Cassazione: auto fuori uso? Va assicurata lo stesso |
La
Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 22035/2008)
ha stabilito che anche le macchine vecchie e abbandonate per strada e
quindi fuori uso, devono avere la copertura assicurativa. I Giudici di
Piazza Cavour hanno infatti precisato che "l'art. 1, l. 24 dicembre 1969
n. 990, prevede l'obbligo dell'assicurazione della responsabilità
civile per i veicoli a motore posti in circolazione 'su strade di uso
pubblico o su aree a queste equiparate' e l'art. 2, 1° co., d.p.r. 24
novembre 1970, n. 973, contenente il regolamento esecutivo della legge
n. 990 del 1969, dispone che 'Sono considerati in circolazione anche i
veicoli in sosta su strade di uso pubblico o su aree a queste
equiparate'".
"Quanto a questi ultimi – prosegue la Corte -, questa Corte ha ripetutamente affermato che i veicoli, ancorché privi ci parti essenziali per un'autonoma circolazione o fortemente danneggiati od usurati, non sono esclusi dall'obbligo assicurativo se non risulti la prova della loro assoluta inidoneità alla circolazione e la loro sostanziale riduzione allo stato di rottame, non rilevando in contrario neppure la circostanza che il proprietario abbia raggiunto accordi con terzi per provvedere all'asporto ed alla successiva demolizione. Detta affermazione è conforme alla disposizione dell'art. 7, n. 3, lett. 1), - voce 16.01.00 all. A –, dell'abrogato d.lgs. n. 22/97 (vedi ora per una identica formulazione l'art. 184, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), secondo la quale costituisce requisito oggettivo per la classificazione come fuori uso dei veicoli a motore, rimorchi e simili, l'assoluta impossibilità materiale od inconvenienza economica del ripristino dell'idoneità del veicolo alla circolazione, con la quale doveva concorrere ai fini della loro qualificazione come rifiuti anche l'ulteriore requisito soggettivo dell'essersi di essi il detentore disfatto o di avere egli deciso o l'obbligo di disfarsi, richiesto dall'art. 6, n. 1, lett. a) dello stesso d.lgs.2". |
SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONI
Cass. civ. Sez. II, 02-09-2008, n. 22035
Cass. civ. Sez. II, 02-09-2008, n. 22035
Svolgimento del processo
Il
Giudice di pace di Torino con sentenza del 4 febbraio 2004 rigettò
l'opposizione proposta il 28 ottobre 2003 da R. G. avverso l'ordinanza
del 16 giugno 2003, con la quale il Prefetto di Torino aveva ingiunto al
Ragusa il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 1.381,95 per
la violazione dell'art. 193 C.d.S., accertata in (OMISSIS), e disposto
la confisca dell'autovettura di sua proprietà, tg. (OMISSIS), perchè
circolante senza copertura assicurativa r.c..
Premessa
la tempestività della notifica del verbale di accertamento e
dell'ordinanza-ingiunzione ed escluse l'inesistenza o la nullità del
provvedimento per incertezza sulla sequenza temporale degli atti del
procedimento e difetto di motivazione, osservò il giudice che
l'autovettura dell'opponente, ancorchè recante segni di deterioramento,
non poteva essere qualificata come rifiuto e la sua circolazione statica
su suolo pubblico ne imponeva la copertura assicurativa.
Il R. è ricorso con sei motivi per la cassazione della sentenza e l'intimato Prefetto di Torino non ha resistito in giudizio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c., del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 195, comma 2, (Nuovo C.d.S.), del D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571, artt. 11 e 12, (Norme per l'attuazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 15, u.c., e art. 17, penultimo comma, concernente modifiche al sistema penale), e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 11,
(modifiche al sistema penale), essendo priva della trascrizione delle
conclusioni delle parti e non essendosi pronunciata sulla domanda in
esse contenuta di riduzione della sanzione, di cui l'ordinanza opposta
aveva ingiunto il pagamento.
Il motivo è in
parte infondato ed in parte inammissibile. Come conviene il medesimo
ricorrente, l'omissione, totale o parziale, della trascrizione delle
conclusioni delle parti nell'epigrafe della sentenza non è causa di
nullità della pronuncia, in quanto non condiziona l'effetto costitutivo
della loro precisazione in atti anteriori ed autonomi dalla sentenza, e
detta omissione può soltanto assumere valore sintomatico di un difetto
di attività del giudice, laddove alla formale mancanza della
trascrizione corrisponda nel provvedimento un'omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione su uno o più punti decisivi della
controversia ovvero l'omessa pronunzia su una o più domande od
eccezioni.
