Una segnalazione Schengen a carico non è preclusiva per il ricongiungimento familiare |
La circostanza è insufficiente a motivare, da sola, il rifiuto del visto. Tuttavia chi intenda conseguire la tutela, in caso di diniego, deve dimostrare l'ininfluenza delle ragioni della segnalazione |
STRANIERI
Cass. civ. Sez. I, 14-11-2008, n. 27224
Cass. civ. Sez. I, 14-11-2008, n. 27224
Svolgimento del processo
In
data (OMISSIS), V.R. contraeva matrimonio all'estero con il sig. O.H. e
in data (OMISSIS) chiedeva il rilascio del visto per l'Italia
all'Ambasciata italiana a (OMISSIS). Detta richiesta veniva rigettata
con atto del (OMISSIS), essendo stato accertato che l' O., peraltro
rientrato in (OMISSIS) in esecuzione di provvedimento di espulsione
emesso dalla autorità italiana, era ritenuto persona indesiderabile in
area Schengen. Avverso tale diniego, la V. proponeva ricorso che veniva
rigettato dal Tribunale di Bologna, in composizione monocratica, con provvedimento in data 15 dicembre 2005,
in quanto: a) il marito della V. era segnalato come inammissibile nel
sistema informativo di Schengen; b) tra i coniugi non si era mai
instaurata convivenza; c) non sussistevano le condizioni per fare luogo
alla deroga prevista dall'art. 5, degli accordi di ratifica (L. n. 388 del 1993)
in presenza di motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero di
obblighi internazionali, non potendo questi ravvisarsi nel solo rapporto
di coniugio.
Il reclamo proposto dalla V.
avverso la decisione del Tribunale è stato respinto dalla Corte
d'appello di Bologna con decreto in data 6 giugno 2006.
La
Corte premetteva, in fatto, che il marito della V., presente in Italia
per un certo tempo, era stato colpito da ordine di espulsione, in
esecuzione del quale aveva fatto ritorno in (OMISSIS); che il matrimonio
tra la reclamante e l' O. era avvenuto dopo l'espulsione di
quest'ultimo dal territorio nazionale; che, pur se il rifiuto del visto
era stato motivato con riferimento alla presenza del nominativo dell' O.
nel sistema informativo Schengen, tuttavia lo stesso avrebbe potuto
avere ulteriori notizie circa il suo inserimento nel suddetto sistema,
rivolgendosi al Garante per la protezione dei dati personali.
Quanto alla normativa vigente in tema di unità familiare, la Corte rilevava che la stessa doveva essere individuata nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28
e segg., e in particolare nell'art. 29, da valutare, peraltro, in
rapporto a tutte le altre disposizioni in materia di ingresso, soggiorno
e allontanamento previste dagli artt. 4 e 5, del medesimo D.Lgs.. E
cosi, osservava la Corte, l'art. 4, comma 6, prevede espressamente che
non possono fare ingresso nel territorio dello Stato e sono respinti
alla frontiera gli stranieri espulsi, salvo che abbiano ottenuto la
speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di
ingresso, nonchè gli stranieri segnalati, anche in base ad accordi o
convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del
respingimento e della non ammissione per gravi motivi di ordine
pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni
internazionali. E, precisava la Corte felsinea, l' O. si trovava in
entrambe le suddette condizioni, essendo egli stato espulso e non
risultando che avesse ottenuto l'autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13,
ed essendo inserito nella categoria degli stranieri segnalati in area
Schengen. Ed ancora, osservava la Corte, difettava nel caso di specie la
convivenza, e cioè uno dei requisiti necessari per il ricongiungimento
familiare, e l' O. non si era attivato ai sensi del citato art. 13,
comma 13.
