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martedì 10 giugno 2014

Una segnalazione Schengen a carico non è preclusiva per il ricongiungimento familiare La circostanza è insufficiente a motivare, da sola, il rifiuto del visto. Tuttavia chi intenda conseguire la tutela, in caso di diniego, deve dimostrare l'ininfluenza delle ragioni della segnalazione



Una segnalazione Schengen a carico non è preclusiva per il ricongiungimento familiare
La circostanza è insufficiente a motivare, da sola, il rifiuto del visto. Tuttavia chi intenda conseguire la tutela, in caso di diniego, deve dimostrare l'ininfluenza delle ragioni della segnalazione

STRANIERI
Cass. civ. Sez. I, 14-11-2008, n. 27224
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo


In data (OMISSIS), V.R. contraeva matrimonio all'estero con il sig. O.H. e in data (OMISSIS) chiedeva il rilascio del visto per l'Italia all'Ambasciata italiana a (OMISSIS). Detta richiesta veniva rigettata con atto del (OMISSIS), essendo stato accertato che l' O., peraltro rientrato in (OMISSIS) in esecuzione di provvedimento di espulsione emesso dalla autorità italiana, era ritenuto persona indesiderabile in area Schengen. Avverso tale diniego, la V. proponeva ricorso che veniva rigettato dal Tribunale di Bologna, in composizione monocratica, con provvedimento in data 15 dicembre 2005, in quanto: a) il marito della V. era segnalato come inammissibile nel sistema informativo di Schengen; b) tra i coniugi non si era mai instaurata convivenza; c) non sussistevano le condizioni per fare luogo alla deroga prevista dall'art. 5, degli accordi di ratifica (L. n. 388 del 1993) in presenza di motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero di obblighi internazionali, non potendo questi ravvisarsi nel solo rapporto di coniugio.
Il reclamo proposto dalla V. avverso la decisione del Tribunale è stato respinto dalla Corte d'appello di Bologna con decreto in data 6 giugno 2006.
La Corte premetteva, in fatto, che il marito della V., presente in Italia per un certo tempo, era stato colpito da ordine di espulsione, in esecuzione del quale aveva fatto ritorno in (OMISSIS); che il matrimonio tra la reclamante e l' O. era avvenuto dopo l'espulsione di quest'ultimo dal territorio nazionale; che, pur se il rifiuto del visto era stato motivato con riferimento alla presenza del nominativo dell' O. nel sistema informativo Schengen, tuttavia lo stesso avrebbe potuto avere ulteriori notizie circa il suo inserimento nel suddetto sistema, rivolgendosi al Garante per la protezione dei dati personali.
Quanto alla normativa vigente in tema di unità familiare, la Corte rilevava che la stessa doveva essere individuata nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28 e segg., e in particolare nell'art. 29, da valutare, peraltro, in rapporto a tutte le altre disposizioni in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento previste dagli artt. 4 e 5, del medesimo D.Lgs.. E cosi, osservava la Corte, l'art. 4, comma 6, prevede espressamente che non possono fare ingresso nel territorio dello Stato e sono respinti alla frontiera gli stranieri espulsi, salvo che abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso, nonchè gli stranieri segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento e della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali. E, precisava la Corte felsinea, l' O. si trovava in entrambe le suddette condizioni, essendo egli stato espulso e non risultando che avesse ottenuto l'autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, ed essendo inserito nella categoria degli stranieri segnalati in area Schengen. Ed ancora, osservava la Corte, difettava nel caso di specie la convivenza, e cioè uno dei requisiti necessari per il ricongiungimento familiare, e l' O. non si era attivato ai sensi del citato art. 13, comma 13.
