Cassazione: l'automobilista deve prevedere anche la spericolatezza degli altri |
Mettersi
al volante e guidare con prudenza non basta ad evitare una
responsabilità in caso di incidente. La Corte di Cassazione spiega
infatti che l'automobilista deve anche "prevedere l'altrui condotta
imprudente, negligente e, persino, imperita". Anche chi guida ubriaco e
si trova coinvolto in un incidente puo' avere una colpa minore se
l'altro conducente coinvolto e' venuto meno a questo obbligo. E' quanto
emerge dalla sentenza 12361/2008 della quarta sezione penale della Corte
che ha messo nero su bianco gli 'obblighi' cui devono sottostare gli
automobilisti. La Corte ha così accolto ha cosi' accolto il ricorso di
un uomo che,"alla guida di un'auto in stato di ebbrezza procedeva in ora
notturna in un incrocio urbano alla velocita' di 90 km orari, ed
entrava in collisione con un motorino sul quale si trovavano due
minorenni". Nell'urto uno dei due minori era morto per lesioni letali,
mentre l'altro aveva subito lesioni gravi. I giudici di merito avevano
dato colpa esclusiva all'automobilista condannandolo per omicidio
colposo, ma ora la Suprema Corte, accogliendo il suo ricorso ha rimesso
in discussione le responsabilita' di ciascuno. Il motivo? Anche il
"ciclomotorista doveva mettere in conto, nei limiti della normale
prevedibilita', l'altrui condotta imprudente o negligente, e persino,
imperita". E questo per "mettersi in grado di porvi riparo evitando
danni a se stesso e agli altri, tra i quali non vi e' motivo di non
ricomprendere anche il soggetto cui sia riferibile la condotta
imprudente, negligente, imperita". Questo comportamento va assunto
particolarmente nelle aree di "intersezione tra confluenti strade,
essendo il punto ove piu' si addensano occasioni di conflitto tra utenti
della strada". Ora la vicenda dovrà essere nuovamente esaminata dalla
Corte d'appello di Bologna.
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CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 07-02-2008) 20-03-2008, n. 12361 |
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Bologna, a seguito di giudizio abbreviato, ha affermato la responsabilità di B.D. in ordine al reato di cui. all'art. 589 cod. pen.,
commi 1, 2 e 3; ed a quello di cui all'art. 186 C.d.S.. Lo ha inoltre
condannato al risarcimento del danno nei confronti delle costituite
parti civili.
La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Bologna.
Il
processo riguarda un incidente stradale. Secondo l'ipotesi accusatoria
fatta propria dai giudici di merito, il B. si poneva alla guida di
un'auto in stato di ebbrezza alcolica, procedeva in ora notturna, in un
incrocio urbano, alla velocità di circa 90 km. orari, ed entrava in
collisione con un ciclomotore condotto dal minore A.M. sul quale trovava
posto anche il giovane F.L.. Nell'urto il F. riportava lesioni letali,
mentre A.M. subiva lesioni personali gravi.
2.
Ricorre per cassazione l'imputato tramite il proprio difensore,
deducendo vizio della motivazione. Il primo Giudice, si afferma, ha
attribuito tutta la responsabilità del tragico episodio all'imputato.
Tuttavia, dal materiale probatorio acquisito al, processo, ed in
particolare dalla consulenza tecnica disposta dal Procuratore della n
Repubblica, emerge in modo incontrovertibile che la responsabilità del
sinistro mortale va ascritta ad ambedue i conducenti dei veicoli
coinvolti. In particolare, il conducente del ciclomotore impegnò
l'incrocio omettendo di dare la precedenza all'auto, tanto che al
momento dell'urto si trovava oltre la linea di mezzeria. Lo stesso
ciclomotorista, inoltre, dopo, aver iniziato la manovra di immissione
nell'incrocio, non prestò attenzione sufficiente agli accadimenti. Se lo
avesse fatto, ben avrebbe potuto arrestarsi in un breve spazio con una
pronta frenata. In tale eventualità non avrebbe raggiunto il punto
d'urto e non avrebbe interferito con la traiettoria seguita dall'auto
investitrice.