La Corte riteneva poi non pertinente
il richiamo, fatto dalla difesa della reclamante, alla sentenza della
Corte di Giustizia dell'Unione Europea del gennaio 2006, giacchè il
giudice comunitario si è limitato a censurare i sistemi dei Paesi membri
che non prevedono la possibilità per l'autorità amministrativa di
emettere provvedimenti motivati a fronte di specifiche istanze, e,
quindi, di contemperare e bilanciare equamente l'interesse dello
straniero alla ricostituzione del nucleo familiare con gli altri valori
costituzionalmente garantiti, come la sicurezza pubblica e il rispetto
di norme internazionali. Un simile rilievo, infatti, non potrebbe essere
mosso all'Italia che ha invece previsto un apposito iter che consente
di non appiattirsi sulla dichiarazione e sul conseguente inserimento di
stranieri nella categoria degli indesiderati, essendo riconosciuto
all'interessato di rivolgere istanza ad un organo diverso da quello
competente per il rilascio del visto di ingresso affinchè venga
verificata la presenza o meno di un'effettiva minaccia abbastanza grave
all'ordine pubblico o comunque ad uno degli interessi fondamentali della
collettività. Pertanto, pur se nel provvedimento di diniego del visto
si faceva riferimento all'art. 5, comma 1, lett. d), e cioè
all'inserimento del nominativo dell' O. nel SIS, nello stesso si
rimetteva alla iniziativa dell'interessato la possibilità di rivolgersi
al Garante per la protezione dei dati personali per ottenere maggiori
informazioni sui motivi della segnalazione al fine della presentazione
dell'istanza di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13.
Per
la cassazione di questo decreto propone ricorso V.R. sulla base di due
motivi; le amministrazioni intimate non hanno svolto attività difensiva
nel presente giudizio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 2, e della L. n. 241 del 1990,
nonchè vizio di motivazione. Premesso che l'autorità diplomatica ha
l'obbligo di motivare il diniego di visto nel caso in cui questo sia
richiesto per ricongiungimento familiare e che la segnalazione ai fini
della non ammissione dello straniero nell'area Schengen può essere
determinata da molteplici ragioni, la ricorrente rileva che, ai fini
della motivazione e della relativa istruttoria, la mera indicazione
della sola segnalazione di non ammissibilità non è sufficiente per
motivare la reiezione della istanza volta all'ottenimento del visto per
ricongiungimento.
Nella specie, quindi, la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere sussistenti entrambe le condizioni previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 2,
giacchè proprio con riferimento alla condizione di segnalazione in area
Schengen, il medesimo art. 4, comma 6, prevede che la segnalazione deve
essere tale da giustificare la non ammissione dello straniero
extracomunitario per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza
nazionale e di tutela delle relazioni internazionali.
La
ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: “Dica
l'ecc.ma Suprema Corte di Cassazione adita: - se nel caso di specie, e
cioè nel caso in cui una cittadina italiana richieda alle autorità
consolari o all'ambasciata esteri, il rilascio di visto di ingresso per
motivi familiari al seguito in favore del coniuge cittadino straniero,
la mera indicazione della segnalazione del nominativo del coniuge
straniero nel sistema informativo Schengen sia motivazione sufficiente
ed esaustiva, alla luce dell'obbligo di motivazione imposto
all'amministrazione diplomatica o consolare ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 2, di motivare, ex L. n. 241 del 1990, il diniego al rilascio del visto d'ingresso per motivo di familiare al seguito”.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, comma 2,
e vizio di motivazione. La censura muove dalla premessa che, in caso di
ricongiungimento tra cittadino italiano e cittadino extracomunitario,
ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, comma 2, la
normativa applicabile è quella di cui al D.Lgs. n. 54 del 2002, in
materia di circolazione dei cittadini comunitari, e non già quella
dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998. Alla luce poi della
sentenza del 2006 in causa n. 503/2003 della Corte di Giustizia
dell'Unione Europea, la ricorrente sostiene che l'Autorità giudiziaria
sia tenuta a valutare la congruità e l'esattezza della motivazione
relativa al diniego di ingresso in Italia del cittadino extracomunitario
coniugato con cittadino/a italiana;
che la
semplice segnalazione Schengen non sia sufficiente ad integrare il
divieto di ingresso in assenza di condotte gravi, attuali ed
effettivamente lesive dell'ordine pubblico e della sicurezza (condotte,
nella specie, insussistenti); che le condanne non consentono in ogni
caso di negare l'ingresso sul territorio nazionale dello straniero
coniuge di cittadino italiano. Del tutto improprio sarebbe quindi il
richiamo, contenuto nel decreto impugnato, al D.Lgs. n. 236 del 1998,
art. 13, comma 13, anche perchè la procedura ivi prevista è rimessa alla
più completa discrezionalità dell'amministrazione.
