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martedì 10 giugno 2014

Cassazione: INFORTUNI SUL LAVORO - PREVIDENZA SOCIALE - REATO IN GENERE



INFORTUNI SUL LAVORO   -   PREVIDENZA SOCIALE   -   REATO IN GENERE
Cass. pen. Sez. III, (ud. 21-05-2008) 02-07-2008, n. 26539

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo


OSSERVA
Con la sentenza in epigrafe il tribunale di Brescia condannava - a seguito di opposizione a decreto penale di condanna - L.L., imputato del reato di cui all'art. 4, comma 5, lett. c), in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 89, lett. b), per avere, nella qualità di Presidente del CdA e consigliere della cooperativa "@@@@@@@@" omesso, nell'affidare i compiti ai lavoratori indicati sul libro matricola, di tenere conto delle loro capacità in rapporto alle loro condizioni di salute, non segnalando al medico di lavoro competente per gli accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro da assegnare gli stessi lavoratori assunti, alla pena di Euro 1.600,00, di ammenda.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato deducendo la violazione di legge in relazione alla disposizione contestata ed all'art. 157 c.p..
Sostiene, infatti, il ricorrente che la previsione normativa in esame non prevede un obbligo specifico di segnalare al medico del lavoro i lavoratori assunti e che tale omissione non basta per la sussistenza del reato, dovendosi piuttosto accertare se l'affidamento dei compiti e delle mansioni non sia stato preceduto da altre forme di verifica di compatibilità, ad esempio attraverso accertamenti medici effettuati dallo stesso lavoratore, non dovendosi necessariamente ricorrere al medico del lavoro.
In ogni caso il ricorrente contesta la natura permanente del reato ed invoca la prescrizione di esso.

Motivi della decisione


Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Per quanto concerne la prima questione posta dal ricorrente osserva il Collegio che tra le innovazioni più significative del D.Lgs. n. 626 del 1994, vi è senz'altro quella di definire, nel solco già tracciato dal D.Lgs. n. 277 del 1991, ruolo, requisiti, responsabilità, compiti e funzioni del medico competente; figura questa già presente in precedenti testi normativi quali del D.P.R. n. 303 del 1956, art. 33.
Il legislatore, richiedendo che la figura del medico competente sia individuata sulla base di specifici parametri (specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica, o in tossicologia industriale, o in igiene industriale, o in fisiologia ed igiene del lavoro, o in clinica del lavoro ed altre specializzazioni individuate, ove necessario, con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica) e nel richiedere contestualmente anche una comprovata esperienza professionale del medico designato (art. 55), ha inteso evidentemente individuare la figura di un medico di qualificata professionalità, in grado di diventare il collaboratore del datore di lavoro e del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione aziendale.
Ed è a questa figura che il datore di lavoro deve rapportarsi per le finalità indicate dall'art. 4, comma 5, lett. c), come si rileva dalla formulazione dell'art. 16 che, dopo avere premesso al comma 1 che "La sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente", inequivocabilmente stabilisce al comma successivo che "La sorveglianza di cui al comma 1 è effettuata dal medico competente e comprende:
a) accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica;
b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica".
E ciò, naturalmente, fermo restando, che la presenza del medico competente nell'azienda (e, di conseguenza, la sua partecipazione alla valutazione dei rischi) è obbligatoria a termini di legge solo nei casi in cui sussista l'obbligo della sorveglianza sanitaria, circostanza questa non contestata nella specie.
Il sistema normativo si completa con la previsione secondo la quale il medico competente, qualora esprima un giudizio di inidoneità alla mansione specifica, parziale o totale, temporanea o permanente, ne deve informare per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore.
E' chiaro, dunque, l'intento del legislatore di anticipare la tutela del lavoratore stesso sanzionando con l'art. 89, lett. b) l'inadempimento dell'obbligo indipendentemente dalla idoneità effettiva del lavoratore a rivestire la mansione specifica o a svolgere la tipologia dei compiti assegnatigli.
E dunque, nei casi in cui è richiesta, la funzione del medico competente non può essere altrimenti surrogata ed a nulla rileva l'effettiva inidoneità del lavoratore allo svolgimento dei compiti assegnatigli.
Rimane allora da affrontare il secondo aspetto sollevato dal ricorrente, vale a dire quello della natura del reato.
Ancora una volta il Collegio ritiene di dovere dissentire dalla prospettazione dell'imputato che sostiene la natura istantanea del reato. E ciò in quanto, l'interesse dello Stato alla effettiva assunzione delle misure di salvaguardia della salute del lavoratore non è limitato alla fase che precede l'assegnazione dei compiti ma perdura per l'intero rapporto.
Ed, infatti, l'art. 89 lett. b) nel prevedere la pena dell'arresto da due a quattro mesi o dell'ammenda da L. un milione a L. cinque milioni si limita a richiamare tra le altre la violazione dell'art. 4, comma 5, lett. c).
Quest'ultima disposizione (art. 4, comma 5, lett. c) contempla senza limitazione temporale alcuna l'obbligo per il datore di lavoro di affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza.
Inoltre essa va evidentemente coordinata con quella dell'art. 16 che ai fini della valutazione della idoneità alla mansione specifica dei lavoratori prevede che la sorveglianza sanitaria si eserciti non solo mediante accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza, di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati (art. 16 comma 2, lett. a), ma anche attraverso gli "accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica" (art. 16, comma 2, lett. c).
Recita, infatti, l'art. 16 - Contenuto della sorveglianza sanitaria 1. La sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente.
2. La sorveglianza di cui al comma 1 è effettuata dal medico competente e comprende:
a) accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica;
b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
3. Gli accertamenti di cui al comma 2 comprendono esami cimici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio, ritenuti necessari dal medico competente.
Appare evidente, pertanto, che la sorveglianza sanitaria non è circoscritta alla fase che precede l'assegnazione alle mansioni del dipendente.
Si deve, pertanto, necessariamente concludere, a parere del Collegio, per la natura permanente del reato perdurando l'obbligo della sorveglianza sanitaria anche nel corso dello svolgimento delle mansioni e, quindi, la condotta lesiva dell'interesse protetto sino a quando il datore di lavoro non ottemperi all'obbligo di procedere agli indicati accertamenti.
Il reato, dunque, non può essere ritenuto prescritto, come correttamente affermato dal giudice di merito all'epoca della decisione impugnata e nemmeno alla data odierna.
Il ricorso va dunque rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2008

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