Cd e Dvd copiati: é di nuovo reato, a prescindere dal bollino Siae |
Inversione (correzione pratica?) di rotta per tornare alla punibilità delle condotte di vendita e noleggio di supporti cosiddetti "pirata". Sono "abusivamente duplicati" e ciò basta per la rilevanza penale ex art. 171-ter della legge sul diritto d'autore |
(Sezione terza, sentenza n. 27764/08; depositata l'8 luglio) |
CASSAZIONE PENALE - SENTENZA PENALE
Cass. pen. Sez. III, (ud. 24-06-2008) 08-07-2008, n. 27764
Cass. pen. Sez. III, (ud. 24-06-2008) 08-07-2008, n. 27764
Svolgimento del processo
Nel
corso di una perquisizione domiciliare presso l'abitazione del Sig. D.
furono rinvenuti e sequestrati numerosi dischi contenenti giochi
elettronici destinati all'apparato denominato "Play Station" ed altri
contenenti riproduzioni di brani musicali; tutti i dischi, muniti di
copertina recante copia a colori di quella originale, risultavano
sprovvisti del bollino SIAE. Considerata l'evidente non originalità dei
beni sequestrati e considerato l'elevata quantità dei medesimi, il
Pubblico ministero ha tratto a giudizio il Sig. D. ipotizzando al capo
a) la violazione della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 bis; al capo b) la violazione del successivo art. 171 ter, comma 1, lett. b); al capo c) la violazione dell'art. 648 c.p.
In esito al dibattimento il Tribunale di Napoli ha ritenuto sussistere
tutti i reati contestati ed ha condannato il Sig. D., applicata la
continuazione tra i reati stessi, alla pena di sei mesi di reclusione e
Euro 400,00, di multa, con confisca di quanto in sequestro.
Avverso
tale decisione il Sig. D. ha presentato appello contestando, oltre
l'eccessività della pena, la sussistenza dei presupposti delle
fattispecie per cui vi è stata condanna; in particolare, i motivi di
appello presentati dall'Avv. @@@@@@@@ contestavano la sussistenza di
prove circa la duplicazione e la illecita detenzione dei supporti, posto
che i medesimi hanno diversi contenuti e furono acquisiti in buona fede
per essere visionati.
La Corte di Appello ha accolto l'impugnazione limitatamente al reato previsto dall'art. 648 c.p.,
ritenendo che la condotta tipica del reato di ricettazione risulti
assorbita nella fattispecie legale dei reati previsti dalla L. n. 633 del 1941.
Ha, tuttavia, ritenuto che la gravità della condotta e la presenza di
precedenti penali dell'imputato avrebbero meritato una pena maggiore di
quella inflitta dai primi giudici, così che, preso atto dell'assenza di
impugnazione del Pubblico ministero ed in osservanza del divieto di
"reformatio in peius", ha confermato la pena applicata dal Tribunale di
Napoli.
Con l'odierno ricorso nei confronti della sentenza della Corte di Appello, si lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).
Sostiene
il ricorrente che risulta provato in atti che non sussiste "omogeneità"
tra il materiale sequestrato, e che tale circostanza escluderebbe non
soltanto una cooperazione nella falsificazione del materiale ma anche
l'esistenza di prove relative alla circostanza che esso fosse destinato
alla vendita. La motivazione della sentenza impugnata risulterebbe così
assolutamente carente e la decisione sarebbe meritevole di annullamento.
Motivi della decisione
1.
In fatto, risulta accertato dalle sentenze di merito, e non contestato
dal ricorrente, che in sede di perquisizione domiciliare furono
rinvenuti nella disponibilità del Sig. D. numerosi supporti privi del
contrassegno SIAE e ritenuti provenienti da abusiva duplicazione; in
particolare furono rinvenuti n. 121 supporti contenenti giochi
elettronici destinati all'apparato Sony "Play Station"; n. 207 supporti
contenenti programmi per elaboratori elettronici; n. 333 supporti
contenenti brani musicali, per un totale di 661 supporti.
2.
Il Tribunale di Napoli, con motivazione condivisa sul punto dalla Corte
di Appello, ha ritenuto che sussista in atti la prova dell'illecita
duplicazione dei supporti stessi: questi risultavano privi del
contrassegno SIAE; le custodie contenevano le locandine dei titoli
ottenute mediante fotocopia a colori dall'originale;
l'imputato non ha esibito alcuna documentazione che comprovi la provenienza lecita del materiale sequestrato.
