RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. III, 25-07-2008, n. 20427
Cass. civ. Sez. III, 25-07-2008, n. 20427
Svolgimento del processo
Il
27 agosto 1996 il trattore agricolo Lamborghini (OMISSIS), di proprietà
di P.G. e condotto da P.D., mentre transitava per la (OMISSIS) del
comune di (OMISSIS) è sprofondato in un avvallamento creatosi per il
cedimento, al passaggio del veicolo stesso del manto stradale.
Esposto
quanto sopra, con atto 6 marzo 1997 P.G. ha convenuto in giudizio,
innanzi al giudice di Pace di Cerignola il comune di Cerignola,
chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti.
Costituitosi
in giudizio il comune ha negato la propria legittimazione passiva
rispetto alla domanda attrice, atteso che responsabile della
manutenzione della sede stradale era esclusivamente l'Ente Autonomo
Acquedotto Pugliese di cui ha chiesto e ottenuto la chiamata in causa.
Costituitosi in giudizio anche il terzo chiamato lo stesso ha resistito alla avversa pretesa deducendone la infondatezza.
Svoltasi
la istruttoria del caso, con sentenza 12 dicembre 2001 il giudice di
pace di Cerignola ha rigettato la domanda attrice, compensate le spese.
Gravata
tale pronunzia in via principale dalla soccombente P., e in via
incidentale dal Comune di Cerignola, nel contraddittorio anche
dell'Acquedotto Pugliese s.p.a. che ha chiesto la conferma della
sentenza del primo giudice, il tribunale di Foggia, sezione distaccata
di Cerignola con sentenza 8 marzo 2004 ha rigettato sia l'appello
principale che quello incidentale, con condanna dell'appellante
principale al pagamento delle spese di lite, in favore delle
controparti.
Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, P.G..
Resiste, con controricorso il Comune di Cerignola.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l'Aquedotto Pugliese s.p.a..
Motivi della decisione
1.
Dalla istruttoria espletata, ha affermato il giudice di secondo grado,
confermando la pronunzia del giudice di pace, non è emersa la fondatezza
degli assunti attorei in quanto non è stato adeguatamente comprovato
che il cedimento del manto stradale fosse effettivamente avvenuto al
passaggio del veicolo della attrice, atteso, da un lato, che il teste
P.D. era incapace a testimoniare, in quanto conducente del veicolo al
momento del sinistro e, pertanto, titolare di un interesse che avrebbe
potuto legittimare la sua partecipazione al giudizio, dall'altro, che
nulla emerge dalla dichiarazione del teste C. nè dalla documentazione in
atti e dalla espletata consulenza tecnica.
2. La ricorrente censura la riassunte sentenza denunziando:
da un lato "violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 3", atteso che "la ricorrente ha fornito tutte le possibili prove
legali ad essa spettanti, tese alla dimostrazione dell'accadimento",
tenuto presente che al momento del sinistro non era presente alcun altro
oltre il P.D., conducente del trattore e marito della ricorrente (primo
motivo);
- dall'altro "violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 3", tenuto presente che l'ente proprietario della strada, aperta al
pubblico transito, è - al di là di ogni considerazione - tenuto a
mantenere la stessa in condizioni che non costituiscano per l'utente,
che fa ragionevole affidamento sulla sua apparente regolarità, una
situazione di pericolo, e che la Pubblica Amministrazione, comunque,
quale ente proprietario della strada, risponde dei danni cagionati
all'utente di questa, ai sensi dell'art. 2051 c.c., anche con riguardo ai beni demaniali, ivi compresi quelli del demanio stradale (secondo motivo);
- da ultimo "insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5", attesa la assoluta insufficienza delle ragioni invocate dal tribunale di Foggia per rigettare l'appello (terzo motivo).
3.
I tre motivi, intimamente connessi e da esaminare congiuntamente, sono
fondati, e meritevoli di accoglimento, alla luce delle considerazioni
che seguono.
3.1. La giurisprudenza costante
di questa Corte ha per lungo tempo ritenuto che la responsabilità per
danni cagionati da cosa in custodia, ex art. 2051 c.c., ha base:
-
nell'essersi il danno verificato nell'ambito del dinamismo connaturato
alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa;
-
nella esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla
cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa
stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da
impedire che produca danni a terzi.
In
applicazione di tali principi, giusta una risalente giurisprudenza, con
riguardo a danni subiti da utenti di strade aperte al pubblico transito,
anche se, eventualmente, a pagamento, non trova applicazione la
responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c.,
nei confronti della pubblica amministrazione, proprietaria della strada
(ovvero, in caso di strade a pagamento, del concessionario della
medesima), trattandosi di beni la cui estensione non consente una
vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l'insorgenza di situazioni
di pericolo.
