La Cassazione: confermata la responsabilita' penale del RSPP
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 13-03-2008) 15-05-2008, n. 19523
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Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con
la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia confermava, per
quanto qui rileva, la sentenza di primo grado con la quale R.G.B. e G.M.
erano stati ritenuti responsabili del reato di lesioni colpose
aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno
del lavoratore A. B. (fatto avvenuto in data (OMISSIS)).
La
dinamica dell'infortunio non è contestata: durante l'operazione di
sostituzione di uno stampo e di rimontaggio dei bruciatori di una pressa
"spara anime", il compagno di lavoro, che aveva posto la macchina in
funzione manuale proprio per consentire la citata operazione,
erroneamente comandava la chiusura del "maschio" provocando lo
schiacciamento del polso dell' A..
Il R. e la
G. erano stati chiamati a risponderne in qualità, rispettivamente, di
responsabile del servizio di prevenzione e protezione e direttore
tecnico delegato per la sicurezza dello stabilimento, essendosi
ravvisati a loro carico profili di colpa, sia generica, sub specie
dell'imprudenza e negligenza, sia specifica, fondata, quest'ultima,
sulla inosservanza del disposto del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 82 nonchè D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 5,
e art. 38, avendo gli stessi omesso di adottare i dispositivi idonei ad
assicurare la posizione di fermo della macchina in occasione proprio di
siffatti interventi e consentendo l'espletamento di una operazione cosi
delicata da due operai di secondo livello, neanche debitamente
istruiti, in mancanza del collega esperto, quel giorno in malattia.
Avverso la predetta decisione propongono ricorso per cassazione R.G. e G.M., articolando distinti motivi.
Nell'interesse del R. vengono proposti tre motivi.
Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente si duole della mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 495 c.p.p.,
comma 2, costituita dall'assunzione del teste Z. sulla circostanza
della presenza sul posto al momento dell'incidente di altro collega
della vittima, che attivando erroneamente la pressa denominata "spara
anime" comandava la chiusura del "maschio" provocando lo schiacciamento
del polso dell' A..
Con il terzo motivo,
lamenta l'inosservanza della legge penale laddove il giudice di appello
aveva ritenuto la sussistenza della posizione di garanzia del R. sul
rilievo della qualifica dallo stesso ricoperta di direttore di
produzione nonchè di responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, senza verificare le mansioni concretamente svolte dallo
stesso.
Sotto altro profilo sostiene poi la
carenza della motivazione nella parte in cui non aveva approfondito il
tema della riconducibilità dell'infortunio alla mancanza della griglia e
quello della eventuale responsabilità esclusiva o concorsuale della
parte offesa e del lavoratore che materialmente aveva determinato
l'infortunio.
G.M. articola un unico motivo
con il quale lamenta l'erronea applicazione della legge penale sotto il
profilo della ritenuta rilevanza causale della sua condotta nella
determinazione del sinistro, rispetto al quale il comportamento
assolutamente anomalo del compagno di lavoro dell'infortunato avrebbe
integrato quella causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare
l'evento che esclude ogni rilevanza ad altre cause preesistenti.
I ricorsi sono manifestamente infondati.
Passando
all'esame del ricorso proposto dal R., manifestamente infondati sono il
primo ed il secondo motivo, con i quali il difensore lamenta la mancata
assunzione di una prova decisiva, costituita dall'assunzione delle
dichiarazioni rese in qualità di teste da un compagno di lavoro della
vittima circa la presenza sul luogo dell'incidente di un altro
dipendente, che, con una manovra imperita ed erronea, provocava lo
schiacciamento del polso dell'operaio.
La
censura non può essere accolta perchè la prova ritenuta decisiva
afferisce a circostanza assolutamente non contestata (la presenza
nell'area pericolosa della macchina di altro dipendente, che
imprudentemente azionava la macchina del tutto incurante che l' A. fosse
ancora intento all'operazione di posizionamento dei bruciatori) e
inconferente rispetto alla motivazione della sentenza gravata, che ha
evidenziato come la condotta imprudente di altri, pur in evidente
rapporto causale con l'evento dannoso, non valeva ad escludere la
concorrente responsabilità del datore di lavoro.
Va
osservato, in proposito, che il vizio di mancata ammissione di prova
decisiva rileva solo quando la prova richiesta e non ammessa,
confrontata con le argomentazioni in motivazione addotte a sostegno
della sentenza, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe
potuto determinare una diversa decisione (v. tra le tante, Sezione 4^, 8
maggio 2007, Matteucci).