Allo
straniero coniuge di cittadino italiano, del resto, non può essere
riservato il medesimo trattamento previsto per i cittadini
extracomunitari che richiedano il ricongiungimento con cittadini del
pari extracomunitari, anche perchè il mancato rilascio del visto di
ingresso al coniuge extracomunitario del cittadino italiano lederebbe il
diritto di quest'ultimo all'unità familiare. Ed ancora, rileva la
ricorrente, nessuna norma attribuisce in via esclusiva al Ministero
dell'interno, con il procedimento di cui al citato art. 13, comma 13, il
contemperamento tra l'interesse al ricongiungimento familiare e
l'interesse alla tutela dell'ordine pubblico, sicchè un siffatto
bilanciamento può essere effettuato anche dall'autorità diplomatica o
consolare, essendo comunque il giudice nazionale tenuto ad adeguarsi
alla interpretazione offerta dalla Corte di giustizia (secondo cui la
mera segnalazione Schengen non comporta automaticamente il diniego
dell'ingresso del cittadino extracomunitario coniuge di cittadino
comunitario), pena la violazione degli artt. 11 e 117 Cost.. Il
motivo di ricorso si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti:
“Dica l'ecc.ma Suprema Corte di Cassazione adita: - se nel caso di
specie, e cioè di ricongiungimento di cittadino extracomunitario con
cittadina italiana con la quale è coniugato, debba trovare applicazione
unicamente la normativa comunitaria dettata in materia di
ricongiungimento familiare e che, pertanto la normativa in materia di
cittadini extracomunitari (D.Lgs. n. 286 del 1998), debba trovare applicazione se non in quanto più favorevole (D.Lgs. n. 286 del 1998,
ex art. 28, comma 2); - se nel caso di specie, e cioè di
ricongiungimento di cittadino extracomunitario con cittadina italiana,
trovando applicazione unicamente il diritto comunitario, in materia di
ricongiungimento familiare fra cittadina italiana e cittadino
extracomunitario, la semplice segnalazione Schengen non è sufficiente a
motivare il diniego al rilascio del visto di ingresso per familiari al
seguito dovendo l'autorità amministrativa competente svolgere una
approfondita indagine circa la presenza o meno di una effettiva minaccia
grave per l'ordine pubblico o comunque per uno degli interessi
fondamentali della collettività; - se nel caso di specie, e cioè di
ricongiungimento familiare di cittadina italiana con cittadino
extracomunitario colpito quest'ultimo da decreto di espulsione, che ha
determinato la segnalazione Schengen, non possa trovare applicazione il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13,
in quanto tale norma si porrebbe in contrasto con il diritto e i
principi fondamentali dell'ordinamento comunitario dettati in materia di
unità familiare (normativa questa da applicare all'ipotesi in esame
avendo essa ad oggetto il ricongiungimento familiare fra cittadina
italiana e cittadino extracomunitario); - se nel caso di specie, e cioè
di ricongiungimento familiare di cittadino extracomunitario con
cittadina italiana, non possa trovare applicazione il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, poichè a norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, comma 2,
nei procedimenti amministrativi intesi al ricongiungimento familiare di
cittadino extracomunitario con cittadina italiana, la normativa dettata
in materia di immigrazione extracomunitaria (...) si applica solo se e
solo quando più favorevole della normativa comunitaria, unica normativa
di riferimento in ipotesi, come nel caso di specie, di ricongiungimento
familiare di cittadino italiano con cittadino extracomunitario, e il
procedimento di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13,
imponendo la previa autorizzazione all'ingresso in Italia, prima della
richiesta del visto per motivi familiari, è norma in tal senso
decisamente sfavorevole”.
