FAMILIARE CONVIVENTE CON UNA PERSONA DISABILE A SCEGLIERE LA SEDE LAVORATIVA PIÙ VICINA
Il diritto del genitore o del familiare convivente con una persona disabile di scegliere la sede lavorativa più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza consenso non è un diritto assoluto ed incondizionato, in quanto non può essere esercitato ove finisca per comprimere in maniera irragionevole le esigenze economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro.
Con questa decisione la Cassazione afferma la necessità di un bilanciamento tra l'interesse del familiare all'assistenza continua alla persona portatrice di handicap ed altri interessi di rilevanza costituzionale sicchè il riconoscimento del diritto del lavoratore familiare può, a seconda delle situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere, cedere a rilevanti esigenze economiche, organizzative e produttive dell'impresa. Tale necessario bilanciamento d'interessi era stato già affermato dalla decisione della Cassazione n.12692 del 29 settembre del 2002 dove, in un passo della motivazione, si sottolineava che la stessa lettera dell'art.33 della legge 104/92 stabilisce che la scelta prioritaria della sede di lavoro non è assoluta ma solo "ove possibile".
Il diritto del genitore o del familiare convivente con una persona disabile di scegliere la sede lavorativa più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza consenso non è un diritto assoluto ed incondizionato, in quanto non può essere esercitato ove finisca per comprimere in maniera irragionevole le esigenze economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro.
Con questa decisione la Cassazione afferma la necessità di un bilanciamento tra l'interesse del familiare all'assistenza continua alla persona portatrice di handicap ed altri interessi di rilevanza costituzionale sicchè il riconoscimento del diritto del lavoratore familiare può, a seconda delle situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere, cedere a rilevanti esigenze economiche, organizzative e produttive dell'impresa. Tale necessario bilanciamento d'interessi era stato già affermato dalla decisione della Cassazione n.12692 del 29 settembre del 2002 dove, in un passo della motivazione, si sottolineava che la stessa lettera dell'art.33 della legge 104/92 stabilisce che la scelta prioritaria della sede di lavoro non è assoluta ma solo "ove possibile".
Cass. civ. Sez. Unite, 27-03-2008, n. 7945
Svolgimento del processo
Il
Tribunale di Foggia dichiarava il diritto della ricorrente D.L.A.B.,
moglie convivente di S.V., portatore di handicap, al posto di lavoro
presso la Segreteria della Commissione provinciale tributaria di Bari,
nel momento dell'assegnazione delle sedi di lavoro, disposta a
conclusione della procedura concorsuale indetta dal Ministero
dell'Economia e delle Finanze-Dipartimento delle Dogane, cui la stessa
aveva partecipato; condannava il suddetto Ministero a rimborsare alla
D.L. le spese sostenute a seguito della illegittima assegnazione presso
la segreteria della Commissione di Lodi, liquidandole in complessive
Euro 3.904,33, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.; rigettava le
altre istanze azionate dalla D.L. per il risarcimento del danno per
disagio ed usura psico-fisica nonchè alla vita di relazione, alla
serenità familiare ed alla salute del coniuge; poneva a carico del
Ministero le spese processuali sostenute dalla D.L. per la procedura
cautelare ante causam e per il giudizio.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale il Ministero e l'Agenzia delle Dogane ed incidentale la D.L..
La
Corte d'appello di Bari, con sentenza del 1 settembre 2006, rigettava
ambedue i reclami. Osservava la Corte territoriale - per quanto rileva
anche in questa sede - che contrariamente a quanto sostenuto dal
Ministero, la giurisdizione apparteneva al giudice ordinario in quanto
il thema decidendum riguardava un momento successivo alla conclusione
del concorso, e cioè il momento dell'assunzione al lavoro, che era
avvenuta, a seguito di contratto del 5 dicembre 2001, in epoca
successiva al 30 giugno 1998. Nel merito, inoltre, la pretesa della D.L.
si palesava fondata perchè non ledeva alcun interesse della pubblica
amministrazione riscontrandosi a Bari un posto vuoto in organico da
assegnare ai vincitori e avendo la D.L. tempestivamente portato a
conoscenza dell'Amministrazione pubblica la sua situazione familiare.
