LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 16-06-2008, n. 16207
Cass. civ. Sez. lavoro, 16-06-2008, n. 16207
Svolgimento del processo
Con
sentenza depositata il 25 febbraio 2003, il Tribunale di Monza, in
funzione di giudice del lavoro, respingeva il ricorso di M. G. inteso ad
impugnare il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla datrice
di lavoro s.p.a. Electrolux Zanussi per avere fatto uso improprio del
periodo di astensione facoltativa dal lavoro, di cui alla L. n. 53
dei 2000. In particolare, il Tribunale rilevava che era rimasto provato
che il M. avesse utilizzato l'astensione facoltativa per occuparsi
della pizzeria con asporto appena acquistata dalla moglie, e non per
accudire la propria figliola, e riteneva che tale circostanza valesse a
configurare la giusta causa di recesso, sul presupposto che la legge non
tutela ex se l'astensione dal lavoro, cioè a prescindere dall'uso che
ne faccia il lavoratore.
Tale decisione veniva
impugnata dal M., il quale contestava la valutazione delle prove
operata dal Tribunale e sosteneva che, comunque, non v'era alcun divieto
di svolgere attività di lavoro nel periodo di congedo; deduceva, in
subordine, che la sanzione espulsiva non era proporzionata rispetto al
fatto contestato.
Costituitasi la società
datrice di lavoro, che resisteva al gravame, la Corte d'appello di
Milano, con sentenza depositata il 30 agosto 2004, in riforma della
sentenza di primo grado annullava il licenziamento e ordinava la
reintegrazione del M. nel posto di lavoro, condannando la Electrolux a
corrispondere al medesimo le retribuzioni arretrate e compensando fra le
parti le spese di giudizio.
I giudici
d'appello osservavano che unica condizione per l'esercizio del diritto
al congedo parentale è il suo collegamento con le esigenze organizzative
della famiglia nei primi anni di vita del bambino, dovendosi
considerare, al riguardo, la diversità della situazione in esame aspetto
all'ipotesi del lavoratore assente per malattia che presti attività
lavorativa in favore di terzi e, al contrario, la sua analogia con la
ipotesi del lavoratore in permesso sindacale, caratterizzata
semplicemente dalla connessione del permesso con l'attività sindacale.
Con questi presupposti, era del tutto irrilevante accertate se il
lavoratore si fosse occupato anche della cura della figlia e se
l'attività da lui svolta nell'azienda intestata alla moglie fosse non
continuativa, essendo comunque tale attività finalizzata a soddisfare
un'esigenza della famiglia, si da integrare, per ciò solo, il legittimo
esercizio del congedo; il licenziamento, pertanto, si rivelava privo di
giusta causa e meritevole di annullamento.
Di questa sentenza la società Electrolux Home Products Italy s.p.a.
(già Electrolux Zanussi s.p.a.) domanda la cassazione con ricorso affidato a sei motivi, illustrati anche con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Il M. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso contiene sei motivi di impugnazione.
1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 53 del 2000, art. 1 e ss. e del D.Lgs. n. 115 del 2003, artt. 1 ss. e 32 ss. erronea interpretazione della Legge ex art. 12 preleggi
e difetto di motivazione. Si lamenta che la Corte d'appello abbia male
interpretato la normativa sul congedo parentale, ritenendo erroneamente
che quest'ultimo debba essere concesso in un caso non contemplato dalla
legge e non giustificato da alcuna ragione, e si sostiene che, in base
alla stessa direttiva europea che ha ptomosso l'intervento del
legislatore nazionale (direttiva 96/34/CE) nonchè alla stregua
dell'intervento della Corte costituzionale (in particolare, con la
sentenza n. 104 del 2003), l'attribuzione del diritto all'astensione
facoltativa anche al padre lavoratore è condizionata all'effettivo
perseguimento della finalità di sviluppare in modo armonico la
personalità del bambino favorendone l'inserimento nella famiglia e nella
società, mentre la sentenza impugnata - a dire della ricorrente - ha
individuato una ratio legis, cioè l'esigenza di aiutare l'organizzazione
familiare, del tutto assente nella normativa in esame, che, al
contrario, e soprattutto con riferimento alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001
applicabile nella controversia in esame, intende tutelare, piuttosto,
la paternità assicurando al padre un sostegno economico per
l'accudimento diretto della prole.