La Corte riteneva poi non pertinente il richiamo, fatto dalla difesa della reclamante, alla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del gennaio 2006, giacchè il giudice comunitario si è limitato a censurare i sistemi dei Paesi membri che non prevedono la possibilità per l'autorità amministrativa di emettere provvedimenti motivati a fronte di specifiche istanze, e, quindi, di contemperare e bilanciare equamente l'interesse dello straniero alla ricostituzione del nucleo familiare con gli altri valori costituzionalmente garantiti, come la sicurezza pubblica e il rispetto di norme internazionali. Un simile rilievo, infatti, non potrebbe essere mosso all'Italia che ha invece previsto un apposito iter che consente di non appiattirsi sulla dichiarazione e sul conseguente inserimento di stranieri nella categoria degli indesiderati, essendo riconosciuto all'interessato di rivolgere istanza ad un organo diverso da quello competente per il rilascio del visto di ingresso affinchè venga verificata la presenza o meno di un'effettiva minaccia abbastanza grave all'ordine pubblico o comunque ad uno degli interessi fondamentali della collettività. Pertanto, pur se nel provvedimento di diniego del visto si faceva riferimento all'art. 5, comma 1, lett. d), e cioè all'inserimento del nominativo dell' O. nel SIS, nello stesso si rimetteva alla iniziativa dell'interessato la possibilità di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali per ottenere maggiori informazioni sui motivi della segnalazione al fine della presentazione dell'istanza di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13.
Per la cassazione di questo decreto propone ricorso V.R. sulla base di due motivi; le amministrazioni intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio.

Motivi della decisione


Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 2, e della L. n. 241 del 1990, nonchè vizio di motivazione. Premesso che l'autorità diplomatica ha l'obbligo di motivare il diniego di visto nel caso in cui questo sia richiesto per ricongiungimento familiare e che la segnalazione ai fini della non ammissione dello straniero nell'area Schengen può essere determinata da molteplici ragioni, la ricorrente rileva che, ai fini della motivazione e della relativa istruttoria, la mera indicazione della sola segnalazione di non ammissibilità non è sufficiente per motivare la reiezione della istanza volta all'ottenimento del visto per ricongiungimento.
Nella specie, quindi, la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere sussistenti entrambe le condizioni previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 2, giacchè proprio con riferimento alla condizione di segnalazione in area Schengen, il medesimo art. 4, comma 6, prevede che la segnalazione deve essere tale da giustificare la non ammissione dello straniero extracomunitario per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali.
La ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: “Dica l'ecc.ma Suprema Corte di Cassazione adita: - se nel caso di specie, e cioè nel caso in cui una cittadina italiana richieda alle autorità consolari o all'ambasciata esteri, il rilascio di visto di ingresso per motivi familiari al seguito in favore del coniuge cittadino straniero, la mera indicazione della segnalazione del nominativo del coniuge straniero nel sistema informativo Schengen sia motivazione sufficiente ed esaustiva, alla luce dell'obbligo di motivazione imposto all'amministrazione diplomatica o consolare ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 2, di motivare, ex L. n. 241 del 1990, il diniego al rilascio del visto d'ingresso per motivo di familiare al seguito”.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, comma 2, e vizio di motivazione. La censura muove dalla premessa che, in caso di ricongiungimento tra cittadino italiano e cittadino extracomunitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, comma 2, la normativa applicabile è quella di cui al D.Lgs. n. 54 del 2002, in materia di circolazione dei cittadini comunitari, e non già quella dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998. Alla luce poi della sentenza del 2006 in causa n. 503/2003 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la ricorrente sostiene che l'Autorità giudiziaria sia tenuta a valutare la congruità e l'esattezza della motivazione relativa al diniego di ingresso in Italia del cittadino extracomunitario coniugato con cittadino/a italiana;
che la semplice segnalazione Schengen non sia sufficiente ad integrare il divieto di ingresso in assenza di condotte gravi, attuali ed effettivamente lesive dell'ordine pubblico e della sicurezza (condotte, nella specie, insussistenti); che le condanne non consentono in ogni caso di negare l'ingresso sul territorio nazionale dello straniero coniuge di cittadino italiano. Del tutto improprio sarebbe quindi il richiamo, contenuto nel decreto impugnato, al D.Lgs. n. 236 del 1998, art. 13, comma 13, anche perchè la procedura ivi prevista è rimessa alla più completa discrezionalità dell'amministrazione.