Con riferimento alla domanda di risarcimento dei darmi subiti dalla
D.L., per avere dovuto lavorare a (OMISSIS) invece che a (OMISSIS), il
giudice d'appello confermava anche su tale punto la decisione del primo
giudice che aveva riconosciuto alla lavoratrice unicamente le spese per i
viaggi e per le rette corrisposte in ragione della sua residenza nel
luogo di lavoro, nonchè gli esborsi affrontati per fare valere in
giudizio un suo diritto ingiustamente leso.
L'appello
incidentale non poteva trovare invece accoglimento perchè non potendosi
condividere l'assunto della D.L. che il danno esistenziale era in re
ipsa, e perchè il danno biologico postulava la prova specifica di
alterazioni psico-fisiche pregiudizievoli alla salute del lavoratore,
nel caso di specie mancante.
Avverso tale
decisione il Ministero e l'Agenzia delle Dogane propongono ricorso
principale incidentale, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricoso la D.L., che spiega ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, illustrato anche con memoria.
Il Ministero spiega controricorso al ricorso incidentale.
Non si è costituito in giudizio A.A..
Motivi della decisione
1. Ai sensi dell'art. 335 c.p.c., il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perchè proposti ambedue contro una medesima decisione.
2.
Con il primo motivo del ricorso principale il Ministero deduce
violazione delle norme e dei principi in materia di giurisdizione con
riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, (art. 360
c.p.c., n. 1). In particolare assume il ricorrente che nel caso di
specie deve riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo,
trattandosi di controversia riguardante la procedura concorsuale, atteso
che la graduatoria definitiva teneva conto, non solo del punteggio di
merito, ma anche dei titoli preferenziali idonei ad incidere sulla
graduatoria stessa, sicchè non era di scarso rilievo la circostanza che
la D.L. avesse avanzato la richiesta di scelta anteriormente alla
formazione della graduatoria ed alla conclusione della procedura
concorsuale; il che induceva a concludere che l'esercizio del diritto di
cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, era avvenuto nell'ambito della procedura concorsuale.
Con il secondo motivo del ricorso il Ministero lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5,
nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della
controversia. Sostiene al riguardo il ricorrente che il giudice
d'appello, nel rigettare il gravame da esso proposto, ha errato nel
qualificare la posizione di vantaggio ex art. 33, citato come un vero e
proprio diritto soggettivo di scelta nella sede più vicina in capo al
lavoratore-familiare del portatore di handicap; ed ha ugualmente errato
nel reputare che spettasse al datore di lavoro fornire la prova di un
interesse organizzativo della pubblica amministrazione volto ad impedire
l'esercizio del diritto del familiare del disabile a tale scelta. Di
contro il legislatore, nell'ambito della disciplina di cui alla
"legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate" (L. n. 104 del 1992) ha introdotto il
diritto di scelta prioritaria in sede concorsuale, ma lo ha fatto
solamente in favore dei soggetti portatori di handicap vincitori di
concorso, ed analogo diritto di scelta non ha inteso invece prevedere
con l'art. 33, comma 5, in favore dei dipendenti vincitori di concorso
pubblico che assistono familiari entro il terzo grado portatori di
handicap. In altri termini una diversa interpretazione del citato art.
33, finirebbe per risolversi in una surrettizia introduzione di un
titolo di precedenza non espressamente previsto - ed anzi escluso - dal
legislatore.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 132, n. 4, degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2043 e 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 3, nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della
controversia, deducendo che non era risarcibile il danno consistente nel
pagamento delle rette corrisposte dalla ricorrente perchè la prima
assegnazione a Lodi era da ritenersi legittima, ed assumendo altresì che
non era dovuto neanche il ristoro per spese dei viaggi effettuati, la
cui frequenza era dovuta a libera scelta della D.L..