Il ricorso, i motivi
del quale possono essere esaminati congiuntamente implicando la
soluzione di questioni connesse, è infondato e va quindi rigettato.
La
questione che il Collegio ritiene di dover esaminare prioritariamente è
quella, presupposta dal secondo motivo di ricorso e implicita in tutti i
quesiti formulati in riferimento a detto motivo, di quale sia la
normativa applicabile nel caso di specie.
La
ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere
che la materia del visto per il ricongiungimento familiare di un
cittadino extracomunitario, coniuge di un cittadino italiano, dovesse
essere disciplinata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, e ciò sulla
base del rilievo che l'art. 28, comma 2, di tale decreto legislativo
prevede che “ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato
membro dell'Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizione del
D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1656, fatte salve quelle più
favorevoli del presente testo unico o del regolamento di attuazione”. Da
ciò, ad avviso della ricorrente, la conseguenza che la specifica
ipotesi di ricongiungimento familiare tra cittadina italiana e cittadino
extracomunitario dovrebbe trovare disciplina nel D.Lgs. n. 54 del 2002,
(abrogato, successivamente alla proposizione del ricorso, dal D.Lgs. n. 30 del 2007),
il quale reca il testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli
Stati membri dell'Unione Europea.
L'assunto,
pur se appare fondarsi sul dato testuale di cui all'art. 28, comma 2,
non può essere condiviso e non può condurre alle conclusioni pretese
dalla ricorrente, la quale, giova sottolineare, nelle fasi di merito del
presente giudizio ha azionato il reclamo previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6, in relazione al diniego del visto di ingresso per ricongiungimento familiare richiesto all'Ambasciata italiana di (OMISSIS).
Se
è vero, infatti, che il D.Lgs. n. 54 del 2002, all'art. 3, comma 3,
disponeva che "per i soggetti indicati al comma 1, lett. a), b) e c), il
soggiorno è altresì riconosciuto, quale che sia la loro cittadinanza,
ai coniugi, ai figli di età inferiore ai ventuno anni e agli ascendenti e
discendenti di tali cittadini e del proprio coniuge, che sono a loro
carico, nonchè in favore di ogni altro membro della famiglia che, nel
Paese di provenienza, sia convivente o a carico del coniuge, degli
ascendenti del lavoratore e degli ascendenti del suo coniuge", e se è
vero che il medesimo D.Lgs. n. 54 del 2002, art. 7, comma 1, stabiliva
che "alle disposizioni di cui agli artt. da 1 a 6, concernenti
l'ingresso o il soggiorno dei cittadini degli altri Stati membri della
Unione Europea nel territorio della Repubblica, nonchè al loro
allontanamento dal territorio stesso, può derogarsi solo per motivi di
ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica", con la
precisazione che "i provvedimenti di ordine pubblico o di sicurezza
pubblica devono essere adottati esclusivamente in relazione al
comportamento personale dell'individuo", è altresì vero che l'art. 1,
comma 1, dello stesso decreto legislativo stabiliva che "i cittadini di
uno Stato membro dell'Unione Europea hanno libero ingresso nel
territorio della Repubblica, fatte salve le limitazioni derivanti dalle
disposizioni in materia penale e da quelle a tutela dell'ordine
pubblico, della sicurezza interna e della sanità pubblica in vigore per
l'Italia, conformemente ai Trattati, alle Convenzioni e agli Accordi fra
Stati membri dell'Unione Europea e alle relative disposizioni di
attuazione".
Orbene, tra le Convenzioni la cui
applicazione era fatta salva dal D.Lgs. n. 54 del 2002, art. 1, comma
1, (ma, trattandosi di Convenzioni ratificate con legge dello Stato, la
loro applicabilità non potrebbe essere rimossa con una legge ordinaria
successiva, a ciò ostandovi l'art. 117 Cost., comma 1, (v.
Corte Cost., sent. n. 348 e n. 349 del 2007): e ciò rende nella sostanza
inessenziale la mancata riproposizione, nel decreto legislativo n. 30 del 2007,
che ha abrogato il D.Lgs. n. 54 del 2002, di una norma quale quella di
cui al richiamato art. 1, comma 1, di quest'ultimo), vi è senz'altro la
Convenzione di Schengen, ratificata in Italia con L. 30 settembre 1993, n. 388.
