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Il diritto a percepire l'indennità di trasferimento prevista dal contratto collettivo si prescrive in dieci anni - In base all'art. 2946 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 27021 del 12 novembre 2008, Pres. Ianniruberto, Rel. Stile).
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 12-11-2008, n. 27021
Cass. civ. Sez. lavoro, 12-11-2008, n. 27021
Svolgimento del processo
Con
ricorso in data 6 novembre 2002, M.P. proponeva appello avverso le
sentenza del Tribunale di Cosenza, giudice del lavoro, con la quale era
stata rigettata la domanda, avanzata nei confronti della propria datrice
di lavoro, Banca Intesa S.p.A., di condanna della stessa alla
erogazione dell'indennità di trasferimento e della diaria, in relazione
al trasferimento, operato dalla società, da (OMISSIS) a (OMISSIS) con
decorrenza dal 25 gennaio 1993.
Deduceva che,
contrariamente a quanto affermato dal primo Giudice, l'atto di
transazione intervenuto con l'istituto di credito, in forza del quale,
egli aveva rinunciato all'indennità di trasferimento dietro rimborso, da
parte della banca, delle spese vive sopportate per i viaggi settimanali
tra il luogo di lavoro ((OMISSIS)) e la residenza della famiglia
((OMISSIS)) e dei canoni di locazione in quest'ultima città, era
sanzionarle ex art. 2113 c.c., rientrando l'indennità di trasferimento tra i diritti patrimoniali indisponibili.
Precisava,
ancora, che la rinuncia era stata tempestivamente impugnata con atto
indirizzato al Direttore generale, idonea alla manifestazione di volontà
in senso contrario alla precedente rinuncia.
Censurava,
inoltre, la sentenza del Tribunale di Cosenza anche riguardo alla
dichiarata prescrizione della diaria, evidenziando, sotto un primo
aspetto, che tra la data delle dimissioni (11 novembre 1996) e la data
di deposito del ricorso (30 maggio 2000) era decorso un tempo inferiore
ai cinque anni richiesti dall'art. 2943 c.c., e, sotto altro
aspetto, che erano stati posti in essere atti interruttivi della
prescrizione sia con le lettere in data 22 luglio 1997 e 19 gennaio 1998
e sia con la notifica di un primo ricorso depositato il 13 marzo 1998 e
poi estinto.
Concludeva, pertanto, per
l'integrale, riforma della sentenza appellata e la condanna
dell'istituto bancario al pagamento delle somme dovute.
Costituitasi,
Banca Intesa S.p.A. invocava, con articolate argomentazioni, il rigetto
dell'appello e la conferma della gravata sentenza.
Con
sentenza del 21 ottobre - 10 dicembre 2004, l'adita Corte d'appello di
Catanzaro, ritenuto che l'indennità di trasferimento, prevista dalla
contrattazione collettiva, avesse natura di diritto indisponibile,
accoglieva il gravame con riferimento a detta indennità stante le
nullità della relativa rinuncia ex art. 2113 c.c., liquidandola
nella misura di quattro mensilità della retribuzione percepita nel mese
di gennaio 1993. Rigettava, invece, l'appello con riferimento alla
indennità di diaria, in quanto correttamente il primo Giudice ne aveva
dichiarato la prescrizione, considerato il tempo trascorso tra la data
di insorgenza del diritto (1993) e la data di proposizione del ricorso
giudiziario (30 maggio 2000). Per la cassazione di tale pronuncia
ricorre il M. con tre motivi, cui resiste con controricorso la Banca
Intesa S.p.A, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a
tre motivi, contestato dal M. con controricorso.
Motivi della decisione
Va
preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello
incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
Va
ancora in via preliminare dichiarato inammissibile il ricorso
incidentale proposto dalla Banca Intesa S.p.A. perchè non contiene
l'esposizione dei fatti di causa, essendo del tutto privo della
descrizione della vicenda processuale.