Con il quarto motivo il Ministero deduce infine violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c.,
e delle regole in tema di litisconsorzio necessario per omessa
partecipazione degli altri dipendenti collocatisi in posizione migliore
di essa D.F. stante la incidenza di una pronunzia favorevole su tutta la
graduatoria ed, in particolare, sulla sede da assegnare agli altri
dipendenti in seguito alla nuova scelta dell' A., altro concorrente.
3.
Esigenze di un ordinato iter argomentativo inducono all'esame del primo
e quarto motivo del ricorso attinenti a questioni che si antepongono
sul piano logico-giuridico al secondo e terzo motivo.
4. Detti motivi sono infondati.
4.1.
La Corte territoriale ha opportunamente rimarcato come i giudici di
legittimità abbiano affermato : che deve riconoscersi - stante il
carattere generale della giurisdizione del giudice ordinario in
relazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 1), a
fronte del quale la perpetuazione della giurisdizione del giudice
amministrativo (prevista dallo stesso art. 63, comma 4) riveste una
portata limitata ed eccezionale - la giurisdizione del giudice ordinario
nelle controversie nelle quali, sul presupposto della definitività
della graduatoria, e senza in alcun modo censurare lo svolgimento del
concorso ed il relativo atto finale, si faccia valere il diritto alla
nomina alla qualifica superiore cui si aspiri, specificamente
contestando l'utilizzazione della graduatoria alla stregua di
circostanze successive all'esaurimento del concorso (e ad esso
estranee), denunziate come ostative alla nomina alla detta qualifica di
altri aspiranti nei cui confronti si rivendichi una posizione
preferenziale (cfr. in tali sensi: Cass., Sez. Un., 3 febbraio 2004 n.
1989 cui adde, più di recente, Cass., Sez. Un., 20 giugno 2007 n.
14290); e che ai fini della individuazione della giurisdizione deve
farsi riferimento al momento dell'assunzione al lavoro, e più
precisamente al momento del conferimento dell'incarico rispetto al quale
la procedura concorsuale si pone come fase antecedente nonchè
strumentale della scelta di nuovi dipendenti tra gli aspiranti (cfr. al
riguardo: Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2004 n. 1478).
4.2.
Orbene, nel caso di specie, con un accertamento di fatto non
contestabile in questa sede di legittimità nè specificamente censurato, i
giudici d'appello hanno evidenziato che al riferimento cronologico che
il Ministero ha fatto al bando di concorso va contrapposta l'assunzione
della D.L. con contratto, che per essere intervenuto tra le parti il 5
dicembre 2001, determina - ratione temporis per essere successivo alla
data del 30 giugno 1998 - la giurisdizione del giudice ordinario stante
il disposto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7).
4.3.
La circostanza che il thema decidendum non investe la procedura
concorsuale ma l'atto di assunzione al lavoro della D.L. rivela poi la
infondatezza del quarto motivo del ricorso in quanto l'eccepita nullità
della sentenza impugnata - per il mancato rispetto dei principi del
litisconsorzio necessario e per la carenza di un completo
contraddittorio tra le parti del giudizio - si incentra su interessi
attinenti alla procedura concorsuale laddove nel caso di specie, come si
è visto, la lite ha per oggetto il diritto sorto con l'assunzione al
lavoro e, quindi, in un tempo successivo all'esaurimento della procedura
concorsuale.
5. Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso risultano privi di fondamento.
6. La L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33,
statuisce che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di
lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un
affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove
possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, e non può
essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
6.1.
