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domenica 31 marzo 2024

Cassazione 2024-"La Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Calabria, con sentenza n. x del 2005, aveva riconosciuto alla contribuente la spettanza di detta indennità anche sulla pensione di reversibilità percepita a seguito del decesso del coniuge."

 

Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 06/02/2024) 25-03-2024, n. 7971 

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. CIRILLO Ettore - Presidente 

Dott. GIUDICPIETRO Andreina - Consigliere 

Dott. CRIVELLI Alberto - Consigliere 

Dott. CHIECA Danilo - Consigliere 

Dott. ANGARANO Rosanna - Consigliere rel. 

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

sul ricorso iscritto al n. 27492/2019 R.G. proposto da: 

OMISSIS, elettivamente domiciliata in Roma, via XX settembre n. 3, presso lo studio dell'Avv.   

- ricorrente - controricorrente incidentale - 

Contro 

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende; 

- controricorrente - ricorrente incidentale - 

avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CALABRIA, n. 501/2019, depositata il 26/02/2019; 

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 febbraio 2024 dal Consigliere Rosanna Angarano; 

dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, Giuseppe Locatelli, ha chiesto di cassare senza rinvio la sentenza impugnata in quanto la causa non poteva essere proposta per difetto di legitimatio ad causam della ricorrente, assorbito il ricorso incidentale. 

Sentiti l'Avv.  

Svolgimento del processo 

1. OMISSIS e l'Agenzia delle Entrate ricorrono, rispettivamente in via principale ed incidentale, resistendo reciprocamente con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest'ultima la C.t.r., in parziale accoglimento dell'appello dell'Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Catanzaro, ha accolto solo parzialmente il ricorso della contribuente avverso il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di restituzione delle ritenute fiscali operate sull'importo erogatole a titolo di indennità integrativa speciale sul trattamento della pensione di reversibilità. 

2. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Calabria, con sentenza n. OMISSIS del 2005, aveva riconosciuto alla contribuente la spettanza di detta indennità anche sulla pensione di reversibilità percepita a seguito del decesso del coniuge. L'Inpdap, di conseguenza, in pendenza del giudizio di appello, aveva spontaneamente provveduto a liquidare tutto quanto dovuto per l'anno 2005, al netto delle ritenute, e, a partire dalla data di pubblicazione della sentenza, aveva corrisposto l'indennità integrativa speciale, sempre applicando le ritenute di legge. 

La sentenza, tuttavia, veniva riformata in appello con sentenza n. 854 del 17 dicembre 2010 che riconosceva l'indennità su entrambi i trattamenti pensionistici solo nei limiti del c.d. minimo Inps. 

L'Inps, subentrata nel rapporto, di conseguenza, aveva richiesto la restituzione dell'importo complessivo di euro 97.187,60, al lordo delle ritenute pagate (pari ad euro 31.906,51) per il periodo compreso tra 6 marzo 1998 ed il 31 dicembre 2012. 

Detto ultimo provvedimento veniva impugnato dalla contribuente, ma il giudizio si concludeva con sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale, che, con sentenza del 17 novembre 2014, confermava l'obbligo di restituire quanto indebitamente percepito. 

La contribuente, con istanza del 4 febbraio 2014, chiedeva al Fisco la restituzione delle ritenute fiscali, pari ad euro 31.906,51, oltre interessi, corrisposte sull'importo che avrebbe dovuto restituire e, formatosi il silenzio rifiuto, lo impugnava. 

3. La C.t.p. accoglieva il ricorso. 

La C.t.r, in parziale riforma, dopo aver dato atto che la restituzione delle somme all'Inps stava avvenendo mediante trattenuta mensile, sicché ad ogni pagamento corrispondeva una quota di imposta non più dovuta, disponeva che la restituzione delle ritenute fiscali avvenisse "progressivamente, in ragione e in proporzione alla restituzione degli emolumenti ricevuti in eccedenza". Rilevava, in proposito, che la restituzione in favore dell'Inps delle somme indebitamente percepite stava avvenendo mediante trattenuta mensile, sicché ad ogni pagamento corrispondeva una quota di imposta non più dovuta che la contribuente aveva diritto a vedersi restituita; che, pertanto, era "ragionevole" statuire che anche la restituzione della somma di euro 31.906,51, pari alle ritenute versate dall'Inps all'Erario, dovesse avvenire, progressivamente, a seguito di ogni pagamento eseguito dalla lavoratrice in favore dell'Inps. 