Tale
convenzione, all'art. 5, stabilisce che "per un soggiorno non superiore
a tre mesi, l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti può essere
concesso allo straniero che soddisfi le condizioni seguenti: (...) d)
non essere segnalato ai fini della non ammissione; e) non essere
considerato pericoloso per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale o
le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti" (comma 1), e
che "l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere
rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte queste condizioni, a
meno che una Parte contraente ritenga necessario derogare a detto
principio per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virtù
di obblighi internazionali. In tale caso, l'ammissione sarà limitata al
territorio della Parte contraente interessata che dovrà avvertirne le
altre Parti contraenti" (comma 2).
All'art.
92, la Convenzione prevede l'istituzione e la gestione di un sistema
comune d'informazione, denominato Sistema d'Informazione Schengen,
costituito da una sezione nazionale presso ciascuna Parte contraente e
da un'unità di supporto tecnico. "Il Sistema d'Informazione Schengen
consente alle autorità designate dalle Parti contraenti, per mezzo di
una procedura d'interrogazione automatizzata, di disporre di
segnalazioni di persone e di oggetti, in occasione di controlli alle
frontiere, di verifiche e di altri controlli di polizia e doganali
effettuati all'interno del paese conformemente al diritto nazionale
nonchè, per la sola categoria di segnalazioni di cui all'art. 96, ai
fini della procedura di rilascio di visti, del rilascio dei documenti di
soggiorno e dell'amministrazione degli stranieri in applicazione delle
disposizioni contenute nella presente Convenzione in materia di
circolazione delle persone".
All'art. 96, si
dispone poi che "i dati relativi agli stranieri segnalati ai fini della
non ammissione sono inseriti in base ad una segnalazione nazionale
risultante da decisioni prese, nel rispetto delle norme procedurali
previste dalla legislazione nazionale, dalle autorità amministrative o
dai competenti organi giurisdizionali" (comma 1). Le decisioni, dispone
il comma 2, "possono essere fondate sulla circostanza che la presenza di
uno straniero nel territorio nazionale costituisce una minaccia per
l'ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale. In
particolare ciò può verificarsi nel caso: a) di uno straniero condannato
per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un
anno; b) di uno straniero nei cui confronti vi sono seri motivi di
ritenere che abbia commesso fatti punibili gravi, inclusi quelli di cui
all'art. 71, o nei cui confronti esistano indizi reali che intenda
commettere fatti simili nel territorio di una Parte contraente". Al
comma 3, si precisa infine, ed è questa la disposizione rilevante nel
presente giudizio - avendo la Corte d'appello accertato che lo straniero
per il quale è stato rifiutato il visto per ricongiungimento familiare è
stato anche destinatario di un provvedimento di espulsione prima del
matrimonio -, che "le decisioni possono inoltre essere fondate sul fatto
che lo straniero è stato oggetto di una misura di allontanamento, di
respingimento o di espulsione non revocata nè sospesa che comporti o sia
accompagnata da un divieto d'ingresso o eventualmente di soggiorno,
fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia
di ingresso e di soggiorno degli stranieri".
A
tali disposizioni si correlano quelle contenute nell'art. 101, a norma
del quale "l'accesso ai dati inseriti nel Sistema d'Informazione
Schengen e il diritto di consultarli direttamente sono riservati
esclusivamente alle autorità competenti in materia di: a) controlli alle
frontiere; b) altri controlli di polizia e doganali effettuati
all'interno del Paese e relativo coordinamento" (comma 1). "L'accesso ai
dati inseriti conformemente all'art. 96, ed il diritto di consultarli
direttamente possono essere esercitati dalle autorità competenti per il
rilascio dei visti, dalle autorità centrali competenti per l'esame delle
domande di visti e dalle autorità competenti per il rilascio dei
documenti di soggiorno e per l'amministrazione degli stranieri nel
quadro dell'applicazione delle disposizioni in materia di circolazione
delle persone previste dalla presente Convenzione. L'accesso ai dati è
disciplinato dal diritto nazionale di ciascuna Parte contraente" (comma
2).