Come ha osservato correttamente il giudice d'appello la posizione di
vantaggio ex art. 33, si presenta come un vero e proprio diritto
soggettivo di scelta da parte del familiare-lavoratore che presta
assistenza con continuità a persone che sono ad esse legate da uno
stretto vincolo di parentela o di affinità. La ratio di una siffatta
posizione soggettiva va individuata nella tutela della salute
psico-fisica del portatore di handicap nonchè in un riconoscimento del
valore della convivenza familiare come luogo naturale di solidarietà tra
i suoi componenti. A tale riguardo va evidenziato che la Corte
Costituzionale ha rimarcato la rilevanza anche a livello della Carta
fondante delle indicate finalità perseguite dalla disposizione in esame.
Ed invero il giudice delle leggi - nel dichiarare non fondata la
questione di legittimità costituzionale del citato art. 33, comma 5,
sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui
tale norma riconosce il diritto del lavoratore dipendente a scegliere la
sede più vicina al proprio domicilio - ha affermato che la suddetta
disposizione richiede come condizione che il lavoratore sia convivente
con l'handicappato; ed invero la maggior tutela accordata all'ipotesi in
cui il portatore di handicap riceve già assistenza rispetto a quella -
altrettanto meritevole di tutela - ma diversa in cui il lavoratore non è
convivente, e si rende quindi necessario il suo trasferimento per
attendere alle cure del congiunto - lungi dal rappresentare una
discriminazione ingiustificata, costituisce una scelta discrezionale del
legislatore non irragionevolmente finalizzata alla valorizzazione
dell'assistenza familiare del disabile, allorquando corrisponda ad una
modalità di assistenza in atto, la cui speciale salvaguardia valga ad
evitare rotture traumatiche e dannose alla convivenza(cfr.: Corte Cost.
ord. n. 325 del 1996).
6.2. In questa occasione la Corte costituzionale ha avuto modo anche di ricordare come esaminando alcuni profili della L. n. 104 del 1992,
ne abbia già sottolineato l'ampia sfera di applicazione, diretta ad
assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacenti, la tutela dei
portatori di handicap, ed ha aggiunto anche che essa incide sul settore
sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle
condizioni di lavoro, sulla integrazione scolastica, e che in generale
dette misure hanno il fine di superare - o di contribuire a fare
superare - i molteplici ostacoli che il disabile incontra
quotidianamente nelle attività sociali e lavorative e nell'esercizio dei
diritti costituzionalmente protetti (cfr. sentenza n. 406 del 1992).
7.
Nonostante l'innegabile sua portata sociale la disposizione scrutinata
non può però far ritenere che il diritto del genitore o del familiare
lavoratore dell'handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio
domicilio e di non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso
sia un diritto assoluto o illimitato in quanto presuppone, oltre agli
altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la
compatibilità con l'interesse comune posto che secondo il legislatore -
come è dimostrato anche dalla presenza dell'inciso "ove possibile" - il
diritto alla tutela dell'handicappato non può essere fatto valere quando
il relativo esercizio venga a ledere in maniera consistente le esigenze
economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può
tradursi - soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro
pubblico - in un danno per la collettività (cfr.: Cass. 29 settembre
2002 n. 12692). In questo caso quindi il diritto del familiare -
lavoratore deve bilanciarsi con altri interessi, che trovano anche essi
una copertura costituzionale, sicchè il riconoscimento del diritto del
lavoratore - familiare può - a seconda delle situazioni fattuali a
fronte delle quali si intenda farlo valere - cedere a rilevanti esigenze
economiche, organizzative o produttive dell'impresa,e per quanto
riguarda i rapporti di lavoro pubblico, ad interessi della collettività
ostativi di fatto alla operatività della scelta D.Lgs. n. 104 del 1992,
ex art. 33, comma 5. 7.1. La prova della sussistenza delle ragioni
impeditive del diritto alla scelta delle sede fa carico
poi,contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, sul datore di
lavoro. A tale conclusione conducono la lettera della legge, la
considerazione che le ragioni da provare sono a diretta e più agevole
conoscenza del datore di lavoro, ed infine il consolidato indirizzo
della giurisprudenza di legittimità in tema di trasferimento ex art.