4. Con ordinanza interlocutoria n. 20657 del 2023 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per trattazione in pubblica udienza. 

5. La Contribuente ha depositato memoria. 

Motivi della decisione 

1. Con il primo motivo la contribuente, ricorrente principale, denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 37 e 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell'art. 2033 cod. civ. 

Assume che, con il passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato l'indebito, è venuto meno anche l'obbligo di pagamento dell'imposta creando il proprio impoverimento ingiustificato; che, pertanto, sono irrilevanti i modi ed i tempi della restituzione dovuta all'Inps. Aggiunge che la C.t.r., applicando un criterio di "ragionevolezza" invece che le norme da applicare alla fattispecie, ha valorizzato il momento finanziario della restituzione, anziché quello giuridico in cui l'obbligo della restituzione è sorto. 

2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione del principio generale di capacità contributiva e la falsa applicazione dell'art. 2033 cod. civ. 

Assume che l'imposta pagata in forma di ritenuta costituisce un indebito in ragione del quale è sorto il diritto a chiederne la restituzione, essendo, ormai, venuto meno il titolo. 

3. Con l'unico motivo, l'Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell'art. 132 cod. proc. civ. dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell'art. 111 Cost. 

Censura la sentenza impugnata per omessa motivazione. Assume che la C.t.r. ha adottato la soluzione "mediana", tra le opposte pretese delle parti, oggetto di una soluzione proposta solo in via subordinata da essa deducente rispetto all'opzione prioritaria della deducibilità dell'onere in dichiarazione; che tale soluzione, tuttavia, non è supportata dalla spiegazione delle ragioni, né dalla valutazione della bontà di tale scelta, alla luce del fatto che la contribuente non aveva provato di aver provveduto alla restituzione in favore dell'Inps. Aggiunge che l'Amministrazione aveva correttamente ritenuto che alla fattispecie dovesse applicarsi l'art. 10, comma 1, lett. d-bis, t.u.i.r. che prevede la possibilità di dedurre dal reddito complessivo le somme restituite al soggetto erogatore se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti. Osserva, infatti, che la previsione di tale onere deducibile risolve il problema delle imposte pagate su somme percepite e soggette a tassazione per cassa e poi restituite al soggetto erogatore; che, tuttavia, su tale punto la C.t.r. ha omesso di motivare. 

4. Il ricorso incidentale, da esaminarsi in via preliminare in quanto con il medesimo si denuncia, esclusivamente, un error in procedendo da cui conseguirebbe la nullità della sentenza, è infondato. 

4.1. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell'art. 132, n. 4, cod. proc. civ., (e nel caso di specie dell'art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all'ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto - nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l'enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione - ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. 01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598). 

Le Sezioni Unite della Corte hanno, altresì, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Come ricordato da ultimo da Cass. 23/05/2022, n. 16653). 

4.2. La sentenza in esame non incorre nel vizio denunciato. 

La C.t.r. ha ritenuto che la contribuente avesse titolo al rimborso delle imposte solo nel momento in cui veniva meno il titolo che le giustificava, ossia al momento della "neutralizzazione (mediante restituzione) dei redditi indebitamente percepiti"; ha aggiunto, tuttavia, che il titolo alla restituzione maturava progressivamente in proporzione alla restituzione delle somme indebitamente percepite che costituivano il reddito sottoposto a tassazione; che, infatti, solo da questo momento, mancando il reddito, mancava anche la ragione giustificatrice dell'imposta. Ha concluso, infine, affermando che condizionando il rimborso dell'imposta alla restituzione per intero delle somme che ne costituivano il presupposto si sarebbe determinata un'ingiusta locupletazione dello Stato. 

Con tale motivazione il giudice del merito ha esplicitato le ragioni del decisum, restando irrilevante, ai fini della valutazione della sufficienza della motivazione, che non abbia espressamente motivato sulle "diverse soluzioni prospettate dalle parti". 

5. Passando all'esame del ricorso principale, la questione controversa attiene alle modalità attraverso le quali il contribuente che sia tenuto a restituire all'ente erogatore, in quanto indebite, somme che hanno concorso alla determinazione dell'imponibile negli anni passati e, come tali, soggette a ritenute alla fonte, possa recuperare, in caso di restituzione a lordo, le imposte già oggetto di trattenuta. 

Nella fattispecie, viene in rilievo una prestazione pensionistica erogata prima dall'Inpdap e poi dall'Inps, ma la medesima questione si pone non soltanto per i redditi da lavoro dipendente, bensì per tutti i redditi assoggettati a tassazione con il criterio di cassa. 