La Convenzione disciplina poi il
trattamento dei dati inseriti nel sistema, precisando che "la Parte
contraente che ha effettuato la segnalazione è responsabile
dell'esattezza, dell'attualità e della liceità dell'inserimento dei dati
nel Sistema d'Informazione Schengen" (art. 105), e che "soltanto la
Parte contraente che ha effettuato la segnalazione è autorizzata a
modificare, completare, rettificare o cancellare i dati da essa
introdotti" (art. 106, comma 1).
Quanto alla
posizione del soggetto segnalato, l'art. 109, comma 1, stabilisce che
“il diritto di ciascuno di accedere ai dati che lo riguardano inseriti
nel Sistema d'Informazione Schengen è esercitato nel rispetto del
diritto della Parte contraente presso la quale l'interessato lo fa
valere", mentre l'art. 114, comma 2, prevede che "chiunque ha il diritto
di chiedere alle autorità di controllo di verificare i dati che lo
riguardano inseriti nel Sistema d'Informazione Schengen nonchè
l'utilizzazione che ne viene fatta. Tale diritto è disciplinato dal
diritto nazionale della Parte contraente presso la quale è presentata la
domanda. Se i dati sono stati inseriti da un'altra Parte contraente, il
controllo è effettuato in stretto coordinamento con l'autorità di
controllo di detta Parte".
L'esistenza di una
segnalazione nel sistema informativo Schengen introduce, quindi, la
necessità di individuare quale sia, in caso di richiesta di visto per
ricongiungimento familiare da parte di un cittadino italiano coniuge di
un cittadino extracomunitario, la normativa applicabile. E non vi è
dubbio che, a tali fini, rilevi il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 6,
a norma del quale "non possono fare ingresso nel territorio dello Stato
e sono respinti dalla frontiera gli stranieri espulsi, salvo che
abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il
periodo di divieto di ingresso, gli stranieri che debbono essere espulsi
e quelli segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni
internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento o della
non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza
nazionale e di tutela delle relazioni internazionali". Previsione,
questa, che va letta anche tenendo presente quanto disposto dall'ultima
parte del medesimo art. 4, comma 3, (introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2007, art. 2, comma 1),
secondo cui "lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento
familiare, ai sensi dell'art. 29, non è ammesso in Italia quando
rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la
sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia
sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle persone".
La
questione della normativa applicabile, quindi, non può essere esaminata
in astratto, come pretende la ricorrente, ma va rapportata alla
concreta vicenda oggetto del giudizio, nella quale non è contestato che
il visto per il ricongiungimento familiare richiesto da una cittadina
italiana per il proprio coniuge extracomunitario è stato rigettato per
essere quest'ultimo segnalato ai fini della non ammissione entro lo
spazio Schengen, mentre il fatto che tale segnalazione possa essere
stata determinata per effetto del precedente decreto di espulsione
emesso dalle autorità italiane è null'altro che una ipotesi, non
suffragata da motivato riscontro. L'esistenza di una segnalazione rende
quindi evidente che, ai fini del rilascio del visto per ricongiungimento
familiare, la posizione del cittadino extracomunitario, coniuge di
cittadino italiano, deve essere valutata alla luce delle disposizioni
che individuano nella segnalazione ai fini della non ammissione un
ostacolo all'ingresso in Italia, e segnatamente del citato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 6.
Tale
testo normativo, peraltro, configura la posizione del richiedente il
ricongiungimento familiare in termini di diritto soggettivo, attribuendo
al giudice ordinario la giurisdizione sulle impugnative proposte
avverso i provvedimenti di diniego del visto. Dispone infatti l'art. 30,
comma 6, che "contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento
familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchè
contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia
di diritto all'unità familiare, l'interessato può presentare ricorso al
tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede, il quale
provvede, sentito l'interessato, nei modi di cui all'art. 737 c.p.c. e segg.. Il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta".