Tali risultanze, si espone
ancora, non sono state smentite dal Giudice d'appello. Si afferma,
infatti, che la violazione dell'obbligo di dare precedenza è
oggettivamente configurabile; e che inoltre il conducente del
ciclomotore ben avrebbe potuto, con una pronta manovra d'arresto,
evitare di giungere ad interferire con la traiettoria dell'auto condotta
dal B.. Ciò nonostante, la Corte, territoriale ritiene che non sia
provato che alla verificazione del sinistro abbia dato un contributo
causale anche un colposo comportamento del giovane ciclomotorista. In
tale valutazione dei fatti il ricorrente scorge una macroscopica
contraddittorietà ed illogicità. Anzi, sul punto, la motivazione, anche
se formalmente esistente, è avulsa e dissociata dalle risultanze
processuali e si avvale di argomentazioni apodittiche e prive di
efficacia dimostrativa.
3. Il ricorso è
fondato. Esso è tutto incentrato sulla configurabilità del concorso di
colpa del conducente del ciclomotore. A tale riguardo la pronunzia
evidenzia che la collisione tra l'auto ed il ciclomotore si è verificata
al centro dell'area di intersezione tra due strade, regolata da
semaforo lampeggiante. La via percorsa dal B. presentava carreggiata più
ampia e diritto di precedenza nell'incrocio. La condotta di guida
dell'imputato si connota negativamente per un particolarmente elevato
grado di probabilità di cagionare sinistri stradali. L'imputato,
infatti, impegnava l'incrocio urbano ad una velocità assai elevata, non
inferiore a 90 km orari; e si trovava, inoltre, in stato di ubriachezza.
Quanto alla condotta di guida del conducente del ciclomotore, la Corte,
condividendo le valutazioni del primo giudice, afferma che la
violazione della disposizione di legge che vieta al minorenne di
trasportare seco altre persone non. ha avuto incidenza causale nella
verificazione dell'evento. Il giudice ritiene altresì che la violazione
dell'obbligo di dare precedenza all'incrocio è oggettivamente
configurabile in virtù della segnaletica vigente. Si configura altresì
l'addebito colposo costituito dal difetto di attenzione in quanto, alla
luce delle indagini tecniche esperite, il giovane ciclomotorista ben
avrebbe potuto compiere una pronta manovra di attesto evitando la
collisione con l'auto condotta dal B..
A
fronte di tali, conclusioni la pronunzia si chiede se l' A. fu
effettivamente trascurato nella drammatica contingenza in esame o se,
invece, non potè valutare la reale velocità dell'auto in arrivo, poichè
non è seriamente ipotizzabile, nelle circostanze di luogo date, che
l'autovettura potesse sopravvenire a velocità tanto sconsideratamente
elevata.
Si propende per tale seconda ipotesi e
si ritiene, pertanto, non provato che alla causazione del sinistro
abbia dato un contributo causale anche un colposo comportamento del
conducente del ciclomotore.
In breve, dunque,
la Corte individua i tratti obiettivi di ambedue i "pirofili di colpa
contestati; e tuttavia avanza il dubbio che il sopravvenire dell'auto
investitrice ad alta velocità non fosse prevedibile. In conseguenza,
sembra d'intendere, la condotta del ciclomotorista non è soggettivamente
rimproverabile.
L'approccio metodologico è
teoricamente corretto, tuttavia esso conduce ad un apprezzamento erroneo
quanto al giudizio di imprevedibilità nella concreta situazione data.
La questione, per la sua delicatezza, richiede di essere inquadrata
nella sua cornice teorica.
La formula legale della colpa espressa dall'art. 43 c.p.,
col richiamo alla negligenza, imprudenza ed imperizia ed alla
violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, delinea un primo e
non controverso tratto distintivo di tale forma di imputazione
soggettiva, di carattere oggettivo e normativo. Tale primo obiettivo
profilo della colpa, incentrato sulla condotta posta in essere in
violazione di una norma cautelare, ha la funzione di orientare il
comportamento dei consociati ed esprime l'esigenza di un livello minimo
ed irrinunciabile di cautele nella vita sociale. La dottrina che sul
piano sistematico prospetta la doppia collocazione della colpa sia nel
fatto che nella colpevolezza, colloca significativamente tale primo
profilo dell'imputazione sul piano della tipicità, svolgendo esso un
ruolo insostituibile nella configurazione delle singole fattispecie
colpose.