1.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 112 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c.,
nonchè vizio di motivazione. Si deduce che il lavoratore aveva in primo
grado sostenuto esclusivamente di avere utilizzato il congedo per
assistere la propria bambina e solo in appello, a seguito delle
sfavorevoli acquisizioni istruttorie al riguardo, aveva dedotto di avere
comunque contribuito alle esigenze familiari, così operando una
inammissibile modifica della domanda, che erroneamente - secondo la
ricorrente - non è stata rilevata dal giudice d'appello, in violazione
del divieto di proposizione di nuove domande e del principio di
corrispondenza fra chiesto e pronunciato; il medesimo giudice, peraltro,
è incorso anche nella violazione dell'art. 2697 c.c., avendo
mancato di rilevare che nessuna prova il lavoratore aveva offerto in
ordine alla sussistenza delle dedotte esigenze familiari, soprattutto in
relazione al ruolo e alla presenza della moglie all'interno della
famiglia.
1.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2104 c.c.
e vizio di motivazione, lamentandosi che la Corte di merito abbia
erroneamente ritenuto che la richiesta di congedo escluda di per sè ogni
possibile controllo in ordine alla corrispondenza causale fra ragioni
dell'assenza dal lavoro e attività da lui svolta.
1.4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2106 c.c.
e vizio di motivazione, deducendosi che la illiceità del comportamento
del M. ha integrato una giusta causa di licenziamento, avendo
determinato il venir meno della fiducia datoriale e il pericolo di
disincentivazione degli altri dipendenti.
1.5. Il quinto motivo denuncia violazione della L. n. 604 del 1966
e difetto di motivazione, per non avere i giudici di merito esaminato -
anche d'ufficio - la sussistenza, almeno, di un giustificato motivo di
licenziamento, sotto il profilo della gravita dell'inadempimento del
contratto di lavoro.
1.6. Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 c.c.
e vizio di motivazione, lamentandosi, in subordine, che la Corte
territoriale nella determinazione del risarcimento non abbia tenuto
conto di compensi e retribuzioni percepiti dal M. prima e dopo del
licenziamento.
2. Per ordine logico deve
esaminarsi dapprima il secondo motivo, che involge la stessa
ammissibilità in appello delle questioni decise dalla Corte di merito.
Il motivo non è fondato.
La
sentenza impugnata, nell'accogliere l'appello del M., ha ritenuto che
questi avesse legittimamente esercitato il diritto al congedo parentale,
alla stregua di un'interpretazione della relativa disciplina normativa
che riconnette tale diritto esclusivamente ad un'esigenza di
organizzazione familiare. Così ritenendo, i giudici d'appello hanno
conseguentemente escluso la sussistenza della giusta causa di
licenziamento - identificata appunto, secondo la contestazione
datoriale, nella illecita utilizzazione di tale congedo - a prescindere
da ogni accertamento relativo alla durata, all'orario e alle modalità
dell'attività svolta dal lavoratore, nel periodo di congedo, presso la
pizzeria intestata alla moglie. Tale interpretazione è stata dunque
ammissibilmente operata dal giudice d'appello nell'ambito del principio
jura novit curia e, perciò, prescindendo dalla tempestività e novità
della relativa allegazione della parte interessata; e, peraltro, nessuna
violazione del principio dell'onere della prova risulta verificata,
poichè la controversia è stata decisa solo in punto di diritto, con
assorbimento delle questioni riguardanti la valutazione delle prove in
ordine alla presenza del M. e della moglie presso l'azienda di
quest'ultima.
3. Il primo e il terzo motivo,
congiuntamente esaminati perchè intimamente connessi, sono invece
fondati non potendosi condividere la predetta interpretazione fornita
dalla Corte territoriale.
3.1. Una sommaria
ricognizione del contesto normativo riguardante le prestazioni
previdenziali e assistenziali connesse alla protezione sociale della
famiglia consente di rilevare, anzitutto, che la giurisprudenza
costituzionale ha affermato, fin dagli anni ottanta, l'operatività della
garanzia costituzionale - precipuamente riferita all'art. 31 Cost.