Allo straniero coniuge di cittadino italiano, del resto, non può essere riservato il medesimo trattamento previsto per i cittadini extracomunitari che richiedano il ricongiungimento con cittadini del pari extracomunitari, anche perchè il mancato rilascio del visto di ingresso al coniuge extracomunitario del cittadino italiano lederebbe il diritto di quest'ultimo all'unità familiare. Ed ancora, rileva la ricorrente, nessuna norma attribuisce in via esclusiva al Ministero dell'interno, con il procedimento di cui al citato art. 13, comma 13, il contemperamento tra l'interesse al ricongiungimento familiare e l'interesse alla tutela dell'ordine pubblico, sicchè un siffatto bilanciamento può essere effettuato anche dall'autorità diplomatica o consolare, essendo comunque il giudice nazionale tenuto ad adeguarsi alla interpretazione offerta dalla Corte di giustizia (secondo cui la mera segnalazione Schengen non comporta automaticamente il diniego dell'ingresso del cittadino extracomunitario coniuge di cittadino comunitario), pena la violazione degli artt. 11 e 117 Cost.. Il motivo di ricorso si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti: “Dica l'ecc.ma Suprema Corte di Cassazione adita: - se nel caso di specie, e cioè di ricongiungimento di cittadino extracomunitario con cittadina italiana con la quale è coniugato, debba trovare applicazione unicamente la normativa comunitaria dettata in materia di ricongiungimento familiare e che, pertanto la normativa in materia di cittadini extracomunitari (D.Lgs. n. 286 del 1998), debba trovare applicazione se non in quanto più favorevole (D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 28, comma 2); - se nel caso di specie, e cioè di ricongiungimento di cittadino extracomunitario con cittadina italiana, trovando applicazione unicamente il diritto comunitario, in materia di ricongiungimento familiare fra cittadina italiana e cittadino extracomunitario, la semplice segnalazione Schengen non è sufficiente a motivare il diniego al rilascio del visto di ingresso per familiari al seguito dovendo l'autorità amministrativa competente svolgere una approfondita indagine circa la presenza o meno di una effettiva minaccia grave per l'ordine pubblico o comunque per uno degli interessi fondamentali della collettività; - se nel caso di specie, e cioè di ricongiungimento familiare di cittadina italiana con cittadino extracomunitario colpito quest'ultimo da decreto di espulsione, che ha determinato la segnalazione Schengen, non possa trovare applicazione il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, in quanto tale norma si porrebbe in contrasto con il diritto e i principi fondamentali dell'ordinamento comunitario dettati in materia di unità familiare (normativa questa da applicare all'ipotesi in esame avendo essa ad oggetto il ricongiungimento familiare fra cittadina italiana e cittadino extracomunitario); - se nel caso di specie, e cioè di ricongiungimento familiare di cittadino extracomunitario con cittadina italiana, non possa trovare applicazione il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, poichè a norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, comma 2, nei procedimenti amministrativi intesi al ricongiungimento familiare di cittadino extracomunitario con cittadina italiana, la normativa dettata in materia di immigrazione extracomunitaria (...) si applica solo se e solo quando più favorevole della normativa comunitaria, unica normativa di riferimento in ipotesi, come nel caso di specie, di ricongiungimento familiare di cittadino italiano con cittadino extracomunitario, e il procedimento di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, imponendo la previa autorizzazione all'ingresso in Italia, prima della richiesta del visto per motivi familiari, è norma in tal senso decisamente sfavorevole”.
Il ricorso, i motivi del quale possono essere esaminati congiuntamente implicando la soluzione di questioni connesse, è infondato e va quindi rigettato.
La questione che il Collegio ritiene di dover esaminare prioritariamente è quella, presupposta dal secondo motivo di ricorso e implicita in tutti i quesiti formulati in riferimento a detto motivo, di quale sia la normativa applicabile nel caso di specie.
La ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che la materia del visto per il ricongiungimento familiare di un cittadino extracomunitario, coniuge di un cittadino italiano, dovesse essere disciplinata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, e ciò sulla base del rilievo che l'art. 28, comma 2, di tale decreto legislativo prevede che “ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizione del D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1656, fatte salve quelle più favorevoli del presente testo unico o del regolamento di attuazione”. Da ciò, ad avviso della ricorrente, la conseguenza che la specifica ipotesi di ricongiungimento familiare tra cittadina italiana e cittadino extracomunitario dovrebbe trovare disciplina nel D.Lgs. n. 54 del 2002, (abrogato, successivamente alla proposizione del ricorso, dal D.Lgs. n. 30 del 2007), il quale reca il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea.