La
giurisprudenza di questa Corte - alla quale va prestata adesione - ha,
infatti, chiarito che, mentre il controricorso, avendo la sola funzione
di contrastare l'impugnazione altrui, non necessita dell'esposizione
sommaria dei fatti di causa, potendo richiamarsi a quanto già esposto
nel ricorso principale; tuttavia, quando detto atto contenga anche un
ricorso incidentale, data la sua autonomia rispetto al ricorso
principale, esso deve, a norma dell'art. 366 c.p.c., n. 3, e art. 371 c.p.c.,
contenere l'esposizione sommaria dei fatti della causa, ed è, pertanto,
inammissibile tutte le volte in cui si limiti ad un mero rinvio
all'esposizione del fatto contenuta nel ricorso principale, potendo il
requisito di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, ritenersi
sussistente solo quando - ciò che non è nella specie -, nel contesto
dell'atto di impugnazione, si rinvengano gli elementi indispensabili per
una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia,
dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalla parti,
senza necessità di ricorso ad altre fonti (tra le tante, Cass. 20
ottobre 2005 n. 20322; Cass. 27 luglio 2005 n. 15672; Cass. 17 giugno
2004 n. 11364; Cass. 29 luglio 2002 n. 11175; Cass. S.U. 13 febbraio
1998 n. 1513).
Ciò posto, si osserva che con il primo motivo del ricorso principale, il M., denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. e ss., in relazione all'art. 61, comma 3, CCNL e art. 7, CIA, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5), lamenta che la Corte d'appello abbia fissato in misura pari
a quattro mensilità della retribuzione l'indennità "aggiuntiva",
prevista dalla richiamata disciplina contrattuale, anzichè a sei
mensilità, non essendovi stato contestuale trasferimento della famiglia,
interpretando in tal modo in maniera eccessivamente rigida ed
irrazionale il disposto contrattuale - art. 7 CIA (la corresposione
dell'indennità di cui all'art. 61, comma 3, è pari a "quattro mensilità
di retribuzione, qualora il cambio di residenza riguardi soltanto il
Funzionario; - sei mensilità di retribuzione qualora con il funzionario
cambino residenza anche i familiari conviventi".
Detta interpretazione - secondo il ricorrente - non rispetterebbe il criterio letterale di cui all'art. 1362 c.c.,
e sarebbe, al contempo, contraria allo scopo della norma, tanto più che
il trasferimento dei familiari era avvenuto sia pure con qualche mese
di ritardo in considerazione della necessità di cessazione dell'anno
scolastico, così come specificato nell'apposito modulo inviato alla
società.
Il motivo è fondato.
E'
principio ripetutamente affermato da questa Corte che l'interpretazione
del contratto - individuale o collettivo di diritto comune - è
riservata al giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in
sede di legittimità, a un sindacato che è limitato alla verifica del
rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo
di una motivazione coerente e logica. Nell'interpretazione dei
contratti, ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune, i
canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio
di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi -
tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato
letterale delle parole - prevalgono su quelli interpretativi -
integrativi; l'indagine sulla corretta applicazione di essi compete al
giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se
correttamente motivata (Cass. 25 ottobre 2005 n. 20660).
Nella
specie, è pur vero che l'erogazione dell'indennità aggiuntiva,
qualificata nella sentenza impugnata "indennità di trasferimento", è
subordinata dal C.C.N.L. alla sussistenza congiunta dei due requisiti:
a) del cambiamento anagrafico e b) dell'effettivo trasloco, ma nessuna
delle disposizioni contrattuali, richiamate dalle parti nelle proprie
difese, fa riferimento, almeno in maniera esplicita, alla contestualità
del cambiamento anagrafico e dell'effettivo trasloco della famiglia.
Orbene,
aver condizionato l'erogazione delle sei mensilità di retribuzione
(anzichè quattro), ad una pretesa, non espressa, contestualità, ha
comportato, allora, una integrazione della disciplina collettiva, in
contrasto con il suo significato letterale ed in violazione dei
consolidati principi esegetici, sanciti da puntuali disposizioni
codicistiche (art. 1362 c.c.).