- anche in situazioni indipendenti dall'evento della maternità
naturale, riferibili anche alla paternità, sul presupposto che la tutela
assolve anche alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che
sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino (e che vanno
soddisfatte anche nel caso dell'affidamento, garantendo una paritetica
partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed educazione della
prole, senza distinzione o separazione dei ruoli fra uomo e donna) (cfr.
Corte cost. n. 1 del 1987; n. 179 del 1993).
La
successiva evoluzione del quadro normativo, secondo le linee indicate
da questa giurisprudenza, ha portato - in base alla delega contenuta
nella L. 8 marzo 2000, n. 53 - alla introduzione del testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
La L. n. 53 del 2000, art. 1, lett. a),
prevede l'istituzione dei congedi dei genitori in relazione alla
generale finalità di promuovere il sostegno della maternità e della
paternità.
Il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 32
prevede i congedi parentali e dispone che per ogni bambino, nei suoi
primi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal
lavoro; tale diritto compete: alla madre lavoratrice, trascorso il
periodo di congedo di maternità, per un periodo continuativo o
frazionato non superiore a sei mesi (comma 1, lett. a); al padre
lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o
frazionato non superiore a sei mesi (comma 1, lett. b). Il congedo
parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore
non ne abbia diritto (comma 4); ai fini dell'esercizio del diritto il
genitore è tenuto, salvi i casi di oggettiva impossibilità, a
preavvisare il datore di lavoro secondo modalità e criteri definiti dai
contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non
inferiore a quindici giorni (comma 3). Per i periodi di congedo
parentale alle lavoratoci e ai lavoratori, è dovuta un'indennità,
calcolata in misura percentuale sulla retribuzione secondo le modalità
previste per il congedo di maternità (art. 34, commi 1 e 4).
Alla
stregua di tale disciplina, il congedo parentale - nella specie,
spettante al padre lavoratore - si configura come un diritto potestativo
costituito dal comportamento con cui il titolare realizza da solo
l'interesse tutelato e a cui fa riscontro, nell'altra parte, una mera
soggezione alle conseguenze della dichiarazione di volontà.
Tale
diritto, in particolare, viene esercitato, con il solo onere del
preavviso, sia nei confronti del datore di lavoro, nell'ambito del
contratto di lavoro subordinato, con la conseguente sospensione della
prestazione del dipendente, sia nei confronti dell'ente previdenziale,
nell'ambito del rapporto assistenziale che si costituisce ex lege per il
periodo di congedo, con il conseguente obbligo del medesimo ente di
corrispondere l'indennità. 3.2. Come riconoscono gli stessi giudici di
appello, la configurazione di tale diritto non esclude la verifica delle
modalità del suo esercizio, per mezzo di accertamenti probatori
consentiti dall'ordinamento, ai fini della qualificazione del
comportamento del lavoratore negli ambiti suddetti (quello del rapporto
negoziale e quello del rapporto assistenziale). Tale verifica, che nella
fattispecie è stata compiuta soprattutto in basealle stesse
dichiarazioni del lavoratore e secondo acquisizioni la cui validità non è
in contestazione fra le parti, trova giustificazione, sul piano
sistematico, nella considerazione che - precipuamente nella materia in
esame - anche la titolarità di un diritto potestativo non determina mera
discrezionalità e arbitrio nell'esercizio di esso e non esclude la
sindacabilità e il controllo degli atti - mediante i quali la
prerogativa viene esercitata - da parte del giudice, il cui accertamento
può condurre alla declaratoria di illegittimità dell'atto e alla
responsabilità civile dell'autore, con incidenza anche sul rapporto
contrattuale. La configurazione e i limiti di questo controllo
giudiziale sono stati oggetto di una precisa evoluzione nella
giurisprudenza di questa Corte, che, in virtù della crescente
valorizzazione dei principi di correttezza e buona fede e della
operatività di essi in sinergia con il valore costituzionale della
solidarietà (in particolare con riferimento ai rapporti di credito e
debito nascenti dal negozio:
cfr. Cass. n.
