Cass. civ. Sez. lavoro, 28-10-2008, n. 25886
Svolgimento del processo
Con
ricorso in appello dinanzi alla Corte di appello di Brescia S.M. -
dipendente della s.p.a. @@@@@@@@ dal 4 settembre 2000 al 6 novembre 2001
con la qualifica di venditore impugnava la sentenza con la quale il
Tribunale - Giudice del lavoro di Brescia aveva respinto le sue domande
di condanna della ex datrice di lavoro al risarcimento del danno per mobbing,
al pagamento della indennità di malattia dal (OMISSIS) al (OMISSIS)
trattenutagli per assenza alla visita di controllo, nonchè di
annullamento della sanzione disciplinare di due ore di multa per avere
utilizzato il telefono cellulare aziendale per scopi personali e di
condanna al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso a lui
dovuta, essendo state rassegnate le dimissioni per giusta causa.
Riproponeva l'appellante solo queste due ultime domande censurando la
sentenza di primo grado per avere, da un lato, del tutto trascurato
l'inesistenza della prova (a carico della datrice di lavoro) dei fatti
oggetto di contestazione disciplinare e per avere, dall'altro,
erroneamente valutato la prova testimoniale assunta e i documenti
prodotti, attestanti la malafede e la scorrettezza della società, che
aveva presentato una querela nei suoi confronti, senza previa
contestazione disciplinare, in relazione a un rimborso per spese
ritenute dalla datrice di lavoro insussistenti e ammontanti a
complessivi Euro 87,80.
Costituitasi in
giudizio la società appellata, l'adita Corte di appello - con sentenza
in data 11 dicembre 2004 - "in parziale riforma della sentenza n. 306/03
del Tribunale di Brescia, condanna(va) la @@@@@@@@ s.p.a. al pagamento
in favore dell'appellante della somma di Euro 5.458,20 a titolo di
indennità di preavviso, oltre rivalutazione e interessi, dichiara(va)
illegittima la sanzione disciplinare della multa di due ore e
condanna(va) l'appellata al pagamento del relativo importo, con
interessi e rivalutazione, condanna(va) l'appellata alla rifusione delle
spese di ambo i gradi".
Per la cassazione della cennata sentenza la s.p.a. @@@@@@@@ propone ricorso affidato a due motivi e sostenuto da memoria ex art. 378 c.p.c..
L'intimato S.M. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1 - Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente - denunciando "violazione dell'art. 2697 cod. civ. e artt. 416 e 437 cod. proc. civ.,
nonchè vizi di motivazione" - censura la sentenza impugnata "nella
parte in cui dichiara illegittima la sanzione disciplinare della multa
di due ore inflitta dalla @@@@@@@@ al S. in data (OMISSIS)" rilevando
criticamente che "l'iter logico in base al quale il giudice dell'appello
ha formato il proprio convincimento sul punto, è: a) in parte viziato
(insufficiente e/o contraddittorio), non essendosi tenuto alcun conto di
precise risultanze documentali e/o istruttorie in atti; b) in altra
parte, inficiato da errori in diritto, quali la violazione della norma
relativa all'incidenza dell'onere probatorio e la violazione del
principio dell'onere di contestazione".
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 2119 e 2697 cod. civ.,
nonchè vizi di motivazione" - censura la sentenza impugnata "nella
parte in cui ritiene la sussistenza della giusta causa delle dimissioni
rassegnate in data (OMISSIS) dal S. e, conseguentemente, condanna la
@@@@@@@@ al pagamento del preavviso", rilevando che la statuizione si
appalesa errata "per l'evidente (e consueto) errore sull'incombenza
dell'onere della prova e per la contraddittorietà della motivazione, che
considera gravemente lesiva dei principi di buona fede e corretta una
condotta descritta con caratteristiche tali da farla ritenere invece
assolutamente lecita ed anzi costituente esercizio di un diritto". 2/a -
Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.
Sono,
infatti, da respingere le doglianze della società ricorrente in ordine
all'accertamento delle risultanze istruttorie in quanto la valutazione
degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al
giudice di merito non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo
della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n.
322/2003). Perverò, il giudice di merito è libero di attingere il
proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e
idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi
ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente,
ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il
convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari
elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur
senza un'esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e
non accolti, anche se allegati, purchè risulti logico e coerente il
valore preminente attribuito, a quelli utilizzati (così, nella specie,
ove nella sentenza impugnata viene rimarcato che non sussisteva prova
idonea sulla individuazione della chiamate telefoniche contestate, "nè
tanto meno che queste chiamate erano estranee e che abbiano avuto una
risposta o abbiano causato un danno alla datrice di lavoro"). Comunque,
ove con il ricorso per cassazione venga dedotta l'incongruità o
illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l'asserita
mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di
consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività delle
risultanze non valutate (o insufficientemente valutate), che il
ricorrente precisi la risultanza che asserisce decisiva e non valutata o
insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente
alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli
atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa (Cass.
n. 9954/2005).