6. La questione è stata oggetto di vari interventi normativi che appare opportuno riepilogare. 

6.1. In primo luogo viene in rilievo l'art. 10, comma 1, lett. d-bis) t.u.i.r., richiamato dalla difesa erariale, che, nella versione vigente fino all'anno di imposta 2012, disponeva che "Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente (...) le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti". 

La lett. d-bis) cit. è stata inserita dall'art. 5 D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314 così rubricato: "Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro". Il legislatore, inserendo detta disposizione ha introdotto un nuovo onere deducibile, pari, appunto, all'importo delle somme che in un periodo d'imposta sono state assoggettate a tassazione e, successivamente, sono state rimborsate all'ente erogatore. 

La disposizione aveva l'obiettivo di risolvere proprio il problema posto dalla fattispecie in esame, ovvero il problema del rimborso delle imposte pagate su somme percepite e assoggettate a tassazione secondo il criterio di cassa e poi restituite al soggetto erogatore. Non essendo previsto, infatti, l'istituto delle sopravvenienze passive per i redditi tassati con il criterio di cassa, rimaneva dubbia l'esistenza di un supporto giuridico per procedere al rimborso delle imposte relative a somme che erano entrate nella disponibilità del contribuente, ma che successivamente erano state restituite. 

Va aggiunto che per effetto della lettera h) del comma 2 del nuovo articolo 48 (ora 51 t.u.i.r.), come sostituito dall'art. 3 D.Lgs. n. 314 del 1997 il predetto onere deducibile poteva anche essere riconosciuto direttamente dal sostituto di imposta e non concorrere a formare il reddito imponibile, evitando così che il contribuente dovesse presentare la dichiarazione dei redditi per ottenere il riconoscimento di tale onere. Detta disposizione, infatti, prevede che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente le somme trattenute al dipendente per oneri di cui all'art. 10 t.u.i.r. 

Dal punto di vista oggettivo, l'articolo 10, comma 1, lettera d-bis), t.u.i.r., nel testo originario, si applica alle somme oggetto di restituzione, sia assoggettate a ritenuta a titolo di imposta (ovvero ad imposta sostitutiva) o a titolo di acconto, sia a quelle assoggettate ad Irpef in sede di dichiarazione dei redditi. Tali somme, pertanto costituiscono un onere deducibile indipendentemente dalla modalità di tassazione (anche separata) subìta. Con tale onere deducibile (di importo pari alla somma precedentemente assoggettata a tassazione e, successivamente, rimborsata al soggetto erogatore) il contribuente recupera le imposte pagate al momento della percezione delle somme. 

6.2. L'art. 10, comma 1, lettera d-bis) t.u.i.r. è stato modificato dall'art. 1, comma 174, legge 27 dicembre 2013, n. 147, (legge di stabilità 2014), a decorrere dall'anno di imposta 2013. 

Al fine di consentire il recupero delle imposte versate al momento della percezione delle somme, anche qualora il reddito complessivo del periodo d'imposta in cui sono restituite fosse risultato incapiente, la nuova disposizione, nel confermare la deducibilità delle somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti, ha previsto che "L'ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d'imposta di restituzione può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell'imposta corrispondente all'importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze". 

Il richiamo è al d.m. 5 aprile 2016 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016) il quale all'art. 1, comma 4, prevede che "In alternativa alla deducibilità dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi, il contribuente può chiedere, entro il termine di cui all'articolo 2, comma 1, il rimborso dell'importo determinato applicando all'intero ammontare delle somme non dedotte l'aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all'articolo 11 del citato TUIR. La richiesta di rimborso è irrevocabile". L'art. 2 detta puntualmente le modalità di rimborso prevedendo che "1. L'istanza di rimborso di cui all'art. 1, comma 4, è presentata in carta libera agli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate nel termine biennale indicato nell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, decorrente dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale sono state restituite le somme. 2. Per i contribuenti non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi il termine biennale di presentazione dell'istanza di rimborso di cui al comma 1 decorre dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale è avvenuta la restituzione, ancorché l'importo restituito non sia stato prioritariamente dedotto dal reddito complessivo". L'art. 3, contenente la disciplina transitoria, prevede che "i contribuenti che negli anni 2013 e 2014 hanno restituito al soggetto erogatore somme assoggettate a tassazione in anni precedenti e che per le stesse somme non hanno fruito, in tutto o in parte, della deduzione dal reddito complessivo possono presentare l'istanza di rimborso di cui all'art. 2, comma 1, dell'importo determinato applicando alle somme non dedotte l'aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all'art. 11 del citato TUIR. In tal caso, il termine biennale di cui all'art. 21, comma 2, del citato decreto legislativo n. 546 del 1992 decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto". 

