudizio con citazione diretta, concesse circostanze attenuanti
generiche, ha condannato alla pena dell'ammenda in Euro duecento
(dichiarata condonata), alle spese del processo, al risarcimento dei
danni e alla rifusione delle spese a favore della parte civile, D.F.L.
imputato della contravvenzione di molestia o disturbo delle persone ai
sensi dell'art. 660 c.p. commessa in danno del coniuge
legalmente separato B. S., mediante cinque messaggi di testo inviati col
mezzo del telefono (testualmente riportati) dal contenuto ingiurioso e
recanti l'epiteto offensivo di zoccola, dal (OMISSIS).
Sulla
base delle testimonianze della persona offesa e dell'ufficiale di
polizia giudiziaria, D.F.M., maresciallo della Stazione dei Carabinieri
di Pescara Principale, il quale ebbe a verificare sull'apparecchio
radiomobile della B. la ricezione di messaggi inviate da utenze
telefoniche non individuate (essendo comparse solo quattro cifre delle
utenze a quibus, ritenute riconducibili a cabine telefoniche) il
Tribunale ha fondato l'accertamento della condotta molesta dell'imputato
sul compendio indiziario costituito: a) dai contrasti tra l'imputato e
la persona offesa originati dalla separazione coniugale; b) dalla
carenza di contrasti tra le medesima persona offesa e terzi; c) dalle
reiterazione nei messaggi di epiteto già proferito dall'imputato nei
confronti della moglie; d) dall'ulteriore inserimento di inconfondibile e
peculiarissimo appellativo ingiurioso col quale D. F. aveva designato
il cognato; e) dal particolare linguaggio adoperato che tradiva nell'uso
del dialetto l'origine non abruzzese del giudicabile.
Il
giudice a quo ha ritenuto integrata la contravvenzione di molestia
dalla reiterazione, nell'arco di circa un mese, dei messaggi ingiuriosi;
ha valutato congrua, in base ai criteri fissati dall'art. 133 c.p., la
sanzione inflitta, con la riduzione del terzo per le attenuanti
generiche; ha liquidato con criterio equitativo il danno cagionato alla
parte civile costituita.
2. - Ricorre per
cassazione l'imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato
Camillo Tatozzi, mediante atto recante la data del 26 febbraio 2007,
depositato il 5 marzo 2007, Il ricorrente eccepisce la nullità
dell'avviso di conclusione delle indagini e del decreto di citazione a
giudizio, sotto il profilo della ritenuta genericità del capo di
imputazione, perchè non corredato dalla indicazione delle date delle
singole telefonate e del luogo da cui erano state inviate e perchè
l'avviso di conclusione delle indagini neppure conteneva l'indicazione
del contenuto dei messaggi; postula l'assoluzione quanto meno ai sensi dell'art. 530 c.p.p.,
comma 2, affermando che il Tribunale non avrebbe fornito "alcuna
giustificazione argomentativa sulla .. intrinseca fondatezza - degli
indizi - e sulla attendibilità della stessa dichiarante";
lamenta
la omessa considerazione di due estratti dal sito internet "(OMISSIS)"
da cui inferisce l'inesistenza di utenze corrispondenti ai numeri a
quattro cifre rilevati sul cellulare della Baldassarre; si duole che il
giudice a quo non abbia proceduto a ulteriori accertamenti ai sensi dell'art. 507 c.p.p.;
contesta in particolare, sotto vari profili, la fondatezza degli indizi
selezionati dal Tribunale, la loro gravità e valenza dimostrativa;
ipotizza che la persona offesa abbia orchestrato una messinscena;
nega,
poi, che la condotta abbia integrato gli estremi della contravvenzione,
pel numero limitato dei messaggi, per gli orari diurni e per le
modalità di impiego (non in fonia) del servizio telefonico; postula,
gradatamente, il contenimento della pena nel minimo; nega che sia stata
raggiunta la prova del danno alla parte civile; censura, quindi, il
ricorso alla valutazione in via equitativa, ritenuta, comunque,
eccessiva.
2. - Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1
- La contestazione del reato risulta affatto adeguata mediante la
citazione testuale dei messaggi molesti, la indicazione della persona
cui vennero indirizzati, la specificazione dell'arco temporale (di
venticinque giorni) in cui la condotta si protrasse.
Il
richiamo operato, nell'avviso di conclusioni delle indagini "alle frasi
sottolineate in querela", relativamente al contenuto dei messaggi ha
consentito adeguatamente l'esercizio del diritto di difesa.
Sicchè
nessuna incertezza si palesa in ordine allo specifico fatto storico
posto a base della imputazione; nè veruno ostacolo è stato frapposto
all'efficace esercizio del diritto di difesa.
2.2
- Palese è, poi, la irrilevanza, sotto il profilo dedotto dal D.F.,
della considerazione dei tabulati prodotti, laddove la ricezione dei
messaggi di molestia costituì oggetto non solo della deposizione della
persona offesa, ma anche dell'ufficiale di polizia giudiziaria il quale
verificò la memorizzazione delle comunicazioni offensive sullo schermo
dell'apparecchio radiomobile della Baldassarre.
Le
residue doglianze, prive, peraltro, della specifica indicazione del
vizio di legittimità dedotto, risultano tutte comprese nell'orbita delle
censure di merito: consistono, infatti, nelle difformi valutazioni
operate dal ricorrente circa il compendio indiziario, circa la
offensività della molestia, circa la verificazione del danno morale
arrecato alla vittima, e circa la congruità della pena e del
risarcimento.
2.3 - Conseguono la declaratoria
della inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, e - valutato il contenuto dei motivi e
in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione
della impugnazione - al pagamento in favore della cassa delle ammende
della somma, determinata, nella misura congrua ed equa, infra indicata
in dispositivo, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nei presente
giudizio dalla parte civile, che liquida nella somma complessiva di
Euro 1.900 (millenovecento), oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come
per legge.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle
ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente
giudizio dalla parte civile, che liquida nella somma complessiva di Euro
1.900,00 (millenovecento), oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come
per legge.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2008
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