L'insieme
di questi elementi ed il numero dei supporti sono stati ritenuti
ampiamente sufficienti a dimostrare l'illecita provenienza degli stessi e
la loro destinazione a scopo commerciale o imprenditoriale e comunque
la destinazione ad uso non personale.
3. A
fronte di tali conclusioni e delle motivazioni delle decisioni dei
giudici di merito il motivo di ricorso presentato appare infondato e
deve essere respinto.
Va preliminarmente
osservato che questa Corte ritiene di condividere il principio,
affermato in modo convincente da precedenti sentenze di legittimità, che
quando le sentenze di primo e secondo grado "concordino nell'analisi e
nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle
rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di
appello si salda con quella precedente" (Prima Sezione Penale, sentenza
n. 8886 del 26 giugno - 8 agosto 2000, Sangiorgi, rv 216906). Da tale
principio discende, nel presente caso, che i motivi di ricorso devono
essere esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da
entrambe le decisioni di merito.
Può così
rilevarsi che la censura contenuta nel motivo di ricorso non fornisce
elementi decisivi a sostegno della pretesa illegittimità della decisione
impugnata. Ed infatti, al giudice di legittimità è precluso un nuovo
esame del materiale probatorio e della valutazione che ne è stata fatta
in sede di giudizio di merito allorchè la sentenza impugnata risulti,
come nel caso di specie, correttamente e logicamente motivata.
Costituisce giurisprudenza costante che il giudizio sulla completezza e
correttezza della motivazione della sentenza impugnata non può
confondersi "con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite,
da contrapporsi a quella fornita dal giudice di merito", con la
conseguenza che una motivazione esauriente nell'affrontare i temi
essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si
sottrae al sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità
anche dopo la novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla
sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995 - 23
febbraio 1996, Fachini (rv 203767), principi che hanno trovato conferma
in plurime recenti decisioni quali le sentenze della Seconda Sezione
Penale, n. 23419 del 23 maggio - 14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli
(rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15 - 21 giugno
2007, Musumeci (rv 237207), secondo le quali può aversi vizio di
travisamento della prova quando l'errore sia in grado "di disarticolare
l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione", e
che questo può avvenire solo nei casi in cui "si introduce in
motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo",
oppure "si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della
decisione". 4. Così esaminati i contenuti delle censure avanzate dal
ricorrente, permane in ogni caso alla Corte l'obbligo di verificare
quali siano nel caso concreto le conseguenze della sentenza 8 novembre
2007 della Corte di Giustizia C.E. nella causa C-20/05, Schwibbert.
Tale
decisione ha affermato che costituiscono "regole tecniche" (ai sensi
delle direttive 83/189/CEE e 98/34/CEE, e successive modifiche) le
disposizioni nazionali che prescrivono l'apposizione del contrassegno
SIAE su supporti contenenti opere dell'ingegno; con la conseguenza che,
non essendo stato rispettato dallo Stato italiano l'obbligo di
notificazione di dette regole alla Commissione europea, le relative
disposizioni interne non possono essere fatte valere nei confronti dei
privati e debbono essere disapplicate dal giudice.
Con
decisioni assunte da questa Sezione all'udienza del 12 febbraio 2008
(in particolare con le sentenze n. 13853, Luciotto e 13816, Valentino;
confermate dalla sentenza 6 marzo 2008, Boujlaib Youssef della Settima
Sezione Penale) sono stati fissati alcuni principi interpretativi delle
disposizioni incriminatrici previste dalla L. n. 633 del 1941, che possono così riassumersi:
a)
devono essere dichiarati non sussistenti i fatti reato previsti con
riferimento alla utilizzazione di supporti privi del contrassegno SIAE,
come previsti da parte dell'art. 171 bis e dell'art. 171 ter, comma 1,
lett. d), commessi fino all'(OMISSIS), risultando accertato che fino
alla data di emanazione della sentenza Schwibbert lo Stato italiano era
rimasto inadempiente all'obbligo di notificazione delle regole tecniche;
eventuali sentenze di condanna debbono, pertanto, essere annullate
senza rinvio in linea con i principi affermati dalla sentenza della
medesima Sezione n. 16969 del 28 marzo 2007, PG in proc. Palmioli, rv
236116, in tema di scommesse sportive previste dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4;
b)
nessun effetto viene prodotto dalla citata sentenza Schwibbert sui
fatti di reato aventi ad oggetto l'utilizzazione di supporti
abusivamente riprodotti, come previsti dell'art. 171 ter, comma 1, lett.
c), così che restano in sè punibili le condotte lesive dei diritti
poste a tutela della personalità dell'autore o lesive dei diritti alla
utilizzazione economica dell'opera di ingegno;
c)
analoghi principi debbono applicarsi alle ipotesi previste dell'art.