6.3. Da ultimo, l'articolo 150 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 - c.d. decreto Rilancio, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, - rubricato "Modalità di ripetizione dell'indebito su prestazioni previdenziali e retribuzioni assoggettate a ritenuta alla fonte a titolo di acconto"), ha introdotto nell'articolo 10 t.u.i.r. il comma 2-bis con il quale è stata espressamente prevista la cosiddetta modalità di restituzione al netto in aggiunta a quella al lordo della ritenuta stabilita dall'articolo 10, lettera d-bis) t.u.i.r. 

Detta disposizione si applica alle somme restituite dal 1° gennaio 2020, facendo salvi i rapporti già definiti alla data di entrata in vigore del decreto (19 maggio 2020). 

Sulla portata di tale disposizione l'Agenzia delle Entrate (circ. 14 luglio 2021, n. 8/E) ha precisato che, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento in base alla diversa tipologia di ritenuta operata, che la restituzione al netto della ritenuta, possa avvenire nell'ipotesi in cui le somme da restituire siano state assoggettate a qualsiasi titolo, a ritenuta alla fonte (a titolo di acconto o d'imposta), nonostante la rubrica dell'articolo 150 faccia riferimento esclusivamente alle "ritenute alla fonte a titolo di acconto". 

6.4. Così ricostruita l'evoluzione normativa sul tema, va immediatamente rilevato che alla fattispecie in esame non si applicano né le modifiche apportate alla legge di stabilità del 2014, in quanto l'istanza di rimborso è antecedente al decreto ministeriale che ne ha dettato la disciplina di attuazione ance con riferimento alle annualità pregresse, né quelle adottate nel 2020 dal decreto rilancio che presuppongono una restituzione al netto che non può verificarsi laddove, come chiarito dall'Agenzia delle entrate nella circolare n. 8/E del 2021, il contribuente ha già restituito l'indebito al lordo; oppure per effetto di pronunce giurisdizionali passate in giudicato, sia stabilita la restituzione al lordo, salvo diverso successivo accordo tra le parti; sia in corso un piano di restituzione rateizzato, calcolato al lordo delle ritenute operate all'atto dell'erogazione, salvo diverso successivo accordo tra le parti. 

7. Come detto, l'art. 10, comma 1, lett. d)-bis t.u.i.r., vigente ratione temporis consentiva il recupero delle imposte trattenute al momento della erogazione delle somme, successivamente restituite, operando la deduzione nei limiti della capienza del reddito imponibile dichiarato nel periodo di imposta di restituzione. 

Di qui la tesi che detta ultima fosse l'unica modalità di recupero nelle fattispecie ivi contemplate. 

Trattasi, tuttavia, di tesi non condivisibile. 

7.1. Questa Corte ha chiarito che l'impossibilità di recuperare per intero, mediante il meccanismo dell'onere deducibile, le imposte trattenute e non dovute, non esclude il ricorso alla procedura di rimborso. 

È stato precisato, infatti, che, l'art. 10 t.u.i.r. riconosce al contribuente esclusivamente la facoltà di utilizzare, nella dichiarazione dei redditi, il meccanismo della deduzione dell'onere dalla complessiva base imponibile (e cioè, in sostanza, una forma di restituzione per compensazione), ma che il mancato esercizio di tale facoltà non preclude affatto il ricorso all'ordinario strumento della procedura di rimborso, mediante presentazione della relativa domanda nel termine previsto a pena di decadenza. 

Va ribadito, pertanto che l'azione di rimborso di somme indebitamente versate non può, salvo espressa disposizione contraria, ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente (Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. 14/09/2021, n. 24650 cit., Cass. 01/08/2019, n. 29744, Cass. 27/10/2017 n. 25564). 

7.2. Tale soluzione ermeneutica trova ulteriore conforto nella successiva modifica apportate dalla legge di stabilità del 2014 che ha espressamente contemplato, in alternativa allo strumento di trattare le ritenute alla stregua di un costo deducibile, il diritto al rimborso dettando una specifica disciplina attuativa. 