10511 del 1999 e Cass., sez. un., n. 18128 del 2005, in materia di
determinazione e riduzione della clausola penale), ha anche segnato
limiti e criteri dell'esercizio del diritto nell'ambito del processo,
identificando forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela
dell'interesse sostanziale, che l'ordinamento riconosce al titolare del
diritto e che costituisce la ragione dell'attribuzione al medesimo
titolare della potestas agendi (cfr.
Cass., sez. un., n. 23726 del 2007, in materia di frazionamento della domanda di adempimento di un'unica pretesa creditoria).
3.3.
Ma, più in generale, si deve osservare che l'individuazione, sempre più
frequente nel ed. diritto applicato, di singole fattispecie
riconducibili a tale sviamento, derivanti dallo sviluppo del quadro
normativo e dalla complessità delle tutele riconosciute ai soggetti,
anche in relazione all'attuazione di principi costituzionali e
all'incidenza di norme e criteri di diritto internazionale che
interagiscono con l'ordinamento interno, richiede - come la dottrina non
ha mancato di rilevare - una concezione dei diritti soggettivi, e di
tutte le prerogative che sono oggetto di riconoscimento normativo,
fondata ormai sulla precisa identificazione delle sostanziali funzioni
che la norma positiva attribuisce al diritto soggettivo e delle
conseguenze, non meramente risarcitorie, che ricadono sul rapporto
giuridico per effetto della deviazione da tali funzioni, secondo una
costruzione ben diversa da quella tradizionalmente adottata, che colloca
invece il predetto sviamento fuori dall'ambito del diritto soggettivo e
finisce per qualificarlo come un normale illecito, in quanto integrante
un eccesso dal diritto.
Orbene, si deve
ritenere in generale che quante volte esista un diritto soggettivo si
configura necessariamente una corrispondenza oggettiva fra il potere di
autonomia conferito al soggetto e Fatto di esercizio di quel potere,
secondo un legame che è ben evidente nella ed. autonomia funzionale i
cui poteri sono positivamente esercitati in funzione della cura di
interessi determinati, come avviene normalmente nell'autonomia pubblica
ma come avviene anche, sempre più diffusamente, nell'autonomia privata,
ove l'esercizio del diritto soggettivo non si ricollega più alla
attuazione di un potere assoluto e imprescindibile ma presuppone
un'autonomia, libera, comunque collegata alla cura di interessi,
soprattutto ove si tratti - come nella specie - di interessi familiari
tutelati nel contempo nell'ambito del rapporto privato e nell'ambito del
rapporto con l'ente pubblico di previdenza, si che il non esercizio o
l'esercizio secondo criteri diversi da quelli richiesti dalla natura
della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere pure
riconosciuto dall'ordinamento. E ben s'intende come la immanenza di una
siffatta funzione in ogni diritto, e massimamente in quelli che
corrispondono a interessi, non meramente economici, costituzionalmente
protetti, non richiede una previsione specifica, con una positiva
regolamentazione: e ciò spiega perchè, in via eccezionale, tale
specificità sia stata invece richiesta, con il divieto di atti emulativi
previsto dall'ari. 833 del codice civile, in relazione alla ampiezza e
al contenuto del diritto di proprietà e alla correlativa esigenza di
riconoscere un limite funzionale a un potere tradizionalmente
illimitato, imprescrittibile e comprensivo dello jus abutendi, sino alla
costituzionalizzazione della sua funzione sociale (art 42 Cost.).
L'abuso
del diritto, così inteso, può dunque avvenite sotto forme diverse, a
seconda del rapporto cui esso inerisce, sicchè, con riferimento al caso
di specie, rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque
lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che
in presenza di un abuso del diritto di congedo si vede privato
ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta
comunque una lesione (la cui gravita va valutata in concreto)
dell'affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l'indebita
percezione dell'indennità e lo sviamento dell'intervento assistenziale
nei confronti dell'ente di previdenza erogatore del trattamento
economico.
3.4. In base al descritto criterio
della funzione, deve ritenersi verificato un abuso del diritto
potestativo di congedo parentale, di cui al D.Lgs. n. 115 del 2001, art.