L'assunto
della Corte d'appello, peraltro, non mostra di tener conto dello scopo
della norma, che mira, all'evidenza, a compensare il dipendente per i
disagi aggiuntivi (familiari) connessi al trasferimento.
Il
disposto dell'art. 7, del C.I.A., letto in combinazione con l'art. 61,
del C.C.N.L., ben potrebbe, dunque, essere interpretato, alla luce dei
criteri ermeneutici innanzi esposti, nel senso che la corresponsione di
sei mensilità di retribuzione, in caso di trasferimento disposto ad
iniziativa dell'azienda, competa sempre al funzionario quando
quest'ultimo ottemperi ai propri obblighi contrattuali, ed in
particolare, quando l'effettivo cambio di residenza suo e dei familiari a
carico (intendendosi per effettivo cambio di residenza la sussistenza
congiunta dei due requisiti del cambiamento anagrafico e dell'effettivo
trasloco), sia conseguenza del disposto trasferimento d'ufficio.
Nè,
in senso opposto, appare significativo il fatto che il ricorrente, per
cause legittime, abbia dato corso al cambio di residenza ed al trasloco
dei propri familiari a carico solo alla fine del corso scolastico dei
figli, essendo rilevante la circostanza che il trasferimento dei
familiari a carico (con i connessi disagi) sia avvenuto a causa del
trasferimento d'ufficio disposto dall'azienda.
Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. e segg., e degli artt. 2946 e 2948 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5), censura la distinzione operata dal Giudice d'appello tra
indennità di trasferimento e diaria dovendosi includere entrambe
nell'ambito del "trattamento dovuto ai dipendenti a seguito di
trasferimento” ai sensi del CCNL e del CIA, comprensivo di rimborso
spese, diaria indennità aggiuntiva; voci queste tutte incluse nella
liquidazione della indennità di trasferimento secondo una modulistica
predisposta dalla società, così come in concreto, del resto, risultante
da precedente trasferimento da (OMISSIS) a (OMISSIS). Sicchè le
richieste concernenti l'indennità di trasferimento riguardavano anche la
diaria e le altre voci.
La Corte di merito avrebbe, comunque, erroneamente ritenuto quinquennale il termine di prescrizione anzichè decennale.
Quest'ultimo
profilo del dedotto motivo è fondato, rendendo superfluo l'esame del
primo, da prendere in considerazione in relazione al successivo motivo.
La
Corte di Catanzaro ha palesemente errato nell'individuare il termine di
prescrizione del diritto alla diaria in cinque anni. A giudizio della
Corte, il M. non avrebbe interrotto la prescrizione, perchè il ricorso
giudiziario sarebbe stato proposto in data 30 maggio 2000, al di là del
quinquennio dalla data di insorgenza del diritto alla diana (1993).
Sennonchè
deve considerarsi che la diaria, al pari dell'indennità di
trasferimento, non è un emolumento erogato con cadenza periodica. Sicchè
la norma applicabile alla fattispecie è quella generale, ovvero l'art. 2946 c.c., che, in materia di inadempimento contrattuale, stabilisce in dieci anni il termine di prescrizione.
Questa
Corte, del resto, ha avuto modo di chiarire, sia pure con riferimento
alla l'indennità di trasferimento, che essa, non avendo natura
periodica, in quanto dovuta una tantum in relazione ad un fatto
episodico, è sottoposta a prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c., e non alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c., n. 4, (v. Cass. 20/01/1977 n. 303).
Consegue
a questa premessa che il ricorrente ha tempestivamente interrotto il
decorso della prescrizione col ricorso al Tribunale del lavoro del
30/05/2000, proposto a distanza di sette anni dalla data di insorgenza
del diritto (1993).