Si afferma, pertanto:
-
da un lato, che il danneggiato può agire per il risarcimento soltanto
in base al principio del neminem laedere sancito dall'art. 2043 c.c.,
alla cui stregua l'ente proprietario della strada aperta al pubblico
transito è tenuto a far sì che essa non presenti per l'utente una
situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto),
caratterizzata congiuntamente dall'elemento obiettivo della non
visibilità e da quello subiettivo della non prevedibilità dell'evento
(in questo senso, tra le tantissime, ad esempio, Cass. 4 dicembre 1998,
n. 12314, nonchè Cass. 7 ottobre 1998, n. 9915; Cass. 25 giugno 1997, n.
5670; Cass., sez. un., 23 aprile 1997, n. 3567;
Cass. 28 aprile 1997, n. 3630);
- dall'altro, che la parte danneggiata, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c.,
ha l'onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, e, per
l'effetto, della esistenza dell'insidia non visibile e non prevedibile,
del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità
soggettiva, mentre l'ente pubblico, preposto alla sicurezza degli utenti
della strada e detentore del dovere di vigilanza sulle modalità di
realizzazione e di conservazione della strada, ha l'onere di dimostrare o
il concorso di colpa dell'utente, o la presenza di un caso fortuito che
interrompe la relazione di causalità tra l'evento ed il comportamento
colposamente omissivo dell'ente stesso (In questa ottica ad esempio,
Cass. 6 luglio 2006, n. 15383; Cass. 30 luglio 2002, n. 11250; Cass. 24
gennaio 1995, n. 809 tra le tantissime).
3.2. A fronte del suddetto orientamento giurisprudenziale tradizionale, che individua nell'art. 2051 c.c.,
un caso di presunzione di colpa, per cui il fondamento della
responsabilità sarebbe pur sempre il fatto imputabile dell'uomo (nella
specie del custode), che è venuto meno al suo dovere di controllo e
vigilanza perchè la cosa non produca danni a terzi, la maggioranza della
dottrina recente e la più attenta giurisprudenza di questa Corte
regolatrice - che a parere di questo collegio merita ulteriore conferma -
ritiene che il comportamento del responsabile è estraneo alla
fattispecie e fa quindi giustizia di quei modelli di ragionamento che si
limitano ad accertare la colpa del custode, sia essa presunta o meno,
parlando in proposito di caso di responsabilità oggettiva.
La
responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia - pertanto, si
afferma - ha carattere oggettivo e, perchè possa configurarsi in
concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in
custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta
del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto
la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno
specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il
depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare
la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i
rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di
fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non
necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione
diretta.
Deriva da quanto precede che tale
tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore
che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al
profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte
immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri
dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità, a nulla viceversa rilevando
che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima
dell'inizio del rapporto di custodia (In questo senso, ampiamente, da
ultimo, Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279, nonchè tra le altre, Cass. 10
marzo 2005, n. 5326; Cass. 10 agosto 2004, n. 15429).
Pertanto,
atteso che la responsabilità per danni ha natura oggettiva,in quanto si
fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente
fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa
(come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla
presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il
comportamento tenuto dal custode, deve concludersi che perchè sorga la
responsabilità del "custode" occorre, da un lato, che il danno sia
prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale del bene, o per
l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorchè provocato da
elementi esterni, e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con
l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno.
L'attore,
pertanto, deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in
custodia e l'evento lesivo nonchè dell'esistenza di un rapporto di
custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare la
esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere
dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il
nesso di causalità, cioè il "caso fortuito", in presenza del quale è
esclusa la responsabilità del custode (Cass. 29 novembre 2006, n.
25243).
"Caso fortuito" che deve essere inteso
nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello
stesso danneggiato, purchè detto fatto costituisca la causa esclusiva
del danno (Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. 10 marzo 2005, n.
5326; Cass. 28 ottobre 1995, n. 11264; Cass. 26 febbraio 1994, n. 1947).
3.3.
Applicando i riferiti principi ai danni causati da bene in custodia
della Pubblica Amministrazione e in uso alla generalità, la più recente
giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che il giudice, ai fini
dell'imputabilità delle conseguenze del fatto dannoso, non può
arrestarsi di fronte alla natura giuridica del bene o al regime o alle
modalità di uso dello stesso da parte del pubblico, ma è tenuto ad
accertare, in base agli elementi acquisiti al processo, se la situazione
di fatto che la cosa è venuta a presentare e nel cui ambito ha avuto
origine l'evenienza che ha prodotto il danno, sia o meno riconducibile
alla fattispecie della relativa custodia da parte dell'ente pubblico.