L'assunto, pur se appare fondarsi sul dato testuale di cui all'art. 28, comma 2, non può essere condiviso e non può condurre alle conclusioni pretese dalla ricorrente, la quale, giova sottolineare, nelle fasi di merito del presente giudizio ha azionato il reclamo previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6, in relazione al diniego del visto di ingresso per ricongiungimento familiare richiesto all'Ambasciata italiana di (OMISSIS).
Se è vero, infatti, che il D.Lgs. n. 54 del 2002, all'art. 3, comma 3, disponeva che "per i soggetti indicati al comma 1, lett. a), b) e c), il soggiorno è altresì riconosciuto, quale che sia la loro cittadinanza, ai coniugi, ai figli di età inferiore ai ventuno anni e agli ascendenti e discendenti di tali cittadini e del proprio coniuge, che sono a loro carico, nonchè in favore di ogni altro membro della famiglia che, nel Paese di provenienza, sia convivente o a carico del coniuge, degli ascendenti del lavoratore e degli ascendenti del suo coniuge", e se è vero che il medesimo D.Lgs. n. 54 del 2002, art. 7, comma 1, stabiliva che "alle disposizioni di cui agli artt. da 1 a 6, concernenti l'ingresso o il soggiorno dei cittadini degli altri Stati membri della Unione Europea nel territorio della Repubblica, nonchè al loro allontanamento dal territorio stesso, può derogarsi solo per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica", con la precisazione che "i provvedimenti di ordine pubblico o di sicurezza pubblica devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo", è altresì vero che l'art. 1, comma 1, dello stesso decreto legislativo stabiliva che "i cittadini di uno Stato membro dell'Unione Europea hanno libero ingresso nel territorio della Repubblica, fatte salve le limitazioni derivanti dalle disposizioni in materia penale e da quelle a tutela dell'ordine pubblico, della sicurezza interna e della sanità pubblica in vigore per l'Italia, conformemente ai Trattati, alle Convenzioni e agli Accordi fra Stati membri dell'Unione Europea e alle relative disposizioni di attuazione".
Orbene, tra le Convenzioni la cui applicazione era fatta salva dal D.Lgs. n. 54 del 2002, art. 1, comma 1, (ma, trattandosi di Convenzioni ratificate con legge dello Stato, la loro applicabilità non potrebbe essere rimossa con una legge ordinaria successiva, a ciò ostandovi l'art. 117 Cost., comma 1, (v. Corte Cost., sent. n. 348 e n. 349 del 2007): e ciò rende nella sostanza inessenziale la mancata riproposizione, nel decreto legislativo n. 30 del 2007, che ha abrogato il D.Lgs. n. 54 del 2002, di una norma quale quella di cui al richiamato art. 1, comma 1, di quest'ultimo), vi è senz'altro la Convenzione di Schengen, ratificata in Italia con L. 30 settembre 1993, n. 388.
Tale convenzione, all'art. 5, stabilisce che "per un soggiorno non superiore a tre mesi, l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti può essere concesso allo straniero che soddisfi le condizioni seguenti: (...) d) non essere segnalato ai fini della non ammissione; e) non essere considerato pericoloso per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti" (comma 1), e che "l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte queste condizioni, a meno che una Parte contraente ritenga necessario derogare a detto principio per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virtù di obblighi internazionali. In tale caso, l'ammissione sarà limitata al territorio della Parte contraente interessata che dovrà avvertirne le altre Parti contraenti" (comma 2).
All'art. 92, la Convenzione prevede l'istituzione e la gestione di un sistema comune d'informazione, denominato Sistema d'Informazione Schengen, costituito da una sezione nazionale presso ciascuna Parte contraente e da un'unità di supporto tecnico. "Il Sistema d'Informazione Schengen consente alle autorità designate dalle Parti contraenti, per mezzo di una procedura d'interrogazione automatizzata, di disporre di segnalazioni di persone e di oggetti, in occasione di controlli alle frontiere, di verifiche e di altri controlli di polizia e doganali effettuati all'interno del paese conformemente al diritto nazionale nonchè, per la sola categoria di segnalazioni di cui all'art. 96, ai fini della procedura di rilascio di visti, del rilascio dei documenti di soggiorno e dell'amministrazione degli stranieri in applicazione delle disposizioni contenute nella presente Convenzione in materia di circolazione delle persone".