Il
problema che si pone, e che costituisce lo specifico tema di indagine
sollecitato a questa Corte con i motivi di ricorso proposti dalla
ricorrente, è quindi quello di stabilire se, una volta individuata la
normativa applicabile, l'amministrazione competente possa respingere la
richiesta di visto adducendo esclusivamente a sostegno del diniego la
segnalazione ai fini della non ammissione entro lo spazio Schengen. Il
Collegio ritiene che a tale quesito si debba dare risposta negativa,
assumendo in proposito rilevanza decisiva la sentenza della Corte di
giustizia delle Comunità Europee 31 gennaio 2006 emessa in causa C -
503/03, alla quale ha fatto riferimento la ricorrente.
Si
legge, infatti, in questa sentenza, che "uno Stato contraente può
procedere alla segnalazione di un cittadino di uno Stato terzo coniuge
di un cittadino di uno Stato membro solo dopo aver constatato che la
presenza di tale persona costituisce una minaccia effettiva, attuale e
abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività ai
sensi della direttiva 64/221. (...). Di conseguenza, l'iscrizione nel
SIS di un cittadino di uno Stato terzo del coniuge di un cittadino di
uno Stato membro costituisce certamente un indizio dell'esistenza di un
motivo che giustifica il fatto che gli venga negato l'ingresso nello
spazio Schengen. Tuttavia, tale indizio dev'essere corroborato da
informazioni che consentano allo Stato membro che consulta il SIS di
accertare, prima di rifiutare l'ingresso nello spazio Schengen, che la
presenza dell'interessato nel detto spazio costituisce una minaccia
effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale
della collettività. In tale contesto, occorre rilevare che l'art. 94,
lett. i), della CAAS (Convenzione applicazione dell'Accordo di Schengen)
autorizza espressamente l'indicazione del motivo della segnalazione".
Sussiste, quindi, secondo la Corte Europea, un onere per le autorità
nazionali degli Stati membri dell'Unione di verificare se la presenza di
cittadini di uno Stato terzo, coniugi di cittadini di Stati membri
dell'Unione Europea, costituisca una minaccia effettiva, attuale e
abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività. Ne
consegue che lo Stato membro (nel caso deciso dalla richiamata sentenza,
il Regno di Spagna), ove rifiuti l'ingresso nello spazio Schengen a
cittadini di uno Stato terzo coniugi di cittadini di uno Stato membro,
per il solo motivo che siano segnalati nel SIS ai fini della non
ammissione, senza preliminarmente verificare se la presenza di tali
persone costituisca una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave
per un interesse fondamentale della collettività, viola gli obblighi che
ad esso incombono in forza degli artt. 1 - 3 della direttiva 64/221.
Nel
caso di specie, posto che è indubitabile che il provvedimento di
diniego del visto è avvenuto sulla base della mera segnalazione ai fini
della non ammissione, deve ritenersi che si sia verificata la denunciata
violazione.
Accertata tale violazione, si
deve peraltro verificare se la mera violazione dell'obbligo di
motivazione, in presenza di una condizione - quella della segnalazione
ai fini della non ammissione in area Schengen - che, in ipotesi, può
trovare fondamento in situazioni di fatto che legittimerebbero il
diniego del visto, sia idonea a giustificare l'accoglimento del ricorso
ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6, e
l'adozione di un provvedimento che tenga luogo del visto
illegittimamente negato, cosi consentendo all'interessato il
perseguimento dello scopo di cui alla proposta domanda giudiziaria. Una
simile verifica appare, nel caso di specie, necessaria, posto che la
stessa ricorrente sostiene che l'Autorità giudiziaria è tenuta a
valutare la congruità e l'esattezza della motivazione relativa al
diniego di ingresso in Italia del cittadino extracomunitario coniugato
con cittadino/a italiana.