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., e segg., violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 418 c.p.c., - violazione e falsa applicazione degli artt. 83 ed 84 c.p.c., - violazione e falsa applicazione dell'art. 1246 c.c., n. 3, e art. 545 c.p.c., - violazione e falsa applicazione dell'art. 2033 c.c. - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
In
particolare, si contesta l'avvenuta compensazione tra indennità di
trasferimento e spese vive riconosciute, e ciò per tre ordini di motivi:
1) il pagamento delle spese vive è riconosciuto nell'ambito del
trattamento di trasferimento; 2) sarebbe illegittima la compensazione
d'ufficio stante la contestazione del credito avanzato dalla società, la
quale avrebbe dovuto avanzare sul punto domanda riconvenzionale; 3)
erroneo riconoscimento, nell'operare la compensazione, degli interessi
dal giorno del pagamento anzichè dalla domanda stante la buona fede.
Il motivo è fondato nei termini di seguito specificati.
Invero,
il Giudice d'appello qualifica l'"indennità aggiuntiva" di cui all'art.
61, comma 3, del CCNL come "indennità di trasferimento", procedendo ad
una sorta di loro identificazione, e ritiene che, in seguito alla
impugnazione della transazione contenente le rinuncia a detta indennità,
si riacquisterebbe il diritto alla sua acquisizione, perdendo,
tuttavia, il diritto alle spese vive oggetto della transazione, posta
nel nulla.
Tale qualificazione è contestata
dal M., il quale, pur ammettendo di avere egli stesso adoperato, nel
ricorso introduttivo l'espressione "indennità di trasferimento", sulla
scorta di appositi moduli predisposti dalla Banca, sostiene che la
normativa contrattuale prevede un "trattamento di trasferimento", che,
se disposto - come nella specie - d'ufficio, comprende, oltre alla
"diaria", di cui si è appena parlato, anche le spese vive; queste,
pertanto, benchè corrisposte in sede transattiva, non andrebbero
decurtate, col meccanismo della compensazione, dalla somma riconosciuta a
fronte dell'intervenuto trasferimento.
Osserva
il Collegio che, nonostante le richieste operate dal ricorrente sin dal
primo grado, il Giudice a quo ha apoditticamente identificato
l'indennità aggiuntiva, prevista dall'art. 61, comma 3, CCNL (ricorso p.
27 - 28) con l'indennità di trasferimento, non prevista nominativamente
dalla disciplina collettiva, che invece prevede un "trattamento di
trasferimento", senza dare alcun conto di quanto richiesto dal
ricorrente nelle conclusioni riportate nella stessa sentenza impugnata
("in riforma dell'impugnata sentenza, condannare Banca Intesa Bci a
corrispondere al dott. M.P. la richiesta indennità di trasferimento, la
quale, detratto quanto già corrisposto per il trasloco, in base al
disposto del CCNL di settore, dovrà corrispondere: 1) a sei mensilità di
retribuzione ex articolo del CCNL nonchè art. 7 del CIA; 2) diaria ex
art. 59, CCNL per un periodo di novanta giorni, nonchè nella misura del
60% della stessa per i familiari a carico per il periodo di trenta
giorni, oltre ulteriori interessi e rivalutazione fino alla data del
soddisfo, e quindi della complessiva somma di Euro 84.430,87,
comprensiva di interessi e rivalutazione...").
L'esposta
censura va, dunque, accolta, avendo il Giudice a quo, nel pervenire
alla sua decisione sul punto, trascurato di interpretare la normativa di
riferimento della contrattazione collettiva alla luce delle richieste
formulate dal ricorrente e così di accertare le "spese" corrisposte al
M. in sede transattiva e quelle spettante al medesimo in virtù della
disciplina contrattuale, procedendo ad un consentito calcolo matematico
di "dare ed avere", comprensivo degli interessi maturati, non
trattandosi - come invece opposto dalla resistente Banca - di
compensazione in senso tecnico, nè - come ritenuto dal ricorrente - di
accessori, dipendenti da pagamento di indebito, ai sensi dell'art. 2033 c.c..
Per
quanto esposto il ricorso principale va accolto nei termini sopra
indicati, mentre il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
L'impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione al ricorso
accolto e la causa rinviata per il riesame ad altro giudice d'appello -
come designato in dispositivo - il quale provvederà anche alla
regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale nei termini di
cui in motivazione e dichiara inammissibile quello incidentale. Cassa
la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello
di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2008
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