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Sindacalisti: niente buoni pasto per chi ha il distacco. Nessun obbligo grava sul datore di lavoro
ASSOCIAZIONI SINDACALI
Cass. civ. Sez. lavoro, 21-07-2008, n. 20087
Cass. civ. Sez. lavoro, 21-07-2008, n. 20087
Svolgimento del processo
La
Corte di Appello dell'Aquila con sentenza n. 280/05 ha accolto
l'appello proposto da P.A. avverso la sentenza emessa dal Tribunale
dell'Aquila che aveva respinto la sua domanda avanzata nei confronti del
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale presso il quale era
stato distaccato dal Ministero dei Beni Culturali di cui era dipendente
per la corresponsione dei buoni pasto maturati durante il distacco
sindacale presso il sindacato CISL. Il giudice di appello, premesso che
il distacco sindacale costituisce un beneficio che il datore di lavoro
conferisce - per obbligo legale ex D.P.C.M. n. 770 del 1994 -
al sindacato cedendogli l'attività lavorativa di un suo dipendente,
senza oneri per il sindacato, rimanendo gli oneri a carico del datore di
lavoro, ha posto a base della decisione impugnata il rilievo che la
prestazione lavorativa fornita dal dipendente distaccato al sindacato,
in assenza di previsioni specifiche contrarie, deve intendersi quella
normale secondo l'orario normale con la conseguenza che se a
quell'orario normale corrisponde il diritto alla percezione dei buoni
pasto tale diritto va riconosciuto a prescindere dall'impossibilità da
parte del datore di lavoro distaccante di controllare l'orario di lavoro
osservato dal dipendente distaccato presso il sindacato beneficiario.
Nè
comunque, ha sottolineato la Corte territoriale, l'appellato Ministero
ha provato e dedotto che la prestazione dell'appellante, come
effettivamente resa, era difforme dalla prestazione tipica meritevole
della normale retribuzione e dell'accessorio costituito dai buoni pasto.
Avverso tale sentenza il Ministero in epigrafe proponeva ricorso per cassazione sostenuto da due motivi di censura.
Parte intimata resisteva al gravame.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di censura il Ministero, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 414 c.p.c., comma 1, n. 5 in riferimento all'art. 2697 c.c.
nonchè motivazione omessa, erronea, insufficiente e/o contraddittoria
su un punto decisivo della controversia, lamenta che la controparte non
ha provato, in violazione del denunciato art. 414 c.p.c., la ricorrenza
dei requisiti previsti dall'art. 4, comma 1, dell'Accordo per la
concessione dei buoni pasti e la Corte di Appello, invece, disattendendo
il disposto dell'art. 2697 c.c. ha ritenuto gravante
sull'Amministrazione l'onere di provare l'effettivo svolgimento delle
prestazioni di lavoro da parte del P..
Con il
secondo mezzo di gravame parte ricorrente, allegando violazione e/o
falsa applicazione dell'art. 19 del CCN del 7/8/98 e del CCNL di
comparto area sui diritti e le prerogative sindacali nei luoghi di
lavoro e del D.P.C.M. n. 770 del 1994, art. 5 nonchè omessa,
erronea, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia, sostiene che all'interno del concetto di
retribuzione normale di cui all'art. 19 del ccnl del 7/8/98 non possono
ricomprendersi tutte le prestazioni accessorie connesse con
l'effettività della prestazione lavorativa come i buoni pasto disponendo
i tal senso il denunciato art. 5.
Il ricorso è fondato.
I motivi, in quanto logicamente e giuridicamente strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente.
Al
riguardo va, innanzitutto, ribadito alla stregua di quanto già
precisato da questa Corte, con riferimento ai caratteri del cd. distacco
sindacale, che l'aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni
pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali si deve nettamente
distinguere dall'istituto del distacco; infatti, mentre aspetto
caratteristico dell'aspettativa è la carenza di prestazione lavorativa
per tutto il tempo in cui si riveste la carica elettiva o sindacale,
nell'istituto del distacco, invece, il rapporto di lavoro non perde la
sua efficacia e non pone in moratoria le sue contrapposte obbligazioni
fondamentali, modificandosi solo in relazione al soggetto che
temporaneamente diventa il beneficiario e il destinatario della
prestazione lavorativa con la conseguenza che solo nel primo caso si
giustifica la sospensione dell'adempimento degli obblighi retributivi
gravanti sul datore di lavoro, mentre nella seconda ipotesi tali
obblighi permangono salvo (di norma) il loro passaggio dal datore di
lavoro distaccante al distaccatario (Cass. 5661/99).