E tale verifica, ad
avviso del Collegio, non può avere esito positivo. Deve infatti
ritenersi che, allorquando oggetto del ricorso D.Lgs. n. 286 del 1998,
ex art. 30, comma 6, sia il provvedimento di diniego del visto per
ricongiungimento familiare motivato con la segnalazione ai fini della
non ammissione, senza ulteriori specificazioni, il ricorrente, onde
poter attivare utilmente il rimedio giurisdizionale indicato - che, come
detto e come richiesto dalla stessa ricorrente, è volto al
riconoscimento del diritto soggettivo al ricongiungimento e non si
riduce alla sollecitazione di un sindacato di legittimità sul
provvedimento amministrativo - abbia un onere di acquisizione delle
informazioni che lo riguardano e di successiva allegazione, onde
consentire al Giudice adito di adempiere al compito a lui demandato
dall'art. 30, comma 6, citato ("Il decreto che accoglie il ricorso può
disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta"). A tal
fine deve quindi ritenersi necessario che l'interessato, avvalendosi dei
procedimenti interni che disciplinano l'accesso ai documenti
amministrativi, acquisisca dall'amministrazione competente la dovuta
informazione sulle ragioni della segnalazione e che, all'esito di tale
procedimento, censuri in sede giurisdizionale il provvedimento negativo
assumendo la insussistenza delle condizioni che devono accompagnarsi
alla segnalazione, perchè questa possa avere l'effetto di precludere il
rilascio del richiesto visto per ricongiungimento familiare. Non vi è
dubbio, infatti, che, in presenza di una segnalazione, la quale anche
secondo la Corte di Giustizia costituisce un indizio dell'esistenza di
un motivo che giustifica il fatto che venga negato il visto di ingresso,
la mera denuncia di un vizio di motivazione del provvedimento di
diniego non consente alcun accertamento della sussistenza del diritto al
ricongiungimento ovvero della insussistenza di ragioni ostative al
rilascio di detto visto.
In tale situazione,
invero, in assenza di esplicitazione delle ragioni per le quali la
segnalazione ai fini della non ammissione nell'area Schengen preclude il
rilascio del visto per ricongiungimento familiare, il ricorso volto a
far dichiarare dal giudice ordinario la mera illegittimità del
provvedimento di diniego si appalesa inidoneo al raggiungimento dello
scopo; e tale inidoneità si riflette anche sul ricorso per cassazione
avverso il provvedimento adottato dalla Corte d'appello in sede di
reclamo.
Non è quindi sufficiente, come nel
caso di specie, la mera denuncia di un vizio di legittimità perchè possa
essere conseguito lo scopo della domanda di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6.
Deve
conclusivamente affermarsi il seguente principio di diritto: "Il
rifiuto del visto per ricongiungimento familiare a un cittadino
extracomunitario, che sia coniuge di un cittadino italiano, per il solo
fatto che sussiste una segnalazione ai fini della non ammissione entro
lo spazio Schengen, senza una preliminare verifica se la presenza di
tale persona costituisca una minaccia effettiva, attuale © abbastanza
grave per un interesse fondamentale della collettività, è illegittimo;
tuttavia, il cittadino che intenda conseguire la tutela approntata
dall'ordinamento ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6,
- la cui applicazione anche nei confronti di cittadini extracomunitari
coniugi di cittadini italiani si giustifica in forza delle disposizioni
speciali che disciplinano gli accordi di Schengen e l'istituto della
segnalazione - non può limitarsi a dedurre la mera illegittimità del
provvedimento di diniego, ma ha l'onere quanto meno di allegare la
ininfluenza delle ragioni di detta segnalazione ai fini della proposta
richiesta di visto".
In applicazione di questo
principio, il ricorso deve essere rigettato, giacchè, se è vero che,
nel caso di specie, il visto per ricongiungimento familiare è stato
negato sulla base della mera segnalazione e senza specificazione delle
ragioni che renderebbero detta segnalazione idonea a giustificare il
diniego stesso, è altresì vero che, essendo la domanda proposta
finalizzata al conseguimento del visto, non risultano allegate le
ragioni che potrebbero indurre a ritenere insussistenti le condizioni
giustificatrici del diniego.
Non avendo le amministrazioni intimate svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2008
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