Accanto al profilo obiettivo ed
impersonale ve ne è un altro di natura soggettiva, indirettamente
adombrato dalla definizione legislativa, che sottolinea nella colpa solo
la mancanza di volontà dell'evento. Tale connotato negativo ha un
significato inevitabilmente ristretto che si risolve essenzialmente sul
piano definitorio, classificatorio: serve infatti a segnare la traccia
per il confine con l'imputazione dolosa. In positivo, il profilo più
squisitamente soggettivo e personale della colpa viene generalmente
individuato nella capacità soggettiva dell'agente di osservare la regola
cautelare, nella concreta possibilità di pretendere l'osservanza della
regola stessa, in una parola nella esigibilità del comportamento dovuto.
Si tratta di un aspetto che la richiamata dottrina, che attribuisce una
doppia posizione al dolo ed alla colpa, colloca nell'ambito della
colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto
all'agente. Si tratta di un aspetto della colpevolezza colposa cui la
riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel
tentativo di rendere personalizzato il rimprovero individuale attraverso
l'introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga
in conto non solo l'oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche la
concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le
sue specifiche qualità personali. Dunque, in breve il rimprovero colposo
riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere
evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate.
Tali
accenni mostrano che, da qualunque punto di vista si guardi alla colpa,
la prevedibilità ed evitabilità del fatto svolgono un articolato ruolo
fondante: sono all'origine delle norme cautelari e sono inoltre alla
base del giudizio di rimprovero personale.
Il
pensiero giuridico italiano ha da sempre sottolineato che la
responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque
siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati
che la norma stessa mira a prevenire. Tale esigenza conferma
l'importante ruolo della prevedibilità e prevenibilità
nell'individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto
il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della
colpa. Si tratta di identificare una norma specifica, avente natura
cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto
specifico evento, sulla base delle conoscenze che all'epoca della
creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra
condotte e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare
o attenuare il rischio.
L'accadimento
verificatosi deve cioè essere proprio tra quelli che la norma di
condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del
rischio. L'individuazione di tale nesso consente di sfuggire al pericolo
di una connessione meramente oggettiva tra regola violata ed evento.
Ma
prevedibilità ed evitabilità rilevano anche in relazione al profilo più
squisitamente Soggettivo della colpa, quello cioè più strettamente
inerente al rimprovero personale.
La
giurisprudenza di questa Corte ha in numerose occasioni sottolineato il
ruolo fondante della prevedibilità ed evitabilità dell'evento. A tale
riguardo va richiamata in primo luogo la fondamentale pronunzia (Cass.
4^, 6 dicembre 1990, Bonetti, Rv.
191798) che,
nel contesto di un complesso e delicato caso giudiziario, ha posto in
luce che la prevedibilità altro non è che la possibilità dell'uomo
coscienzioso ed avveduto di cogliere che un certo evento è legato alla
violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza che un certo
evento è evitabile adottando determinate regole di diligenza.
Ma
anche nell'ambito della circolazione stradale che qui interessa, è
stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi
di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche
possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità
vanno cioè valutate in concreto (Cass. 4^, 25 ottobre 1990, Rv. 185559;
Cass. 4^, 9 maggio 1983, Rv. 159688; Cass. 5^, 2 febbraio 1978, Rv.
139204). Il fattore velocità, si è affermato, corrisponde ad un concetto
relativo alle situazioni contingenti, quando si tratta di valutare il
comportamento dell'imputato in chiave causale e non già di accertare la
violazione di una norma contravvenzionale che prescrive limiti di
velocità.
E' ben vero che parte della
giurisprudenza di legittimità, ispirandosi alla criticata concezione
oggettivante della colpa, tende a ritenere che la prevedibilità e
prevenibilità dell'evento sono elementi, estranei all'imputazione
soggettiva di cui si parla.