Ove
tale accertamento risulti compiuto con esito positivo, la domanda di
risarcimento va giudicata in base all'applicazione della responsabilità
da cosa in custodia, dovendo valutarsi anche l'eventuale concorso di
colpa del danneggiato ai sensi dell'art. 1227 c.c. (Cass. 8 agosto 2007, n. 17377).
Non diversamente, in altra occasione, si è osservato che la responsabilità civile da custodia ex art. 2051 c.c.,
non rimane in modo automatico esclusa in ragione dell'estensione della
rete viaria e dell'uso da parte della collettività, che costituiscono
meri indici dell'impossibilità di un concreto esercizio dei poteri di
relativo controllo e di vigilanza, la cui ricorrenza va verificata caso
per caso dal giudice del merito, giacchè, laddove l'esercizio ne risulti
in concreto impossibile rimane esclusa la sussistenza dello stesso
rapporto di custodia, e, conseguentemente, la configurabilità della
relativa responsabilità (Cass. 26 settembre 2006, n. 20823).
3.4. In sintesi, agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito in linea generale, è applicabile l'art. 2051 c.c.,
in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla
struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro
configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli
stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile
alterazione dello stato della cosa che, nonostante l'attività di
controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento
tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo
strettamente necessario a provvedere (Cass. 29 marzo 2007, n. 7763.
Analogamente, Cass. 2 febbraio 2007, n. 2308).
In altri termini va quindi superata la giurisprudenza di questa Corteche - sul presupposto che l'art. 2051 c.c., prevede una presunzione di responsabilità del custode - afferma che l'art. 2051 c.c.,
è applicabile nei confronti della P.A. per le categorie di beni
demaniali quali le strade pubbliche solamente quando, per le ridotte
dimensioni, ne è possibile un efficace controllo ed una costante
vigilanza da parte della P.A., tale da impedire l'insorgenza di cause di
pericolo per gli utenti (Cass. 26 settembre 2006, n. 20827; Cass. 12
luglio 2006, n. 15779; Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).
Deve
affermarsi, in particolare, il diverso principio secondo cui la
responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto cui la si
imputa abbia con la cosa un rapporto definibile come di custodia.
Perchè
questo rapporto ci sia è necessario che il soggetto abbia e sia in
grado di esplicare riguardo alla cosa un potere di sorveglianza, il
potere di modificarne lo stato e quello di escludere che altri vi
apporti modifiche.
Ora, passando all'ente pubblico e alle strade aperte al traffico, è certo che l'ente proprietario si trova in questa situazione.
In
particolare, una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a
causa di una anomalia della strada stessa (e l'onere probatorio di tale
dimostrazione grava, palesemente, sul danneggiato), è comunque
configurabile la responsabilità dell'ente pubblico custode, salvo che
questo ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il
danno.
L'ente proprietario, non può far nulla
quando la situazione che provoca il danno si determina non come
conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza
della strada ma in maniera improvvisa atteso che solo questa ultima (al
pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine
al verificarsi del fatto) integra il caso fortuito previsto dall'art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode.
4.
Atteso quanto sopra è evidente - come anticipato sopra - che il
proposto ricorso deve essere accolto, non essendosi il giudice a quo
attenuto ai principi di diritto sopra esposti.
Il
giudice del merito infatti, pur essendo incontroverso che il trattore
di proprietà della P. è sprofondato in un avvallamento della strada di
proprietà del comune di Cerignola, ha rigettato la domanda proposta
dalla P. contro questo ultimo sul rilievo che erano carenti prove in
ordine al fatto che il manto stradale fosse crollato a causa del peso
del trattore, non potendosi escludere, al contrario, che l'avvallamento
esistesse già prima e che nonostante fosse ben visibile tale cioè da non
integrare una insidia o trabocchetto il conducente non lo avesse
evitato, facendo applicazione dell'art. 2043 c.c., e
escludendo - sia pure per implicito - la possibilità di esaminare gli
argomenti difensivi hinc - inde sotto il profilo di cui all'art. 2051 c.c.
(disposizione, come evidenziato sopra, da ritenersi riferibile anche
alla Pubblica Amministrazione quanto alle strade aperte al pubblico
transito di cui la stessa è custode).
All'accoglimento
del ricorso, per il profilo in questione, segue la cassazione della
sentenza impugnata con rinvio della causa, per nuovo esame, al tribunale
di Foggia, in diversa composizione.
Il giudice di rinvio provvedere, altresì, sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata;
rinvia
la causa per nuovo esame, anche in ordine al regolamento delle spese di
questo giudizio di legittimità, al tribunale di Foggia in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2008
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