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sabato 4 gennaio 2014

Cassazione: Sms indesiderati? Ne bastano una manciata per finire alla sbarra




Sms indesiderati? Ne bastano una manciata per finire alla sbarra

Lo sancisce la Cassazione, rendendo definitiva la condanna per molestie nei confronti di un 38enne di Pescara colpevole di avere inviato cinque messaggini di contenuto ingiurioso all'ex moglie
Cass. pen. Sez. I, (ud. 27-03-2008) 22-04-2008, n. 16692
Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. - Con sentenza, deliberata il 23 novembre 2006 e depositata il 22 gennaio 2007, il Tribunale di Pescara, in composizione monocratica, in esito al giudizio con citazione diretta, concesse circostanze attenuanti generiche, ha condannato alla pena dell'ammenda in Euro duecento (dichiarata condonata), alle spese del processo, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese a favore della parte civile, D.F.L. imputato della contravvenzione di molestia o disturbo delle persone ai sensi dell'art. 660 c.p. commessa in danno del coniuge legalmente separato B. S., mediante cinque messaggi di testo inviati col mezzo del telefono (testualmente riportati) dal contenuto ingiurioso e recanti l'epiteto offensivo di zoccola, dal (OMISSIS).
Sulla base delle testimonianze della persona offesa e dell'ufficiale di polizia giudiziaria, D.F.M., maresciallo della Stazione dei Carabinieri di Pescara Principale, il quale ebbe a verificare sull'apparecchio radiomobile della B. la ricezione di messaggi inviate da utenze telefoniche non individuate (essendo comparse solo quattro cifre delle utenze a quibus, ritenute riconducibili a cabine telefoniche) il Tribunale ha fondato l'accertamento della condotta molesta dell'imputato sul compendio indiziario costituito: a) dai contrasti tra l'imputato e la persona offesa originati dalla separazione coniugale; b) dalla carenza di contrasti tra le medesima persona offesa e terzi; c) dalle reiterazione nei messaggi di epiteto già proferito dall'imputato nei confronti della moglie; d) dall'ulteriore inserimento di inconfondibile e peculiarissimo appellativo ingiurioso col quale D. F. aveva designato il cognato; e) dal particolare linguaggio adoperato che tradiva nell'uso del dialetto l'origine non abruzzese del giudicabile.
Il giudice a quo ha ritenuto integrata la contravvenzione di molestia dalla reiterazione, nell'arco di circa un mese, dei messaggi ingiuriosi; ha valutato congrua, in base ai criteri fissati dall'art. 133 c.p., la sanzione inflitta, con la riduzione del terzo per le attenuanti generiche; ha liquidato con criterio equitativo il danno cagionato alla parte civile costituita.
2. - Ricorre per cassazione l'imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Camillo Tatozzi, mediante atto recante la data del 26 febbraio 2007, depositato il 5 marzo 2007, Il ricorrente eccepisce la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini e del decreto di citazione a giudizio, sotto il profilo della ritenuta genericità del capo di imputazione, perchè non corredato dalla indicazione delle date delle singole telefonate e del luogo da cui erano state inviate e perchè l'avviso di conclusione delle indagini neppure conteneva l'indicazione del contenuto dei messaggi; postula l'assoluzione quanto meno ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, affermando che il Tribunale non avrebbe fornito "alcuna giustificazione argomentativa sulla .. intrinseca fondatezza - degli indizi - e sulla attendibilità della stessa dichiarante";
lamenta la omessa considerazione di due estratti dal sito internet "(OMISSIS)" da cui inferisce l'inesistenza di utenze corrispondenti ai numeri a quattro cifre rilevati sul cellulare della Baldassarre; si duole che il giudice a quo non abbia proceduto a ulteriori accertamenti ai sensi dell'art. 507 c.p.p.; contesta in particolare, sotto vari profili, la fondatezza degli indizi selezionati dal Tribunale, la loro gravità e valenza dimostrativa;
ipotizza che la persona offesa abbia orchestrato una messinscena;
nega, poi, che la condotta abbia integrato gli estremi della contravvenzione, pel numero limitato dei messaggi, per gli orari diurni e per le modalità di impiego (non in fonia) del servizio telefonico; postula, gradatamente, il contenimento della pena nel minimo; nega che sia stata raggiunta la prova del danno alla parte civile; censura, quindi, il ricorso alla valutazione in via equitativa, ritenuta, comunque, eccessiva.
2. - Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1 - La contestazione del reato risulta affatto adeguata mediante la citazione testuale dei messaggi molesti, la indicazione della persona cui vennero indirizzati, la specificazione dell'arco temporale (di venticinque giorni) in cui la condotta si protrasse.
Il richiamo operato, nell'avviso di conclusioni delle indagini "alle frasi sottolineate in querela", relativamente al contenuto dei messaggi ha consentito adeguatamente l'esercizio del diritto di difesa.
Sicchè nessuna incertezza si palesa in ordine allo specifico fatto storico posto a base della imputazione; nè veruno ostacolo è stato frapposto all'efficace esercizio del diritto di difesa.
2.2 - Palese è, poi, la irrilevanza, sotto il profilo dedotto dal D.F., della considerazione dei tabulati prodotti, laddove la ricezione dei messaggi di molestia costituì oggetto non solo della deposizione della persona offesa, ma anche dell'ufficiale di polizia giudiziaria il quale verificò la memorizzazione delle comunicazioni offensive sullo schermo dell'apparecchio radiomobile della Baldassarre.
Le residue doglianze, prive, peraltro, della specifica indicazione del vizio di legittimità dedotto, risultano tutte comprese nell'orbita delle censure di merito: consistono, infatti, nelle difformi valutazioni operate dal ricorrente circa il compendio indiziario, circa la offensività della molestia, circa la verificazione del danno morale arrecato alla vittima, e circa la congruità della pena e del risarcimento.
2.3 - Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, e - valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione - al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma, determinata, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nei presente giudizio dalla parte civile, che liquida nella somma complessiva di Euro 1.900 (millenovecento), oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida nella somma complessiva di Euro 1.900,00 (millenovecento), oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2008

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