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mercoledì 26 marzo 2014

Cassazione: Comune a rischio risarcimento per l'incidente causato dall'avvallamento della strada






RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. III, 25-07-2008, n. 20427

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo


Il 27 agosto 1996 il trattore agricolo Lamborghini (OMISSIS), di proprietà di P.G. e condotto da P.D., mentre transitava per la (OMISSIS) del comune di (OMISSIS) è sprofondato in un avvallamento creatosi per il cedimento, al passaggio del veicolo stesso del manto stradale.
Esposto quanto sopra, con atto 6 marzo 1997 P.G. ha convenuto in giudizio, innanzi al giudice di Pace di Cerignola il comune di Cerignola, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti.
Costituitosi in giudizio il comune ha negato la propria legittimazione passiva rispetto alla domanda attrice, atteso che responsabile della manutenzione della sede stradale era esclusivamente l'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese di cui ha chiesto e ottenuto la chiamata in causa.
Costituitosi in giudizio anche il terzo chiamato lo stesso ha resistito alla avversa pretesa deducendone la infondatezza.
Svoltasi la istruttoria del caso, con sentenza 12 dicembre 2001 il giudice di pace di Cerignola ha rigettato la domanda attrice, compensate le spese.
Gravata tale pronunzia in via principale dalla soccombente P., e in via incidentale dal Comune di Cerignola, nel contraddittorio anche dell'Acquedotto Pugliese s.p.a. che ha chiesto la conferma della sentenza del primo giudice, il tribunale di Foggia, sezione distaccata di Cerignola con sentenza 8 marzo 2004 ha rigettato sia l'appello principale che quello incidentale, con condanna dell'appellante principale al pagamento delle spese di lite, in favore delle controparti.
Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, P.G..
Resiste, con controricorso il Comune di Cerignola.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l'Aquedotto Pugliese s.p.a..