All'art. 96, si dispone poi che "i dati relativi agli stranieri segnalati ai fini della non ammissione sono inseriti in base ad una segnalazione nazionale risultante da decisioni prese, nel rispetto delle norme procedurali previste dalla legislazione nazionale, dalle autorità amministrative o dai competenti organi giurisdizionali" (comma 1). Le decisioni, dispone il comma 2, "possono essere fondate sulla circostanza che la presenza di uno straniero nel territorio nazionale costituisce una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale. In particolare ciò può verificarsi nel caso: a) di uno straniero condannato per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un anno; b) di uno straniero nei cui confronti vi sono seri motivi di ritenere che abbia commesso fatti punibili gravi, inclusi quelli di cui all'art. 71, o nei cui confronti esistano indizi reali che intenda commettere fatti simili nel territorio di una Parte contraente". Al comma 3, si precisa infine, ed è questa la disposizione rilevante nel presente giudizio - avendo la Corte d'appello accertato che lo straniero per il quale è stato rifiutato il visto per ricongiungimento familiare è stato anche destinatario di un provvedimento di espulsione prima del matrimonio -, che "le decisioni possono inoltre essere fondate sul fatto che lo straniero è stato oggetto di una misura di allontanamento, di respingimento o di espulsione non revocata nè sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto d'ingresso o eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri".
A tali disposizioni si correlano quelle contenute nell'art. 101, a norma del quale "l'accesso ai dati inseriti nel Sistema d'Informazione Schengen e il diritto di consultarli direttamente sono riservati esclusivamente alle autorità competenti in materia di: a) controlli alle frontiere; b) altri controlli di polizia e doganali effettuati all'interno del Paese e relativo coordinamento" (comma 1). "L'accesso ai dati inseriti conformemente all'art. 96, ed il diritto di consultarli direttamente possono essere esercitati dalle autorità competenti per il rilascio dei visti, dalle autorità centrali competenti per l'esame delle domande di visti e dalle autorità competenti per il rilascio dei documenti di soggiorno e per l'amministrazione degli stranieri nel quadro dell'applicazione delle disposizioni in materia di circolazione delle persone previste dalla presente Convenzione. L'accesso ai dati è disciplinato dal diritto nazionale di ciascuna Parte contraente" (comma 2).
La Convenzione disciplina poi il trattamento dei dati inseriti nel sistema, precisando che "la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione è responsabile dell'esattezza, dell'attualità e della liceità dell'inserimento dei dati nel Sistema d'Informazione Schengen" (art. 105), e che "soltanto la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione è autorizzata a modificare, completare, rettificare o cancellare i dati da essa introdotti" (art. 106, comma 1).
Quanto alla posizione del soggetto segnalato, l'art. 109, comma 1, stabilisce che “il diritto di ciascuno di accedere ai dati che lo riguardano inseriti nel Sistema d'Informazione Schengen è esercitato nel rispetto del diritto della Parte contraente presso la quale l'interessato lo fa valere", mentre l'art. 114, comma 2, prevede che "chiunque ha il diritto di chiedere alle autorità di controllo di verificare i dati che lo riguardano inseriti nel Sistema d'Informazione Schengen nonchè l'utilizzazione che ne viene fatta. Tale diritto è disciplinato dal diritto nazionale della Parte contraente presso la quale è presentata la domanda. Se i dati sono stati inseriti da un'altra Parte contraente, il controllo è effettuato in stretto coordinamento con l'autorità di controllo di detta Parte".
L'esistenza di una segnalazione nel sistema informativo Schengen introduce, quindi, la necessità di individuare quale sia, in caso di richiesta di visto per ricongiungimento familiare da parte di un cittadino italiano coniuge di un cittadino extracomunitario, la normativa applicabile. E non vi è dubbio che, a tali fini, rilevi il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 6, a norma del quale "non possono fare ingresso nel territorio dello Stato e sono respinti dalla frontiera gli stranieri espulsi, salvo che abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso, gli stranieri che debbono essere espulsi e quelli segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali". Previsione, questa, che va letta anche tenendo presente quanto disposto dall'ultima parte del medesimo art. 4, comma 3, (introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2007, art. 2, comma 1), secondo cui "lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento familiare, ai sensi dell'art. 29, non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone".