Tuttavia si è per
lo più in presenza di pronunzie risalenti nel tempo, ispirate a
concezioni della colpa che non trovano più credito nel presente della
riflessione giuridica.
Tali enunciazioni
generali abbisognano di un ulteriore chiarimento, già del resto
recentemente proposto da questa Corte (Cass. 4^, 06/07/2007, Rv.
237050): nell'ambito del profilo subiettivo della colpa di cui si parla,
l'esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento
si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poichè
in tale ambito la prevedibilità dell'evento ha un rilievo decisivo nella
stessa individuazione della norma cautelare violata; ma anche
nell'ambito della colpa specifica la prevedibilità vale non solo a
definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma,
ma anche va rapportata entro le diverse classi di agenti modello ed a
tutte le specifiche contingenze del caso concreto. Certamente tale
spazio valutativo è pressochè nullo nell'ambito delle norme rigide, la
cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma
nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento
determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il
cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità
dell'esito antigiuridico da parte dell'agente modello.
Nel
caso di specie si è in presenza di norme cautelari codificate che
lasciano un ristretto margine valutativo. In particolare, l'art. 145
C.d.S. che impone, nelle intersezioni, di dare precedenza ai veicoli che
provengono da destra o per adeguarsi alle prescrizioni segnaletiche,
richiede che il sopravvenire dell'altro utente possa essere osservato o
previsto. La disposizione, sebbene rigorosa per ovvie esigenze di
sicurezza, non esclude del tutto che contingenze particolari possano
rendere la condotta inosservante non soggettivamente rimproverabile a
causa, ad esempio, dell'assoluta imprevedibilità della condotta di guida
dell'altro soggetto coinvolto nel sinistro. Tuttavia, tale ponderazione
non può essere meramente ipotetica, congetturale, ma, deve, di
necessità fondarsi su emergenze concrete e risolutive, onde evitare che
l'apprezzamento in ordine alla colpa sia tutto affidato
all'imponderabile soggettivismo del giudice. Le contingenze che possono
venire in questione sono le più diverse. Basti pensare ad un veicolo che
viaggi di notte, al buio, a luci spente; oppure ad una situazione della
strada che, per qualche ragione, precluda la corretta osservazione
della zona dell'intersezione.
La Corte
d'appello, pur correttamente prospettando, per implicito, l'esigenza di
pervenire ad un rimprovero colposo personalizzato, manca di compiere
un'indagine conformata sulle contingenze del caso concreto. Infatti, si
afferma che con ogni probabilità il sopraggiungere dell'auto ad elevata
velocità non era prevedibile.
Tale
enunciazione non è però corroborata da alcuna acquisizione concreta; ed
anzi si colloca in modo enunciativo in un quadra fattuale per nulla
analizzato.
L'esigenza di una motivazione
puntuale s'impone maggiormente se si considera che la condotta di guida
inosservante di altri utenti della strada non costituisce in sè una
contingenza imprevedibile. Al contrario, la normale prudenza nella
circolazione stradale richiededi mettere in conto, in qualche guisa,
anche tale possibilità. Tale principio è stato affermato con particolare
forza, condivisibilmente, proprio nel contesto delle intersezioni
stradali.
Si è infatti enunciato che,
l'intersezione delle traiettorie dei veicoli procedenti sulle strade
confluenti in crocevia e, conseguentemente, la probabilità di urto tra i
medesimi, è assunta dal legislatore quale dato di fatto, presupposto
(juris et de jure presunto) di una situazione di pericolosità (id est:
probabilità del verificarsi di un evento temuto) e costituisce la ratio
della rigorosa normativa dettata in materia dal D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 105,
(C.d.S.). Tale disposizione, peraltro, non esaurisce il complesso di
obblighi gravanti sui conducenti di autoveicoli e, quindi, la materia
della colpa nella responsabilità derivante, a carico degli stessi, nel
caso di infortunio, dato che la norma di cui all'art. 43 cod. pen.
affianca l'inosservanza di specifiche prescrizioni dettate da leggi,
regolamenti, ordini o discipline, alla violazione del dovere di prudenza
e di diligenza, secondo la regola, di generale portata, che deve
governare l'attività umana ogni qual volta sussista la probabilità di
conflitto con diritti altrui, materializzata nel dettato dell'art. 2043 c.c..