Tanto richiamato e passando all'esame del caso rileva il Collegio che il D.P.C.M. n. 770 del 1994, art. 5, comma 1
applicabile nella specie, dispone che "I distacchi sindacali di cui
all'art. 2 e i permessi sindacali di cui all'art. 3 del presente
regolamento sono retribuiti, con esclusione dei compensi e delle
indennità per il lavoro straordinario e di quelli collegati
all'effettivo svolgimento delle prestazioni".
Pertanto,
nell'ipotesi del distacco, che in questa sede interessa, gli obblighi
retributivi permangono a carico del datore di lavoro distaccante con
esclusione però, come sancito dal citato Regolamento (concernente la
nuova disciplina dei distacchi, delle aspettative e dei permessi
sindacali nelle amministrazioni pubbliche) dei compensi e delle
indennità per il lavoro straordinario e di quelli collegati
all'effettivo svolgimento delle prestazioni.
Ora
secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, condivisa dal
Collegio, "il valore dei pasti, di cui il lavoratore può fruire in una
mensa aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro,
non costituisce elemento integrativo della retribuzione, allorchè il
servizio mensa rappresenti un'agevolazione di carattere assistenziale,
anzichè un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per
la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a
quella lavorativa e di collegamento causale tra l'utilizzazione della
mensa ed il lavoro prestato, sostituendosi ad esso un nesso meramente
occasionale con il rapporto (Cass. n. 12168/98 e 11212/03 nonchè
14047/05).
Da ciò consegue che di regola il
valore dei pasti o il ed. buono pasti, salva diversa disposizione, non è
elemento della retribuzione concretandosi lo stesso in una agevolazione
di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso
meramente occasionale.
Erra, quindi, la Corte
territoriale nel ritenere, in assenza di specifica disposizione
pattizzia, che la retribuzione normale, ex art. 19, comma 1 ccnl,
comprende anche il valore dei buoni pasto, in quanto questo di norma
esula, per come evidenziato innanzi e salvo diversa disposizione che
colleghi casualmente siffatto valore alla prestazione di lavoro, dalla
nozione di retribuzione.
Escluso pertanto, che
il valore di cui trattasi possa rientrare ontologicamente nella nozione
di retribuzione "normale", consegue che il buono pasto spetta nella
ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 4 dell'Accordo di Comparto
per la concessione dei buoni pasto al personale appartenente alle
qualifiche dirigenziali del 30/4/96 il quale dispone al comma 1, che
hanno titolo all'attribuzione del buono pasto i dipendenti di cui
all'art. 1, comma 1, aventi un orario di lavoro settimanale articolato
su cinque giorni o su turnazioni di almeno otto ore, ed al comma 2, che
il buono pasto viene attribuito per la singola giornata lavorativa nella
quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore
alla sei ore.
Non è pertanto corretta la
sentenza impugnata che riconosce il diritto al valore dei buoni pasti a
prescindere dalla ricorrenza degli anzidetti presupposti, tra l'altro
nemmeno allegati dalla parte, e sul solo rilevo che il ricorrente P. era
comunque tenuto da una prestazione lavorativa "normale" con orario
"normale" in quanto all'evidenza le parti non avrebbero ritenuto di
disciplinare in maniera articolata le ipotesi di spettanza del buono
pasto se questo era da riconnettere alla prestazione lavorativa
"normale" con orario "normale".
Sicchè è del tutta illogica la equiparazione tra lavoro normale con orario normale e spettanza buono pasto.
Nè
rileva per tale ragione, diversamente da quanto affermato dalla Corte
territoriale, che il Ministero non ha provato o dedotto che la
prestazione resa dal P. era difforme dalla prestazione tipica meritevole
della normale retribuzione.
Rileva piuttosto, invece che il P. ricorrente in primo grado non ha mai allegato e chiesto di provare, incombendo su di lui ex art. 2697 c.c.
il relativo onere, che la sua prestazione lavorativa veniva resa con le
modalità previste dall'art. 4 dell'Accordo di Comparto per la
concessione dei buoni pasto.
Sulla base delle
esposte considerazioni pertanto il ricorso va accolto e la sentenza
impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la
domanda originaria del P. va rigettata per difetto di prova circa la
sussistenza dei presupposti di fatto per aver diritto ai reclamati buoni
pasto.
Le spese dell'intero giudizio in
considerazione,e del diverso orientamento espresso dai giudici di primo e
secondo grado, e della novità della questione vanno compensate.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel
merito rigetta la domanda del P. introduttiva del giudizio. Compensa le
spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2008
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