La questione della normativa applicabile, quindi, non può essere esaminata in astratto, come pretende la ricorrente, ma va rapportata alla concreta vicenda oggetto del giudizio, nella quale non è contestato che il visto per il ricongiungimento familiare richiesto da una cittadina italiana per il proprio coniuge extracomunitario è stato rigettato per essere quest'ultimo segnalato ai fini della non ammissione entro lo spazio Schengen, mentre il fatto che tale segnalazione possa essere stata determinata per effetto del precedente decreto di espulsione emesso dalle autorità italiane è null'altro che una ipotesi, non suffragata da motivato riscontro. L'esistenza di una segnalazione rende quindi evidente che, ai fini del rilascio del visto per ricongiungimento familiare, la posizione del cittadino extracomunitario, coniuge di cittadino italiano, deve essere valutata alla luce delle disposizioni che individuano nella segnalazione ai fini della non ammissione un ostacolo all'ingresso in Italia, e segnatamente del citato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 6.
Tale testo normativo, peraltro, configura la posizione del richiedente il ricongiungimento familiare in termini di diritto soggettivo, attribuendo al giudice ordinario la giurisdizione sulle impugnative proposte avverso i provvedimenti di diniego del visto. Dispone infatti l'art. 30, comma 6, che "contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchè contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può presentare ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede, il quale provvede, sentito l'interessato, nei modi di cui all'art. 737 c.p.c. e segg.. Il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta".
Il problema che si pone, e che costituisce lo specifico tema di indagine sollecitato a questa Corte con i motivi di ricorso proposti dalla ricorrente, è quindi quello di stabilire se, una volta individuata la normativa applicabile, l'amministrazione competente possa respingere la richiesta di visto adducendo esclusivamente a sostegno del diniego la segnalazione ai fini della non ammissione entro lo spazio Schengen. Il Collegio ritiene che a tale quesito si debba dare risposta negativa, assumendo in proposito rilevanza decisiva la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee 31 gennaio 2006 emessa in causa C - 503/03, alla quale ha fatto riferimento la ricorrente.
Si legge, infatti, in questa sentenza, che "uno Stato contraente può procedere alla segnalazione di un cittadino di uno Stato terzo coniuge di un cittadino di uno Stato membro solo dopo aver constatato che la presenza di tale persona costituisce una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività ai sensi della direttiva 64/221. (...). Di conseguenza, l'iscrizione nel SIS di un cittadino di uno Stato terzo del coniuge di un cittadino di uno Stato membro costituisce certamente un indizio dell'esistenza di un motivo che giustifica il fatto che gli venga negato l'ingresso nello spazio Schengen. Tuttavia, tale indizio dev'essere corroborato da informazioni che consentano allo Stato membro che consulta il SIS di accertare, prima di rifiutare l'ingresso nello spazio Schengen, che la presenza dell'interessato nel detto spazio costituisce una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività. In tale contesto, occorre rilevare che l'art. 94, lett. i), della CAAS (Convenzione applicazione dell'Accordo di Schengen) autorizza espressamente l'indicazione del motivo della segnalazione". Sussiste, quindi, secondo la Corte Europea, un onere per le autorità nazionali degli Stati membri dell'Unione di verificare se la presenza di cittadini di uno Stato terzo, coniugi di cittadini di Stati membri dell'Unione Europea, costituisca una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività. Ne consegue che lo Stato membro (nel caso deciso dalla richiamata sentenza, il Regno di Spagna), ove rifiuti l'ingresso nello spazio Schengen a cittadini di uno Stato terzo coniugi di cittadini di uno Stato membro, per il solo motivo che siano segnalati nel SIS ai fini della non ammissione, senza preliminarmente verificare se la presenza di tali persone costituisca una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività, viola gli obblighi che ad esso incombono in forza degli artt. 1 - 3 della direttiva 64/221.
Nel caso di specie, posto che è indubitabile che il provvedimento di diniego del visto è avvenuto sulla base della mera segnalazione ai fini della non ammissione, deve ritenersi che si sia verificata la denunciata violazione.
Accertata tale violazione, si deve peraltro verificare se la mera violazione dell'obbligo di motivazione, in presenza di una condizione - quella della segnalazione ai fini della non ammissione in area Schengen - che, in ipotesi, può trovare fondamento in situazioni di fatto che legittimerebbero il diniego del visto, sia idonea a giustificare l'accoglimento del ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6, e l'adozione di un provvedimento che tenga luogo del visto illegittimamente negato, cosi consentendo all'interessato il perseguimento dello scopo di cui alla proposta domanda giudiziaria. Una simile verifica appare, nel caso di specie, necessaria, posto che la stessa ricorrente sostiene che l'Autorità giudiziaria è tenuta a valutare la congruità e l'esattezza della motivazione relativa al diniego di ingresso in Italia del cittadino extracomunitario coniugato con cittadino/a italiana.