Motivi della decisione


1. Dalla istruttoria espletata, ha affermato il giudice di secondo grado, confermando la pronunzia del giudice di pace, non è emersa la fondatezza degli assunti attorei in quanto non è stato adeguatamente comprovato che il cedimento del manto stradale fosse effettivamente avvenuto al passaggio del veicolo della attrice, atteso, da un lato, che il teste P.D. era incapace a testimoniare, in quanto conducente del veicolo al momento del sinistro e, pertanto, titolare di un interesse che avrebbe potuto legittimare la sua partecipazione al giudizio, dall'altro, che nulla emerge dalla dichiarazione del teste C. nè dalla documentazione in atti e dalla espletata consulenza tecnica.
2. La ricorrente censura la riassunte sentenza denunziando:
da un lato "violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3", atteso che "la ricorrente ha fornito tutte le possibili prove legali ad essa spettanti, tese alla dimostrazione dell'accadimento", tenuto presente che al momento del sinistro non era presente alcun altro oltre il P.D., conducente del trattore e marito della ricorrente (primo motivo);
- dall'altro "violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3", tenuto presente che l'ente proprietario della strada, aperta al pubblico transito, è - al di là di ogni considerazione - tenuto a mantenere la stessa in condizioni che non costituiscano per l'utente, che fa ragionevole affidamento sulla sua apparente regolarità, una situazione di pericolo, e che la Pubblica Amministrazione, comunque, quale ente proprietario della strada, risponde dei danni cagionati all'utente di questa, ai sensi dell'art. 2051 c.c., anche con riguardo ai beni demaniali, ivi compresi quelli del demanio stradale (secondo motivo);
- da ultimo "insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5", attesa la assoluta insufficienza delle ragioni invocate dal tribunale di Foggia per rigettare l'appello (terzo motivo).
3. I tre motivi, intimamente connessi e da esaminare congiuntamente, sono fondati, e meritevoli di accoglimento, alla luce delle considerazioni che seguono.
3.1. La giurisprudenza costante di questa Corte ha per lungo tempo ritenuto che la responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia, ex art. 2051 c.c., ha base:
- nell'essersi il danno verificato nell'ambito del dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa;
- nella esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi.
In applicazione di tali principi, giusta una risalente giurisprudenza, con riguardo a danni subiti da utenti di strade aperte al pubblico transito, anche se, eventualmente, a pagamento, non trova applicazione la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c., nei confronti della pubblica amministrazione, proprietaria della strada (ovvero, in caso di strade a pagamento, del concessionario della medesima), trattandosi di beni la cui estensione non consente una vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo.
Si afferma, pertanto:
- da un lato, che il danneggiato può agire per il risarcimento soltanto in base al principio del neminem laedere sancito dall'art. 2043 c.c., alla cui stregua l'ente proprietario della strada aperta al pubblico transito è tenuto a far sì che essa non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto), caratterizzata congiuntamente dall'elemento obiettivo della non visibilità e da quello subiettivo della non prevedibilità dell'evento (in questo senso, tra le tantissime, ad esempio, Cass. 4 dicembre 1998, n. 12314, nonchè Cass. 7 ottobre 1998, n. 9915; Cass. 25 giugno 1997, n. 5670; Cass., sez. un., 23 aprile 1997, n. 3567;
Cass. 28 aprile 1997, n. 3630);
- dall'altro, che la parte danneggiata, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., ha l'onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, e, per l'effetto, della esistenza dell'insidia non visibile e non prevedibile, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva, mentre l'ente pubblico, preposto alla sicurezza degli utenti della strada e detentore del dovere di vigilanza sulle modalità di realizzazione e di conservazione della strada, ha l'onere di dimostrare o il concorso di colpa dell'utente, o la presenza di un caso fortuito che interrompe la relazione di causalità tra l'evento ed il comportamento colposamente omissivo dell'ente stesso (In questa ottica ad esempio, Cass. 6 luglio 2006, n. 15383; Cass. 30 luglio 2002, n. 11250; Cass. 24 gennaio 1995, n. 809 tra le tantissime).
3.2. A fronte del suddetto orientamento giurisprudenziale tradizionale, che individua nell'art. 2051 c.c., un caso di presunzione di colpa, per cui il fondamento della responsabilità sarebbe pur sempre il fatto imputabile dell'uomo (nella specie del custode), che è venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza perchè la cosa non produca danni a terzi, la maggioranza della dottrina recente e la più attenta giurisprudenza di questa Corte regolatrice - che a parere di questo collegio merita ulteriore conferma - ritiene che il comportamento del responsabile è estraneo alla fattispecie e fa quindi giustizia di quei modelli di ragionamento che si limitano ad accertare la colpa del custode, sia essa presunta o meno, parlando in proposito di caso di responsabilità oggettiva.
La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia - pertanto, si afferma - ha carattere oggettivo e, perchè possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta.
Deriva da quanto precede che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell'inizio del rapporto di custodia (In questo senso, ampiamente, da ultimo, Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279, nonchè tra le altre, Cass. 10 marzo 2005, n. 5326; Cass. 10 agosto 2004, n. 15429).
Pertanto, atteso che la responsabilità per danni ha natura oggettiva,in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode, deve concludersi che perchè sorga la responsabilità del "custode" occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale del bene, o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorchè provocato da elementi esterni, e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno.