7.3 Va ulteriormente precisato che l'azione di rimborso, nella fattispecie in esame, è governata dall'art. 38 d.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602 e dall'art. 21, D.Lgs. n. 546 del 1992 che costituisce norma di chiusura in ipotesi di mancata previsione di un termine specifico. 

L'art. 38 cit. prevede che "il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare (...) istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento". 

Questa Corte, con consolidata giurisprudenza, ha precisato che in tema di rimborso delle imposte dirette il termine di decadenza previsto dall'art. 38 cit. ha portata generale e si riferisce a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all'adempimento dell'obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e, quindi, ad errori tanto connessi ai versamenti quanto riferibili all'an o al quantum del tributo. Viceversa, l'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992 costituisce norma residuale e di chiusura del sistema, in virtù della quale "la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione" (Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. 16/05/2023, n. 13332, Cass. 14/09/2021 n. 24650, Cass. 01/08/2019 n. 20744, Cass. 07/08/2015, n. 16617; Cass. Sez. U. 16/06/2014, n. 13676, Cass. 12/07/2006, n. 15840). 

Nella locuzione "inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento", di cui all'art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, rientra anche il caso di pagamento eseguito erroneamente perché non dovuto per carenza della supposta obbligazione tributaria, integrandosi così un indebito oggettivo. Il testuale tenore della norma non autorizza un'interpretazione diversa e, in particolare, non consente di distinguere tra versamenti diretti in relazione ai quali il contribuente faccia valere l'inesistenza dell'obbligo legislativo di versamento e quelli per i quali lo stesso deduca l'inesistenza in concreto dell'obbligazione tributaria. Si è precisato, infatti, che non è sostenibile che l'art. 38 sia applicabile alle sole ipotesi di pagamento ab origine non dovuto e non in quelli in cui, come nella specie, l'insussistenza dell'obbligazione tributaria e, quindi dell'obbligo di versamento, sopravvenga in un momento successivo al pagamento. (Cass. 01/08/2019, n. 20744). 

Va ribadito, pertanto, che, anche qualora il tributo, originariamente dovuto su una prestazione effettivamente percepita e corrisposto dal soggetto erogatore a mezzo di ritenuta alla fonte, diventi indebito a seguito dell'obbligo di restituire la prestazione conseguente all'accertamento che quest'ultima non era dovuta, l'azione di ripetizione resta comunque soggetta alla disposizione, di carattere generale, di cui all'art. 38 cit. Detta norma, infatti, presidia il rimborso dell'imposta sia originariamente non dovuta sia dell'imposta che, pur legittimamente corrisposta al momento del versamento, acquisisca in un momento successivo i connotati dell'indebito. 

8. Quanto al dies a quo di decorrenza del termine di cui all'art. 38 cit., va disatteso l'assunto della difesa erariale secondo il quale il termine decorrerebbe dalla data di pagamento delle ritenute. 

L'art. 38, secondo comma, d.p.r. n. 602 del 1973, per il caso di ritenuta alla fonte, identifica lo stesso in generale con la data in cui la ritenuta è stata operata. 

Tuttavia, questa Corte ha precisato che la decorrenza del termine di decadenza non coincide con la data del pagamento allorché il fatto che quest'ultimo non sia dovuto derivi da un evento successivo, soltanto dal quale discenda in modo incontrovertibile la qualificazione di erroneità e, quindi, il carattere indebito della somma percepita dall'amministrazione (Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. 26/05/2017, n. 13436, Cass. 01/08/2019, n. 20744, Cass. 21/12/2004, n. 23716). 

A detta data, infatti, il pagamento era dovuto, sicché, avendo il contribuente riscosso la prestazione soggetta a ritenuta, non aveva titolo alcuno per richiederne il rimborso sicché all'istanza l'Amministrazione non avrebbe che potuto opporre un diniego. Infatti, solo a seguito dell'accertamento della non spettanza della prestazione il pagamento dell'imposta è divenuto indebito con conseguente diritto alla sua restituzione. 

Pertanto, anche nella fattispecie in esame si è in presenza di un fatto sopravvenuto, da identificarsi nella pronuncia che ha fondato il diritto dell'Inps a ricevere la restituzione delle somme, e per conseguenza quello della contribuente a ripetere gli importi a lei trattenuti a titolo di ritenuta sulle stesse. 

In particolare, tale sopravvenienza va riguardata rispetto alla situazione anteriore, in cui la contribuente aveva diritto ad una prestazione pensionistica e contestualmente era incontestabilmente assoggettata alla maggior ritenuta per imposte dirette. 