2/b - Con riferimento, inoltre,
ai pretesi vizi di motivazione - che, secondo la ricorrente,
connoterebbero la sentenza impugnata - vale rilevare che: a) il difetto
di motivazione, nel senso d'insufficienza di essa, può riscontrarsi
soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice e quale
risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi
che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l'obiettiva
deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha
indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo
convincimento, ma non già, invece, - come per le doglianze mosse nella
specie dalla ricorrente quando vi sia difformità rispetto alle attese ed
alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal
giudice di merito agli elementi delibati; b) il vizio di motivazione
sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di
ripercorrere l'iter logico da questi seguito o esibiscano al loro
interno non insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento
sviluppato nella sentenza sia mancato l'esame di punti decisivi della
controversia - irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo
non presenta -; c) per poter considerare la motivazione adottata dal
giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella
stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle)
tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il
giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in
questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni
logicamente incompatibili con esse.
Benvero,
le censure con cui una sentenza venga impugnata per vizio della
motivazione non possono essere intese a far valere la non rispondenza
della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso
convincimento soggettivo della parte - pure in relazione al valore da
conferirsi alle "presunzioni" la cui valutazione è anch'essa
incensurabile in sede di legittimità alla stregua di quanto già riferito
in merito alla valutazione delle risultanze probatorie (Cass. n.
11906/2003) - e, in particolare, non vi si può opporre un preteso
migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti,
atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della
discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e
dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del
giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale
convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 380 cod. proc. civ.,
n. 5: in caso contrario il motivo di ricorso si risolverebbe in una
inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti
del giudice di merito, id est di una nuova pronuncia sul fatto
sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di
cassazione.
2/c - Non sussistono, poi, nella
sentenza impugnata gli errori di diritto asseritamene indicati dalla
società ricorrente in quanto rimarcato, in punto di diritto, che l'onere
probatorio in merito alla sussistenza dell'infrazione disciplinare
ricade a carico del datore di lavoro e che l'onere della contestazione
disciplinare deve essere adempiuto (sempre dal datore di lavoro)
tempestivamente ed esaustivamente nella specie la Corte territoriale ha
correttamente applicato i cennati principi argomentando che: a) "le
mansioni assegnate a S.M., di venditore con attività esterna di
procacciamento di clienti, sono del tutto compatibili con
l'effettuazione di telefonate oltre l'orario normale di lavoro, che
prevedeva la cessazione dell'attività alle ore 18,00, sia perchè i
clienti contattati potevano ben essere disponibili per contrattare dopo
quell'ora, sia perchè l'orario di lavoro per un dipendente che si muove
all'esterno della azienda e viaggia per procacciare affari è del tutto
relativo"; b) "la contestazione riguarda telefonate relative ai mesi da
gennaio a marzo (e dunque risalenti rispetto alla contestazione di fine
giugno) e, quindi, il S. si è trovato sicuramente in seria difficoltà a
ricordare i destinatari di ben cinquantuno telefonate fatte da sei a tre
mesi prima (nell'ambito di un lavoro che probabilmente comportava
contatti telefonici frequenti), nonchè nell'impossibilità di risalire a
quei destinatari e di dimostrare la natura lavorativa delle telefonate, a
fronte della condotta della datrice di lavoro che ha innanzi tutto
mantenuto la contestazione in termini di semplice numero di chiamate
senza fornire quelle ulteriori specificazioni (numero chiamato e durata
della telefonata), agevolmente acquisibili dalla titolare della utenza".
Il
percorso motivazionale alla base della decisione impugnata appare,
pertanto, del tutto coerente nell'applicazione dei principi di diritto
summenzionati, per cui le censure formulate dalla ricorrente si
appalesano inammissibili atteso che, in tema di ricorso per cassazione
il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente
un problema interpretativo della stessa;
viceversa,
l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a
mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione
della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di
merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto
l'aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l'una e l'altra
ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea
ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea
applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria
ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo
quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa. Valutazione delle risultanze di
causa che, nella specie come vi è dianzi rimarcato, è stata
correttamente compiuta dalla Corte di appello di Brescia sicchè la
relativa decisione non può restare invalidata in sede di legittimità
dalle censure sostanzialmente fattuali di cui all'esaminato motivo di
ricorso.
3/a - Anche il secondo motivo di
ricorso - con cui la società ricorrente impugna la sentenza del giudice
di appello nella parte nella quale ritiene la sussistenza della "giusta
causa" nelle dimissioni rassegnate dal S. - non può essere accolto.