32, comma 1, lett. b), allorchè il diritto venga esercitato non per la
cura diretta del bambino, bensì per attendere ad altra attività di
lavoro, ancorchè incidente positivamente sulla organizzazione economica e
sociale della famiglia.
Anche per tale
congedo, infatti, si configura una ratio del tutto analoga a quella
delineata dalla Corte costituzionale nelle pronunce che, come s'è visto,
hanno storicamente influenzato le scelte del legislatore nella
emanazione della Legge delega del 2000 e del successivo testo unico del
2001: in particolare, con le sentenze n. 104 del 2003, n. 371 del 2003 e
n. 385 del 2005 i giudici costituzionali hanno ribadito come la tutela
della paternità si risolva in misure volte a garantire il rapporto del
padre con la prole in modo da soddisfare i bisogni affettivi e
relazionali dei bambino al fine dell'armonico e sereno sviluppo della
sua personalità e del suo inserimento nella famiglia; tutte esigenze
che, richiedendo evidentemente la presenza del padre accanto al bambino,
sono impedite dallo svolgimento dell'attività lavorativa e impongono
pertanto la sospensione di questa, affinchè il padre dedichi alla cura
del figlio il tempo che avrebbe invece dovuto dedicare al lavoro. Si
comprende, allora, che una siffatta conversione delle ore di lavoro, se
pure non deve essere intesa alla stregua di una rigida sovrapponibilità
temporale, non può però ammettere un'accudienza soltanto indiretta, per
interposta persona, mediante il solo contributo ad una migliore
organizzazione della vita familiare, poichè quest'ultima esigenza può
essere assicurata da altri istituti (contrattuali o legali) che solo
indirettamente influiscono sulla vita dei bambino e che, in ogni caso,
mirano al soddisfacimento di necessità diverse da quella tutelata con il
congedo parentale, il quale non attiene ad esigenze puramente
fisiologiche del minore ma, specificamente, intende appagare i suoi
bisogni affettivi e relazionali onde realizzare il pieno sviluppo della
sua personalità sin dal momento dell'ingresso nella famiglia.
Con
questi presupposti, si rivela insostenibile, nella controversia in
esame, la tesi della realizzazione di tali esigenze della figlia
minorenne attraverso lo svolgimento di attività lavorativa, da parte del
padre in congedo, nella pizzeria della moglie. Al contrario, esclusa
tale possibilità e considerato che il legittimo esercizio del congedo
postula la presenza dei padre accanto alla propria bambina, sarebbe
stato necessario valutare le risultanze istruttorie acquisite in
giudizio onde accertare se e con quali modalità tale presenza si sia
realizzata e come siano state utilizzate, in concreto, le ore della
giornata rese disponibili per effetto del congedo.
3.5.
Devono accogliersi, perciò, le censure della società ricorrente
contenute nel primo e nei terzo motivo, mentre restano assorbite le
censure di cui ai motivi quarto, quinto e sesto.
3.6.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti e
la causa va rinviata ad altro giudice d'appello, designato nella Corte
d'appello di Brescia, il quale procederà a nuovo esame della
controversia attenendosi al seguente principio di diritto:
"Il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151,
att. 32, comma 1, lett. b), nel prevedere - in attuazione della Legge -
delega 8 marzo 2000, n. 53 - che il lavoratore possa astenersi dal
lavoro nei primi otto anni di vita del figlio, percependo dall'ente
previdenziale un'indennità commisurata ad una parte della retribuzione,
configura un diritto potestativo che il padre-lavoratore può esercitare
nei confronti del datore di lavoro, nonchè dell'ente tenuto
all'erogazione dell'indennità, onde garantire con la propria presenza il
soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza
di un pieno inserimento nella famiglia; pertanto, ove si accerti che il
periodo di congedo viene invece utilizzato dal padre per svolgere una
diversa attività lavorativa, si configura un abuso per sviamento dalla
funzione propria del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai
fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non
assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività (nella specie,
presso una pizzeria di proprietà della moglie) contribuisca ad una
migliore organizzazione della famiglia".
Il medesimo giudice di rinvio pronuncerà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il
secondo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Brescia
anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2008
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