L'attore, pertanto, deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo nonchè dell'esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare la esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il "caso fortuito", in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (Cass. 29 novembre 2006, n. 25243).
"Caso fortuito" che deve essere inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purchè detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. 10 marzo 2005, n. 5326; Cass. 28 ottobre 1995, n. 11264; Cass. 26 febbraio 1994, n. 1947).
3.3. Applicando i riferiti principi ai danni causati da bene in custodia della Pubblica Amministrazione e in uso alla generalità, la più recente giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che il giudice, ai fini dell'imputabilità delle conseguenze del fatto dannoso, non può arrestarsi di fronte alla natura giuridica del bene o al regime o alle modalità di uso dello stesso da parte del pubblico, ma è tenuto ad accertare, in base agli elementi acquisiti al processo, se la situazione di fatto che la cosa è venuta a presentare e nel cui ambito ha avuto origine l'evenienza che ha prodotto il danno, sia o meno riconducibile alla fattispecie della relativa custodia da parte dell'ente pubblico.
Ove tale accertamento risulti compiuto con esito positivo, la domanda di risarcimento va giudicata in base all'applicazione della responsabilità da cosa in custodia, dovendo valutarsi anche l'eventuale concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell'art. 1227 c.c. (Cass. 8 agosto 2007, n. 17377).
Non diversamente, in altra occasione, si è osservato che la responsabilità civile da custodia ex art. 2051 c.c., non rimane in modo automatico esclusa in ragione dell'estensione della rete viaria e dell'uso da parte della collettività, che costituiscono meri indici dell'impossibilità di un concreto esercizio dei poteri di relativo controllo e di vigilanza, la cui ricorrenza va verificata caso per caso dal giudice del merito, giacchè, laddove l'esercizio ne risulti in concreto impossibile rimane esclusa la sussistenza dello stesso rapporto di custodia, e, conseguentemente, la configurabilità della relativa responsabilità (Cass. 26 settembre 2006, n. 20823).
3.4. In sintesi, agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito in linea generale, è applicabile l'art. 2051 c.c., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. 29 marzo 2007, n. 7763. Analogamente, Cass. 2 febbraio 2007, n. 2308).
In altri termini va quindi superata la giurisprudenza di questa Corteche - sul presupposto che l'art. 2051 c.c., prevede una presunzione di responsabilità del custode - afferma che l'art. 2051 c.c., è applicabile nei confronti della P.A. per le categorie di beni demaniali quali le strade pubbliche solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A., tale da impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cass. 26 settembre 2006, n. 20827; Cass. 12 luglio 2006, n. 15779; Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).
Deve affermarsi, in particolare, il diverso principio secondo cui la responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto cui la si imputa abbia con la cosa un rapporto definibile come di custodia.
Perchè questo rapporto ci sia è necessario che il soggetto abbia e sia in grado di esplicare riguardo alla cosa un potere di sorveglianza, il potere di modificarne lo stato e quello di escludere che altri vi apporti modifiche.
Ora, passando all'ente pubblico e alle strade aperte al traffico, è certo che l'ente proprietario si trova in questa situazione.
In particolare, una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa (e l'onere probatorio di tale dimostrazione grava, palesemente, sul danneggiato), è comunque configurabile la responsabilità dell'ente pubblico custode, salvo che questo ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno.
L'ente proprietario, non può far nulla quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada ma in maniera improvvisa atteso che solo questa ultima (al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto) integra il caso fortuito previsto dall'art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode.
4. Atteso quanto sopra è evidente - come anticipato sopra - che il proposto ricorso deve essere accolto, non essendosi il giudice a quo attenuto ai principi di diritto sopra esposti.
Il giudice del merito infatti, pur essendo incontroverso che il trattore di proprietà della P. è sprofondato in un avvallamento della strada di proprietà del comune di Cerignola, ha rigettato la domanda proposta dalla P. contro questo ultimo sul rilievo che erano carenti prove in ordine al fatto che il manto stradale fosse crollato a causa del peso del trattore, non potendosi escludere, al contrario, che l'avvallamento esistesse già prima e che nonostante fosse ben visibile tale cioè da non integrare una insidia o trabocchetto il conducente non lo avesse evitato, facendo applicazione dell'art. 2043 c.c., e escludendo - sia pure per implicito - la possibilità di esaminare gli argomenti difensivi hinc - inde sotto il profilo di cui all'art. 2051 c.c. (disposizione, come evidenziato sopra, da ritenersi riferibile anche alla Pubblica Amministrazione quanto alle strade aperte al pubblico transito di cui la stessa è custode).
All'accoglimento del ricorso, per il profilo in questione, segue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa, per nuovo esame, al tribunale di Foggia, in diversa composizione.
Il giudice di rinvio provvedere, altresì, sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.


LA CORTE accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata;
rinvia la causa per nuovo esame, anche in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità, al tribunale di Foggia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2008

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