Al
riguardo, anche se la nozione di "giusta causa" può farsi rientrare
nell'ambito delle "norme elastiche" (e di quelle ad esse connesse, ma
con le stesse non confondibili, entro il concetto di "clausola
generale", cioè delle norme il cui contenuto, appunto, elastico richiede
giudizi di valore in sede applicativa, in quanto la gran parte delle
espressioni giuridiche contenute in norme di legge sono dotate di una
certa genericità la quale necessita, inevitabilmente, di un'opera di
specificazione da parte del giudice che è chiamato a darvi
applicazione), pertuttavia siffatto inquadramento non comporta
l'accoglimento della conclusione indicata dalla ricorrente, atteso che
l'applicazione delle disposizioni formulate in virtù dell'utilizzo di
concetti giuridici indeterminati non coinvolge un mero processo di
identificazione dei caratteri del caso singolo con gli elementi della
fattispecie legale astratta e richiede, invece, da parte del giudice
l'esercizio di un notevole grado di discrezionalità al fine di
individuare nella specifica fattispecie concreta le ragioni che ne
consentano la riconduzione alle nozioni usate dalla norma. Pertanto,
nell'ambito di detta valutazione il giudice, oltre a risolvere la
specifica controversia, partecipa in tal modo alla formazione del
concetto (e, cioè, alla sua progressiva definizione in relazione al
valore semantico del termine), con la precisazione che il significato
adottato non può prescindere dalle convenzioni semantiche sussistenti
all'interno di una data comunità in una certa epoca storica e, sotto
concorrerete profilo, dai principi generali (specie di rango
costituzionale) propri dell'ordinamento positivo.
In
particolare, pure se l'operazione valutativa compiuta dal giudice di
merito - il quale, nell'applicare clausole generali come quella della
definizione dalla "giusta causa", detta una tipica "norma elastica" -
non sfugge ad una verifica in sede di giudizio dilegittimità sotto il
profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della
clausola generale,è subito da precisare (onde evitare approssimativi
fraintendimenti) che la verifica generale sulla correttezza del profilo
considerato dal giudice del merito siccome applicativo di "norma
elastica" resta sempre soggetto ad un controllo di legittimità al pari
di (= simile a) ogni altro giudizio riguardante la valutazione di
"qualsiasi" norma di legge (non, quindi, ad una aprioristica valutazione
di fondatezza della relativa censura sollevata sul punto inteso a far
riformare la decisione impugnata), intendendosi così esattamente
l'adesione all'orientamento giurisprudenziale di cui alle sentenze di
questa Corte nn. 10514/1998, 434/1999, 7838/2005, 8305/2005 e 21313/2005
(in difformità al non condivisibile indirizzo espresso nelle sentenze
nn. 2616/1990 e 154/1997), in quanto, nell'esprimere il giudizio di
valore necessario per integrare una "norma elastica" (che, per la sua
stessa struttura, si limita ad indicare un parametro generale), il
giudice di merito compie un'attività di interpretazione giuridica della
norma stessa, per cui da concretezza a quella parte mobile ("elastica")
della stessa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un
determinato contesto storico sociale, non diversamente da quando un
determinato comportamento venga giudicato conforme o meno ad una
"qualsiasi" (cioè "non elastica") norma di legge.
Ora,
per quanto concerne la valutazione della sussistenza della "giusta
causa di dimissioni", questa Corte ha ritenuto - nella concreta
applicazione di quanto dianzi rilevato in linea generale - che il
giudizio sull'idoneità della condotta del datore di lavoro a costituire
"giusta causa" delle dimissioni del lavoratore si risolve in un
accertamento nel senso surriferito e deve essere sorretto da congrua
motivazione (Cass. n. 8580/2004, Cass. n. 14829/2002, Cass. 12768/1997).
Nella specie, la Corte di appello di Brescia ha correttamente applicato
la normativa sulla "giusta causa" secondo l'appropriato significato
semantico-giuridico adottato in relazione ai principi generali
dell'ordinamento rilevando testualmente che "emergeva dagli atti
processuali una condotta della società datrice di lavoro gravemente
lesiva di principi di buona fede e correttezza nella esecuzione del
contratto: le accuse esposte nella querela non sono mai state
preventivamente contestate al dipendente, che quindi si è visto esposto a
un procedimento penale per una somma veramente modesta senza avere
avuto la possibilità di difendersi preventivamente e per di più
nell'ambito di un rapporto nel quale la datrice di lavoro, potendo
recuperare con trattenuta sulla retribuzione quanto ritenuto non dovuto,
avrebbe potuto realizzare a pieno il suo interesse in via di
autotutela, (per cui) la lesione immediata e definitiva dell'elemento
fiduciario appare evidente, trattandosi di una condotta chiaramente
diretta a recare un danno, grave, al dipendente".
Di
conseguenza, anche per respingere il secondo motivo di ricorso, valgono
le argomentazioni sviluppate nel precedente "capo 2/c" a conferma della
completezza e della logicità della motivazione a sostegno della
sentenza impugnata.
4 - In ogni caso, a
convalida della pronuncia di rigetto dei motivi di ricorso in esame,
vale riportarsi al principio di cui alla sentenza di questa Corte n.
5149/2001 (e, di recente, di Cass. Sez. Unite n. 14297/2007) in virtù
del quale, essendo stata rigettata la principale assorbente ragione di
censura, il ricorso deve essere respinto nella sua interezza poichè
diventano inammissibili, per difetto di interesse le ulteriori ragioni
di censura.
5 - In definitiva, alla stregua
delle considerazioni svolte, il ricorso proposto dalla @@@@@@@@ s.p.a.
deve essere respinto e la ricorrente, data la sua soccombenza, va
condannata al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso; condanna la s.p.a. @@@@@@@@ al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 15,00, oltre a
Euro 200,00 per onorario e alle spese generali ed agli oneri di legge.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2008
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