Translate

martedì 10 giugno 2014

Cassazione: Il diritto all'equa riparazione per le conseguenze dell'irragionevole durata del processo, riconosciuto dall'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, è pienamente configurabile anche con riferimento alle controversie relative al rapporto di lavoro riguardanti i pubblici dipendenti i cui compiti comportano l'esercizio di pubblici poteri ovvero la tutela di interessi generali (magistrati, avvocati dello Stato, appartenenti alle Forze Armate e alla Polizia di Stato),..



Cassazione Civile
Sez. I, Ord. n. 1520 del 24 gennaio 2008
cost. art. 111
L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2
 
Il diritto all'equa riparazione per le conseguenze dell'irragionevole durata del processo, riconosciuto dall'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, è pienamente configurabile anche con riferimento alle controversie relative al rapporto di lavoro riguardanti i pubblici dipendenti i cui compiti comportano l'esercizio di pubblici poteri ovvero la tutela di interessi generali (magistrati, avvocati dello Stato, appartenenti alle Forze Armate e alla Polizia di Stato), essendo indubbio che l'opzione del legislatore di lasciare tali controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non ha comportato alcuna scelta di sottrarre quei processi all'applicazione dell'art. 111, comma 2, Cost., il quale assicura a tutte le parti, e quindi anche ai funzionari e dipendenti dello Stato che attraverso i loro atti ne esprimono la potestà di imperio, che la loro posizione sia valutata equamente ed in un termine ragionevole. (Rigetta, Firenze, 19 Maggio 2006)
Sez. I, Ord. n. 1520 del 24-01-2008 (ud. del 06-11-2007), Presidente del Consiglio dei Ministri c. V.F.M. (rv. 601431)




DANNI IN MATERIA CIV. E PEN.   -   DIRITTI POLITICI E CIVILI   -   GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA   -   PROCEDIMENTO CIVILE
Cass. civ. Sez. I, Ord., 24-01-2008, n. 1520
Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