La mancanza della trascrizione,
quindi, non esonera la parte che denunci un'omessa pronuncia ovvero
un'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza
dal soddisfare l'onere, imposto dal principio dell'autosufficienza del
ricorso per cassazione, di specificare se, ed in quali termini, la
domanda o l'eccezione ovvero la questione oggetto della doglianza fosse
stata formulata nel giudizio di merito e, relativamente a quello di
opposizione all'ordinanza-ingiunzione, di indicare se fosse contenuta o
dedotta nell'atto di opposizione, giacchè nel relativo procedimento,
regolato dalla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 l'esame della
legittimità della pretesa sanzionatoria della P.A. deve avvenire entro i
limiti delle contestazioni sollevate dall'opponente ed un successivo
ampliamento del thema decidendum non è consentito nè d'ufficio e nè in
caso di accettazione del contraddittorio, salvo che dagli elementi
acquisiti emerga l'inesistenza giuridica del provvedimento opposto.
Ne
segue la preclusione dell'esame in sede di legittimità di una cen-
sura, con la quale il ricorrente oltre a non riportare il tenore
letterale della domanda, eccezione o questione che il giudice non
avrebbe esaminato, deduca che la stessa era stata da lui formulata nelle
conclusioni non trascritte nella sentenza e non anche nell'atto di
opposizione.
Va aggiunto, avendo il ricorrente
menzionato nell'esposizione sommaria dei fatti l'avvenuta richiesta
subordinata con l'opposizione di ridurre la sanzione irrogata al minimo
edittale, che il giudice dell'opposizione all'ordinanza-ingiunzione,
investito della questione relativa all'entità della sanzione e chiamato
ad una diretta determinazione della stessa secondo i criteri previsti
dalla L. n. 689 del 1981, art. 11 ove l'opponente, come
evidenziato nel ricorso, si sia limitato a lamentare l'eccessività
dell'importo da corrispondere, senza dedurre elementi specifici che
potessero indurre ad apprezzare la violazione con minor rigore, può
ritenere congrua la determinazione di una somma prossima alla metà del
massimo della sanzione edittale, ove l'infrazione non abbia
caratterizzazioni specifiche che possano indurre a maggiore o minor
rigore, trattandosi di una valutazione conforme al criterio
normativamente stabilito in via generale dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 203, comma 3,
per gli illeciti previsti dal nuovo codice della strada (cfr.: Cass.
civ., sez. 1^, sent. 10 dicembre 2003, n. 18811; Cass. civ., sez. 50^,
sent. 2 febbraio 1996, n. 1996).
A tale
principio si è conformato nella decisione il giudice di pace che, nel
dichiarare tenuto l'opponente al pagamento della sanzione amministrativa
applicata con l'ordinanza-ingiunzione, ritenendo la procedura
sanzionatoria rispettosa della legge, e nel respingere ogni altra
domanda, non ha mancato di pronunciarsi sulla richiesta di riduzione
della sanzione non accompagnata dalla deduzione di alcun elemento
specifico che potesse indurre ad attenuare la gravita del fatto, ma ne
ha implicitamente ritenuto adeguata la fissazione dell'ammontare da
parte dell'autorità amministrativa.
Con il secondo motivo, in riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c., del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 195, comma 2, (Nuovo C.d.S.), e del D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571, artt. 11 e 12, (Norme per l'attuazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 15,
u.c., e art. 17, penultimo comma, concernente modifiche al sistema
penale), non recando la trascrizione delle conclusioni delle parti e non
essendosi pronunciata sulla domanda di liquidazione delle spese di
custodia dell'autoveicolo confiscato.
Il motivo è inammissibile.
Nel
procedimento di opposizione all'ordinanza-ingiunzione del pagamento di
una sanzione pecuniaria amministrativa, contemplato dalla L. n. 689 del
1991, artt. 22 e 23, avuto riguardo all'oggetto del giudizio, limitato
all'accertamento della pretesa punitiva fatta valere
dall'amministrazione nei confronti del destinatario, ed alla sua
struttura, prevedente poteri istruttori ufficiosi, inappellabilità delle
decisioni etc. ..., non possono essere introdotte domande, eccezioni e
questioni diverse da quelli attinenti alla legittimità dell'atto
amministrativo impugnato (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 7 novembre
2003, n. 16714; Cass. civ., sez. 3^, sent. 29 ottobre 1999, n. 12190).
Non
contenendo l'ordinanza impugnata, oltre alla sanzione accessoria della
confisca dell'autovettura, anche l'ingiunzione del pagamento delle
anteriori spese di custodia, la regolamentazione di esse non poteva,
dunque, essere chiesta con l'atto di opposizione, esulando il recupero
delle spese dai limiti imposti dal contenuto dell'ordinanza all'oggetto
della controversia, e, non avendo il giudice di pace alcun obbligo di
decidere su di essa, non è ricollegabile alcuna nullità della sentenza
alla mancata pronuncia sulla relativa domanda, nè, come già osservato,
all'omessa trascrizione della stessa nelle conclusioni delle parti.
Con il terzo motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c., falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204, comma 2 (Nuovo C.d.S.), e violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1, comma 2, art. 2, commi 2 e 3,
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi) non recando la trascrizione delle
conclusioni delle parti e non essendosi pronunciata sull'eccezione di
violazione del termine di trenta giorni stabilito dalla L. n. 241 del 1990, art. 2, commi 2 e 3, per la notifica dell'ordinanza-ingiunzione.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha recentemente ribadito a sezioni unite il principio che le disposizioni di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2, commi 2 e 3,
tanto nella loro originaria formulazione, applicabile ratione temporis,
secondo cui il procedimento amministrativo deve essere concluso entro
il termine di trenta giorni, quanto nella formulazione risultante dalla
modificazione apportata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 36 - bis, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80,
secondo cui detto termine è di novanta giorni, è incompatibile,
nonostante il carattere generale del testo legislativo in cui è
inserita, con i procedimenti regolati dalla 1. n. 689/81, che a sua
volta detta un sistema di norme organico e compiuto e delinea un
procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono
regolati in modo da non consentire, anche nell'interesse dell'incolpato,
il rispetto di un termine così breve (cfr.: cass. civ., sez. un. 17
aprile 2006, n. 9591).
L'infondatezza
dell'eccezione di diritto non esaminata dal giudice dell'opposizione non
può comportare dunque la cassazione della sentenza impugnata in ragione
dell'omissione, giacchè al mancato esame di un'eccezione che non incida
sulla conformità a diritto del dispositivo della pronuncia deve
provvedere il giudice di legittimità, facendo uso del potere a lui
attribuito dall'art. 384 c.p.c., comma 2, di correggere ed
integrare la motivazione della sentenza con l'enunciazione delle ragioni
di diritto che sostengono la decisione impugnata (cfr.: Cass. civ.,
sez. 1^, sent. 18 agosto 2006, n. 18190; Cass. civ., sez. 2^, sent. 12
aprile 2006, n. 8561;
Cass. civ., sez. 1^, sent. 18 febbraio 2005, n. 3388).
Con il quarto motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18, (modifiche al sistema penale), o del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285,art. 204, comma 1, (Nuovo C.d.S.), e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1,
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi), e per insufficiente e/o illogica
motivazione in ordine all'adeguatezza della motivazione per relationem
dell'ordinanza- ingiunzione, giacchè le doglianze proposte in via
amministrativa dall'opponente imponevano di porre a sostegno del
provvedimento ragioni giuridiche ben più complesse.
Il motivo è inammissibile.
La
denuncia non soddisfa l'onere imposto dal principio di autosufficienza
del ricorso di indicare le ragioni esposte nell'opposizione a sostegno
della deduzione dell'omessa e/o insufficiente motivazione
dell'ordinanza-ingiunzione e la carenza non consente alcun apprezzamento
sulla congruità rispetto ad esse dell'affermazione del giudice di pace
che il provvedimento era adeguatamente motivato per relationem, così
come generalmente consentito (cfr.: cass. civ., sez. 2^, sent. 24 aprile
2008, n. 10757; cass. civ., sez. I, sent. 11 gennaio 2006, n. 389), in
quanto in esso erano richiamati "gli stessi motivi già esplicati nella
precedente ordinanza datata 23 aprile 2003 di rigetto dell'opposizione
al sequestro del veicolo".
Con il quinto motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 193, commi 1 e 2, (Nuovo C.d.S.), del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, comma 1, lett. a), art. 14, comma 1, e art. 50, comma 1, (attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), dell'art. 2, nn. 1 e 2, dir. 2000/53/CE, dell'art. 1, lett. a), dir. 75/442/CEE,
nonchè insufficiente e/o illogica motivazione, avendo affermato la
sussistenza dell'obbligo di assicurazione r.c. senza la più seria
indagine richiesta ed un minimo di istruzione probatoria sulle
condizioni del veicolo e nonostante che lo stesso fosse classificabile
come rifiuto, essendo fuori uso e non essendovi motivo di dubitare
dell'intenzione dell'opponente di disfarsene, "intanto perchè, non
appena avuta notizia del sequestro, egli ne aveva immediatamente chiesto
la restituzione al solo scopo di avviarlo direttamente alla
rottamazione e, in secondo luogo, perchè l'intenzione di disfarsi del
veicolo fuori uso manifestata subito dopo il suo rinvenimento, non aveva
affatto alcuno scopo elusivo di una sanzione".
Il motivo è infondato.
La L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 1,
prevede l'obbligo dell'assicurazione della responsabilità civile per i
veicoli a motore posti in circolazione "su strade di uso pubblico o su
aree a queste equiparate" e il D.P.R. 24 novembre 1970, n. 973, art. 2, comma 1, contenente il regolamento esecutivo della L. n. 990 del 1969,
dispone che "Sono considerati in circolazione anche i veicoli in sosta
su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate".
Quanto
a questi ultimi, questa Corte ha ripetutamente affermato che i veicoli,
ancorchè privi di parti essenziali per un'autonoma circolazione o
fortemente danneggiati od usurati, non sono esclusi dall'obbligo
assicurativo se non risulti la prova della loro assoluta inidoneità alla
circolazione e la loro sostanziale riduzione allo stato di rottame, non
rilevando in contrario neppure la circostanza che il proprietario abbia
raggiunto accordi con terzi per provvedere all'asporto ed alla
successiva demolizione (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 29 novembre
2004, n. 22478; Cass. civ. sez. 1^, sent. 9 maggio 1991, n. 5189; Cass.
civ., sez. 1^, sent. 15 giugno 1988, n. 4086).
Detta affermazione è conforme alla disposizione dell'abrogato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, n. 3, lett. l), - voce 16.01.00 all. A, (vedi ora per una identica formulazione il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184),
secondo la quale costituisce requisito oggettivo per la classificazione
come fuori uso dei veicoli a motore, rimorchi e simili, l'assoluta
impossibilità materiale od inconvenienza economica del ripristino
dell'idoneità del veicolo alla circolazione, con la quale doveva
concorrere ai fini della loro qualificazione come rifiuti anche
l'ulteriore requisito soggettivo dell'essersi di essi il detentore
disfatto o di avere egli deciso o l'obbligo di disfarsi, richiesto dallo
stesso cit. D.Lgs., art. 6, n. 1, lett. a).
Secondo
l'accertamento compiuto dal giudice di pace nessuno di tali requisiti
era rinvenibile nella specie, atteso che l'autovettura dell'opponente,
ancorchè recante i segni di deterioramento causato da un prolungato
abbandono, appariva fornita di tutti i componenti esteriori:
carrozzeria, vetri, volante, sedili, ruote, fari, fanali e targhe di
immatricolazione, e, non avendo il ricorrente specificato quale più
seria indagine ed istruzione probatoria avesse chiesto per la sua
classificazione come rifiuto, appare sufficientemente e coerentemente
motivato rispetto ad esso il convincimento espresso che non si trattasse
di "veicolo a fine vita", secondo la definizione contenuta nel D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209 e successive modifiche (Attuazione della direttiva 2000/53/CE
relativa ai veicoli fuori uso), ed il mancato svolgimento anteriormente
all'accertamento della violazione amministrativa di una attività
diretta alla radiazione del veicolo dal P.R.A. documentato
dall'esistenza delle targhe e riconosciuto dal medesimo ricorrente,
escludeva, anche, secondo l'interpretazione autentica del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. a), fornita dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 14, conv. con L. 8 agosto 2002, n. 178, la sussistenza di una oggettiva manifestazione dell'intento del detentore di disfarsi di esso.
Con il sesto motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 202 e 204, e violazione del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 53, 55 e 57,
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di documentazione amministrativa), e per insufficiente e/o illogica
motivazione in ordine all'eccepita tardività dell'emissione
dell'ordinanza-ingiunzione, sottoscritta il 16 giugno 2003, essendo
l'unica data certa quella del 16 luglio 2003 nella quale il Comune di
Collegno lo aveva protocollato come atto da notificare.
Il motivo è infondato.
La
sentenza ha compiutamente e logicamente affermato che la sequenza
temporale degli atti del procedimento amministrativo, benchè
l'ordinanza-ingiunzione ed il rigetto dell'opposizione al sequestro
recassero lo stesso numero di protocollo, era resa evidente dalla data
apposta su ciascuno degli atti e che nessun ostacolo l'identità del
numero aveva comportato per il controllo dell'operato della pubblica
amministrazione.
Va aggiunto che la
tempestività di un provvedimento amministrativo si determina in base
alla sua data di emissione, non a quella della notifica all'interessato,
e che, essendo le risultanze dell'ordinanza- ingiunzione assistite da
fede privilegiata ai sensi dell'art. 2700 cod. civ., il ricorrente, il quale intende far valere l'inosservanza dei termini di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 203
sostenendo di nutrire dubbi in ordine alla data di emissione, in
riferimento alla quale deve essere valutata la tempestività del
provvedimento, ha l'onere di proporre querela di falso (cfr.: Cass.
civ., sez. 1^, sent. 8 febbraio 2006, n. 2817) e tale querela non
risulta essere stata proposta.
All'inammissibilità o infondatezza di tutti i motivi segue il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2008
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