171 ter, comma 2, lett. a), con la conseguenza che non sussiste
fattispecie di reato se la contestazione concerne esclusivamente il
riferimento a supporti privi del contrassegno SIAE, mentre permane la
punibilità se i supporti risultano (anche) abusivamente riprodotti.
5.
Le citate sentenze sono giunte a tali conclusioni attraverso alcuni
passaggi motivazionali essenziali che possono così sintetizzarsi:
1)
le Direttive CEE sopra ricordate prevedono che le "regole tecniche"
poste a tutela del diritto d'autore possono essere opposte ai private
solo dopo la notificazione alla Commissione europea;
2)
in Italia tale tutela è stata attuata attraverso la previsione
dell'apposizione del contrassegno SIAE (Società Italiana degli Autori e
Editori) sui prodotti dell'ingegno, a riprova dell'avvenuto assolvimento
dei diritti;
3) tale soluzione, inizialmente
rilevante ai soli effetti civili, ha nel tempo assunto valore
pubblicistico, fino a ricevere protezione mediante l'intervento penale;
4)
inizialmente concentrata sui supporti cartacei, la previsione normativa
ha conosciuto anch'essa un'evoluzione legata allo sviluppo delle
tecnologie e della natura dei supporti, venendo progressivamente a
prevedere l'obbligo di apposizione del contrassegno, e le relative
sanzioni in caso di inadempimento, sui supporti riproducenti opere
cinematografiche (L. n. 121 del 1987);
sui supporti riproducenti programmi per elaboratori elettronici (D.Lgs. n. 518 del 1992, come modificato dalla L. n. 248 del 2000);
sui supporti riproducenti fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenza di immagini in movimento (L. n. 248 del 2000, che ha modificato la L. n. 685 del 1994);
5)
da tale excursus deve dedursi che le disposizioni che prevedono
l'apposizione del contrassegno SIAE, e ne sanzionano l'inadempimento,
sui supporti dai contenuti musicali e cinematografici e su quelli
contenenti videogiochi risultano successive alle citate Direttive
comunitarie e, quindi, a causa dell'omessa notificazione, non opponibili
ai privati;
6) il principio affermato dalla
sentenza Schwibbert, costituendo interpretazione vincolante dei principi
del Trattato CE (cfr. art. 164), ha immediata applicazione nel diritto
interno e il giudice nazionale, senza attendere che le disposizioni
interne vengano modificate o abrogate, può e deve disapplicarle (Corte
di Giustizia, sentenza 9 marzo 1978 nella causa C-06/1997, Simmenthal;
sentenza 11 gennaio 1996, nella causa C-273/1994, Commissione/Paesi
Bassi).
6. Ebbene, dagli stessi capi di
imputazione e dal contenuto delle decisioni di merito si può ricavare
che la contestazione mossa al Sig. D. non concerne la mera assenza del
contrassegno SIAE sui supporti sequestrati, ma ha ad oggetto la
detenzione di supporti frutto di abusiva duplicazione del loro contenuto
e, conseguentemente, la violazione dei diritti posti a tutela della
personalità dell'autore o dei diritti alla utilizzazione economica
dell'opera di ingegno.
A tal proposito la
Corte rileva che la condotta esplicitamente contestata nei capi a) e b)
della rubrica e accertata in sede di giudizio non consiste nella
utilizzazione di supporti privi del contrassegno previsto dalla legge,
bensì nel "detenere per la vendita o per il noleggio" supporti
abusivamente duplicati; tale condotta è contemplata non dall'art. 171
bis e dall'art. 171 ter, lett. a), secondo la qualificazione giuridica
erroneamente fissata dal Pubblico ministero e dai primi giudici, bensì
del medesimo art. 171 ter, lett. c).
Da tale constatazione consegue che spetta a questa Corte, secondo quanto previsto dall'art. 521 c.p.p.,
attribuire la corretta definizione giuridica al fatto quale risulta
accertato in sede di merito, che resta immutato rispetto alla
contestazione.
7. Al rigetto del ricorso consegue l'obbligo per il ricorrente di sostenere le spese del presente giudizio, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Qualificati i fatti in contestazione residua ai sensi della L. n. 633del 1941, art. 71 ter, lett. c), e dell'art. 81 cpv. c.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2008
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