21103 c.c., u.c., (per l'affermazione che le ragioni tecniche,
organizzative e produttive, poste a base del trasferimento da una unità
produttiva ad altra del lavoratore, debbano essere provate dal datore di
lavoro cfr. ex plurimis: Cass. 22 marzo 2005 n. 6117, Cass. 15 maggio
2004 n. 9290).
7.2. Alla stregua di quanto
sinora esposto la sentenza impugnata - dopo avere proceduto ad una
attenta valutazione delle risultanze istruttorie - ha riconosciuto il
diritto della D.L. alla sede dalla stessa richiesta, per esservi un
posto vuoto in organico a Bari, per essere stato tale posto riservato ai
vincitori del concorso e per avere la lavoratrice portato a conoscenza
dell'amministrazione la sua situazione familiare. Di contro non è stato
provato dal Ministero un interesse organizzativo di segno contrario nè
un danno per la collettività dalla assegnazione delle sede di (OMISSIS)
alla D.L..
7.3. Per concludere sul punto, la
sentenza impugnata va confermata avendo fatto corretta applicazione del
principio di diritto che, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, va così enunciato: " Alla stregua della L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 5,
il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con
continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al
proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo
consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato perchè
detto diritto può essere fatto valere allorquando - alla stregua della
regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti con rilevanza
costituzionale - il suo esercizio finisca per ledere in maniera
consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del
datore di lavoro e per tradursi - soprattutto nei casi in cui si sia in
presenza di rapporti di lavoro pubblico - con l'interesse della
collettività. Considerazioni queste la cui prova fa carico sulla parte
datoriale privata e su quella pubblica”. 8. Neanche la censura
riguardante la liquidazione dei danni a favore della lavoratrice può
trovare accoglimento atteso che il giudice d'appello ha tenuto presente
la documentazione acquisita ed ha supportato la sua decisione con una
motivazione congrua, priva di salti logici e corretta sul versante
giuridico atteso che ben potevano il giudice di primo grado e quello di
appello - nella ritenuta certezza della esistenza di un danno subito a
livello di spese sopportate dalla D.L. per la mancata iniziale
assegnazione della sede di (OMISSIS) e per una estrema difficoltà di
quantificarne l'entità - ricorrere al criterio equitativo (per i
presupposti necessari per legittimare una liquidazione equitativa cfr.
tra le tante, in epoca recente: Cass. 11 luglio 2007 n. 15585; Cass. 7
giugno 2007 n. 13288).
9. Va rigettato anche il ricorso incidentale con il quale la D.L. denunzia la violazione degli artt. 2727, 2729, 2059, 2043 e 2087 c.c.,
nonchè vizio di motivazione per non avere la sentenza impugnata
proceduto alla liquidazione del danno morale soggettivo, del danno non
patrimoniale e del danno esistenziale.
La
Corte d'appello di Bari nel rigettare la richiesta della D.L. ha
osservato che il c.d. danno esistenziale non deriva, contrariamente a
quanto affermato dalla lavoratrice, in modo automatico da qualsiasi
parziale e temporanea modificazione delle pregresse abitudini, e che il
danno biologico vuoi del lavoratore che del familiare assistito, postula
la prova specifica - nel caso di specie mancante - di alterazioni
psico-fisiche pregiudizievoli.
9.1. La
sentenza dei giudici d'appello per poggiare su una motivazione, ancora
una volta esauriente e improntata a coerenza logica e rispettosa dei
principi giuridici regolanti il risarcimento dei danni non è
suscettibile di alcuna critica in questa sede di legittimità (cfr. al
riguardo: Cass. 8 ottobre 2007 n. 20987, per la statuizione secondo cui
il danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno-conseguenza,
deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non
potendo mai considerarsi "in re ipsa").
10. Le
spese del presente giudizio di cassazione - tenuto conto della natura
della controversia e delle numerose questioni oggetto di esame - vanno
interamente compensate tra le parti ricorrendo giusti motivi.
P.Q.M.
La corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2008
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