CHE la Corte di Appello di Firenze, esaminando domanda di equa riparazione proposta da F.M.V.. Agente della Polizia di Stato,contro la Presidenza del Consiglio per la irragionevole durata di un procedimento innanzi al TAR Toscana, procedimento avente ad oggetto l'annullamento del rapporto negativo determinante il diniego della sua partecipazione a scrutini di avanzamento alla qualifica di Vice Sovraintendente della Polstrada, con decreto 1905.2006 ritenne sussistente il diritto azionato ed irragionevole la durata per anni 4 e mesi 5 e liquidò allo attore indennizzo pari ad Euro 4.500,00 (al parametro annuo di Euro 1.000);
CHE il decreto, direttamente ricorribile per cassazione, è stato impugnato con ricorso 20.10.2006 affidato a tre motivi dal P.d.C.d.M. al quale l'intimato non ha opposto difese;
CHE ad un ricorso per cassazione avverso provvedimento pubblicato, come nella specie, il 19.05. 2006, devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell'art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l'illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all'art. 360 c.p.c., nn. 1 - 2 - 3 - 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto;
CHE i motivi nei quali nel quale si articola il ricorso del P.d.C.d.M., adempiono al citato obbligo ma appaiono manifestamente infondati la dove denunziano l'erronea attrazione nella tutela di cui all'art. 6 CEDU ed alla L. n. 89 del 2001, art. 2 anche delle controversie afferenti le posizioni di impiego di personale statale esercente attività d'imperio:
CHE come correttamente riconosce la ricorrente Avvocatura dello Stato questa Corte ha già statuito sulla applicazione generale della tutela invocata a tutte le controversie nelle quali si deduca la violazione di interessi legittimi (Cass. 6519/03 alla quale adde Cass. 3410/03 e 24438/06) ed a tal indirizzo si deve dar seguito, senza che possa ritenersi attratta nell'ambito delle controversie sulla potestà d'imperio statuale quella afferente una nota informativa rilevante per la progressione in carriera di un agente della Polizia di Stato ben altre essendo le controversie sull'esercizio di siffatta potestà che non quelle relative alla ordinaria gestione del rapporto di lavoro od impiego con la P.A..
CHE, ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio e rigettato perchè manifestamente infondato ai sensi dell'art. 375 c.p.c., n. 5." Osserva il Collegio che a contrastare siffatta proposta di definizione, chiedendo l'accoglimento del ricorso o comunque la rimessione in pubblica udienza, l'Avvocatura Generale ha depositato memoria finale nella quale ha invocato, come ribadito in discussione orale, quale limite alla applicazione della tutela ex lege n. 89 del 2001 (limite reso cogente dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità), i pronunziati della Corte di Strasburgo che sottraggono dalla sfera applicativa dell'art 6 1 della CEDU le controversie riguardanti i pubblici dipendenti i cui compiti comportano l'esercizio di pubblici poteri ovvero la tutela di interessi generali.
Il P.G. nella discussione in adunanza camerale ha invece dissentito dalla prospettazione della ricorrente ed ha chiesto la reiezione per manifesta infondatezza del ricorso.
Pare al Collegio che debbasi tenere ferma la proposta di definizione di cui sopra e pertanto rigettare l'impugnazione per manifesta infondatezza delle ragioni esposte ed illustrate, nulla delle critiche alla relazione formulata meritando condivisione di sorta:
Ed infatti, se è ben vero che la sfera applicativa dell'art. 6 della Convenzione Europea non può non essere assicurato in via uniforme dalla giurisprudenza della Corte di Starsburgo, dai cui parametri cronologici e valutativi il Giudice nazionale non può certo prescindere, è anche vero che detta Corte delinea per tutti gli Stati che hanno quella Convenzione ratificato un contenuto minimo di garanzie da assicurare perchè sia offerto a tutti i cittadini europei un giusto processo, ma non inibisce certo nè che i singoli Stati intendano assicurare garanzie ulteriori nè tampoco che la sfera di applicazione di quelle garanzie minime sia resa, in un singolo Stato e per ragioni di coerenza ordinamentale e costituzionale interna, più vasta.
E' fuor di dubbio, infatti, che alla base della scelta (già chiara con il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 2, comma 4 e quindi rimasta ferma sino alla regolamentazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001) di lasciare alla cognizione del Giudice Amministrativo le controversie del rapporto di pubblico impiego intercorrenti con magistrati, avvocati dello Stato, appartenenti alle Forze armate e della Polizia di Stato sia stata la esigenza di lasciare i singoli ordinamenti di appartenenza a regolare quei rapporti, non contrattualizzabili in ragione della rilevanza pubblica di quelle funzioni o della potestà d'imperio che lo Stato attraverso quel personale ha sempre esercitato. Ma è altrettanto indubbio che la correlata opzione per la giurisdizione esclusiva del G.A. non abbia comportato alcuna scelta di rendere recessivi quei diritti e quegli interessi rispetto alla posizione dell'Amministrazione e men che meno di sottrarre quei processi alla ineluttabile applicazione dell'art. 111 Cost., comma 2 il quale assicura a tutte le parti, e quindi anche a quei funzionari o dipendenti dello Stato che attraverso i loro atti esprimono la potestà d'imperio dello Stato stesso, che la loro posizione sia valutata equamente ed in un termine ragionevole.
Una diversa interpretazione, che in meccanico adeguamento ad un indirizzo della Corte Europea sottraesse quelle controversie alla applicazione delle norme generali di cui alla L. n. 89 del 2001, sarebbe palesemente sospetta di incostituzionalità (artt. 3 e 111 Cost.) nulla potendo autorizzare una deroga al precetto sulla ragionevole durata e men che meno una ingiustificata peculiarità della posizione dell'agente la quale potrebbe, semmai, giustificare una compressione della libertà negoziale di attuazione e promozione dei diritti ma non certo del diritto a vedere definita una controversia in tempi ragionevoli.
E poichè nulla impedisce di dare alla legge nazionale l'interpretazione costituzionalmente obbligata pur se essa non sia obbligatoria per l'ordinamento sopranazionale, non può che ribadirsi la piena applicabilità anche alla controversia sottoposta delle norme in discorso. Si rigetta pertanto il ricorso (senza provvedere sulle spese, in assenza di difese dell'intimato).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2008

Nessun commento: