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mercoledì 26 marzo 2014

Cassazione: Sindacalisti: niente buoni pasto per chi ha il distacco. Nessun obbligo grava sul datore di lavoro




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Sindacalisti: niente buoni pasto per chi ha il distacco. Nessun obbligo grava sul datore di lavoro

ASSOCIAZIONI SINDACALI
Cass. civ. Sez. lavoro, 21-07-2008, n. 20087
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

La Corte di Appello dell'Aquila con sentenza n. 280/05 ha accolto l'appello proposto da P.A. avverso la sentenza emessa dal Tribunale dell'Aquila che aveva respinto la sua domanda avanzata nei confronti del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale presso il quale era stato distaccato dal Ministero dei Beni Culturali di cui era dipendente per la corresponsione dei buoni pasto maturati durante il distacco sindacale presso il sindacato CISL. Il giudice di appello, premesso che il distacco sindacale costituisce un beneficio che il datore di lavoro conferisce - per obbligo legale ex D.P.C.M. n. 770 del 1994 - al sindacato cedendogli l'attività lavorativa di un suo dipendente, senza oneri per il sindacato, rimanendo gli oneri a carico del datore di lavoro, ha posto a base della decisione impugnata il rilievo che la prestazione lavorativa fornita dal dipendente distaccato al sindacato, in assenza di previsioni specifiche contrarie, deve intendersi quella normale secondo l'orario normale con la conseguenza che se a quell'orario normale corrisponde il diritto alla percezione dei buoni pasto tale diritto va riconosciuto a prescindere dall'impossibilità da parte del datore di lavoro distaccante di controllare l'orario di lavoro osservato dal dipendente distaccato presso il sindacato beneficiario.
Nè comunque, ha sottolineato la Corte territoriale, l'appellato Ministero ha provato e dedotto che la prestazione dell'appellante, come effettivamente resa, era difforme dalla prestazione tipica meritevole della normale retribuzione e dell'accessorio costituito dai buoni pasto.
Avverso tale sentenza il Ministero in epigrafe proponeva ricorso per cassazione sostenuto da due motivi di censura.
Parte intimata resisteva al gravame.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di censura il Ministero, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 414 c.p.c., comma 1, n. 5 in riferimento all'art. 2697 c.c. nonchè motivazione omessa, erronea, insufficiente e/o contraddittoria su un punto decisivo della controversia, lamenta che la controparte non ha provato, in violazione del denunciato art. 414 c.p.c., la ricorrenza dei requisiti previsti dall'art. 4, comma 1, dell'Accordo per la concessione dei buoni pasti e la Corte di Appello, invece, disattendendo il disposto dell'art. 2697 c.c. ha ritenuto gravante sull'Amministrazione l'onere di provare l'effettivo svolgimento delle prestazioni di lavoro da parte del P..
Con il secondo mezzo di gravame parte ricorrente, allegando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 19 del CCN del 7/8/98 e del CCNL di comparto area sui diritti e le prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e del D.P.C.M. n. 770 del 1994, art. 5 nonchè omessa, erronea, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sostiene che all'interno del concetto di retribuzione normale di cui all'art. 19 del ccnl del 7/8/98 non possono ricomprendersi tutte le prestazioni accessorie connesse con l'effettività della prestazione lavorativa come i buoni pasto disponendo i tal senso il denunciato art. 5.
Il ricorso è fondato.
I motivi, in quanto logicamente e giuridicamente strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente.
Al riguardo va, innanzitutto, ribadito alla stregua di quanto già precisato da questa Corte, con riferimento ai caratteri del cd. distacco sindacale, che l'aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali si deve nettamente distinguere dall'istituto del distacco; infatti, mentre aspetto caratteristico dell'aspettativa è la carenza di prestazione lavorativa per tutto il tempo in cui si riveste la carica elettiva o sindacale, nell'istituto del distacco, invece, il rapporto di lavoro non perde la sua efficacia e non pone in moratoria le sue contrapposte obbligazioni fondamentali, modificandosi solo in relazione al soggetto che temporaneamente diventa il beneficiario e il destinatario della prestazione lavorativa con la conseguenza che solo nel primo caso si giustifica la sospensione dell'adempimento degli obblighi retributivi gravanti sul datore di lavoro, mentre nella seconda ipotesi tali obblighi permangono salvo (di norma) il loro passaggio dal datore di lavoro distaccante al distaccatario (Cass. 5661/99).
Tanto richiamato e passando all'esame del caso rileva il Collegio che il D.P.C.M. n. 770 del 1994, art. 5, comma 1 applicabile nella specie, dispone che "I distacchi sindacali di cui all'art. 2 e i permessi sindacali di cui all'art. 3 del presente regolamento sono retribuiti, con esclusione dei compensi e delle indennità per il lavoro straordinario e di quelli collegati all'effettivo svolgimento delle prestazioni".
Pertanto, nell'ipotesi del distacco, che in questa sede interessa, gli obblighi retributivi permangono a carico del datore di lavoro distaccante con esclusione però, come sancito dal citato Regolamento (concernente la nuova disciplina dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali nelle amministrazioni pubbliche) dei compensi e delle indennità per il lavoro straordinario e di quelli collegati all'effettivo svolgimento delle prestazioni.
Ora secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, condivisa dal Collegio, "il valore dei pasti, di cui il lavoratore può fruire in una mensa aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro, non costituisce elemento integrativo della retribuzione, allorchè il servizio mensa rappresenti un'agevolazione di carattere assistenziale, anzichè un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e di collegamento causale tra l'utilizzazione della mensa ed il lavoro prestato, sostituendosi ad esso un nesso meramente occasionale con il rapporto (Cass. n. 12168/98 e 11212/03 nonchè 14047/05).
Da ciò consegue che di regola il valore dei pasti o il ed. buono pasti, salva diversa disposizione, non è elemento della retribuzione concretandosi lo stesso in una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale.
Erra, quindi, la Corte territoriale nel ritenere, in assenza di specifica disposizione pattizzia, che la retribuzione normale, ex art. 19, comma 1 ccnl, comprende anche il valore dei buoni pasto, in quanto questo di norma esula, per come evidenziato innanzi e salvo diversa disposizione che colleghi casualmente siffatto valore alla prestazione di lavoro, dalla nozione di retribuzione.
Escluso pertanto, che il valore di cui trattasi possa rientrare ontologicamente nella nozione di retribuzione "normale", consegue che il buono pasto spetta nella ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 4 dell'Accordo di Comparto per la concessione dei buoni pasto al personale appartenente alle qualifiche dirigenziali del 30/4/96 il quale dispone al comma 1, che hanno titolo all'attribuzione del buono pasto i dipendenti di cui all'art. 1, comma 1, aventi un orario di lavoro settimanale articolato su cinque giorni o su turnazioni di almeno otto ore, ed al comma 2, che il buono pasto viene attribuito per la singola giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore alla sei ore.
Non è pertanto corretta la sentenza impugnata che riconosce il diritto al valore dei buoni pasti a prescindere dalla ricorrenza degli anzidetti presupposti, tra l'altro nemmeno allegati dalla parte, e sul solo rilevo che il ricorrente P. era comunque tenuto da una prestazione lavorativa "normale" con orario "normale" in quanto all'evidenza le parti non avrebbero ritenuto di disciplinare in maniera articolata le ipotesi di spettanza del buono pasto se questo era da riconnettere alla prestazione lavorativa "normale" con orario "normale".
Sicchè è del tutta illogica la equiparazione tra lavoro normale con orario normale e spettanza buono pasto.
Nè rileva per tale ragione, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, che il Ministero non ha provato o dedotto che la prestazione resa dal P. era difforme dalla prestazione tipica meritevole della normale retribuzione.
Rileva piuttosto, invece che il P. ricorrente in primo grado non ha mai allegato e chiesto di provare, incombendo su di lui ex art. 2697 c.c. il relativo onere, che la sua prestazione lavorativa veniva resa con le modalità previste dall'art. 4 dell'Accordo di Comparto per la concessione dei buoni pasto.
Sulla base delle esposte considerazioni pertanto il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la domanda originaria del P. va rigettata per difetto di prova circa la sussistenza dei presupposti di fatto per aver diritto ai reclamati buoni pasto.
Le spese dell'intero giudizio in considerazione,e del diverso orientamento espresso dai giudici di primo e secondo grado, e della novità della questione vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda del P. introduttiva del giudizio. Compensa le spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2008

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