Ciò che non può
all'evidenza ritenersi nel caso di specie laddove la "prova" riguardava
l'escussione di un teste che incontestabilmente aveva contribuito a
provocare l'incidente. L'accertamento proposto, nulla avrebbe aggiunto
di favorevole, sì da potere portare ad una decisione diversa da quella
assunta.
Destituita di fondamento è anche la
censura, contenuta nel terzo motivo, con la quale si assume la
violazione dei principi in tema di posizione di garanzia.
I
giudici di merito, con motivazione affatto illogica e con accertamenti
fattuali qui non rivisitabili, hanno, infatti, ricostruito lo specifico
ruolo rivestito, formalmente e sostanzialmente, dal ricorrente
all'interno della ditta (direttore di produzione e responsabile del
servizio di prevenzione e protezione), individuando le carenze
comportamentali allo stesso ascrivibili e riconducendo puntualmente
anche a dette carenze la responsabilità dell'evento lesivo per cui è
processo.
In proposito, per escludere
qualsivoglia, pretesa violazione di legge è sufficiente ricordare come
l'individuazione dei destinatari delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro va effettuata non in base a criteri astratti, ma
avendo riguardo alle mansioni ed alle attività in concreto esercitate
(ex pluribus, Sez. 4^, 7 ottobre 1999, Serra ed altri).
Questo
principio risulta attuato in concreto in modo convincente dai giudici
di merito, che hanno analizzato il ruolo svolto dal R. all'interno dello
stabilimento, delineando le singole responsabilità facenti capo allo
stesso.
I giudici di appello hanno confermato
il giudizio di responsabilità, facendo riferimento all'inadempimento da
parte dell'imputato, in relazione alla posizione di garanzia ricoperta,
all'obbligo di formazione e di vigilanza finalizzata proprio ad evitare
che i lavoratori, in virtù di scelte irrazionali e/o per comportamenti
non adeguatamente attenti, potessero compromettere la propria integrità
fisica.
D'altra parte, lo stesso imputato non
ha mai contestato il ruolo di responsabile della sicurezza svolto
all'interno dell'azienda ed, in assenza di ogni prova circa la
sussistenza di una concreta e diversa situazione di fatto in ordine allo
svolgimento del lavoro, non può porre validamente in discussione che
siffatto compito gli imponeva di attivarsi positivamente per organizzare
le attività lavorative in modo sicuro.
Questa conclusione non configge con la disciplina normativa, segnatamente con il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8, commi 3 e 10,
laddove emerge a chiare lettere che i componenti del servizio di
prevenzione e protezione non possono venire chiamati a rispondere
direttamente del loro operato, perchè difettano di un effettivo potere
decisionale: essi, in vero, sono soltanto dei consulenti che operano
come "ausiliari" del datore di lavoro e i risultati dei loro studi e
delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore
dell'amministrazione dell'azienda (ad esempio, in campo fiscale,
tributario, giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha
scelti e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli
obblighi di cui è esclusivo destinatario (cfr. Sezione. 4^, 20 aprile
2005, Stasi ed altro).
Quanto detto, infatti,
non esclude che possa pur sempre profilarsi lo spazio per una
responsabilità del RSPP. Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri
decisionali e di spesa e, quindi, non può direttamente intervenire per
rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto responsabile del
verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente
riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto
l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla
segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di
lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta
situazione (in precedenza, in questo senso, v. Sezione 4^, 6 dicembre
2007, Oberrauch ed altro; Sezione 4^, 15 febbraio 2007, Fusilli; nonchè,
Sezione 4^, 20 aprile 2005, Stasi ed altro).
Ciò che è quanto si è verificato, giusta la ricostruzione operata in sentenza.
Nè
può sostenersi, con la difesa, la carenza di motivazione con
riferimento alla rilevanza causale della mancanza del dispositivo di
sicurezza della macchina ed al contributo causale del lavoratore
infortunato e del collega che materialmente aveva azionato la macchina,
così provocando l'incidente.
La censura non
tiene conto che in tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa
concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per
uno dei soggetti indicati dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4,
che si sia reso comunque responsabile, come nel caso in esame, di
specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in
quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta
colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata (v, tra le tante,
Sezione 4^, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri).
Il
datore di lavoro è, cioè, "garante" anche della correttezza dell'agire
del lavoratore, essendogli imposto (anche) di esigere dal lavoratore il
rispetto delle regole di cautela, conseguendone, appunto in linea di
principio, che la colpa del datore di lavoro, nel caso di infortunio sul
lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione,
non è esclusa da quella del lavoratore.
In
tal caso, l'evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza
della posizione di garanzia di cui questi è ex lege onerato, sulla base
del principio dell'equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (art. 41 c.p., comma 1).
Proprio
la posizione di garanzia de qua ricoperta dal R. e l'incontestabile
accertamento della violazione dell'obbligo di munire la macchina del
dispositivo di sicurezza, non attribuisce alcun rilievo, per escludere
la responsabilità dello stesso, ai comportamenti negligenti, trascurati,
imperiti del lavoratore, o di altri, che abbiano contribuito alla
verificazione dell'infortunio.
Per mitigare
l'ambito di operatività della posizione di garanzia, vale esclusivamente
il principio dell'interruzione del nesso causale, esplicitato
normativamente dall'art. 41 c.p., comma 2, in forza del quale,
facendosi eccezione proprio al concorrente principio dell'equivalenza
delle cause di cui al precedente comma 1, quella sopravvenuta del tutto
eccezionale ed imprevedibile, in alcun modo legata a quelle che l'hanno
preceduta, finisce con l'assurgere a causa esclusiva di verificazione
dell'evento.
Sotto questo profilo, è
assolutamente pacifico l'assunto in forza del quale per escludere la
responsabilità del datore di lavoro "in colpa" e, quindi, per
interrompere, ex art. 41 c.p., comma 2, il nesso causale tra la
condotta colposa di questi e l'evento pregiudizievole derivatone, non
basterebbe un comportamento del lavoratore pur avventato, negligente o
disattento, che il lavoratore pone in essere mentre svolge il lavoro
affidatogli, trattandosi di comportamento "connesso" all'attività
lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non imprevedibile.
Per
converso, deve ritenersi che, per interrompere il nesso causale,
occorra un comportamento del lavoratore che sia "anomalo" ed
"imprevedibile" e, come tale, "inevitabile"; cioè un comportamento che
ragionevolmente non può farsi rientrare nell'obbligo di garanzia posto a
carico del datore di lavoro. Si deve trattare, in altri termini, di un
comportamento del lavoratore definibile come "abnorme", che, quindi, per
la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni
possibilità di controllo da parte delle persone preposte
all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul
lavoro (cfr, per tale definizione, Sezione 4^, 26 ottobre 2006,
Palmieri).
Or bene, la sentenza di merito
appare avere rispettato appieno il richiamato inquadramento di
principio, avendo evidenziato che la condotta del lavoratore, il quale
volontariamente aveva azionato la macchina, pur essendo in evidente
rapporto causale con l'evento dannoso, pur tuttavia non era nè
eccezionale nè imprevedibile, come dimostrato anche da analogo incidente
già verificatosi nel reparto animesteria della ditta.
Nè,
all'evidenza, può ritenersi la sussistenza di un comportamento abnorme
ed esorbitante del lavoratore infortunato, sull'assorbente rilievo che
questi si era limitato ad espletare un'attività del tutto interna ai
suoi compiti.
Anche il ricorso proposto dalla G.M. è manifestamenteinfondato.
Valgono
i principi sopra esposti, sulla base dei quali, deve ritenersi corretta
la decisione del giudice di merito che, con ricostruzione dei fatti e
analisi convincente, ha escluso che la condotta dell'operaio avesse
integrato alcunchè di esorbitante o di imprevedibile, tale da poter
rilevare ai fini dell'interruzione del nesso causale, avendo ravvisato
questo, sempre con argomentazioni qui incensurabili e giuridicamente
corrette, nelle inosservanze colpose ascritte all'imputata, che, nella
qualità di direttore tecnico delegato per la sicurezza della ditta, era
tenuta al rigoroso controllo delle caratteristiche di sicurezza dei
macchinari.
E non tiene soprattutto conto del
fatto che, quando l'obbligo di impedire l'evento ricade su più persone
che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di
causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una
posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato
intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario
dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi, in tale ipotesi, un
concorso di cause ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 1. In
questa ipotesi, piuttosto, la mancata eliminazione di una situazione di
pericolo (derivante da fatto commissivo od omissivo dell'agente), ad
opera di terzi, non è una distinta causa sopravvenuta da sola
sufficiente a determinare l'evento, ma una causa/condizione negativa
grazie alla quale la prima continua ad essere efficace (cfr. Sezione.
4^, 28 aprile 2005, Poli ed altri).
Alla
inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (v.
sentenza Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei
medesimi in solido al pagamento delle spese del procedimento e,
ciascuno, a quello di una somma, che congruamente si determina in mille
Euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara
inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento
delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00
in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2008
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