Per chiarezza, deve, altresì, aggiungersi che tale situazione è ben diversa da quella - affrontata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13676 del 2014 cit. - in cui il pagamento sia avvenuto in virtù di una norma dichiarata costituzionalmente illegittima, o contraria al diritto unionale, o ancora in ipotesi di lettura di una disposizione poi superata in base ad un nuovo orientamento, del tutto difforme rispetto a quello precedente, situazione quest'ultima indicata come overruling (per tutte Cass. 12/02/2019, n. 4135). 

9. Pertanto, va ribadito il principio di diritto già affermato, secondo il quale "in tema di restituzione delle somme non dovute versate dal sostituto d'imposta, l'impossibilità per il contribuente di recuperare per intero le imposte indebitamente trattenute mediante il meccanismo compensativo della deduzione dell'onere dalla complessiva base imponibile, nei limiti della capienza, previsto dall'art. 10, comma 1, lett. d-bis), t.u.i.r. (vigente ratione temporis), ovvero il mancato esercizio di tale facoltà, non preclude il ricorso all'ordinaria procedura di rimborso dei versamenti diretti ex art. 38 d.P.R. n. 602 del 1972, mediante presentazione della relativa domanda nel termine decadenziale (stabilito, in via residuale, dall'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992), trattandosi di azione avente portata generale in materia tributaria, non preclusa, salvo contraria disposizione di legge, da ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente" (cfr. n. 24650 del 2021 cit.). 

Va affermato, inoltre, il seguente principio di diritto "in tema di rimborso di imposte dirette, si applica l'art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - e non l'art 21 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 avente carattere residuale - per l'ipotesi di imposta che, pur legittimamente corrisposta, a mezzo di ritenuta alla fonte, all'atto del pagamento della prestazione che ne costituisce il presupposto, sia risultata indebita in ragione del successivo accertamento che quest'ultima non è dovuta, con conseguente obbligo di restituzione al soggetto erogatore. Il dies a quo per la domanda di rimborso non coincide con quello in cui è stata eseguita la ritenuta, ma con quello in cui il contribuente è tenuto alla restituzione della prestazione principale". 

10. Quanto al soggetto legittimato all'azione di rimborso, va ribadito che quest'ultimo si identifica tanto nel sostituto d'imposta (nella specie l'Inps), che ha effettuato il versamento a seguito di ritenuta, quanto dal sostituito (il contribuente); infatti, ai sensi dell'art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, sono legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l'eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto di imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituito), ((cfr., tra le altre, Cass. 09/11/2023, nn. 31205 e 31198, Cass. n.29/09/2015, n. 16105, Cass. 16/07/2015, n. 14911, Cass. 12/03/2014, n. 5653). 

11. Deve, altresì, escludersi che l'istanza di rimborso richieda la prova dell'avvenuta integrale restituzione all'Inps dell'importo al lordo delle ritenute effettuate. Infatti, dalla riconosciuta alternatività della legittimazione ad agire per la ripetizione delle imposte indebitamente versate, discende la sostanziale autonomia dei rapporti tra sostituto e sostituito rispetto al rapporto fiscale e, conseguentemente, la mancanza di interesse specifico dell'Agenzia ricorrente per detto rapporto tra le parti (Cass. n. 24650 del 2021 cit.). 

10. Venendo alla pronuncia in esame, la C.t.r., in parte, non si è attenuta a questi principi. Infatti, se pure ha riconosciuto la legittimità dell'istanza di rimborso avanzata dalla contribuente, ha errato, tuttavia, nel ritenere che quest'ultima non avesse titolo per richiedere al Fisco il rimborso delle ritenute operate su somme non ancora restituite all'Inps. 

11. In conclusione, va rigettato il ricorso incidentale, accolto il ricorso principale e cassata la sentenza impugnata; inoltre non essendovi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può esser decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con l'accoglimento del ricorso originario della contribuente. 

10. Le spese delle fasi di merito restano compensate in ragione dell'andamento del giudizio mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 

11. Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1-quater, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115. 

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso della contribuente; compensa integralmente tra le parti le spese delle fasi di merito; condanna l'Agenzia delle entrate a rifondere al pagamento in favore della ricorrente principale delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 200,00 per esborsi, euro 5.000,00, per compensi, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, Iva e Cap come per legge. 

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024. 

Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2024. 


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