E tale verifica, ad avviso del Collegio, non può avere esito positivo. Deve infatti ritenersi che, allorquando oggetto del ricorso D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 30, comma 6, sia il provvedimento di diniego del visto per ricongiungimento familiare motivato con la segnalazione ai fini della non ammissione, senza ulteriori specificazioni, il ricorrente, onde poter attivare utilmente il rimedio giurisdizionale indicato - che, come detto e come richiesto dalla stessa ricorrente, è volto al riconoscimento del diritto soggettivo al ricongiungimento e non si riduce alla sollecitazione di un sindacato di legittimità sul provvedimento amministrativo - abbia un onere di acquisizione delle informazioni che lo riguardano e di successiva allegazione, onde consentire al Giudice adito di adempiere al compito a lui demandato dall'art. 30, comma 6, citato ("Il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta"). A tal fine deve quindi ritenersi necessario che l'interessato, avvalendosi dei procedimenti interni che disciplinano l'accesso ai documenti amministrativi, acquisisca dall'amministrazione competente la dovuta informazione sulle ragioni della segnalazione e che, all'esito di tale procedimento, censuri in sede giurisdizionale il provvedimento negativo assumendo la insussistenza delle condizioni che devono accompagnarsi alla segnalazione, perchè questa possa avere l'effetto di precludere il rilascio del richiesto visto per ricongiungimento familiare. Non vi è dubbio, infatti, che, in presenza di una segnalazione, la quale anche secondo la Corte di Giustizia costituisce un indizio dell'esistenza di un motivo che giustifica il fatto che venga negato il visto di ingresso, la mera denuncia di un vizio di motivazione del provvedimento di diniego non consente alcun accertamento della sussistenza del diritto al ricongiungimento ovvero della insussistenza di ragioni ostative al rilascio di detto visto.
In tale situazione, invero, in assenza di esplicitazione delle ragioni per le quali la segnalazione ai fini della non ammissione nell'area Schengen preclude il rilascio del visto per ricongiungimento familiare, il ricorso volto a far dichiarare dal giudice ordinario la mera illegittimità del provvedimento di diniego si appalesa inidoneo al raggiungimento dello scopo; e tale inidoneità si riflette anche sul ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dalla Corte d'appello in sede di reclamo.
Non è quindi sufficiente, come nel caso di specie, la mera denuncia di un vizio di legittimità perchè possa essere conseguito lo scopo della domanda di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6.
Deve conclusivamente affermarsi il seguente principio di diritto: "Il rifiuto del visto per ricongiungimento familiare a un cittadino extracomunitario, che sia coniuge di un cittadino italiano, per il solo fatto che sussiste una segnalazione ai fini della non ammissione entro lo spazio Schengen, senza una preliminare verifica se la presenza di tale persona costituisca una minaccia effettiva, attuale © abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività, è illegittimo; tuttavia, il cittadino che intenda conseguire la tutela approntata dall'ordinamento ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6, - la cui applicazione anche nei confronti di cittadini extracomunitari coniugi di cittadini italiani si giustifica in forza delle disposizioni speciali che disciplinano gli accordi di Schengen e l'istituto della segnalazione - non può limitarsi a dedurre la mera illegittimità del provvedimento di diniego, ma ha l'onere quanto meno di allegare la ininfluenza delle ragioni di detta segnalazione ai fini della proposta richiesta di visto".
In applicazione di questo principio, il ricorso deve essere rigettato, giacchè, se è vero che, nel caso di specie, il visto per ricongiungimento familiare è stato negato sulla base della mera segnalazione e senza specificazione delle ragioni che renderebbero detta segnalazione idonea a giustificare il diniego stesso, è altresì vero che, essendo la domanda proposta finalizzata al conseguimento del visto, non risultano allegate le ragioni che potrebbero indurre a ritenere insussistenti le condizioni giustificatrici del diniego.
Non avendo le amministrazioni intimate svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2008

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