Ne consegue che, nell'adempimento di tale dovere, il conducente di
autoveicolo ha l'obbligo, non solo di attenersi strettamente alle regale
che riguardano più direttamente il movimento del mezzo da lui condotto,
ma deve altresì, e senza che ciò possa essere considerato un di più,
prefigurarsi, nell'ambito della normale prevedibilità, l'altrui condotta
imprudente o negligente e, persino, imperita, onde mettersi in grado di
porvi riparo evitando danni a se stesso e agli altri, tra i quali
ultimi non vi è motivo alcuno di non ricomprendere anche il soggetto cui
sia riferibile la condotta imprudente, negligente, imperita, etc..
L'area di intersezione tra confluenti strade si presta, più d'ogni
altro, alla verifica di tali principi, essendo il punto ove più si
addensano le occasioni di conflitto tra utenti della strada (Cass. 4^,
15/0,3/1989, Rv.
181132).
La
stessa questione è stata pure affrontata con riferimento al principio,
di affidamento. Si è affermato che la precedenza cronologica o
cosiddetta "di fatto" può ritenersi legittima ed idonea ad escludere la
precedenza di diritto del veicolo proveniente da destra solo a
condizione che il conducente di sinistra si presenti all'incrocio con
tanto anticipo da consentirgli di effettuare l'attraversamento con
assoluta sicurezza e senza porre in essere alcun rischio per la
circolazione. Ciò comporta che la precedenza di fatto viene esercitata a
rischio e pericolo di chi se ne avvale, con la conseguenza che lo
stesso verificarsi dell'incidente lo costituisce in colpa. Nè tale
regola può mutare in considerazione della irregolarità della condotta di
guida del veicolo favorito ovvero della eccessiva andatura con la quale
questo ingaggi il crocevia. In proposito la pronunzia ha precisato che
il conducente, gravato dall'obbligo di dare la precedenza può
legittimamente fare affidamento solo sul fatto che l'andatura del
veicolo antagonista non venga inopinatamente ed imprevedibilmente mutata
dopo il reciproco avvistamento (Cass. 4^, 16/10/1990, Rv. 186000).
Alla
luce di tale insegnamento è ancora più chiaro che lo spazio per
l'apprezzamento che giunga a ritenere imprevedibile la condotta di guida
inosservante dell'altro conducente è assai ristretto e va percorso con
particolare cautela. Ciò nonostante, l'esigenza di preservare la già
evocata dimensione soggettiva della colpa (id est la concreta
rimproverabilità della condotta) conduce questa Corte ad enunciare che,
come si è prima esposto, le particolarità del caso concreto possono dar
corpo ad una condotta veramente imprevedibile, come nei casi che si sono
sopra esemplificati.
Sul punto cruciale, come
si è accennato, la pronunzia è carente di motivazione. Infatti, si
afferma che il sopravvenire dell'auto fu notato dal ciclomotorista, che
tuttavia non potè valutarne la velocità. Dunque l'imprevedibilità non
riguarda la presenza dell'auto in prossimità dell'incrocio ma solo la
sua elevata velocità. Orbene, tale enunciazione è priva di dimostrazione
rigorosa fondata su emergenze specifiche del caso concreto. La Corte
territoriale, infatti, descrive assai sommariamente il quadro fattuale e
manca di mostrare alcuna, risolutiva acquisizione probatoria che, in
relazione allo stato dei luoghi o ad altre contingenze concrete,
rendesse veramente imprevedibile che un'auto potesse impegnare
l'incrocio alla velocità che si è detta. Tale carenza è particolarmente
vistosa in rapporto al già evidenziato obbligo, gravante sul
ciclomotorista, di mettere in conto, nei limiti della normale
prevedibilità, l'altrui condotta imprudente o negligente e, persino,
imperita.
La sentenza deve essere conseguentemente annullata con rinvio per nuovo, esame sul punto.
La liquidazione delle spese delle parti per questo grado di giudizio viene,riservata al definitivo di merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.
Riserva al definitivo di merito la liquidazione delle spese.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2008.
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